Archivi categoria: Grunt !! Siamo mai usciti dalla caverna?

Grugniti in libertà di un cacciatore raccoglitore del XXI secolo

Vittoria! Vittoria?

Nota preliminare: In queste pagine userò il termine “fascistoide” come sinonimo di “Partito o movimento di estrema destra”, per distinguerli dai partiti fascisti storici che hanno caratteristiche loro proprie, almeno in parte diverse da quelle di molte formazioni dell’estrema destra attuale. Inoltre, non ho utilizzato il termine alla moda di “populisti” per rispetto dei movimenti autenticamente populisti del XVIII e XIX secolo che ebbero una dignità ed una valenza politica che nessun partito attuale neppure si sogna.

Tutto cominciò con la brexit.

Nonappena la vittoria del “leave” cominciò a delinearsi sugli schermi, i promotori del referendum entrarono in uno stato di panico. Nelle aspettative di Farage e soci avrebbe dovuto vincere di stretta misura “remain”, in modo da mantenere ingessato lo status quo e permettere loro di continuare con la consueta sceneggiata. Cosa non aveva funzionato nei loro calcoli? Probabilmente parecchie cose, ma principalmente avevano sottostimato il potere combinato della delusione e della rabbia sulla maggioranza degli elettori. Un fatto questo importante perché cavalcare la delusione e la rabbia (peraltro largamente giustificate) sono la cifra che accomuna i movimenti fascistoidi di tutta Europa e non solo.
Per questo, nelle settimane immediatamente successive il voto inglese, le cancellerie europee si sono rese conto che nel 2017 cadevano una serie di scadenze elettorali critiche fra cui le politiche in Austria, Bulgaria, Olanda, Francia e Germania. Un crescendo che, se fosse scattato il tanto temuto “effetto domino”, avrebbe disintegrato l’UE nel giro di pochi mesi.

Vittoria?

Sappiamo come è andata finora. In Austria, Bulgaria, Olanda e Francia i candidati dell’estrema destra hanno perso. In Germania stagnano in basso nei sondaggi. Vittoria dunque?
Si può dire che la prospettiva di un’implosione della UE è quantomeno rimandata a data da destinarsi, ma a ben vedere chi non ama l’estrema destra non ha molto di cui rallegrarsi. In Austria le presidenziali sono state vinte di strettissima misura da un vecchio residuato di quando l’ambientalismo era una forza politica importante. In Bulgaria ed in Olanda sono stati confermati i candidati governativi, che però non hanno mai dato gran prova di sé. Tanto che il loro margine di vantaggio sull’opposizione fascistoide si è comunque ridotto sensibilmente.
La Francia era un pericolo maggiore per l’importanza e la posizione del paese. La netta vittoria di Macron è stata una brutta sorpresa per la signora LePen che puntava ad un finale “al fotofinish” in stile austriaco. Tuttavia il pericolo è solo posticipato e neanche di molto. Un pericolo anche maggiore è infatti rappresentato dalle prossime elezioni in Germania.
Qualcuno si stupirà. Nella patria dei crauti entrambi i maggiori partiti in lizza si dichiarano apertamente europeisti e la maggior formazione di estrema destra, Alternativa per la Germania (AfD), non dovrebbe superare il 10%. Dunque perché preoccuparsi? Perché l’ottusità ed il provincialismo testardamente dimostrati dalla cancelliera uscente sono state proprio, il volano che ha fatto crescere l’eurofobia in tutto il continente. Con l’elezione di Junker, la “scomparsa” di Hollande e la rinuncia di Renzi ad un qualche ruolo a livello europeo, la Merkel si è assicurata un ruolo assolutamente egemone nella UE. In più di un’occasione importante è stato chiaro che le decisioni le prendevano lei ed il suo fido Schauble, alla faccia delle istituzioni comunitarie.
A partire dallo scoppio della crisi, mai conclusa, del 2008, la cancelliera ha usato questo potere per condurre una politica decisamente euroscettica nel senso autentico del termine. Vale a dire che ha usato gli strumenti comunitari in funzione esclusivamente o quasi degli umori dell’elettorato interno tedesco. E fra tutti i gravi danni fatti all’Europa, sicuramente il peggiore è stata la crisi greca. Un disastro voluto e perseguito dal governo tedesco senza che gli altri paesi, pur potendo, facessero nulla; e senza rendersi conto che così si stavano picconando le fondamenta stesse del mito europeista.
Oggi, una nuova vittoria della cancelliera uscente appare più che probabile, ma sarebbe una tragedia senza riparo. Altri 4 anni di Merkel-Schauble e un’ondata di governi fascistoidi in tutt’Europa sarà inevitabile. Non perché aumenteranno i veri fascisti, ma perché aumenterà il livello di frustrazione fino ad un punto in cui non ti interessa più che il tuo candidato menta platealmente o farnetichi di cose impossibili. Ti interessa solamente rovesciare il “sistema”. Costi quel che costi. E può costare moltissimo.

Il cambiamento.

Che le cose in Europa vadano molto peggio di 10 anni fa è un fatto. Come è un fatto che i governi e le classi dirigenti in genere hanno commesso una serie molto lunga di errori molto gravi. Ma come dice un vecchio adagio: “non c’è mai limite al peggio”.
Il punto più pericoloso è che mentre ci sono governi che per consolidarsi hanno bisogno di mostrare qualche successo, ve ne sono altri che si rafforzano proprio mediante il costante peggioramento della situazione. E funziona. Forse l’esempio attuale più spettacolare in questo senso è quello di Recep Erdogan. Quando salì al potere per la prima volta nel 2003, la Turchia era nel pieno di un mirabolante “miracolo economico”, godeva di rapporti preferenziali con le maggiori potenze planetarie, ottime relazioni con tutti i paesi confinanti e molto altro ancora. Oggi in Turchia ci sono migliaia di morti all’anno (circa 10.000 dal 2015, pare) fra attentati, bombardamenti e sparatorie. Decine di migliaia di persone sono vittime di arresti arbitrari e maltrattamenti, mentre centinaia di migliaia sono state licenziate perché sospettate di essere contrarie al regime. Molti parlamentari di opposizione sono in galera, la crisi economica morde, gli investitori fuggono, i rapporti internazionali sono appesi ad un filo, internet e la stampa sono pesantemente censurate, eccetera. Ma tutto ciò non ha impedito al nostro di vincere un referendum che gli concede un ulteriore, consistente aumento di potere, praticamente a vita.
In tutto l’Occidente, la lista dei partiti e dei movimenti che si candidano a “ripulire e rinnovare” la politica è lunga. Ma l’esperienza ci dovrebbe aver insegnato che può essere molto difficile, lungo e doloroso licenziare un “uomo forte”. Anche in Italia è già successo.

E dunque?

E dunque l’unica possibilità di uscire dalla trappola è che partiti e leader non legati a movimenti di estrema destra capiscano che il loro compito non è quello di continuare a difendere una linea politico-economica fallimentare. Bensì quello di gestire una decrescita non felice, ma inevitabile; mitigandone gli impatti e facendo capire a più gente possibile cosa sta succedendo e perché. Quand’anche ciò risultasse impossibile, in fondo, la maggior parte dei cittadini chiede cose perfettamente legittime:

1 – Uno stile sobrio da parte di uomini e donne al potere.

2 – Combattere efficacemente la corruzione a tutti i livelli.

3 – Ridurre le sperequazioni eccessive fra i redditi troppo alti e quelli troppo bassi. Visto che alzare i redditi bassi è, oggettivamente, difficile e forse impossibile, bisognerebbe ridurre quelli troppo alti.

4 – Riprendere il controllo delle frontiere. Cioè stabilire quanta e quale gente, a quali condizioni può entrare e restare. Insomma, un ragionevole punto di equilibrio fra il “tutti” ed il “nessuno” proclamati dalle propagande contrapposte.

Non sembrano cose impossibili, a condizione che si prendano provvedimenti idonei in tutti i paesi UE contemporaneamente. É infatti chiaro (o dovrebbe esserlo) che nessuno dei paesi europei da solo potrebbe oggi perseguire questi risultati con un minimo di probabilità di successo. Non ne avrebbe la forza politica, né i mezzi pratici.
Qualcosa forse comincia a muoversi, proprio grazie alla scelta inglese ed alla paura suscitata dall’elezione di Trump. Non rimane molto tempo e le prospettive non sono incoraggianti, ma questo turno elettorale, finora, ci ha concesso altri 4-5 anni di tempo per fare qualcosa. Certo, il declino della civiltà industriale non sarà fermato né così, né in altro modo, ma forse riusciremo ad evitare di aggiungere il male al malanno.

studiare la storia

“Coloro che non studiano la storia sono condannati a ripeterla.   Coloro che la studiano sono condannati ad osservare impotenti gli altri che la ripetono”.

CONFINI – 3. De-globalizzazione: il ritorno dei confini

deglobalizzazioneNei precedenti due post (qui e qui) abbiamo visto che i sistemi tendono ad integrarsi in unità funzionali più grandi ed efficienti. Principalmente, questo consente di dissipare più energia e, perciò, di prevalere su altri sistemi.   Una tipica retroazione positiva: “più cresci, più diventi forte per crescere”.   Sappiamo però che niente cresce indefinitamente, ma anzi che, prima o poi, i sistemi grandi e complessi si disintegrano a vantaggio di altri più piccoli e semplici.  Semplificando al massimo, gli organismi muoiono e nutrono colonie batteriche; gli imperi e gli stati centralizzati si disgregano in stati più piccoli, oppure in sistemi feudali o tribali, ecc.   Naturalmente, ogni caso ha la sua storia di crescita, picco e declino, ma tutti seguono questo schema.   Ci devono quindi essere dei buoni motivi.

Limiti della crescita e limiti dei sistemi

Se esista o meno una sorta di legge universale dell’invecchiamento e morte dei sistemi è un argomento molto dibattuto.   Chi fosse interessato, troverà qualcosa a questo link.

Qui tralasceremo la questione, limitandoci a considerare un solo aspetto del problema.  Abbiamo visto che sistemi più grandi e complessi sono più efficienti, ma necessitano di maggiori risorse e di un “fuori” in cui scaricare l’aumento di entropia corrispondente all’aumento di informazione che avviene “dentro”, man mano che in sistema cresce.

Con riferimento alla società industriale, entrambi questi temi sono stati ampiamente dibattuti.  In estrema sintesi, la linea di pensiero dominante è che il progresso tecnologico può compensare il decadimento quali/quantitativo delle risorse e l’inquinamento, aumentando indefinitamente la propria efficienza.   Un punto di vista contestato da coloro che pensano che le leggi naturali facciano aggio sulle teorie filosofiche.   Ma qui stiamo trattando solo dei limiti di un sistema, un aspetto poco considerato, malgrado sia molto interessante.

Un sistema economico consiste in un insieme di processi termodinamici (estrazione, trasporto, trasformazione, riciclo, ecc.) e serve a produrre un accumulo di vari tipi di capitale all’interno del sistema stesso (popolazione, oggetti, infrastrutture, conoscenze, ecc.).  In altre parole, aumenta la quantità di informazione che il sistema contiene, riducendo quella di altri, da cui preleva risorse ed in cui scarica la propria entropia sotto forma di rifiuti, guerre, sovrappopolazione, ecc.  I sistemi che riescono a crescere più degli altri hanno un vantaggio, ma che succede se tutti i sistemi di un determinato tipo vengono integrati in un unico super-sistema?
La globalizzazione è stato un gigantesco esperimento che ci ha effettivamente portati molto vicini ad un sistema economico unico.  Cioè privo di un “fuori” da sfruttare a vantaggio del “dentro”.   Necessariamente, l’entropia prodotta dal sistema si deve quindi scaricare all’interno del sistema stesso, sotto forma di un peggioramento delle condizioni di vita di una parte della popolazione a vantaggio di altri.   Ad esempio mediante la pauperizzazione della classe media occidentale e la schiavizzazione della mano d’opera di  molti paesi “in via di sviluppo”.  Lo spalancarsi dell’abisso fra il leggendario 1% e tutti gli altri non che un effetto di questa dinamica.   Ma ancor più dei perdenti umani, ne ha fatto le spese la Biosfera che rappresenta la discarica finale (sink) di qualunque processo economico.   Ed è proprio questo aspetto, sempre più trascurato a livello politico, che sta già creando i presupposti per l’implosione del sistema.  Ancor più di altri aspetti, assai più di moda sui social e sulla stampa.
La disgregazione sociale è infatti un fenomeno classicamente associato alle fasi critiche dei sistemi umani e gioca un ruolo fondamentale nel destabilizzare i sistemi statali e sovra-statali nei tempi brevi (anni e decenni).  La perdita di biodiversità determinerà invece se fra qualche secolo sulla Terra ci saranno foreste, campi e civiltà, oppure colonie di batteri estremofili.   O qualunque scenario intermedio vorrete immaginare.

La trappola globale

Come già accennato, non era necessario globalizzare il sistema per immaginare che sarebbe finita male.  Processi simili si erano già visti tante volte nella storia, anche se su scala molto più piccola, e sempre con risultati analoghi: l’integrazione è vantaggiosa finché il sistema in crescita mantiene la capacità di scaricare fuori di sé i danni che la crescita comporta.
Nei millenni in cui gli imperi si sono alternati nel dominio di grosse parti del pianeta, ognuno di essi è entrato in crisi quando è rimasto a corto di risorse per mantenere la propria complessità e per proteggere i propri confini.   Oppure quando ha perso la capacità di scaricare sui vicini i propri problemi, ad esempio mediante guerre od emigrazione.
Era prevedibile che man mano che il sistema economico mondiale veniva integrato, la capacità produttiva aumentasse, ma a costo di “parane il fio” in tre forme: la crescita esponenziale delle disparità sociali,  l’erosione accelerata delle risorse e l’aumento di entropia interna del sistema stesso sotto forma di inquinamento, perdita di biodiversità,  tumulti, ecc.

MalthusIl meccanismo della “crisi malthusiana” è probabilmente intrinseco alla dinamica della nostra specie fin dal suo apparire.   Tuttavia, oggi è la prima volta che qualcosa del genere avviene in modo quasi contemporaneo in tutto il mondo, minando la capacità del Pianeta di mantenere condizioni ambientali compatibili con la civiltà.   Forse perfino con la vita umana.

La globalizzazione è stata quindi la trappola in cui il capitalismo si è cacciato. Dopo aver annientato ogni resistenza tradizionale ed ogni reazione moderna, pare proprio che si stia suicidando.  Perlomeno  nella sua forma attuale.

La decrescita in teoria

Uno degli errori che più spesso si commettono, è quello di credere che facendo il contrario di quanto fatto in passato, il sistema possa tornare in una condizione uguale o simile a quella di partenza.   Per fare un esempio classico, mettendo un uovo sodo in congelatore a -100 C° per tre minuti non avremo un uovo crudo.   Un esempio forse più stringente, è che non entrare a far parte di una struttura sovranazionale qualunque (alleanza, federazione, moneta unica o altro) porta a risultati completamente diversi dall’uscirne.  Ilya Prigogine Confini dei sistemi Ilya Prigogine ha vinto un Nobel dimostrando che, almeno per le strutture dissipative complesse, il tempo esiste, è direzionale (si chiama la “freccia del tempo”) ed è irreversibile.   Significa che non si torna MAI in uno stato precedente e se ci sembra di si, dobbiamo solo guardare cosa è successo intorno al nostro esperimento.

Dunque, se un aumento dei flussi attiva una retroazione positiva di crescita, un riduzione quali/quantitativa dei medesimi necessariamente attiva una retroazione parimenti positiva, ma stavolta di de-crescita.   Si ponga attenzione al fatto che la riduzione dei flussi può avvenire sia dalla parte delle risorse, quanto da quella degli scarti.   Cioè, sia che il sistema trovi difficoltà ad ”alimentarsi” (in senso latissimo), sia che le trovi nello scaricare i proprio “cataboliti” (sempre in senso latissimo), il risultato non cambia.   Ne siamo un esempio noi stessi.  La società industriale globale sta trovando il proprio limite nell’accumulo di inquinamento prima ancora che nella ridotta disponibilità di risorse.   Per fare un solo esempio, più di metà del petrolio scoperto è ancora sottoterra, ma se continueremo a pomparlo, ridurremo il nostro pianeta ad un deserto.

Il punto chiave qui è proprio il fatto che i sistemi in crescita esponenziale sono particolarmente instabili e vulnerabili.  E’ infatti molto difficile che possano passare da una fase di crescita convulsa ad una di equilibrio dinamico.   Sistemi che evolvono lentamente e che contengono anelli di retroazione negativa sono tendenzialmente più stabili.   Il che significa che crescono molto meno quando le condizioni sono favorevoli, ma incassano meglio quando le condizioni peggiorano.   E, soprattutto, contribuiscono assai meno al peggioramento del loro “fuori”,  proprio perché assorbono meno bassa entropia ed espellono meno alta entropia.

Una condizione certa per il disastro è poi quando un sistema riesce a crescere oltre la capacità del meta-sistema di cui fa parte di provvedere la bassa entropia ed assorbire l’alta.   L’esempio dei manuali è quello di un gregge sul pascolo.   Finché le pecore sono poche, l’erba abbonda e si possono moltiplicare.   Se ci sono fattori esterni che limitano la crescita del gregge, ad esempio il contadino che mangia una parte degli agnelli,  il sistema può tirare avanti indefinitamente.   Se invece le pecore aumentano continuamente di numero, prima o poi cominciano a danneggiare il suolo; la fertilità diminuisce e l’unico modo per salvare il gregge è eliminare abbastanza pecore da ristabilire l’equilibrio con un pascolo impoverito ed eroso.

La decrescita in pratica

Il decadimento quali/quantitativo dell’input energetico e gli effetti nocivi connessi con la crescente entropia mondiale renderanno le strutture economiche e sociali particolarmente complesse sempre meno sostenibili.    Ciò significa che la de-globalizzazione che sta ora prendendo le mosse, accelererà e diverrà una tendenza inarrestabile nei prossimi decenni.   Prima di festeggiare, consideriamo però che, se con la globalizzazione ci siamo fatti parecchio male, con la de-globalizzazione ci faremo peggio.

crescita globaleLa progressiva integrazione dei sistemi socio economici locali in sistemi nazionali, poi transnazionali ed infine in un unico sistema globale è stata infatti la strategia che ha permesso all’umanità di aumentare la propria capacità di dissipare energia e crescere.   Se in un grafico riportassimo la curva del livello di integrazione dei sistemi economici del mondo, vedremmo che è strettamente correlata con le curve che descrivono l’incremento demografico e la dissipazione di energia.    Senza la globalizzazione, non saremmo diventati i quasi 8 miliardi che siamo oggi ed i nostri consumi non sarebbero cresciuti, semmai diminuiti.   Perché?

Facciamo un esempio: la quantità di energia fossile disponibile è tuttora fantastica, ma i giacimenti sono sempre più difficili e costosi da raggiungere e sfruttare.   Solo organizzazioni estremamente vaste ed integrate possono avere i mezzi per farlo e solo se possono poi accedere ad un mercato globale in cui vendere la propria merce.
Per farne un altro, l’epidemia di Ebola del 2014 è stata messa sotto controllo a fatica e solo grazie all’afflusso di personale specializzato, materiali costosissimi ed aiuti di vario genere dal mondo intero.   Tutte cose che solo organizzazioni della potenza dell’OMS, l’UE, gli USA e la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale potevano fare.  Senza strutture di tale vastità e complessità, i morti sarebbero stati probabilmente dei milioni in gran parte dell’Africa.

Piccolo è meno dissipativo, ma più scomodo

Orto-bioQuando si parla di de-globalizzazione, volentieri si pensa al proprio orto e di come sarebbero belle delle comunità agricole in cui ognuno contribuisce come può al benessere collettivo.   A parte il fatto che tra il mercato globale ed il mio giardino ci sono parecchi livelli organizzativi intermedi, è vero che piccole comunità rurali rappresentano un modello socioeconomico molto più adatto a tempi di scarsezza.   Penso quindi che sia sicuramente una buona idea quella di prepararsi a cavarsela in economie locali, scarsamente connesse col resto del mondo.  Ma non bisogna illudersi che queste possano far vivere 8 miliardi di persone, men che meno fino ad 80 anni e passa.
In sintesi, un’economia locale può provvedere cibo, acqua, abiti ed alloggio, ma non potrà mai consentire una connessione internet, cure ospedaliere moderne, viaggi lontani, tecnologie avanzate e tutti gli altri vantaggi che ci ha dato la progressiva integrazione delle economie mondiali.

Man mano che i sistemi socioeconomici maggiori si disarticoleranno in sotto-sistemi via via più piccoli, diminuiranno la massa e l’impatto globale dell’umanità.   Ma diminuirà anche la nostra capacità di sfruttare le residue risorse del pianeta.  In pratica, la stessa retroazione che ha prodotto il fenomeno che chiamiamo “progresso”, se lo rimangerà.   Se del tutto od in parte, lo vedremo, dipende da molti fattori.   In ogni caso, la popolazione diminuirà, forse anche rapidamente.
Un fatto questo che si tende a tacere, anche se è l’unica speranza che ci rimane.   Solo un’abbastanza rapida riduzione del carico antropico potrebbe infatti salvare la Biorfera e, dunque, anche la nostra discendenza.

Per essere chiari: era prevedibile che la globalizzazione ci sarebbe costata cara, ma era difficile evitarla.  E’ altrettanto prevedibile che la de-globalizzazione ci costerà ancora di più, ma proprio questo è fonte di speranza.

Ne riparleremo nella prossima ed ultima puntata.

 

 

CONFINI – 2 – Globalizzazione, ovvero la scomparsa dei confini

Abbiamo visto (link) che qualunque sistema, di qualunque taglia e natura, necessita di una delimitazione che serve a controllare gli scambi fra ciò che è “dentro” e ciò che è”fuori”.  La dimensione e il grado di permeabilità di questa barriera devono necessariamente cambiare nel tempo, per adattarsi al divenire dalla situazione sia interna, che esterna al sistema in esame.  Pena la disintegrazione.

Nascita degli stati e degli imperi.

cacciatori di testePassando ad osservare le società umane, vediamo che, fin dall’inizio, ogni clan o piccola tribù ha costituito un sistema (perlopiù formato da sotto-sistemi familiari), facenti parte di sistemi più grandi (popoli ed umanità).  A loro volta parte della Biosfera e così via.
I limiti erano costituiti da barriere genetiche (grado di parentela), ma più spesso da limiti immateriali come quelli culturali (lingua, religione, faide, ecc.).  A questi si associavano spesso (ma non sempre) anche limiti materiali, ad esempio geografici.

Abbiamo però visto che i sistemi più grandi e complessi sono più efficienti nell’estrazione delle risorse e nella dissipazione dell’ energia.  Ad esempio, sempre parlando di società primitive, una tribù più numerosa si può permettere persone specializzate come artigiani, guerrieri e sciamani.  E questo le può consentire di prevalere sui vicini, raziandoli; oppure eliminandoli per estendere il proprio territorio.

Vi è quindi un vantaggio notevole nella collaborazione ed integrazione fra sistemi diversi.  Una progressiva integrazione che, man mano che cresce, rende progressivamente più permeabili i confini dei sotto sistemi, rafforzando di conserva il confine comune che si va formando.
Ricordate la foglia?  Le cellule perdono buona parte della loro individualità, costituendo tessuti ed organi.   In questo modo, ogni cellula perde qualcosa in termini di “sovranità”, ma guadagna parecchio in termini di una maggiore e più regolare disponibilità di energia ed alimenti.   Un’alga monocellulare può sfruttare una frazione di millimetro cubo di acqua.   Un albero può sfruttare migliaia di metri cubi sia sopra che sotto terra.   Può anche usare la porpria ombra per uccidere altre piante concorrenti e, viceversa, favorire organismi che gli sono utili.

Analogamente, un clan familiare di contadini autosufficienti può sfruttare un paio di ettari di terra, usando attrezzi di legno e di pietra.  I grandi imperi della storia hanno costellato il Pianeta di meraviglie.

Vantaggi e svantaggi dell’integrazione

Dunque, il punto qui è che un sistema più ampio permette una maggiore abbondanza e regolarità nei flussi di materia e di energia sia in entrata che in uscita.

Per esempio, nelle economie locali semi-autosufficienti bastano due-tre cattivi raccolti di seguito, oppure una calamità importante, e la gente comincia a morire di fame.   Mentre lo sviluppo dei commerci e dei trasporti su grande scala e distanza, così come la nascita di grandi stati e potenti organizzazioni sovra-nazionali,  rendono possibile far affluire nelle zone di crisi il surplus di altre.

Il rovescio della medaglia è però che, in questo modo, ogni sotto-sistema dipende da altri.   Trattando di società umane, la perdita di sovranità è il prezzo da pagare per aumentare le proprie potenzialità di difesa, di crescita e di contenimento delle crisi.

Sempre parlando di società umane, aumentare la complessità significa anche la nascita e lo sviluppo della specializzazione professionale e, di conseguenza, delle classi sociali.  Man mano che i confini interni si erodono, aumenta infatti la produzione complessiva di beni e servizi, ma questi non sono mai ugualmente distribuiti, in nessuna società complessa.   Ed il livello di ineguaglianza tende a crescere con le dimensioni del sistema ed il suo grado di integrazione.   L’Impero Romano di Traiano, fortemente integrato e centralizzato, era molto meno egalitario dell’Impero Carolingio, basato su una miriade di capi locali legati fra loro da un giuramento. Ovviamente, non è questo l’unico fattore, ma è una tendenza.

In pratica, le sperequazioni presenti fra i sistemi separati che si integrano tendono a sparire, mentre ne sorgono altre, diversamente distribuite.  Per questo, la creazione degli stati nazionali ha richiesto l’eliminazione, spesso violenta, delle società precedenti.  Per fare un esempio, la formazione della Francia, fra Luigi XIII e XIV, ha comportato la sostituzione di gran parte della classe dirigente di tradizione feudale con un’altra formata da burocrati e proto-capitalisti.  Mentre la formazione della Francia moderna è passata attraverso il Terrore e le guerre napoleoniche.

Un esempio di natura diversa, ma analogo, è lo sviluppo del capitalismo industriale che eliminò ogni traccia delle tradizioni che davano identità e resilienza alle classi popolari.  Queste si adattarono, creando un nuovo confine culturale: l’identità della classe operaia.  Il capitalismo finanziario ha eliminato anche questa.   Il primo passaggio era stato ampiamente previsto da Marx ed Engels, il secondo assolutamente no.

In sintesi, l’integrazione di sotto-sistemi in sistemi maggiori comporta un vantaggio complessivo, ma necessariamente questo avviene a danno di alcuni elementi, per il maggior vantaggio di altri.   Un “effetto collaterale” che può essere fortemente mitigato scaricando i danni ad altri soggetti esterni.  Finché questi soggetti sono altre società umane, la cosa è crudele, ma sostenibile.  Quando il “soggetto esterno” è invece la Biosfera (come di norma, almeno in parte) è più problematico.  Infatti, anche se siamo abituati a considerare la Biefera come esterna al nostro sistema socio-economico, è invece il nostro sistema umano ad essere interno all’ecosistema globale.  In altre parole, danneggiando la Biosfera necessariamente danneggiamo noi stessi.

Il pericolo più insidioso è quindi che la maggiore crescita economica e demografica che accompagna la complessità metta sotto crescente stress il sistema maggiore di cui le società umane fanno parte (ecosistema e financo la Biosfera).   Ci torneremo.

Internazionalizzazione

confini - InternazionalizzazioneNel XVIII secolo, i principali stati europei avevano raggiunto un notevole grado di integrazione interna, ma il commercio internazionale era assai limitato.  Lo sviluppo di questo fu indicato da David Ricardo e dagli altri padri dell’economia liberale come una delle chiavi di volta per la crescita economica ed il progresso.   In estrema sintesi, si sostenevano due punti fondamentali.

Il primo è quello già citato della possibilità di sopperire con il surplus di alcuni alle carenze di altri.

Il secondo era che i diversi paesi e le diverse regioni hanno vocazioni produttive diverse.   Per esempio, in Sicilia si fa del vino migliore che nello Shropshire, mentre le pecore inglesi producono una lana migliore di quella siciliana.   Parimenti, i giacimenti di minerali e le fonti energetiche (all’epoca soprattutto il carbone) non sono uniformemente distribuiti.  Rendere i confini statali più permeabili alle merci  poteva quindi consentire ad ogni paese di specializzarsi nelle produzioni per le quali era più vocato, aumentando l’efficienza e quindi la ricchezza complessiva delle popolazioni.  Inoltre,  aumentando il grado di interdipendenza, diminuiva il rischio di conflitto.

Una teoria coerente con quello che oggi sappiamo sulla dinamica dei sistemi e, difatti, ha sostanzialmente funzionato, anche se non sempre così bene come Ricardo sperava.

Europeizzazione

confini paesi_unione_europeaLa formazione di una struttura sovrastatale europea ha seguito una schema analogo, ma con alcune importanti novità.  Tanto per cominciare, l’integrazione è avvenuta in modo volontario, sulla base di trattati approvati dai parlamenti nazionali e non, come di solito avviene, tramite un’invasione militare e/o l’imposizione di una nuova classe dirigente.

Un secondo punto importante è che, fino al 1995, l’integrazione è avvenuta in modo molto graduale.

Il terzo è che non ha riguardato solo accordi commerciali, ma che politici.  Di conseguenza, la permeabilità dei confini è cresciuta non solo nei confronti delle merci, ma anche delle persone e dei capitali.

Come in tutti i processi di trasformazione, anche questo ha avuto i suoi perdenti, ma nel complesso, l’Europa occidentale è diventata la società di gran lunga più prospera e pacifica dell’intera storia dell’umanità.  Un dato di fatto che è di moda dimenticare.

Con l’integrazione dei paesi dell’ex-impero sovietico (nel 2004 e nel 2007) furono invece commessi diversi errori.   I due principali penso che siano stati la scelta sbagliata dei valori fondanti e la fretta.   I valori fondanti di Coudenhove-Kalergi e, successivamente, di Shuman, de Gasperi e gli altri “padri fondatori”  erano soprattutto la fine delle guerre in Europa e lo sviluppo di una società liberale.   Viceversa, negli anni ’90 e 2000, fu in nome del benessere materiale che società ed economie furono sconvolte nel giro di pochi anni.   Ovviamente, il contraccolpo generò una serie di squilibri che siamo lontanissimi dall’aver recuperato.

Globalizzazione

confini - globalizzazioneMa in quegli anni, tutto questo era invisibile per una classe dirigente completamente ebbra di vittoria (in occidente). Oppure completamente sedotta dalla prospettiva di una facile ricchezza (in tutti gli altri paesi).

Sorse così l’idea di estrapolare un processo simile a quello europeo a livello mondiale. Era nata la globalizzazione.   Nei sogni dei suoi promotori, avrebbe dovuto integrare tutti i paesi della Terra in un unico mercato, governato da organismi internazionali indipendenti e sovraordinati agli stati.  Col tempo, si diceva, ciò avrebbe portato anche ad un’unica società, con un’unica lingua, un’unica cultura, un unico governo, eccetera.  L’intera umanità finalmente affratellata in una sorta di villaggio globale grazie al commercio ed alle nuove tecnologie.

Sappiamo che è andata diversamente per una lunga serie di fattori. Limitandoci qui al punto di vista sistemico, si può però dire che è accaduto esattamente quello che ci si poteva aspettare.

Nell’internazionalizzazione, capitali e persone rimangono ancorati al loro luogo d’origine. Ciò significa che chi si arricchisce con il commercio internazionale è costretto a investire nel proprio paese e questo, almeno in linea di principio, crea lavoro per la popolazione locale che è anch’essa vincolata al proprio territorio.  Non solo; i capitalisti si posso arricchire a dismisura, ma non possono lasciare il proprio paese, pena perdere tutto.  Inoltre, se si rendono sufficientemente odiosi, potrebbero anche subire delle conseguenze molto sgradevoli, come molte volte è effettivamente accaduto nella storia.

Jacopo Simonetta - PaneuropaNell’europeizzazione i confini dei singoli stati veniìvano progressivamente erosi, ma contemporaneamente si formava e rafforzava un confine esterno comune.  In pratica, anche se il processo di europeizzazione e quello di globalizzazione vengono spesso confusi, sono intrinsecamente antitetici.

Gli accordi di globalizzazione permettono lo spostamento ovunque sia dei capitali finanziari, sia del capitale culturale (in particolare know-how e tecnologie). Permettono altresì ai capitalisti di spostarsi quasi liberamente da un luogo all’altro in quello che, per loro, è effettivamente un villaggio globale.   E permettono anche lo spostamento di masse di manodopera, creando un mercato globale del lavoro che, in pratica, diventa un sistema di crumiraggio mondiale.

Paradossale ed istruttivo è il fatto che la UE e gli USA furono fra i principali promotori di questa follia planetaria.   Senza rendersi conto che  i loro stessi confini ed i loro stessi sistemi socio-economici sarebbero stati  fra quelli che avrebbero subito il contraccolpo maggiore.   In un processo di integrazione rapida a tutti i livelli, ci sono infatti necessariamente sotto-sistemi (regioni, gruppi di persone, imprese, o altro) che avranno il più dei vantaggi, se non tutti.  Mentre altri soggetti avranno gli svantaggi corrispondenti.  In altre parole, si crea un mondo di vincenti e perdenti assoluti.  E dovremmo sapere tutti da un pezzo che la civiltà industriale è un “gioco” in cui chi ha le manifatture vince, chi ha le cave, le miniere e le discariche perde.  Esattamente quello che, guarda caso, è accaduto.   Nessuna sorpresa.

Il seguito, al prossimo post.

 

 

CONFINI – 1. Confini dei sistemi.

I confini politici sono qualcosa di particolarmente complicato.   La loro posizione e le loro caratteristiche cambiano infatti rapidamente (rispetto ai tempi storici) e dipendono da un insieme molto vasto di fattori fisici e geografici, ma anche storici, culturali, economici ecc.
La dinamica dei sistemi è solo uno dei molteplici approcci possibili alla questione, ma può essere utile per mettere in luce degli aspetti spesso trascurati.   Tenterò di chiarire questo punto in una serie di post di cui questo è il primo.

Confini dei sistemi.

Confini sistemaSecondo la definizione di Ludwig von Bertalanffy, padre della teoria dei sistemi, “Un sistema è un complesso di elementi che interagiscono fra loro” (1968).   Una definizione successivamente integrata da numerosi altri autori, fra cui James Grier Miller, che per primo focalizzò il punto essenziale in questa sede: “Un sistema è una regione delimitata nello spazio-tempo” (1971).   Concetto ripreso ed ampliato da J. Gougen e F. Varela: “Un sistema origina attraverso una distinzione che divide il mondo in due parti, come quello e questo, oppure ambiente e sistema” (1979).

In altre parole, possiamo analizzare come un “sistema” qualunque cosa sia composto da vari elementi che interagiscono fra loro all’interno di un confine, anche immateriale, che permette di distinguere un “dentro” da un “fuori”.

Matrioske

Ovviamente, il “dentro” sarà spesso suddiviso in sotto-sistemi, ognuno dei quali delimitato in qualche modo.    Ed il “fuori” altro non è che il meta-sistema di cui il sistema che stiamo osservando è parte.
Se vogliamo essere pignoli, in realtà esiste infatti un unico sistema: l’universo (o, per essere ancora più pignoli: almeno un universo) e non sappiamo se ha dei limiti.  Non lo sappiamo e non lo sapremo mai perché dei limiti li ha invece l’universo conoscibile.   Per la felicità di Confini sistemi San TommasoS. Tommaso, questo è una sfera perfetta e geocentrica, avente per raggio la distanza percorsa da un fotone in circa 13,7 miliardi di anni.   Quello è infatti il limite, in espansione costante,  da cui in via del tutto teorica ci possono giungere delle informazioni.
All’interno di questo sistema, entro certi limiti oggettivo, ci sono miliardi di sottosistemi rappresentati da galassie, nebulose e molto altro, ognuno dei quali contiene miliardi di stelle, molte delle quali con i loro sistemi di pianeti e così via, a scendere di scala fino ad arrivare alle cellule che compongono gli organismi.   Ci sono altri livelli organizzativi più piccoli, ovviamente, ma il loro grado di complessità diminuisce e non è detto che siano definibili come “sistemi”.   Men che meno come “sistemi complessi”.

Il sistema minimo

Per fare un ragionamento su come sono fatti e come funzionano i sistemi, forse conviene partire proprio dall’estremo minimo della gamma, dalla matrioska più piccola e cioè dalla cellula.   Non solo per omaggio a von Bertalanffy (che era un biologo) ma anche perché è più facile.

confini membranaUna cellula è composta da diversi organuli che svolgono varie funzioni, immersi in un citoplasma delimitato da una membrana.    Perlopiù contengono un sotto-sistema, il nucleo, ma non sempre e qui lo ignoreremo.
Dunque torniamo alla membrana cellulare: come è fatta e a che serve?   La cellula, per restare funzionale, deve mantenere sotto il proprio controllo una serie di parametri interni, ad esempio la pressione osmotica.   Se ci sono troppi ioni, la cellula si risecchisce e muore, se c’è troppa acqua la cellula scoppia.   A questo serve la membrana: regolare gli scambi con il meta-sistema di cui la cellula fa parte secondo le necessità vitali di questa.   Per questo la membrana è semipermeabile.  Cioè consente il passaggio di alcune cose (ad esempio l’acqua), ma non altre (ad esempio ioni e virus).   Ma per controllare l’ambiente interno e nutrire la cellula non basta.   La membrana contiene dunque delle strutture specializzate che, dissipando energia, sono in grado di “mangiare”, oppure di espellere singoli ioni, acqua, molecole ed altro in modo da mantenere l’omeostasi necessaria.  In altre parole, la membrana è una struttura funzionale che, dissipando energia, protegge la cellula, assicurandone l’integrità e la funzionalità.

Salendo di scala

confini fogliaSaliamo di scala.   In una foglia, ad esempio, troviamo che le cellule non sono tutte uguali.   Quelle esterne sono blindate e svolgono la funzione specializzata di proteggere il tessuto interno che, al contrario, è assai più tenero e biologicamente attivo.   Anche a questo livello, abbiamo un confine che delimita il sistema foglia, costituito dall’epidermide (più eventuali elementi esterni) la cui funzione è quella di proteggere l’interno dall’esterno.   Ma abbiamo visto che nessun sistema vivente può esistere se isolato. Dunque l’epidermide ha dei fori, gli stomi, controllati da strutture apposite che lasciano passare la quantità di aria necessaria per la fotosintesi.  Nel frattempo, i pigmenti dell’epidermide fanno passare la quantità giusta di luce.  Né tanta da bruciare le cellule, né poca da farle morire di fame.  Cioè, la foglia è avvolta da qualcosa che, sempre dissipando energia, la mantiene funzionale.

Mutatis mutandis, lo stesso, identico schema si ripropone ai livelli crescenti di complessità a cui si organizzano la Vita ed il Pianeta nel suo insieme.   La più esterna delle barriere protettive terrestri è la ionosfera, che ci protegge dai raggi gamma, ma lascia passare la luce ultravioletta, visibile ed infrarossa.

A cosa servono i confini

Un punto fondamentale è dunque questo: qualunque sistema, per esistere, necessita di una barriera che lo delimita e deve quindi dissipare energia per costruire e far funzionare tale barriera.   Questo perché è necessario che le condizioni interne siano controllate.   D’altronde, Carnot ci ha insegnato che un sistema isolato vedrebbe la sua entropia crescere fino ad un massimo, mirabilmente definito da Nietzsche “morte termica”.
Dunque, se nessun sistema può esistere se non delimitato, nessun sistema può esistere se isolato.   In altre parole, ogni confine, dalla membrana di una singola cellula alla ionosfera ed oltre, ha la funzione non di isolare il sistema, bensì quello di controllarne gli interscambi con il sistema più ampio di cui fa parte, il quale a sua volta avrà i suoi propri confini e così via.

Questo è il secondo punto fondamentale: ad ogni livello di organizzazione corrisponde una diversa delimitazione, con differenti funzioni.    Se ogni cellula avesse la permeabilità di quelle dell’epidermide foliare, la pianta morirebbe, anzi non esisterebbe neppure.   Dunque è necessario che le cellule si differenzino per svolgere funzioni specializzate.  In altre parole, per aumentare la propria efficienza, un sistema deve dissipare energia per aumentare la propria complessità.   Cioè diventare un più ampio insieme funzionale di elementi e di relazioni.

Livelli superiori di complessità consentono di assorbire e dissipare maggiore energia.  Dunque di prevalere nella competizione con altri sistemi e sotto-sistemi, ma richiede più risorse.  Per questo su di una roccia nuda nascono dei licheni. Non appena si forma un po’ di suolo, le erbe sostituiscono i licheni e quando c’è abbastanza terra, gli alberi prevalgono sull’erba.

tommaso campanellaSi badi bene che tutto questo non ha niente a che fare con questioni etiche e scelte umane, ma solo con quello che Tommaso Campanella chiamava il “senso delle cose” e che noi chiamiamo “gradiente termodinamico”. (Ai fisici non piace sentirselo dire, ma buona parte del loro lavoro consiste nel mettere a punto e chiarire le intuizioni dei migliori maghi del rinascimento).

Ma se livelli superiori di organizzazione hanno maggiori potenzialità,  necessitano anche di maggiori risorse e, di conseguenza, scaricano maggiore entropia nel meta-sistema di cui fanno parte.   Vale a dire che erodono più rapidamente le riserve di energia ed informazione del loro ambiente.  Riserve che possono essere reintegrate a scapito dei meta-sistemi via via sovraordinati, fino alla matrioska più grande: l’universo conoscibile.

Molto si discute del se e come, entro o fuori di questo, vi siano “fabbriche” di entropia negativa.   Oppure se tutto esista ed evolva solo grazie alle scorte di bassa entropia che abbiamo ereditato dal “big bang”.   Ma tutto questo, per quanto affascinante, ci riguarda molto poco.   A noi basta sapere che sulla Terra abbiamo una sola “macchina” che pompa l’entropia al contrario: la vegetazione.   Tutto il resto, compresi noi, dipende da lei.  Ovviamente, ciò avviene a spese del Sole e fra un paio di miliardi di anni saranno guai.

Ma non credo siano in molti a preoccuparsene. Piuttosto, nei prossimi post vedremo invece di utilizzare questi concetti per capire come ha funzionato la globalizzazione e come, in grandissime linee, probabilmente funzionerà la de-globalizzazione.

C’era vita su Marte e non solo il Sabato sera…

mars gullies mistery resolved
mars gullies mistery resolved

È strano, ma questa storia, mentre scrivo, NON è ancora uscita, pur essendo indubbiamente una storia interessante,anzi, rivoluzionaria.

Non è stata ancora indetta nessuna conferenza stampa dalla Nasa, non è stato ancora pubblicato nessun articolo da un prestigioso e credibile centro di ricerca di rilevanza mondiale.

Eppure, è una storia plausibile. Anzi, se avrete la pazienza di seguirmi in quello che si annuncia un post MOLTO lungo, è forse la storia PIÙ plausibile che si possa attualmente scrivere sul pianeta rosso.

Per mia fortuna, un blogger non ha gli stessi obblighi di un serio ricercatore di un  centro di ricerca internazionale. Il che non lo esime, naturalmente, dallo scrivere storie plausibili, fondate su fatti assodati o almeno su evidenze solide. Prendetela, quindi, come una storia curiosa, che voglio condividere con voi, una storia curiosa quanto affascinante, che resisterà o meno alla prova dei fatti ( ulteriori) che emergeranno nelle settimane,mesi, anni, prossimi.

Cominciamo, come si dice, dall’inizio.

Quando Mariner 9, nel 1971, entrò in orbita intorno a Marte e fotografò oltre l’85% della superficie, fu chiaro che Marte, in un’epoca remota ( lo dimostravano i numerosi crateri sovrapposti) aveva attraversato una o più fasi in cui l’acqua liquida era stata presente. Letti di fiumi disseccati, delta fossili, crateri parzialmente riempiti di sedimenti: le prove erano numerose ed inconfutabili.

una foto di mariner 9

Le missioni dei 40 anni successivi hanno ampiamente dimostrato che non solo l’acqua era stata presente sul pianeta nel passato ma lo era stato per periodi lunghi, centinaia di migliaia di anni per volta, o addirittura milioni.

Restava da capire come era stato possibile che su un piccolo pianeta, molto più lontano dal sole della Terra, in un remoto passato in cui il Sole era più debole di oggi del 20-30%, si fossero verificate le condizioni ambientali perché  vi fosse acqua allo stato liquido per lunghi periodi. La prima e più semplice risposta, per molto tempo, è stata quella di un poderoso effetto serra.

Vediamo la situazione attuale: La pressione media su Marte è circa un cento sessantesimo di quella terrestre ed è alquanto variabile con la stagione ed anche su cicli molto più lunghi ( Marte, non avendo una grande Luna come la Terra, ha moti di precessione sostanzialmente caotici e molto più ampi di quelli terrestri). L’atmosfera di Marte è composta quasi interamente di CO2, con minime percentuali di gas nobili ed azoto.

Da circa dieci anni si è potuto riscontrare anche una presenza saltuaria quanto minima di Metano, in concentrazioni di qualche parte per miliardo. Ancora non siamo in grado di dire se questa presenza attuale sia di origine geologica ( alterazione di rocce basaltiche) o biologica. Solo una analisi isotopica ( la vita predilige gli isotopi “leggeri” per motivi di maggiore efficienza nelle reazioni) ci darà una risposta certa e definitiva.

Anche se sembra poca cosa, in realtà su Marte vi è molta più CO2 che sulla Terra: la pressione parziale di CO2, su Marte, è circa 15 volte quella terrestre e, una volta considerate le diverse dimensioni dei pianeti e la diversa gravità, si può valutare che vi sia circa dieci volte più CO2 che nella nostra atmosfera.

Anche se si tiene conto dell’influenza della CO2 nell’effetto serra terrestre, dal 30 al 60% del totale, a seconda che vi siano o meno nuvole (il vapor acqueo contribuisce all’effetto serra in maniera sensibile), in realtà su Marte è presente comunque un effetto serra più sensibile che sulla Terra.

Tutto questo premesso, la temperatura media attuale su Marte è stimata intorno a 45 gradi sotto zero, con una T massima registrata al suolo di +35 gradi e minime di oltre 170 gradi sotto zero . Anche qualora si raggiungano temperature sopra zero, l’acqua liquida non può esistere, se non per brevissimi periodi, perché, data la bassa pressione, tenderebbe a bollire ed evaporare rapidamente.

Le uniche fasi stabili dell’acqua su Marte, sono quindi quella gassosa e quella solida, il ghiaccio, che è presente sia ai poli, per spessori di alcuni km, che in molte altre aree del pianeta, spesso coperto da uno strato di polvere e sedimenti. Come detto, infatti, l’asse di rotazione di Marte, a causa delle perturbazioni di Giove ( assai più vicino rispetto alla Terra) subisce nel tempo oscillazioni imponenti, decine di volte maggiori di quelle terrestri e quindi i poli hanno occupato, nel tempo, anche aree attualmente poste alle medie latitudini.

E le tracce, certe, di acqua liquida, per periodi non brevi, allora?

Evidentemente, deve essere stato presente un effetto serra imponente, sufficiente a portare la temperatura media, per lunghi periodi, sopra quella di congelamento dell’acqua.

Per decenni questo effetto serra è stato attribuito ad una atmosfera di CO2 molto più spessa di quella attuale.

In tempi recenti, anche a causa della scoperta, come abbiamo visto, di metano, sia pure in tracce infinitesime, questa convinzione ha cominciato a scontrarsi prima con verifiche e simulazioni realizzate con modelli numerici e, in ultimo, con i dati sperimentali delle sonde che orbitano il pianeta e, più recentemente, dei robot sulla superficie.

In primo luogo, numerosi studi e simulazioni, fra i quali citerò questo, hanno dimostrato che, qualora si cerchi di raggiungere condizioni climatiche sufficienti al mantenimento di acqua liquida al suolo, anche pressioni elevatissime di CO2, fino a 5-10 bar ( corrispondenti ad una atmosfera circa trenta volte più densa di quella terrestre attuale) non sarebbero in grado di aumentare a sufficienza la temperatura, perché la CO2 condenserebbe come ghiaccio secco prima che il pianeta si riscaldi abbastanza.

Del resto, non si capisce dove sia finita tutta questa CO2.

La CO2 presente attualmente su Marte, sotto forma di ghiaccio secco, anche se potesse essere fatta tutta sublimare, come viene proposto negli scenari di “terraforming”porterebbe la pressione a 0.4-0.6 Bar, insufficiente per garantire la presenza dell’acqua allo stato liquido, data l’insolazione attuale.

Le cose, miliardi di anni fa, andavano ancora peggio.

Il giovane Sole di 4 miliardi di anni fa, era circa il 30% più debole, tanto che anche la Terra, nonostante una atmosfera MOLTO più ricca di CO2 di quella attuale, ha attraversato diverse fasi glaciali estreme forse fino ad essere ricoperta interamente da ghiacci.

La Terra a palla di neve

Date le prove CERTE della presenza di acqua liquida sulla Terra in quel periodo, si è dovuto, anche per il nostro pianeta, postulare una atmosfera assai diversa da quella attuale, in modo da superare il cd. “paradosso del sole debole”.

A queste osservazioni si è cercato di rispondere, postulando la presenza di carbonati di calcio come “trappole geologiche” per la CO2 mancante, in analogia con quanto successo sulla Terra ( se l’anidride carbonica emessa dai vulcani terrestri non fosse stata “sequestrata” sotto forma di carbonati, poi sepolti, ora avremmo una atmosfera decine di volte più densa dell’attuale, più spessa di quella di Venere e un effetto serra sufficiente a far rimpiangere le brezze primaverili del pianeta gemello).

Il problema è che, grazie alle capacità dell’ultima generazione di sonde, è possibile riconoscere, con affidabilità e risoluzione ottime, la natura delle rocce presenti sulla superficie di Marte, tanto che i siti per l'”ammartaggio” dei robot Opportunity e Spirit sono stati scelti anche per le caratteristiche geologiche dei siti, come risultavano dall’orbita.

Dettaglio di una mappa geologica di marte, USGS

Nonostante queste capacità, di carbonati, sulla superficie di Marte, non ne sono stati rilevati, se non in piccole percentuali e in zone limitate della superficie. Storia simile, analizzando i meteoriti marziani conosciuti.

Dove è finita, allora, tutta la CO2 che avrebbe dovuto essere presente, una volta, per garantire il mantenimento di acqua liquida su Marte? I carbonati che avrebbero dovuto formarsi, per la contemporanea presenza di acqua liquida ed elevate quantità di CO2, dove sono finiti? Sono stati forse sepolti dalle fasi climatiche e geologiche successive, venendo sottratti ad una facile individuazione dall’alto?

Il robot Curiosity, su Marte dal 2012, è stato inviato in un sito molto particolare, il cratere Gale, proprio per cercare di dare una risposta, una volta per tutte a queste ed altre domande pressanti sul passato ed il presente di Marte.

il cratere Gale e la zona di ammartaggio del rover opportunity
il cratere Gale e la zona di ammartaggio del rover curiosity

Il cratere Gale è caratterizzato dal Monte Sharp, una montagna che si eleva di oltre 5,5 km dal suo fondo, una altezza paragonabile a quella delle maggiori montagne terrestri del nostro pianeta ( la più grande montagna singola della Terra è il Mauna Loa, Hawaii, che si eleva di quasi dieci km dai fondali circostanti), ivi compreso il Mt Everest, che, come montagna singola si eleva di circa 4.8 km sulle zone circostanti.

Questa montagna, già dai rilievi fatti dall’orbita, risultava essere formata interamente da sedimenti, che una volta coprivano interamente il cratere e che in seguito alla loro deposizione, in miliardi di anni, sono stati pian piano erosi dal vento fino alla situazione attuale.

Un lato del cratere mostrava chiare tracce di un delta fluviale fossile, così rivelando l’origine probabile dei sedimenti stessi. 5 km e mezzo di sedimenti rappresentavano un periodo assai lungo di deposizione, certo non legato a singoli eventi catastrofici di riscaldamento ma piuttosto ad un periodo o più periodi di sedimentazione di una durata minima di milioni di anni.

Un tragitto di studio che partisse dalla parte più bassa del cratere e risalisse, via via le pendici del monte Sharp, sarebbe stato un tragitto a partire dalle prime fasi di vita del pianeta via via verso tempi più recenti.

Dopo quattro anni, 17 km e Terabye di dati raccolti, Curiosity ha confermato lo scenario, mostrando che, almeno fino alla parte del cratere e del Monte Sharp fin qui esplorati, lo scenario era quello di deposizione in acque tranquille, presumibilmente a cielo libero.

PIA17595-16 marte

Formazione di Yellowknife. Questo, una volta era il fondo di un lago, su Marte

Mancavano infatti le tracce e prove di una sempre possibile deposizione sotto una coltre glaciale ( che avrebbe permesso la permanenza di acqua libera anche in presenza di condizioni ambientali sfavorevoli).

il cratere Gale oltre 3,5 miliardi di anni fa
il cratere Gale oltre 3,5 miliardi di anni fa

I minerali rilevati comprendevano argille, sintomo di una deposizione lenta e tranquilla, derivanti dall’alterazione in ambiente ricco d’acqua di rocce primarie. La natura mineralogica delle argille ritrovate ha mostrato che l’ambiente di deposizione era neutro o ALCALINO. Ovvero, l’acqua in cui si sono formate e deposte queste argille poteva mantenere in soluzione solo concentrazioni molto basse di ioni carbonati ( altrimenti avrebbero dovuto essere acide o fortemente acide). D’altronde i carbonati, che avrebbero dovuto depositarsi nei sedimenti, ovvia conseguenza della impossibilità di mantenere in soluzione la suddetta CO2, in un ambiente che ne avrebbe dovuto essere ricchissimo, erano assenti o presenti in piccole quantità. In realtà una atmosfera con le concentrazioni di CO2 richieste sarebbe stata in equilibrio solo con acque acide o molto acide, deposizione o non deposizione e quindi il solo fatto che le acque di deposizione fossero costantemente neutre o alcaline smentiva questa ipotesi.

In sostanza: quando si sono formati i sedimenti, centinaia e centinaia di metri di fanghi accumulatisi lentamente sul fondo di un tranquillo lago, per un tempo MINIMO di milioni di anni, carbonati in soluzione praticamente non c’erano, ne potevano esserci e di conseguenza l’effetto serra che permetteva il mantenimento dell’acqua allo stato liquido, PER MILIONI DI ANNI, non poteva essere stato causato dalla CO2, in accordo con quanto già risultava dai modelli e da quanto appreso dall’orbita.

Se non era causato esclusivamente dalla CO2 ( cosa, come abbiamo visto già quasi impossibile per definizione) l’effetto serra era CERTAMENTE causato da qualche altro gas o mix di gas.

Non pensiate che queste conclusioni, nonostante il tempo all’imperfetto di questo racconto, siano antiche: l’articolo che ha attirato la mia attenzione e che mi ha spinto ad approfondire l’argomento, è di solo un mese e mezzo fa. Qui la pubblicazione originaria.

Qui un articolo precedente che, analizzando le meteoriti marziane, arrivava alle stesse conclusioni: poca CO2, <1 bar, e pochi carbonati.

In realtà, la mancanza di evidenze scientifiche di una densa atmosfera di anidride carbonica nel passato del giovane Marte, è un dato di fatto ormai acquisito in modo diffuso e solido, anche se recente.

Ok. Quali potevano quindi essere questi gas e quanti dovevano essere per ottenere l’effetto serra necessario?

Risposta rapida: escludendo i gas nobili, il freon, l’ammoniaca ed altri esotici, anche perché su Marte le birre restavano e restano fresche da sole ed i Marziani non avevano bisogno di frigoriferi, ci restano il Metano e l’idrogeno.

birre sempre fresche su marte!
birre sempre fresche su Marte!

In effetti sempre molto recentemente, c’e’ chi si è preso la briga di fare le dovute simulazioni ed ha calcolato che, con una atmosfera “mix” di CO2, idrogeno e metano, Marte avrebbe potuto avere condizioni sufficienti a mantenere l’acqua allo stato liquido anche per pressioni molto più basse che nel caso di una atmosfera prevalentemente di CO2. Il Metano, infatti, è un gas serra MOLTO più potente della CO2, circa 25 volte di più.

Il problema è che anche queste simulazioni postulano una atmosfera di CO2 TROPPO densa(un paio di Bar), per evitare di dover avere troppa H2, che sarebbe scappata rapidamente nello spazio e metano, che ha il brutto vizio di essere scomposto rapidamente dagli ultravioletti solari.

Nelle condizioni attuali di Marte si calcola che una molecola di metano duri circa 350 anni. Anche sulla Terra, che pure ha la protezione dell’ozono, che assorbe gli ultravioletti, la durata del metano è comunque nell’ordine di alcune centinaia di anni.

Benché nel passato di Marte la radiazione solare fosse, come visto, più debole, è comunque impossibile ipotizzare una atmosfera ricca di metano ed idrogeno senza prevedere una vigorosa sorgente per questi gas, tale da permetterne il ricambio in poche migliaia di anni.

Poiché, come visto, è assolutamente vitale postulare una atmosfera ricca di questi gas, resta da determinare quale  ne fosse l’origine.

L’ipotesi, temeraria magari, ma meno di quelle alternative, come vedremo,che fa il sottoscritto è che non solo l’origine di questi gas sia biogena ma che è IMPOSSIBILE che non sia tale.

Ovvero: che è molto ma molto ma MOLTO MOLTO improbabile che possa essere di origine non biologica.

Ovvero che, ai tempi in cui il cratere Gale ospitava un lago, era presente una vigorosa attività biologica che permetteva ad una densa atmosfera di metano, idrogeno e CO2 di persistere, per molti milioni di anni.

La perdita progressiva di idrogeno verso lo spazio, in un periodo di centinaia di milioni di anni, ha reso sempre più difficile il mantenimento duraturo di quantità sufficienti di metano ed idrogeno, con le condizioni adatte alla vita che si riducevano, lasciando la sola CO2, insufficiente a garantire un effetto serra abbastanza potente, che è rapidamente condensata, come ghiaccio secco, via via che la temperatura calava ai livelli attuali,

Episodici periodi con clima più caldo, dovuti alle oscillazioni dell’asse di rotazione, fasi vulcaniche più intense ed altre variabili solari hanno permesso il ritorno di condizioni più favorevoli, ma per periodi sempre più brevi e distanziati tra di loro. Fino all’instaurarsi con qualche variazione del clima e delle condizioni attuali.

Ok: sto DAVVERO dicendo che è possibile provare che è esistita la vita su Marte?, Mettetemi pure il bicorno da Napoleone, anzi: fatemelo mettere da solo, ma…si.

Detail_from_a_painting_of_Napoleon

Con una prova “ad escludendum, ma intendo dire proprio questo!

Vediamo come funziona, la cosa.

Questa ipotesi mi è venuta naturale, dal momento in cui ho letto con notevole curiosità del meccanismo proposto per la produzione di metano abiogeno, cioè di origine non biologica.

Quella degli idrocarburi abiogeni, qui sul pianeta Terra, è quasi una setta, che si basa su pochi e contestati dati, per teorizzare che TUTTI gli idrocarburi siano di origine abiogena e quindi esistano in quantità praticamente illimitate, nel profondo delle viscere terrestri.

Il meccanismo proposto per la formazione di metano abiogeno su Marte, però è completamente diverso ed ha a che vedere con la mia ( prima) tesi di laurea in geologia e, per quanto possa sembrare strano, con questo:

Il battistero di firenze
Il Battistero di firenze

Che, come saprete, è il Battistero di Firenze. Questo e decine di altre chiese di Firenze e della Toscana, sono decorate da elegantissimi rivestimenti di marmi verdi e bianchi. In realtà il marmo verde, anche noto come marmo di Prato … non è un marmo!

Un dettaglio della Badia Fiorentina

Si tratta di serpentinite, una roccia metamorfica, prevalentemente formata da un minerale, il serpentino, derivante dall’alterazione da parte di fluidi idrotermali, dei principali minerali costituenti rocce ( solitamente intrusive) di composizione basaltica.

Quando ho letto che il meccanismo proposto per spiegare la presenza di metano su Marte era questo: mi è suonato un campanello: non mi ricordavo niente del genere, nei miei studi sulle ofioliti ( che è il nome aulico, perché derivato dal greco, della famiglia di rocce che comprendono le serpentiniti, una storica specialità della facoltà di geologia di Firenze, che vede tra i suoi docenti e dottorati alcuni tra i massimi esperti mondiali del settore, manco a dirlo).

Il primo motivo era semplice: le serpentiniti si formano, mi ricordavo, intorno a 200-500 gradi ed a quella temperature gli idrocarburi, tutti, non sono stabili e degradano in C( grafite) ed acqua; è la ben nota “finestra del petrolio”, la gamma di temperature del sottosuolo entro le quali ci si può aspettare di trovare petrolio, con varie caratteristiche, gas o…grafite, se va bene.

finestra degli idrocarburi

La reazione di serpentinizzazione “classica”, quella che avevo studiato io, invece, avviene a temperature e pressioni anche più basse, in termini geologici, ma comunque troppo elevate per avere produzione di metano, oltretutto la reazione è fortemente esotermica e scalda la roccia circostante. Ecco di cosa parliamo:

Fayalite3 Fe2SiO4 + water2 H2O → magnetite2 Fe3O4 + aqueous silica3 SiO2 + hydrogen2 H2
(Reaction 1a)
Forsterite3 Mg2SiO4 + aqueous silicaSiO2 + 4 H2O → serpentine2 Mg3Si2O5(OH)4
(Reaction 1b)
Forsterite2 Mg2SiO4 + water3 H2O → serpentineMg3Si2O5(OH)4 + bruciteMg(OH)2
(Reaction 1c)

Fayalite e Forsterite sono i due estremi, tutto Fe o tutto Mg, del minerale Olivina che ha formula (Fe,Mg) SO4. Da notare come la reazione che produce H2, avviene con il termine estremo “tutto Fe”, che sulla Terra è caratteristico di rocce vulcaniche che su Marte sono molto rare .

Qui si fermavano le mie conoscenze e quindi, quando ho letto dei processi di serpentinizzazione come possibile fonte di metano su Marte, sono caduto dalle nuvole. In effetti, negli ultimi venti anni si sono scoperti qua e la, nei pressi delle dorsali oceaniche, dei “camini” idrotermali peculiari, al di sotto dei quali accadono reazioni MOLTO particolari.

Tra le quali, questa:

Olivine(Fe,Mg)2SiO4 + watern·H2O + carbon dioxideCO2 → serpentineMg3Si2O5(OH)4 + magnetiteFe3O4 + methaneCH4

Che, in forma bilanciata può essere scritta così:

18 Mg2SiO4 + 6 Fe2SiO4 + 26 H2O + CO2 → 12 Mg3Si2O5(OH)4 + 4 Fe3O4 + CH4 (Reaction 2a’)
Olivine(Fe,Mg)2SiO4 + watern·H2O + carbon dioxideCO2 → serpentineMg3Si2O5(OH)4 + magnetiteFe3O4 + magnesiteMgCO3 + silicaSiO2 (Reaction 2b)

Vedete? C’é una reazione che produce Metano!!!

Questa reazione o altre simili, sono quelle proposte per permettere la produzione di metano abiogeno su Marte. Se può essere una possibilità per le poche centinaia di tonnellate/anno necessarie a spiegare il metano attuale, resta da capire se sia plausibile per i (molti) miliardi di tonnellate/anno necessari a mantenere una densa atmosfera di CO2, metano ed idrogeno su Marte.

Come vedremo, no.

Il primo problema è che questa reazione ( la 2a, nello schema sopra) avviene, preferibilmente, se la Serpentinite è povera di magnesio. Abbiamo visto che questo corrisponde a rocce tendenzialmente più differenziate rispetto alla composizione prevalentemente basaltica delle rocce vulcaniche marziane e, più in generale, della superficie del pianeta. Ma, SOPRATTUTTO, avviene se vi è una scarsa presenza di CO2. Ma come potremmo avere una scarsa presenza di CO2 e contemporaneamente un IMPONENTE rilascio di CH4, Metano, nelle quantità necessarie? da dove arriverebbe il C necessario?

C’è di peggio. La reazione è stata equiparata qui e qui ad un processo noto come Fischer-Tropsch ( o al processo Sabatier, un analogo) ed avviene con difficoltà se non c’è UN CATALIZZATORE metallico. E’ evidente che ipotizzare condizioni naturali che prevedano la presenza di metalli aventi le caratteristiche adatte a funzionare da catalizzatori naturali, pone immediatamente dei vincoli pesanti, in termini di probabilità che questo si verifichi. A tal proposito e, più in generale, per un autorevole sunto della situazione, si veda questo video, di uno dei massimi esperti mondiali di metano abiogeno, un  italiano, interessante anche per quanto riguarda la mancanza di comunicazione tra i diversi settori di ricerca planetologica.

Benché esistano articoli recenti che evidenziano come, in limitati casi, sia possibile una reazione diretta a partire dall’idratazione dei minerali ( senza la mediazione dell’H2 e senza un “catalizzatore”) da una semplice analisi di quanto sappiamo sul nostro pianeta, risulta abbastanza chiaro che il processo è relativamente raro.

sorgenti metanifere note da serpentiniti continentali https://www.youtube.com/watch?v=UwJxDUZ_TEQ&feature=youtu.be
sorgenti metanifere note da serpentiniti continentali https://www.youtube.com/watch?v=UwJxDUZ_TEQ&feature=youtu.be

Ora:

  • Sulla Terra, le rocce basaltiche sono presenti in enormi estensioni sotto la grande maggioranza dei bacini oceanici e, in particolare, ci sono decine di migliaia di km di dorsali oceaniche che costituiscono siti di vulcanismo attivo e di emissioni ed alterazioni idrotermali vigorose, tanto da permettere l’esistenza di interi ecosistemi, completamente scollegati dall’energia solare. Nonostante questo, la scoperta di metano abiogeno è relativamente recente e comunque, ad oggi sono un paio di dozzine i siti identificati in tutto il pianeta.
  • SE così non fosse, avremmo concentrazioni di metano in mare e nell’atmosfera di gran lunga superiori a quelle riscontrate.
  • Il vulcanismo marziano ha caratteristiche diverse da quello terrestre, prevalentemente per la caratteristica di avere centri eruttivi migliaia di volte più longevi ( miliardi di anni contro milioni) con singole eruzioni più vigorose e più distanziate nel tempo ( milioni di anni contro migliaia o meno). In ogni caso, l volumi complessivi messi in posto nel corso della storia del pianeta e le relative emissioni, non sono nemmeno lontanamente confrontabili con quelli terrestri. Per creare e, SOPRATTUTTO, mantenere una atmosfera densa a sufficienza, si sarebbero dovuti produrre, come detto, centinaia di miliardi di tonnellate di metano ed idrogeno ogni anno, con processi che avvengono lentamente e non frequentemente ( di nuovo: se fossero processi comuni, in un pianeta, il nostro, in cui i tre quarti del vulcanismo è subacqueo e il quarto rimanente vede la presenza diffusa di acqua negli ultimi km vicino alla superficie, li avremmo scoperti MOLTO prima). Questo si traduce nella messa in posto di migliaia di km cubi di magma all’anno, volumi enormi che anche sul nostro pianeta, assai più attivo vulcanicamente, hanno pochi riscontri (i trappi indiani, alcune eruzioni particolarmente catastrofiche, l’Islanda, in alcuni momenti particolarmente vivaci) Soprattutto, al contrario di quanto sappiamo del vulcanismo marziano, si sarebbe dovuto trattare di emissioni tanto imponenti quanto relativamente costanti, per mantenere le condizione adatte al mantenimento di acqua liquida, per milioni di anni per volta, causa rapido degrado del metano e fuga dell’idrogeno.

Fino a qui, come vedete, ho fatto considerazioni qualitative, basate su dati generali.

Recentemente, qualcuno ha provato a fare i conti e ha mostrato che la produzione di metano abiogeno con i meccanismi conosciuti e mostrati, avverrebbe, su pianeti di tipo “terrestre” e “marziano”, molto lentamente, non permettendo così di raggiungere le necessarie concentrazioni in atmosfera.

In questo articolo si è calcolato quanto metano ed idrogeno potessero essere prodotti da pianeti di tipo terrestre, con una attività geologica simile a quelle conosciute e  quali concentrazioni si  potessero raggiungere in atmosfera.

In breve: i risultati sono in accordo con la mia tesi: Produzioni basse: 10 alla nona, (ovvero miliardi di) molecole al secondo, ovvero decine di milioni di miliardi di molecole/anno. Per centimetro quadro. Sembra tanto ma si tratta di  infinitesime frazioni di milligrammo all’anno. Una produzione totale massima nell’ordine di un milione di tonnellate/ anno per pianeti di tipo terrestre. Concentrazioni MASSIME di poche parti per milione in atmosfera.

Non ci siamo e non ci siamo per forse quattro o cinque ordini di grandezza!!!!

Facciamo tutta la tara che vogliamo a questo articolo ed altri simili, ma la sostanza non cambia: un processo interessante ma limitato e poco produttivo, che non può in alcun modo produrre le quantità necessarie di gas serra.

La cosa, in qualche modo, deve essere filtrata anche tra i vari gruppi di ricerca che lavorano sui dati in arrivo dai robot e dalle sonde marziane.

Infatti, per risolvere il problema di una produzione troppo modesta e sporadica, è stato proposto un meccanismo di rilascio improvviso di metano “fossile”dovuto alla dissociazione di clatrati, formatisi pian piano, in tempi geologici, riscaldati da eruzioni vulcaniche, emissioni idrotermali o addirittura da impatti meteorici.

Poco, ma poco ma MOLTO poco poco probabile!

Il problema di base è sempre lo stesso: le prove dal terreno sono per una presenza continuata di acqua allo stato liquido sulla superficie di Marte, per periodi lunghi. Un rilascio “cataclismatico” di metano dovuto a qualche imponente eruzione remota avrebbe si prodotto un effetto serra, forse anche un effetto serra a valanga, per il feedback positivo prodotto dal riscaldamento iniziale, ma si sarebbe trattato di un episodio, della durata massima di qualche migliaia di anni.

A parte questo c’e’ il trascurabile problema che i clatrati su Marte, non sono ancora stati trovati, benché siano, di nuovo, postulati, per spiegare la presenza ATTUALE di metano.

Da notare che, se l’articolo citato poc’anzi è corretto, questa è l’unica possibilità per continuare a postulare una origine abiogena per il metano ATTUALE.

Infatti le quantità di metano che sarebbero emesse attualmente ( la distribuzione di metano in atmosfera è molto irregolare e sembra dipendere da emissioni localizzate) nell’ordine di qualche centinaio di tonnellate all’anno, sembrano compatibili con i risultati dell’articolo. Solo che quei risultati sono calcolati a partire da un pianeta di tipo “terrestre”, ovvero con una vigorosa attività’ geologica, una tettonica a zolle con decine di migliaia di km di dorsali e zone di rift attive, etc etc. Su Marte non c’è traccia di niente del genere, in tempi recenti. Quindi, causa ridottissima attività vulcanica attuale ( esiste qualche indizio di attività recenti ma si tratta comunque di episodi sporadici) le emissioni attuali non possono essere di origine abiogena, a meno di postulare, appunto, il rilascio a partire da depositi “fossili” di clatrati, instabilizzati da qualche sorgente idrotermale.

Questa è, da tempo, la spiegazione prevalente.

Come abbiamo visto però, non è la più plausibile, sia per il metano attuale, sia, in misura clamorosamente maggiore, per quello passato.

Ne esistono di alternative, come ad esempio il metano “incistato” nel salgemma, ma, senza stare tanto ad approfondire, si tratta comunque di ipotesi stiracchiate.

Non so se avrete avuto la pazienza di seguirmi in questo escursus, complesso, arizigogolato eppure, giocoforza, ancora limitato. Non so se condividerete con me l’idea che si sia vicini alla prova che la vita, dopotutto non è(stato) un evento limitato al pianeta Terra.

Lasciatemi chiudere con una citazione:

“Once you eliminate the impossible, whatever remains, no matter how improbable, must be the truth.”

Una volta che si elimina l’impossibile, quel che resta, non importa quanto improbabile, deve essere vero.

Arthur Conan Doyle

Per finire una ciliegina: una proposta operativa.

alcuni esperimenti avevano proposto un metodo per riconoscere e discriminare tra metano di origine biogena ed abiogena: il rapporto tra idrogeno e metano vicino alle sorgenti. Rapporti superiori a 40 avrebbero denotato una probabile origine abiogena ( processi di serpentinizzazione e simili).

Rapporti inferiori avrebbero puntato ad una origine biologica.

Uno studio recente ha rimesso tutto in discussione, dimostrando come sia DAVVERO necessario compiere una serie di sperimentazioni per comprendere l’intero range delle temperature e condizioni possibili, in modo da verificare quali possano essere i valori discriminanti.

Non si tratta di discussione accademiche:

Questi rapporti potrebbero essere misurati dall’orbita, a patto di rimuovere il disturbo costituito dal “fondo”, ovvero dalla presenza di idrogeno di altre origini, senza attendere una missione dedicata, che misuri i rapporti isotopici del carbonio del metano marziano ( come abbiamo visto la vita predilige, per motivi termodinamici, che prescindono dall’evoluzione, il carbonio “”leggero”).

Si potrebbe approfondire sperimentalmente QUESTO aspetto e fornire un’ulteriore prova a favore, o meno dell’origine biologica del metano e quindi dell’effetto serra primordiale che ha permesso il mantenimento di acqua liquida su Marte, per milioni di anni.

UPDATE Agosto 2018

E’ uscito un interessante articolo ad opera di ricercatori italiani, già citati in questo post. L’articolo propone, di nuovo, un metodo per discriminare tra Metano abiogeno e biogeno basato sull’abbondanza relativa di metano arricchito in C13.

Interessante? Direi MOLTO interessante! Perché passibile di approfondimenti e verifiche.

Da notare che, anche in caso di metano ( ed idrogeno) di origine organica, se ne sarebbe dovuto produrre tanto.

Insomma: non solo ci sarebbe stata vita su Marte ma, addirittura sarebbe stato BRULICANTE di vita e non solo il Sabato sera.

here only for the beer
Dopotutto, può darsi che su Marte il clima fosse tiepido e le birre non fossero poi un granché…

Metano su marte oggi articolo del 2009

Metano su marte oggi, articolo del 2015

 

 

 

Sesto anniversario di guerra in Siria, a che punto siamo?

Il 15 marzo ricorreva l’anniversario dell’inizio della guerra civile siriana.  A che punto siamo oggi?

Premesse ed avvisaglie.

La crisi siriana, come tutte le guerra, ha origini complesse.   Fattori storici, etnici, religiosi, economici e politici si intrecciano con i fattori demografici, ambientali, geologici e climatici. Del resto, rivolte contro il regime degli Assad erano già scoppiate varie volte.   Ad esempio nel 1982 a Hama, da parte dei Fratelli Mussulmani, e nel 2004 a Kamichlié, da parte dei Curdi.   Ogni volta la repressione era stata rapida e violenta; con bilanci variabili fra le decine a qualche migliaio di morti l’ordine pubblico era sempre stato ripristinato.

Alle prime manifestazioni del 2011, sulla scia delle maledette “primavere arabe”, il regime rispose promettendo riforme, ma al crescere della protesta si ritornò alla repressione vecchio stile.  Solo che stavolta la protesta non si spense, bensì si diffuse e montò in tutto il paese.   Finché anche dai ranghi dell’esercito non cominciarono le diserzioni e la crisi divenne una vera guerra.   E le guerre, si sa, sono come il miele sia per le potenze internazionali, sia per parecchi dei paesi vicini che, ognuno con uno scopo diverso, si sono immischiate nel conflitto.
A partire dal 2014, con l’emergere di Daesh come contendente principale, la guerra è debordata nel già martoriato Iraq, saldando i due paesi in un unico conflitto.

Secondo stime ONU, ad oggi la guerra civile siriana ha fatto circa 400.000 morti, quasi 6 milioni di profughi e circa 13 milioni di sfollati interni; circa metà della popolazione.   La traballante economia nazionale è andata, l’infrastruttura urbana e industriale è stata largamente ed irreversibilmente demolita.   Il bilancio per l’Iraq è più difficile a tracciarsi, dal momento che, per questo paese, questa è solo una fase di una ben più lunga guerra iniziata con l’invasione americana del 2003.

Un dettaglio: coloro che erano scesi in piazza nel 2011 volevano riforme e giustizia.   Niente di più e niente di meno.   Ricordiamoci sempre che non possiamo prevedere il futuro.

guerra in Siria

A che punto siamo?

C’è un po’ di casino, vediamo, brevemente, uno per uno i contendenti principali.

Governativi irakeni.
Nel 2014 le avanguardie dell’ISIL scorrazzavano nelle periferie di Baghdad.   Oggi i miliziani neri vendono cara la pelle a Mossul.  Merito soprattutto dell’aviazione USA e delle fanterie iraniane che hanno rimesso insieme lo sbandato esercito governativo ed inquadrato diverse milizie locali.   L’incognita è cosa succederà quando sarà finito l’ISIL.   Ci sarà un’altra guerra fra governo e curdi?  Oppure Baghdad accetterà la partizione di fatto del paese?   Teniamo conto che gli americani patrocinano entrambe le parti (per ora).  Inoltre i curdi irakeni hanno l’appoggio anche militare della Turchia, mentre il governo ha quello dell’Iran.

Governativi siriani.
Sembravano spacciati, ma il massiccio soccorso russo e iraniano ha rovesciato le sorti della guerra.  Oggi Assad controlla nuovamente quasi del tutto le città principali ed il grosso della Siria occidentale.  Ma le decisioni d’ora in avanti non le prenderà lui, bensì i russi ed gli iraniani senza i quali le sue sorti tornerebbero quanto mai fosche.   E pare proprio che a Vladimiro non interessi dare ad Assad molto più di quello che gli ha già dato (v. seguito).   La situazione che si delinea è di una ripartizione in quattro parti: l’est del Paese ad Assad, sotto tutela russa ed iraniana.  Il nord ai curdi, sotto l’egida americana.  L’ovest formalmente al governo, di fatto abbandonato a se stesso.   Una zona cuscinetto ai turchi, lungo il loro confine meridionale.  Per ora, poi si vedrà.

ISIL
Il “Califfato” pare sia allo sbando.   Sta perdendo su tutti i fronti, i suoi canali commerciali sono prosciugati e si moltiplicano diserzioni ed ammutinamenti.   Dovrebbe essere solo questione di tempo, ma se anche finirà l’ISIL, non finiranno l’integralismo islamico ed il sogno di restaurare il califfato.  E’ solo questione di tempo, qualcun’altro ci riproverà, magari altrove, dove e quando meno ce lo si aspetta.

Altri ribelli siriani
Eterogenea accozzaglia di bande armate e milizie locali (oltre 1.500 gruppi combattenti indipendenti censiti nel 2015, oggi molti meno) spesso nemiche fra loro.   I gruppi principali superstiti fanno capo soprattutto alla Turchia, dopo che gli USA hanno deciso di scommettere sui curdi.   Fra i gruppi principali ci sono diverse milizie tribali, ma anche gruppi integralisti, come Al Nousra, molto vicini ad Al Quaida.   Nel 2016 hanno perso molte posizioni, ma tengono ancora dei quartieri in varie città (anche nella periferia di Damasco) ed estesi territori, sia nel nord che nel sud del paese.   Almeno alcuni di questi gruppi hanno beneficiato della protezione dei russi che hanno trasferito i miliziani che si sono arresi, con le famiglie, nella zona di Idlib.   Sorge la quasi certezza che ci sia un accordo con la Turchia per lasciare questa zona a loro.

Turchi
Qui la faccenda si complica notevolmente.   Contro il volere del governo di Baghdad, la Turchia ha inviato truppe in Iraq a sostegno dei Curdi, i quali sono però alleati coi curdi siriani, arcinemici dei turchi.   La Turchia ha poi occupato con reparti propri un ampio saliente in Siria, combattendo sia contro l’ISIL che contro i curdi siriani (patrocinati dagli USA), per impedire a questi di controllare tutto il nord del paese.   Inoltre, la Turchia coltiva rapporti sempre più tesi con gli europei e con gli americani, mentre cerca buone relazioni con la Russia, pur restando nella NATO e senza ritirare la domanda di adesione alla UE.   Probabilmente la guerra serve ad Erdogan soprattutto per spingere il suo  tentativo di ripristinare prima il sultanato e poi, chissà?  Magari anche il califfato.   Il problema è che in questa impresa la guerra è tracimata Turchia dove attualmente operano almeno tre formazioni combattenti indipendenti: curdi, ISIL e comunisti.
Secondo l’ONU, nell’ultimo anno, nel sud del paese, fra attentati, combattimenti e rappresaglie ci sono state un paio di migliaia di morti ed interi quartieri urbani sono stati fatti a pezzi.  Se anche questa non è una guerra civile, ci somiglia molto.   Specialmente considerando che, intanto, fra arresti arbitrari ed epurazioni, parecchie migliaia di turchi sono finiti in galera (fra cui un buon numero di parlamentari) e decine di migliaia sono stati licenziati.   Naturalmente, del “miracolo economico turco” non se ne parla più nemmeno per scherzo.
Alle prossime elezioni la riforma ultra-presidenzialista di Erdogan passerà sicuramente, con o senza brogli, ma cosa succederà dopo è impossibile a dirsi.

Curdi
All’inizio della guerra erano poca cosa ed a Kobane se la sono vista molto brutta, ma in quell’occasione Obama decise di scaricare quel che restava dell’Esercito Siriano Libero ed imbarcare i Curdi.   Da allora le cose gli sono andate bene, tanto da mettere in forse il loro sostegno ad Assad.   Da quando le rispettive avanguardie si fronteggiano sul terreno, la tensione fra curdi e governativi è salita e ci sono stati numerosi scontri.  Ma una vera offensiva per ora no, probabilmente perché nessuno dei due è in grado di farlo senza l’ombrello dei rispettivi protettori.
Proprio in questi giorni, i curdi e gli americani stanno compiendo uno sforzo per tentare di prendere Raqqa (con l’anatema di Assad, ma con la benedizione di Putin). I russi hanno preso Aleppo e gli sciiti (iraniani ed iraqueni) stanno prendendo Mosul.   I curdi (e gli americani) hanno bisogno di un trofeo importante da mettere sul tavolo delle trattative post-belliche.

Iran
L’Iran sostiene i governi sia siriano che irakeno; nel primo caso assieme coi russi e nel secondo con gli americani.  Tipico della politica di Rohani, ma a maggio ci saranno le elezioni e potrebbe ritornare Ahmadinejad, cambiando totalmente il quadro.   Altra incognita: attualmente vigono ancora gli accordi fatti con l’amministrazione Obama, ma cosa farà Trump?   Li manterrà o cambierà le carte in tavola?
Intanto la crisi economica stringe la morsa anche in questo paese.  Chi contava sull’allentamento dell’embargo per cavarsi la ruggine dai denti è rimasto deluso.  Col petrolio a 50$ c’è poco da stare allegri in un paese che campa esportando greggio ed importando benzina e gasolio.
Comunque, sullo sfondo di tutto questo, è evidente lo scontro fra Iran e Arabia Saudita per l’egemonia sulla regione.   Uno scontro che per adesso sta vincendo l’Iran.

Arabia Saudita
Le truppe saudite sono impegnate contro movimenti e milizie sciite in Yemen ed in Bahrein, ma non in Sira ed in Iraq.  Eppure la “petrocrazia” per antonomasia è uno dei principali protagonisti della vicenda.  Con ogni probabilità sono stati infatti i sauditi (ed il Qatar) a far decollare l’ISIL, nel tentativo di impadronirsi dei due stati vicini, ma è gli andata molto male.  Del resto, in Yemen, dopo 2 anni di guerra, sono riusciti a ricacciare indietro gli Houthi, ma non a sconfiggerli.  Mentre stanno distruggendo un paese che era già allo stremo per ragioni demografiche ed ambientali.   Il risultato sono milioni di disperati allo sbando che nessuno vuole, men che meno i sauditi.  Non solo, la guerra yemenita sta tracimando in Arabia ed i sauditi, malgrado abbiamo il 4° bilancio bellico a livello mondiale, sono stati costretti a chiedere l’aiuto del Pakistan per controllare le proprie frontiere.   Una mossa a sorpresa, dopo che l’Egitto, finora alleato di ferro e principale cliente (in senso latino) dei sauditi, si era sfilato.  Magari il petrolio a 50$ e la bancarotta incombente sul regno saudita ci hanno qualcosa a che fare.
Intanto, gli americani cominciano a stufarsi di loro.  Formalmente l’antica alleanza tiene ancora, ma il rapporti sono altrettanto tesi di quelli con la Turchia.   Forse Obama stava pensando di scaricare l’Arabia per imbarcare l’Iran di Rohani, ma bisognerà vedere che succederà ora.

Russia
La Russia voleva mettere in sicurezza la sua base di Tartus e lo ha fatto, potenziandola per l’occasione.   Ha anche colto l’occasione per rilanciare il suo ruolo nel gioco politico mondiale.  Ora però non sembra interessata a continuare la guerra, forse perché gli costerebbe troppo (circa 1 miliardo l’anno).   Così sta trattando con americani e turchi sulla spartizione di quel che resta della Siria.  Di sicuro, fin dall’inizio c’era un accordo con gli altri contendenti, tanto è vero che per 2 anni le aviazioni di una decina di nazionalità hanno operato con solo due incidenti gravi.  Il primo fu l’abbattimento del jet russo da parte dei turchi.  Il secondo fu il bombardamento da parte dei siriani di posizioni curde dove c’erano anche degli americani, fortunatamente illesi.  Non ci hanno più provato.   Ora si sta definendo un accordo più generale, con due grosse incognite: cosa faranno il nuovo governo USA ed Erdogan?   Entrambi totalmente inaffidabili.

USA
Grazie al veto russo e cinese, hanno evitato l’errore di mettere troppo presto i piedi nel ginepraio siriano.  La prima scelta, di appoggiare l’ESL, e’ stata un completo fallimento, mentre l’opzione curda ha dato eccellenti risultati.  Ora si trovano con un influenza ridotta il Iraq (dove primeggiano gli iraniani) e con una rinnovata presenza russa in mediterraneo.   In compenso, controllano tutto il nord della Siria e difficilmente i curdi volteranno la gabbana.  Non gli conviene e devono troppo allo Zio Sam.  Ma sono comunisti ed è Trump che potrebbe piantarli in asso, così come potrebbe fare qualunque altra idiozia.  Tuttavia, per ora, sembra che prevalga il buon senso, specie considerando che della Turchia non si fida più nessuno e l’Iran non si sa ancora cosa deciderà di fare.

Tirando le somme

In estrema sintesi, direi che chi ha sicuramente perso sono i ribelli laici della prim’ora ed i sauditi.  Chi invece ha sicuramente vinto sono gli iraniani ed i curdi. I governi siriano e irakeno hanno vinto pure, ma fino ad un certo punto.  Hanno infatti recuperato parte del territorio, ma sono oramai entrambi sotto tutela iraniana.
I russi hanno vinto, ma hanno bisogno di uscire dal gioco ora che possono farlo “a coda alta”.   Gli americani hanno perso in Iraq, dove hanno però evitato il peggio.  Invece hanno guadagnato qualcosa in Siria.
La Turchia ha perso su tutta la linea.   La sua economia arranca ed un quasi-stato ostile si è formato alle sue frontiere, per di più alleato del loro stesso alleato.  La violenza dilaga in gran parte del paese, mentre Erdogan fantastica di politica “neo-ottomana” quando non riesce più neppure a far funzionare la madrepatria.

Ma la partita è appena cominciata.  Avremo delle sorprese.

Chiosa

A chiosa, propongo questo schemino che, pur essendo estremamente semplificato, ben rappresenta i levantini intrecci della politica medio-orientale.  Chi ama pensare in termini di “buoni contro cattivi” è pregato di non guardarlo.  Anzi, è meglio se non guarda proprio nulla che riguardi la politica.

matrice amici-nemici

Destra versus Sinistra

destra versus sinistra
“L’illusione della libera scelta”. Due ingressi per il medesimo abbattitoio.

Senza pretendere di sviscerare una questione che appassiona fior di politologi, vorrei qui proporre alcune riflessioni molto parziali e personali, derivate dalla mia limitata esperienza di “navigatore internet”.   Le pubblico nella speranza di stimolare dei commenti che aiutino me ed altri a raccapezzarmi in questo guazzabuglio.

Per cominciare

Per cominciare, vorrei ricordare che, anche in passato, Destra e Sinistra sono spesso state abbastanza vicine da scambiarsi idee, metodi e scopi.   Populisti  e socialisti  sono stati spesso nemici giurati, pur volendo entrambi proteggere la gente comune dalla rivoluzione capitalista.   Il Fascismo nacque da una costola del Partito Socialista ed il nome completo del partito di Hitler era “Partito Nazional-Socialista”; un partito che nella DDR è rimasto al potere fino al 1989 senza neppure cambiare nome.   Tanto per citare un paio di esempi scelti non a caso.
Ben più vicino a noi, nei momenti caldi della guerra del Donbass si sono visti volontari internazionali comunisti e fascisti combattere dalla stessa parte, talvolta contro altri miliziani non meno fascisti.   Il governo russo finanzia apertamente partiti come Forza Nuova e Front National, ma questo non impedisce a Putin di essere molto popolare in un’ampia fascia della sinistra euro-occidentale.   In Italia, la Lega ha le sue roccaforti in zone un tempo comuniste e Grillo raccoglie consensi da entrambe le parti.  Tanto per citare solo qualche altro esempio.

Dunque, stando così le cose, la domanda che tanti si pongono è se una differenza esista ancora e, se si, quale sia.

Per cominciare, ho raccolto in una tabella alcuni temi caldi del momento, con la posizione più generalmente adottata da persone che si definiscono di destra o di sinistra.   Preciso che con Sinistra, non mi riferisco al PD o ad altri partiti di lungo corso, ma ai delusi dei medesimi che ora vagano in cerca di una casa politica.    Inoltre, la classificazione in “destra” e “sinistra” è ovviamente riduttiva, ma una trattazione approfondita esula dai limiti di un post.

Ovviamente, in tabella figurano solo alcuni dei temi politici del momento, ma sono quelli che suscitano il massimo di commenti e di animosità.   Quindi, probabilmente quelli che più fortemente influenzeranno le prossime elezioni.

In verde gli argomenti su cui si registra una sostanziale convergenza, in blu quelli su cui la convergenza è parziale, in rosso quelli su cui c’è una differenza sostanziale.

TEMA DESTRA SINISTRA
ISTITUZIONI EUROPEE fortemente contrari fortemente contrari
LIBERISMO ECONOMICO fortemente contrari fortemente contrari
EURO fortemente contrari fortemente contrari
SOVRANITÀ NAZIONALE fortemente favorevoli Favorevoli, ma non sempre
GLOBALIZZAZIONE fortemente contrari fortemente contrari
ATTUALE POLITICA RUSSA fortemente favorevoli fortemente favorevoli
TRUMP più o meno favorevoli posizioni prevalentemente contrarie, ma favorevoli su alcuni punti.
REDDITO DI CITTADINANZA fortemente favolrevoli fortemente favorevoli
POLITICA ECONOMICA ESPANSIVA fortemente favorevoli fortemente favorevoli
ISLAM fortemente contrari favorevoli
EBREI E ISRAELE (DI SOLITO CONFUSI) posizioni diverse, da contro per antisemitismo a pro per anti-islamismo. contrari o molto contrari per via della questione palestinese.
RAZZISMO favorevoli, talvolta molto. fortemente contrari
IMMIGRAZIONE fortemente contrari fortemente favorevoli (con qualche eccezione)
DIRITTI GAY fortemente contrari fortemente favorevoli (con qualche eccezione)
TENDENZE MACHISTE frequenti rare
AMBIENTE scarso interesse o contrari posizioni diverse, interesse da elevato a nullo a seconda.
CRISTIANESIMO molto favorevoli (nella versione Ratzinger) Spesso molto favorevoli (nella  versione Bergoglio).
GIUSTIZIALISMO fortemente favorevoli fortemente favorevoli

Salta all’occhio che, sulla maggior parte delle questioni che tengono banco sui social, molte posizioni sono tendenzialmente convergenti almeno in parte, anche se, spesso, per motivi almeno in parte diversi.

Le posizioni sono invece fortemente distinte in materia di diritti dei gay e delle donne, ma soprattutto in materia di immigrazione, islamica e non.

Prospettive

Partendo dal presupposto che la crescita economica non tornerà mai più (oramai lo dice anche il FMI) e che, anzi, tenderà a peggiorare, quali possono essere gli sviluppi della situazione?

Per quanto riguarda il primo punto (diritti gay e femminismo), più che vere posizioni politiche siamo spesso di fronte ad atteggiamenti mentali.   Attualmente sono inconciliabili, ma si sta assistendo alla rapida erosione delle posizioni “progressiste”.   Man mano che la crisi economica svuota le tasche della gente, la disponibilità a preoccuparsi per il matrimonio tra omosessuali, per dire, scema rapidamente.   Anche le posizioni duramente conquistate dalle femministe della passata generazione vengono rapidamente erose per ragioni analoghe, perfino fra le donne che pure sono il 50% del corpo elettorale.

L’immigrazione e tutta la galassia di argomenti che si muovono intorno ad essa sono invece un punto di scontro fondamentale che, al contrario di altri, tende a radicalizzarsi.   Anzi, la faccenda è tanto sentita che sorpassa oramai in peso politico quasi tutte le altre questioni.   Perfino le questioni economiche vengo spesso discusse in relazione agli effetti dell’immigrazione sul PIL, benefici o nefasti secondo le fonti.    Ben più vitale, il giudizio sull’adesione alla Comunità Europea oramai viene spesso discusso in relazione a come si pensa che la Commissione voglia gestire i flussi migratori.
In questo caso non credo che si possa mai arrivare ad una convergenza, ma penso che le prossime ondate di crisi economica e di crisi migratoria inevitabilmente sposteranno un’ulteriore quota di voti verso la destra.

Non credo infatti che la vertiginosa crescita dei movimenti xenofobi dipenda da un aumento di veri fascisti ed assimilabili, bensì dall’aumento di gente che si sente minacciata e si rivolge a chi, magari per ragioni non condivise, promette provvedimenti drastici (anche se magari irrealizzabili o inefficaci).   Poco importa a questo punto il come ed il perché, importa solo la paura.  Una paura che è alimentata tanto dalla propaganda xenofoba e razzista della destra, quanto dalla propaganda negazionista e buonista della sinistra.   E questo è un punto fondamentale su cui credo che non si sia riflettuto abbastanza.

Propaganda e contro-propaganda

La propaganda di destra è incentrata principalmente sul fatto che gli immigrati sono diversi da noi e che perciò creano problemi.   Si parla anche del fatto che sono tanti e che i governi devolvano ad essi risorse che vengono a mancare agli autoctoni.   Argomenti complessi ma che, comunque, rappresentano aspetti della situazione teoricamente gestibili. Viceversa, non una parola sull’unico aspetto drammaticamente inoppugnabile: l’Europa è un paese già terribilmente sovrappopolato che ha urgente bisogno di ridurre la propria massa umana, pena un rapido e dolorosissimo collasso.   In un passato anche recente molte società hanno infatti trovato il modo di funzionare con popolazioni assai diversificate, ma solo finché queste non hanno superato la capacità di carico dei loro territori.  Una cosa che gli europei hanno fatto un paio di secoli addietro, cavandosela poi solo grazie al fatto di essere stati in grado di far pagare ad altri in conto della loro prolificità.

Al di là delle differenze culturali, religiose, ecc. l’unico vero problema – il vero “elefante nella stanza” – è quindi che l’immigrazione vanifica la salutare decrescita della natalità interna.

Dal canto suo, la sinistra incentra la sua propaganda fondamentalmente su alcuni temi che le sono cari: l’uguaglianza, la solidarietà, il senso di colpa verso le classi ed i popoli più o meno maltrattati dal capitalismo occidentale.   C’è una parte di verità in quel che dice e, certamente, sono nobili i sentimenti cui fa appello.   Ma trascura di dire che la solidarietà e l’accoglienza hanno un prezzo in termini di ampliamento dell’Impronta Ecologica nazionale.   Un’impronta che già eccede di almeno il 50% i più prudenti parametri di sostenibilità.   Il fatto è che hanno perfettamente ragione a dire che gli stranieri sono proprio come noi: hanno gli stessi bisogni ed in gran parte gli stessi desideri.   Un fatto inoppugnabile che
Certo, la maggioranza di noi potrebbe rinunciare ad una fetta del proprio benessere a favore di altri, ma questo punto non è fra quelli posti in risalto.   Né si dice che questo prezzo salirà esponenzialmente man mano che i flussi necessariamente cresceranno, mentre la situazione ambientale e sociale europea non potrà che peggiorare.   Beninteso, peggiorerebbe anche senza immigrazione del tutto, solo un tantino meno rapidamente.   Ma il flusso di gente dall’estero crea una situazione troppo facilmente strumentalizzabile perché non venga sfruttata.

Questo è un punto chiave perché, mano a mano che la situazione sociale ed economica degrada, i problemi direttamente od indirettamente connessi con la sovrappopolazione non possono che aggravarsi.   Ed un numero crescente di persone deluse o spaventate continuerà a passare sul fronte opposto, facilitate proprio dal fatto che, su molti altri punti essenziali, i distinguo sono sempre più fumosi.

In sintesi, la pertinace ostinazione nel negare l’esistenza di un problema di numero di persone, apre la porta chi sostiene che il problema derivi dal colore delle persone.   In pratica, la sinistra dovrebbe capire che la sua propaganda e le politiche che sostiene (anche se spesso assai più dichiarate che praticate) stanno erodendo i margini per un ragionevole compromesso e stanno aprendo la strada a reazioni violente.

Un pronostico

In conclusione, azzardo un pronostico che spero sia sbagliato:  O i partiti di sinistra e di centro si affrettano ad elaborare posizioni e provvedimenti capaci di riportare i flussi, a livello europeo,  nell’ordine delle migliaia di persone l’anno, oppure un’ondata di governi “Trump stile” diverrà praticamente inevitabile.   Un errore che potrebbe risultare irreparabile, come sta ampiamente dimostrando l’amministrazione Trump.   Mentre vara prevedimenti tanto spettacolari quanto inutili o inattuabili sul fronte dell’immigrazione, il “tycoon” scatena tutto l’arsenale possibile per distruggere ciò che resta della capacità di carico del suo paese e del mondo intero.   Che poi è solo un altro modo per aggravare gli effetti della sovrappopolazione che, ricordiamoci, non derivano dal numero assoluto di persone, ma da come l’impatto complessivo di queste (popolazione moltiplicato consumi) incide sull’ambiente.   E dalla capacità degli ecosistemi di tamponare le alterazioni antopogeniche.

Risultati immagini per biodiversity destruction

Rossi e Neri

Di Igor Giussani

rossi e neri

Quando ero giovane e frequentavo la vasta galassia del movimento no global – parlare di militanza sarebbe eccessivo – un amico mi diede un’importante lezione di vita spiegandomi che, in politica, le maggioranze silenziose combinano poco o nulla, mentre le minoranze casinare possono provocare grandi sconvolgimenti.  La rivoluzione di Ottobre e i nazifascismi, ad esempio, storicamente hanno avuto origine da gruppi talvolta sparuti per numero, ma capaci di farsi sentire, ricorrendo a strumenti alternativi alla voce se necessario.

Oggigiorno, esiste una minoranza casinara attiva soprattutto in Rete le cui idee vengono  spregiativamente etichettate come ‘rossobrunismo’ (termine soventemente adottato anche dal sottoscritto) o ‘populismo’ (dispregiativo o elogiativo a seconda di chi lo usa), che ha i suoi punti di riferimento (a torto o ragione) nelle formazioni politiche considerate meno legate al sistema (M5S, Lega Nord e Fratelli d’Italia), in giornalisti non mainstream quali Giulietto Chiesa o Paolo Barnard, in nuovi filosofi e icone mediatiche come Diego Fusaro.   Il personaggio di Napalm51, interpretato da Maurizio Crozza, ne è la caricatura satirica (ma talvolta abbastanza fedele).

Posso sembrare sarcastico e irrispettoso, invece se ci scherzo un po’ sopra è per risollevarmi pensando al solco che si sta gradualmente creando tra me e amici di vecchia data attratti dal nuovo pensiero: ex militanti altermondisti (alcuni dei quali già stravaganti vent’anni fa), sinceri ambientalisti e anche qualcuno con cui ho condiviso un percorso intellettuale radicale come quello della decrescita. Tutta gente di cui potrei decantare cultura e genuina passione civile, capace se necessario di mettere le ragioni della Causa al centro della propria esistenza, dando prova di un’abnegazione a me sconosciuta (fatto che può però avermi immunizzato dall’aderire a fedi fanatiche).

Personalmente, mi accorgo che il rossobrunismo è stato l’approdo finale per molti militanti di sinistra delusi. Penso a quelli che, al momento della ‘svolta riformista’, hanno rigettato l’illusione di dare una volto umano alla globalizzazione neoliberale, aderendo pertanto all’ala sedicente ‘radicale’ e ancora orgogliosamente comunista. Tuttavia, a fronte di pretese rivoluzionarie ridotte a battaglie di retroguardia per difendere il welfare state socialdemocratico, del disinteresse delle masse e di una leadership politica opportunista, la disillusione è rapidamente montata; ora hanno ritrovato una nuova carica ideale.

Si dichiarano orgogliosamente populisti anche molti che, nauseati dal dogma ideologico della ‘fine delle ideologie’ a dall’ascesa del pensiero debole, hanno cercato rifugio nelle narrazioni ‘forti’ novecentesche, originando bizzarri sincretismi.
Il giovane filosofo Diego Fusaro è uno dei loro principali punti di riferimento. Spiega Marcello Veneziani: ”Per riassumere il loro messaggio: rifacciamo il Novecento, ma stavolta facciamolo meglio. E non gli estremi, ma lasciamoli convergere, considerando che il vero antagonista è il Centro tecnocratico globale, la cinica Macchina che produce deserti… Difatti, mi dicono, la loro provenienza è mista e i libri citati pure. Da de Benoist a Preve, da Evola a Marx, da Giacinto Auriti a Serge Latouche. Marxisti evoliani, gramsciani-gentiliani, e via con gli ossimori”. (http://www.ilgiornale.it/news/cultura/giovani-trasversali-ribelli-evviva-i-nuovi-pensatori-1037328.html)

In pratica, si fondono l’anticapitalismo e le tendenze antiborghesi di destra e sinistra.   Siccome il capitalismo globalizzato ultima versione si è ammantato di cosmopolitismo ergendosi a campione dei diritti umani e civili, è prevalsa l’opinione che la resistenza passi attraverso la difesa a oltranza di nazione, religione, tradizione e conservatorismo sociale (il multiculturalismo è visto con estremo sospetto, ma è nota anche l’ossessione per ‘l’ideologia gender’ e le rivendicazioni del movimento LGTB), dimenticando che tali presunti strumenti di opposizione sono stati tutti vessilli del capitalismo in altre fasi storiche (e, giudicando l’armamentario retorico di Trump, si direbbe che il Capitale stia per indossare nuovamente le vecchie maschere).

Aggiunge ancora Veneziani: “Non manca, è vero, un vago sapore complottista nelle loro analisi, la convinzione che ci siano centrali più o meno occulte che dispongono gli eventi e i flussi e sono sempre le stesse, ormai ricorrenti, quasi proverbiali”.   Si assiste infatti a uno straordinario rovesciamento di valori per cui tutto ciò che è sostenuto dal ‘sistema’ (in tutte le sue forme, dalle istituzioni politiche ed educative fino ai mass media) diventa emblema di errore e falsità. Le élite mondiali esprimono preoccupazione per il global warming? E’ la prova che si tratta di un invenzione per manipolare le coscienze.  Il governo che precarizza il mercato del lavoro prepara una legge per le unioni civili e cerca di sensibilizzare in materia di omofobia e violenza sulle donne? Istanze da rigettare in quanto provvedimenti per distrarre l’opinione pubblica dai ‘veri’ problemi. La storia che vi hanno insegnato a scuola? Scritta dai vincitori, quindi menzogna.  Ambientalismo?  Un complotto ordito da associazioni massoniche come il Club di Roma.  I medici consigliano di vaccinare i bambini?  Sono assoldati dalla lobby farmaceutica per vendere i loro prodotti…

In sintesi, mi sembra di individuare quattro categorie di persone legate al fenomeno rossobruno:

  • ideologi e guru: con questi non vale la pena di parlare, nella migliore delle ipotesi si verrà accusati di essere “inutili idioti”, “servi sciocchi del capitale” e amenità simili;
  • fascisti 2.0: mi pare inconcepibile uno scambio costruttivo pure con chi semplicemente ricopre di intellettualismo le proprie inclinazioni violente e razziste;
  • sinistroidi: erano già abbastanza dogmatici quando il loro unico credo era Marx…
  • gente ‘normale’ delusa dalla società ed alla ricerca di qualche punto di riferimento: qui invece investirei del tempo. Ma di chi si tratta esattamente?

E’ gente che è entrata a far parte della minoranza casinara provenendo dalla maggioranza silenziosa e non ideologizzata, che non è mai stata violenta e che anzi si è sempre comportata da buon cittadino. Che credeva nella funzione informatrice di tv e giornali e oggi fatica a distinguere il giornalismo professionista da Lercio. Che ha creduto alle rassicurazioni di scienziati ed esperti per pentirsene amaramente in diverse occasioni. Che ha sostenuto la causa dell’antirazzismo e del multiculturalismo per poi vedere manodopera straniera sottopagata allo scopo di incrinare le conquiste sociali ed è stata travolta da un’immigrazione crescente e malgestita, con inevitabile degrado sociale. Che ha aderito a campagne umanitarie o di sensibilizzazione ecologica scoprendo di essere stata raggirata. Che ha votato a sinistra credendo di arginare il malcostume berlusconiano ottenendo invece un governo deciso a concludere il lavoro lasciato incompleto dalla destra e una classe politica non meno disinvolta dell’ex-cavaliere e dei suoi scagnozzi. Che si vergogna all’idea di lasciare ai figli un benessere inferiore a quello dei genitori.  Che ha gioito al crollo del muro di Berlino auspicando l’inizio di un’epoca di pace, per assistere invece al triste spettacolo della superpotenza vincitrice della guerra fredda (nonché presunta paladina di democrazia e diritti umani) che ne approfittava per disseminare guerre in Iraq, Kosovo, Afghanistan, Libia nel totale disprezzo del diritto internazionale. Che ha creduto nella fratellanza europea e ora deve soggiacere ai diktat della UE a guida tedesca. Che ha sentito discorsi solenni in occasione del giorno della Memoria ed eventi analoghi, per poi vedere gli oratori rimanere indifferenti (quando non sostenere attivamente) altri genocidi. Che dopo essersi sentita fregata da discorsi e persone all’apparenza ‘normali’ e ‘ragionevoli’ ora è irresistibilmente affascinata da qualsiasi narrazione ‘eretica’ e da personalità ‘inedite’ e ‘fuori dagli schemi’ (Trump, Berlusconi, Renzi, ecc).

Insomma, queste persone hanno assistito al declino inesorabile di importanti istituti del mondo moderno, quali la democrazia liberale, lo sviluppo tecnico-scientifico, la tolleranza e l’apertura culturale. E’ un’impresa far ragionare un amante tradito, è più probabile che la pancia si imponga sulla testa facendo scambiare le cause con le conseguenze, operando semplificazioni indebite e inneggiando a motti assurdi del tipo ‘il nemico del mio nemico è mio amico’ o ‘tanto peggio tanto meglio’. Ma se fosse possibile dialogare?

Bisognerebbe spiegare che indipendenza di giudizio, riappropriazione del proprio spazio esistenziale dall’invadenza degli esperti e rifiuto della commercializzazione di ogni aspetto della vita umana non possono sfociare nella chiusura culturale, nel disprezzo per il sapere e nell’elevazione del conformismo a regola sociale. Che il desiderio di ‘sovranità’ e la ricostruzione di uno spazio politico contro il pensiero unico non possono coincidere con la riproposizione di vecchie istituzioni logore e stantie, se non proprio corresponsabili della situazione attuale.  Soprattutto, la critica della modernità non deve trasformarsi in rifiuto della modernità, occorre invece una modernità riflessiva – per utilizzare un’espressione di Ulrich Beckche analizzi criticamente i suoi stessi capisaldi  (progresso, sviluppo, controllo della natura e pretese conoscitive) così come fece a suo tempo con religione e tradizione.  Invece della retorica identitaria, dovremmo imparare che la nostra personalità è il risultato della continua tensione dialettica tra attaccamento alla tradizione e apertura all’influenza esterna (proveniente da mercato, mass media, incontri con culture differenti, ecc.), dove l’adesione incondizionata a uno dei due estremi significa soltanto alienazione. E laddove si vedono ‘complotti’ o ‘apparati’ bisogna imparare a riconoscere ‘sistemi’, nel senso inteso da Jay Forrester, i Meadows e altri pionieri del pensiero contemporaneo; rigettando le spiegazioni semplicistiche del populismo e accettando che a problemi complessi corrispondono spiegazioni complessi (e parziali).

Oramai queste persone potrebbero essere troppo stanche e disilluse per interessarsi seriamente a un messaggio complicato e ricco di concetti anti-intuitivi, senza contare il rischio di passare per pedanti grilli parlanti non meno tediosi dei truffatori passati. Ma proprio perché esiste ancora un terreno comune tra noi e loro, la possibilità di un dialogo è ancora reale. In futuro, nuove generazioni populiste imbevute fin dalla culla di rossobrunismo potrebbero rifiutare qualsiasi confronto se non addirittura  proporsi risolutamente di zittirci.

Il mondo A, il mondo B

Il mondo A e il mondo B orbitano uno intorno all’altro, si osservano reciprocamente coi telescopi ma hanno sviluppato civiltà completamente diverse. Nel mondo A gli abitanti ragionano in anticipo sulle complicazioni che potrebbero generarsi dall’adozione di nuovi comportamenti ed abitudini, modellando le leggi in base ai risultati desiderati. Nel mondo B si lasciano andare le cose un po’ a casaccio, confidando che si assesteranno da sé (come un illuminato filosofo ha teorizzato secoli prima). Il mondo A è regolato, il mondo B è ‘libero’.

Nel mondo A i governanti hanno seguito attentamente l’avvento dell’automobile privata. L’analisi del trend di occupazione di spazi pubblici da parte dei nuovi veicoli ha mostrato una progressione preoccupante. Uno studio dell’Università Mondiale ha dimostrato che, ai tassi attuali di crescita, tutto lo spazio pubblico nelle città sarebbe stato occupato nel volgere di pochi decenni, al punto che nessuno più sarebbe stato in grado di muoversi per pura e semplice mancanza di spazi sulle strade.

Nel mondo B l’automobile viene accolta con spontaneo entusiasmo. Le pubblicità delle case automobilistiche promettono libertà illimitata agli acquirenti dei veicoli, status sociale, eleganza e successo. L’idea di porre dei limiti al possesso ed all’utilizzo di tali mezzi viene strangolata nella culla dall’opportunismo delle classi politiche e dal timore di perdere consensi. L’intera organizzazione urbana viene piegata alla volontà popolare, manipolata dal bombardamento pubblicitario, ed orientata ad offrire ogni spazio possibile alla movimentazione ed alla sosta dei veicoli privati.

Il mondo A attiva pertanto politiche di regolazione e limitazione sull’uso delle strade. Il numero di spazi destinati alla sosta viene contingentato in base alla popolazione residente, la sosta a tempo indefinito in strada viene vietata e come condizione obbligata per l’acquisto di una nuova autovettura viene imposto il possesso di un’area privata (box o parcheggio condominiale) dove posteggiarla quando non è in uso. Il numero complessivo delle autovetture vendute si stabilizza su cifre estremamente basse.

vienna-kaerntnerstrasse

Nel mondo B la sosta in strada è consentita senza limitazioni, al punto che gli abitati finiscono col considerarla un diritto inalienabile. Col progressivo aumentare della ricchezza, un numero sempre maggiore di autovetture viene lasciato in sosta sulle strade, restringendo le carreggiate ed eliminando ogni possibilità di sosta temporanea. Col passare degli anni si inizia progressivamente a tollerare la sosta temporanea in doppia fila, sugli attraversamenti, sui marciapiedi, e considerata dai più non evitabile, il risultato è una ulteriore congestione delle sedi stradali, un rallentamento complessivo dei flussi di traffico e l’estrema frequenza di ingorghi. Questo induce negli abitanti un senso di frustrazione, sfogata sotto forma di stili di guida aggressivi.

Nel mondo A, grazie alle sedi stradali non congestionate, i mezzi pubblici scorrono alla velocità commerciale ottimale, trasportano in poco spazio molti passeggeri, sono veloci, efficienti e puntuali. Un’efficienza tale da far sì che molte famiglie non abbiano necessità di possedere un’automobile.

Nel mondo B i mezzi pubblici sono fortemente penalizzati dall’esiguità delle sedi stradali, dalla sosta d’intralcio in doppia fila, dalla pura e semplice congestione delle strade. Le dimensioni di tali veicoli li rendono svantaggiati nei confronti delle più veloci e scattanti auto private, penalizzati nella competizione per lo spazio stradale che si fa di giorno in giorno più aggressiva. Di pari passo con la perdita di efficienza del trasporto pubblico si ha la migrazione degli abitanti in direzione del trasporto privato, che viene percepito come l’unica maniera efficiente di muoversi da un punto all’altro della città. L’abitudine ad utilizzare sempre e soltanto l’auto privata fa sì che si perda una precisa cognizione delle potenzialità dell’offerta pubblica, con un progressivo calo dell’utenza e l’impossibilità di giustificare i costi di gestione a causa dello scarso utilizzo. Nel corso degli anni vengono quindi smantellate le forme di trasporto ad alta efficienza in sede propria (tram, treni) per fare ulteriore spazio alla movimentazione delle auto private.

Nel mondo A, non essendo garantita a priori la possibilità di spostarsi ovunque con mezzi privati, le nuove edificazioni devono rispondere a standard urbanistici estremamente rigidi. Le infrastrutture di mobilità vengono progettate contestualmente agli edifici, in modo che a breve distanza da ogni abitazione sia presente un efficiente nodo di scambio col trasporto pubblico, e che le esigenze di mobilità dei futuri abitanti non motorizzati non siano penalizzate.

Nel mondo B si costruiscono case, palazzi, complessi residenziali, intere urbanizzazioni senza la minima progettualità su come i futuri abitanti dovranno poi muoversi. Spesso le nuove urbanizzazioni finiscono a ricasco della rete viaria, già satura, di altri quartieri, prolungando i tempi di accesso alla viabilità principale e paralizzando completamente il già sofferente trasporto pubblico. L’assenza di pianificazione delle modalità di spostamento produce quartieri dormitorio, privi dei servizi sociali e culturali essenziali, che obbligano i residenti ad un continuo viavai in automobile, da un quartiere all’altro, da un ingorgo al successivo.

Nel mondo A le attività produttive devono ragionare la propria collocazione in base alle esigenze di mobilità dei propri dipendenti. Sono obbligate a rendere disponibile uno spazio di sosta per ogni singolo dipendente che pervenga con l’auto privata perché, come già detto, la sosta sulle sedi stradali è vietata, ma devono anche tener conto che molti potenziali dipendenti non possiedono un’auto, e se vogliono accedere alle migliori eccellenze del settore non possono collocarsi troppo lontano dai nodi del trasporto pubblico. Questo fa sì che le attività produttive siano in genere collocate in zone facilmente raggiungibili anche senza bisogno di automobili.

Nel mondo B, la modalità con la quale i dipendenti raggiungono il posto di lavoro non è un problema degli imprenditori. Dato per scontato che tutti si possano muovere in macchina, le attività produttive orientano la scelta della propria collocazione in base ad altre priorità, come i bassi costi dei terreni e/o degli uffici o gli incentivi pubblici per le aree depresse. In questo modo vengono privilegiate aree lontane dagli abitati. Il risultato è che costi e tempi di percorrenza (traducibili in ore di vita) vengono scaricati con la massima tranquillità sulle spalle dei dipendenti, che sono obbligati a provvedere da sé al raggiungimento di luoghi di lavoro spesso lontanissimi dalle abitazioni, con costi familiari poco percepiti e contribuendo all’ulteriore intasamento della rete stradale.

Nel mondo A l’aria è scarsamente inquinata, la maggior parte delle persone si sposta velocemente su mezzi pubblici elettrici (treni, metropolitane, tram), o veicoli privati leggeri (biciclette tradizionali ed a pedalata assistita), risparmia sui costi del possesso di un’automobile privata senza subire penalizzazioni alla propria vita sociale, culturale e relazionale. Le strade relativamente sgombre consentono all’esigua minoranza che si sposta ancora con l’auto privata di avere tempi certi di spostamento, senza lo stress degli ingorghi ed il rischio di non arrivare in orario. Questo produce stili di guida più rilassati, velocità più basse e maggior attenzione alla sede stradale, col corollario di una minor incidentalità, che a sua volta si traduce in minori costi collettivi per la spesa sanitaria.

Nel mondo B le strade sono un luogo di perenne conflitto: tra automobilisti, tra automobilisti e pedoni, tra automobilisti e ciclisti. Lo spazio delle sedi stradali è conteso tra i veicoli che lo usano per muoversi e quelli che vi devono sostare temporaneamente per svolgere le proprie commissioni. Si registra un’elevata incidentalità, malattie da stress, da sedentarietà, aggressività diffusa e disagio sociale. Il tutto è aggravato dall’enorme drenaggio di risorse economiche prodotto dal possesso di auto private, pari ad un quarto di quanto mediamente guadagnato da ogni lavoratore dipendente, dalla perdita di ore di vita e lavorative quotidianamente spese ad annaspare nel traffico, dalla frustrazione, dai costi collettivi e sociali di tale modello.

Ora il mondo B osserva coi telescopi il mondo A. Gli abitanti del mondo B vedono che sul mondo A tutto funziona, ma non riescono a comprendere come tutto ciò si sia prodotto, nel tempo. Colgono l’esteriorità di uno stile di vita più funzionale, più felice, meglio organizzato, ma non sono in grado di guardare con distacco ai propri errori, alle proprie contraddizioni, che anzi in molti continuano a giustificare nel meccanismo psicologico noto come ‘negazione’. Nessuno vuole ammettere di essere compartecipe del disastro collettivo, ed ognuno cerca un capro espiatorio cui accollare tutte le colpe. In ultima istanza, nel mondo B ogni abitante pretende che il cambiamento inizi da qualcun altro che non sia sé stesso, additando di volta in volta soluzioni inefficaci pur di continuare a mantenere le proprie abitudini, inevitabilmente sbagliate.

Nel mondo B, anno dopo anno, decennio dopo decennio, non si registra alcun cambiamento.

(l’idea per questo post deve un enorme un tributo al romanzo “The Dispossessed”, della scrittrice americana Ursula K. Le Guin)

La grande onda e piccoli uomini

hokusai surfing the big wave

Un’altra onda dipinta da Hokusai

Di recente Ugo, ha fatto un passo al di la del suo ormai celeberrimo dirupo di Seneca. E l’ha esemplificato con la grande onda di Hokusai. Credo abbia ragione.

E’ facile, dopo la tragedia dell’Hotel di Rigopiano, gridare all’evento straordinario, oppure, al contrario alla speculazione edilizia. La verità secondo me è che quella di Rigopiano non è stata una tragedia annunciata. Ne è un canarino nella miniera, che segnala che qualcosa sta succedendo al clima. E’ piuttosto il simbolo, l’ennesimo, della nostra incapacità di piccoli uomini di avere la piena consapevolezza di quel che facciamo, delle conseguenze delle nostre scelte, vicine e lontane. In pratica, stiamo esponendo l’intero pianeta ad un esperimento climatico mai visto INSIEME ad un esperimento ecologico mai visto. L’asservimento dell’intera biosfera ai bisogni di una singola specie. E la devastazione del sottile equilibrio che aveva garantito, fin qui, il clamoroso successo evolutivo di quella specie.

O credete che sia un caso, il fatto che ci siano voluti quasi centomila anni, ad uomini indistinguibili da noi, dal punto di vista fisiologico, per uscire dal paleolitico?

Ora, è decisamente tardi, troppo troppo tardi per stupirsi e, d’altronde è anche troppo tardi per prendere provvedimenti che non siano quelli di prepararsi a molti, forse troppi, avvenimenti del genere. Abbiamo scatenato una belva. Tre metri di neve. o tre giorni di pioggia. o tre mesi di siccità. o tre ore di uragano. Non importa. E gli albergatori di Rigopiano, con il loro albergo realizzato su un’area non sicura al cento per cento sono in clamorosa compagnia di buona parte degli insediamenti montani moderni e non solo.

Motivo semplice: eventi rarissimi, plurisecolari, di cui pure si conserva debole traccia geologica, diventano sempre più frequenti tanto da essere probabili nel corso della vita di un insediamento.

Se i nostri nonni erano sufficientemente prudenti e sufficientemente pochi, in queste zone di montagna, da scegliere solo i luoghi più sicuri e più riparati per gli insediamenti, ormai i villaggi  di montagna sono cresciuti a dismisura, trasformandosi in alcuni casi in vere cittadine e saturando lo spazio di fondovalle disponibile. spesso questi fondovalle nascondono le tracce di eventi catastrofici antichi, remoti o addirittura recenti. Un caso per tutti: Alleghe.

alleghe

Attualmente un ridente borgo di montagna, adagiato intorno ad un bellissimo laghetto. questo laghetto fino al 1771 non esisteva. Una enorme frana, staccatasi dal Monte Piz, sbarrò una valle, uccise 49 persone, distrusse un paio di paesi e portò alla formazione del lago.

SE fosse successa oggi, e potrebbe succedere, in uno delle centinaia di borghi montani sviluppatisi nel frattempo, in tutte le Alpi,  i morti si sarebbero contati a migliaia. La frana non era caduta per un caso, ovviamente ma per ben precisi motivi geologici. Questi motivi permangono ed eventi climatici estremi potrebbero riattivare la zona di frana o altre zone limitrofe con simili configurazioni geologiche. Allo stesso modo, il numero crescente di eventi meteoclimatici estremi non è un caso ma la conseguenze, prevedibile e prevista, del riscaldamento globale che solo un diversamente biondo, inopinatamente presidente degli Stati Uniti, può ritenere non nostra responsabilità.  Il combinato disposto di elevata antropizzazione delle nostre montagne e crescente esposizione ad eventi estremi rende certi altri eventi disastrosi. frane, inondazioni, slavine catastrofiche. Prepariamoci a tanti Rigopiano. Ce li siamo cercati. La grande onda che abbiamo generato non possiamo fermarla. Possiamo solo provare a surfarla.