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Siria: guerra 4.1

di Jacopo Simonetta

In Siria è cominciata una nuova fase di una guerra che sembra voler durare ancora parecchi anni.  In Iraq stanno ancora decidendo con chi ammazzarsi al prossimo giro.   Secondo le migliori tradizioni locali, la situazione è caotica e continuamente cangiante.  Le tabelle qui riportate sono quindi necessariamente molto  approssimative.

Riassunto molto schematico delle puntate precedenti.

Iraq

Qui ci occuperemo della Siria, ma un cenno all’Iraq è necessario.
La guerra in Iraq cominciò nell’ormai remoto 2003 con l’invasione americana e, fra alterne vicende, è ancora lontana dall’essere conclusa.  Qui ci interessa che, nel 2014, la guerra civile irachena e quella siriana si saldarono in una guerra unica per il dilagare dell’ISIL in entrambi i paesi.  Anche in Iraq il “califfo” riuscì a far coalizzare tutti contro di lui, ma con giochi di alleanza diverse dal teatro siriano.  Ad esempio, la Turchia nemica dei curdi in Siria, ne è alleata (in parte) in Iraq; mentre l’Iran è arcinemico degli USA su tutti i fronti, meno in Iraq dove finora sono stati alleati.
Altra peculiarità irachena è che ci sono due partiti e due milizie curde che fanno capo ai due clan principali: i Barzani ed i Talabani (che non c’entrano niente con i talebani afghani).   I Barzani hanno commesso l’errore fatale di dichiarare l’indipendenza del Kurdistan iracheno, ottenendo il risultato di inimicarsi prontamente tutte, ma proprio tutte le altri parti in causa.
I Talabani, hanno reagito consegnando senza combattere la città ed i campi pozzi di Kirkuk ai governativi, pare in cambio di un accordo secondo cui il territorio curdo rimane formalmente sotto il controllo di Baghdad, ma è di fatto indipendente.  Come del resto è stato dal 2003 ad oggi.
Un successivo attacco dei governativi verso Ebril è stato respinto e, per ora, non è successo altro di importante, ma è chiaro che la guerra non è finita.  Semplicemente i vari contendenti devono riprendere fiato e decidere contro chi combattere.

Il verde indica buoni rapporti, il giallo sostanziale indifferenza ed il rosso ostilità, ma entrambe le tabelle sono molto approssimative perché per ogni incrocio sarebbe necessario un lungo discorso.  Ad esempio, non sono confrontabili l’ostilità della Turchia nei confronti di Israele o dell’Iran, che si imita alla freddezza nei rapporti diplomatici, a quella verso i curdi siriani, sotto attacco militare.

Siria

Prodromi.  La Sira ha sempre sofferto di violente divisioni interne che hanno portato più volte a rivolte  contro la minoranza alawita  al potere.  Tutte rapidamente sedate con alcune migliaia di morti.  Su questo retroterra storico, negli anni 2000 si sono innestati due fatti nuovi: una siccità senza precedenti e il calo della produzione petrolifera al di sotto dei consumi interni.  Questi due fattori hanno fatto precipitare la situazione in tutto il paese.

La fase 1 cominciò nel 2011, con una serie di manifestazioni scatenate da un’ondata di rincari dei generi di prima necessità.  La repressione del regime fu pronta e feroce, ma le proteste si diffusero a gran parte del paese in un crescendo di violenza che divenne guerra civile.  Gli USA cercarono di cogliere l’occasione di intervenire per sostituire Assad con un governo loro tributario, ma non poterono per il veto di Russia e Cina.  Così ripiegarono sul sostegno a diverse milizie ribelli, perlopiù raccolte sotto l’etichetta di ESIL (alias FSA) che, in realtà, riuniva centinaia di milizie perlopiù autonome.  I combattimenti si diffusero a gran parte del paese, mentre gradualmente emergeva come forza ribelle principale Al Nousra: una costola di Al Qaida che conquistò parecchio territorio sia a spese dei governativi, sia a spese di altre formazioni ribelli.

La fase 2 cominciò nel 2014, con la repentina apparizione dell’ISIL (alias ISIS, alias DAESH). Molto rapidamente gli “uomini neri” divennero la forza principale in campo, sconfiggendo ripetutamente sia i governativi che gli altri gruppi ribelli.  Fra l’altro, in questa fase di rapida espansione, l’ISIL conquistò molte posizioni all’ESIL, impossessandosi degli arsenali forniti dagli USA e dagli altri paesi occidentali.
La rapidità e la violenza con cui l’ISIL si impose non è spiegabile altrimenti che con un fortissimo sostegno da parte di una potenza straniera  ed il candidato più probabile è l’Arabia Saudita, magari con il sostegno delle altre petrocrazie sunnite.  Il ruolo attivo della Turchia è più dubbio, ma di sicuro questa non ha mai attaccato seriamente DAESH, se non quando questo era già stato sconfitto e solo per contrastare l’avanzata dei curdi.
Questa fase culminò con la nascita del Califfato.   Un errore strategico mortale che costò la sconfitta e (probabilmente) la vita ad al Baghdadi.  Proclamarsi califfo significa infatti rivendicare un potere diretto su tutti i governanti islamici del mondo. Una cosa dura da digerire anche per i suoi occulti sostenitori che, infatti, cominciarono a sostenerlo sempre di meno.

La fase 3 cominciò fra il 2015 ed il 2016.  Prima con il progressivo rafforzamento dell’intervento occidentale e poi con quello, indipendente ma coordinato, della Russia e dell’Iran.   Gli attentati a Parigi e a Tartus (base russa in Siria), oltre alle atrocità gratuite (commesse anche dagli altri contendenti, ma in maniera meno sistematica e spettacolare) portarono ad una serie di accordi fra la coalizione USA, la Russia, la Turchia e l’Iran.  La guerra di “tutti contro tutti” delle fasi precedenti diventò così una guerra di tutti contro l’ISIL che ne uscì sconfitto, ma non ancora annientato.
Da questa fase i principali vincitori locali sono stati i governativi di Assad ed i curdi. Ma se Assad ha recuperato i due terzi circa del territorio, ha però perso buona parte del suo potere a favore dell’Iran che, tramite Hezbollah, controlla parti strategiche del paese e dal cui sostegno dipende in buona misura la tenuta del governo.
I principali vincitori internazionali sono stati l’Iran (che oramai controlla di fatto parte del territorio siriano), la Russia (che ha rafforzato le sue basi e recuperato un ruolo politico di primo piano nel settore) e gli USA (tramite l’alleanza con i curdi che controllano circa 1/3 della Siria).

La fase 4 è appena cominciata con una sorpresa. Molti si aspettavano una “resa dei conti” fra i governativi sostenuti dall’Iran ed i curdi sostenuti dagli USA, ma la Turchia è intervenuta a sparigliare le carte, attaccando direttamente il territorio curdo.
Nel frattempo, continuano i cobattimenti ed i bombardamenti dei governativi conto le sacche di resistenza in varie parti del paese, così come gli attentati terroristici.

Sviluppi?

In Iraq l’incognita principale riguarda il Kurdistan.  L’unica cosa che trova d’accordo i governi di Turchia, Iran ed Iraq è infatti evitare la nascita di uno stato curdo.  Proprio per questo, gli americani hanno interesse a sostenerlo, ma si trovano in una fase di debolezza politica senza precedenti da cento anni a questa parte.  ”America first”, nell’arena politica globale, è di fatto “America Last” ed i curdi potrebbero pagarne il prezzo.   Inoltre, rimane da vedere se i Barzani ed i Talabani troveranno un accordo  o se combatteranno fra loro; entrambe le ipotesi sono possibili.
Infine, non si parla più della robusta minoranza sunnita che per decenni ha governato il paese (per inciso, anche i curdi sono sunniti, anche se il loro governo è comunista).  E’ già stata sconfitta due volte, ma non è detto che, fra qualche tempo, non ritenti una rivincita.

In Siria, l’attacco turco non solo rimette in discussione tutto il già complicato sistema di alleanza ed inimicizie tra fazioni siriane, ma rimette gravemente in discussione anche i rapporti di alleanza (già molto tesi) fra NATO e Turchia.  Oltre che aprire scenari di una possibile guerra civile in Turchia.

Anche i questo caso, la debolezza americana gioca contro i comunisti curdi che si trovano sostanzialmente soli, ma la politica mediorienatale ci ha abituati alle sorprese.  Per esempio, non è da escludere un accordo fra curdi e governativi per uno status di indipendenza sostanziale, ma non formale.  E se, nel frattempo, la NATO decidesse che della Turchia non c’è più da fidarsi, la posizione di Erdoghan diventerebbe molto spinosa.  Vedremo. Personalmente credo che molto dipenderà da quanto l’offensiva turca miri davvero ad occupare tutto o gran parte del Kurdistan siriano.  Probabilmente, alla NATO stanno discutendo quanti chilometri di Siria concedere all’alleato (ex alleato?).  Non è da escludere che si tratti in gran parte almeno di un bluff in vista delle prossime elezioni che si presentano particolarmente difficili per il “sultano”.

Di tutti gli scenari possibili, il peggiore è infatti quello di un dilagare della guerra in Turchia. In cerca del sostegno dei nazionalisti, Erdogan ha infatti fatto di tutto per rilanciare la guerriglia interna del PKK, ma i curdi turchi sono 18 milioni.   Inoltre, anche se l’epurazione contri i kemalisti ed i goulemisti è stata pressoché totale, ad Istambul e nelle città occidentali la popolarità di Erdogan è ai minimi storici, mentre il suo primato è insidiato anche da destra da Meral Akşener (leader di un nuovo partito nazionalista laico, assolutamente contrario all’islamizzazione voluta dal “sultano”).   Erdogan potrebbe perdere le elezioni, ma potrebbe anche vincerle, con o senza brogli evidenti.  In tutti i casi, la possibilità di una parziale implosione della Turchia non può essere esclusa.
Le conseguenze sarebbero devastanti anche per l’Europa, non solo per la definitiva perdita del bastione medio-orientale, ma anche perché una parte consistente degli 80 milioni di turchi (più 3,5 milioni di rifugiati siriani) cercherebbero riparo da noi.  Abbiamo già deciso cosa fare e come in un caso simile?   Se no, sarà il caso di pensarci.

 

 

Sesto anniversario di guerra in Siria, a che punto siamo?

Il 15 marzo ricorreva l’anniversario dell’inizio della guerra civile siriana.  A che punto siamo oggi?

Premesse ed avvisaglie.

La crisi siriana, come tutte le guerra, ha origini complesse.   Fattori storici, etnici, religiosi, economici e politici si intrecciano con i fattori demografici, ambientali, geologici e climatici. Del resto, rivolte contro il regime degli Assad erano già scoppiate varie volte.   Ad esempio nel 1982 a Hama, da parte dei Fratelli Mussulmani, e nel 2004 a Kamichlié, da parte dei Curdi.   Ogni volta la repressione era stata rapida e violenta; con bilanci variabili fra le decine a qualche migliaio di morti l’ordine pubblico era sempre stato ripristinato.

Alle prime manifestazioni del 2011, sulla scia delle maledette “primavere arabe”, il regime rispose promettendo riforme, ma al crescere della protesta si ritornò alla repressione vecchio stile.  Solo che stavolta la protesta non si spense, bensì si diffuse e montò in tutto il paese.   Finché anche dai ranghi dell’esercito non cominciarono le diserzioni e la crisi divenne una vera guerra.   E le guerre, si sa, sono come il miele sia per le potenze internazionali, sia per parecchi dei paesi vicini che, ognuno con uno scopo diverso, si sono immischiate nel conflitto.
A partire dal 2014, con l’emergere di Daesh come contendente principale, la guerra è debordata nel già martoriato Iraq, saldando i due paesi in un unico conflitto.

Secondo stime ONU, ad oggi la guerra civile siriana ha fatto circa 400.000 morti, quasi 6 milioni di profughi e circa 13 milioni di sfollati interni; circa metà della popolazione.   La traballante economia nazionale è andata, l’infrastruttura urbana e industriale è stata largamente ed irreversibilmente demolita.   Il bilancio per l’Iraq è più difficile a tracciarsi, dal momento che, per questo paese, questa è solo una fase di una ben più lunga guerra iniziata con l’invasione americana del 2003.

Un dettaglio: coloro che erano scesi in piazza nel 2011 volevano riforme e giustizia.   Niente di più e niente di meno.   Ricordiamoci sempre che non possiamo prevedere il futuro.

guerra in Siria

A che punto siamo?

C’è un po’ di casino, vediamo, brevemente, uno per uno i contendenti principali.

Governativi irakeni.
Nel 2014 le avanguardie dell’ISIL scorrazzavano nelle periferie di Baghdad.   Oggi i miliziani neri vendono cara la pelle a Mossul.  Merito soprattutto dell’aviazione USA e delle fanterie iraniane che hanno rimesso insieme lo sbandato esercito governativo ed inquadrato diverse milizie locali.   L’incognita è cosa succederà quando sarà finito l’ISIL.   Ci sarà un’altra guerra fra governo e curdi?  Oppure Baghdad accetterà la partizione di fatto del paese?   Teniamo conto che gli americani patrocinano entrambe le parti (per ora).  Inoltre i curdi irakeni hanno l’appoggio anche militare della Turchia, mentre il governo ha quello dell’Iran.

Governativi siriani.
Sembravano spacciati, ma il massiccio soccorso russo e iraniano ha rovesciato le sorti della guerra.  Oggi Assad controlla nuovamente quasi del tutto le città principali ed il grosso della Siria occidentale.  Ma le decisioni d’ora in avanti non le prenderà lui, bensì i russi ed gli iraniani senza i quali le sue sorti tornerebbero quanto mai fosche.   E pare proprio che a Vladimiro non interessi dare ad Assad molto più di quello che gli ha già dato (v. seguito).   La situazione che si delinea è di una ripartizione in quattro parti: l’est del Paese ad Assad, sotto tutela russa ed iraniana.  Il nord ai curdi, sotto l’egida americana.  L’ovest formalmente al governo, di fatto abbandonato a se stesso.   Una zona cuscinetto ai turchi, lungo il loro confine meridionale.  Per ora, poi si vedrà.

ISIL
Il “Califfato” pare sia allo sbando.   Sta perdendo su tutti i fronti, i suoi canali commerciali sono prosciugati e si moltiplicano diserzioni ed ammutinamenti.   Dovrebbe essere solo questione di tempo, ma se anche finirà l’ISIL, non finiranno l’integralismo islamico ed il sogno di restaurare il califfato.  E’ solo questione di tempo, qualcun’altro ci riproverà, magari altrove, dove e quando meno ce lo si aspetta.

Altri ribelli siriani
Eterogenea accozzaglia di bande armate e milizie locali (oltre 1.500 gruppi combattenti indipendenti censiti nel 2015, oggi molti meno) spesso nemiche fra loro.   I gruppi principali superstiti fanno capo soprattutto alla Turchia, dopo che gli USA hanno deciso di scommettere sui curdi.   Fra i gruppi principali ci sono diverse milizie tribali, ma anche gruppi integralisti, come Al Nousra, molto vicini ad Al Quaida.   Nel 2016 hanno perso molte posizioni, ma tengono ancora dei quartieri in varie città (anche nella periferia di Damasco) ed estesi territori, sia nel nord che nel sud del paese.   Almeno alcuni di questi gruppi hanno beneficiato della protezione dei russi che hanno trasferito i miliziani che si sono arresi, con le famiglie, nella zona di Idlib.   Sorge la quasi certezza che ci sia un accordo con la Turchia per lasciare questa zona a loro.

Turchi
Qui la faccenda si complica notevolmente.   Contro il volere del governo di Baghdad, la Turchia ha inviato truppe in Iraq a sostegno dei Curdi, i quali sono però alleati coi curdi siriani, arcinemici dei turchi.   La Turchia ha poi occupato con reparti propri un ampio saliente in Siria, combattendo sia contro l’ISIL che contro i curdi siriani (patrocinati dagli USA), per impedire a questi di controllare tutto il nord del paese.   Inoltre, la Turchia coltiva rapporti sempre più tesi con gli europei e con gli americani, mentre cerca buone relazioni con la Russia, pur restando nella NATO e senza ritirare la domanda di adesione alla UE.   Probabilmente la guerra serve ad Erdogan soprattutto per spingere il suo  tentativo di ripristinare prima il sultanato e poi, chissà?  Magari anche il califfato.   Il problema è che in questa impresa la guerra è tracimata Turchia dove attualmente operano almeno tre formazioni combattenti indipendenti: curdi, ISIL e comunisti.
Secondo l’ONU, nell’ultimo anno, nel sud del paese, fra attentati, combattimenti e rappresaglie ci sono state un paio di migliaia di morti ed interi quartieri urbani sono stati fatti a pezzi.  Se anche questa non è una guerra civile, ci somiglia molto.   Specialmente considerando che, intanto, fra arresti arbitrari ed epurazioni, parecchie migliaia di turchi sono finiti in galera (fra cui un buon numero di parlamentari) e decine di migliaia sono stati licenziati.   Naturalmente, del “miracolo economico turco” non se ne parla più nemmeno per scherzo.
Alle prossime elezioni la riforma ultra-presidenzialista di Erdogan passerà sicuramente, con o senza brogli, ma cosa succederà dopo è impossibile a dirsi.

Curdi
All’inizio della guerra erano poca cosa ed a Kobane se la sono vista molto brutta, ma in quell’occasione Obama decise di scaricare quel che restava dell’Esercito Siriano Libero ed imbarcare i Curdi.   Da allora le cose gli sono andate bene, tanto da mettere in forse il loro sostegno ad Assad.   Da quando le rispettive avanguardie si fronteggiano sul terreno, la tensione fra curdi e governativi è salita e ci sono stati numerosi scontri.  Ma una vera offensiva per ora no, probabilmente perché nessuno dei due è in grado di farlo senza l’ombrello dei rispettivi protettori.
Proprio in questi giorni, i curdi e gli americani stanno compiendo uno sforzo per tentare di prendere Raqqa (con l’anatema di Assad, ma con la benedizione di Putin). I russi hanno preso Aleppo e gli sciiti (iraniani ed iraqueni) stanno prendendo Mosul.   I curdi (e gli americani) hanno bisogno di un trofeo importante da mettere sul tavolo delle trattative post-belliche.

Iran
L’Iran sostiene i governi sia siriano che irakeno; nel primo caso assieme coi russi e nel secondo con gli americani.  Tipico della politica di Rohani, ma a maggio ci saranno le elezioni e potrebbe ritornare Ahmadinejad, cambiando totalmente il quadro.   Altra incognita: attualmente vigono ancora gli accordi fatti con l’amministrazione Obama, ma cosa farà Trump?   Li manterrà o cambierà le carte in tavola?
Intanto la crisi economica stringe la morsa anche in questo paese.  Chi contava sull’allentamento dell’embargo per cavarsi la ruggine dai denti è rimasto deluso.  Col petrolio a 50$ c’è poco da stare allegri in un paese che campa esportando greggio ed importando benzina e gasolio.
Comunque, sullo sfondo di tutto questo, è evidente lo scontro fra Iran e Arabia Saudita per l’egemonia sulla regione.   Uno scontro che per adesso sta vincendo l’Iran.

Arabia Saudita
Le truppe saudite sono impegnate contro movimenti e milizie sciite in Yemen ed in Bahrein, ma non in Sira ed in Iraq.  Eppure la “petrocrazia” per antonomasia è uno dei principali protagonisti della vicenda.  Con ogni probabilità sono stati infatti i sauditi (ed il Qatar) a far decollare l’ISIL, nel tentativo di impadronirsi dei due stati vicini, ma è gli andata molto male.  Del resto, in Yemen, dopo 2 anni di guerra, sono riusciti a ricacciare indietro gli Houthi, ma non a sconfiggerli.  Mentre stanno distruggendo un paese che era già allo stremo per ragioni demografiche ed ambientali.   Il risultato sono milioni di disperati allo sbando che nessuno vuole, men che meno i sauditi.  Non solo, la guerra yemenita sta tracimando in Arabia ed i sauditi, malgrado abbiamo il 4° bilancio bellico a livello mondiale, sono stati costretti a chiedere l’aiuto del Pakistan per controllare le proprie frontiere.   Una mossa a sorpresa, dopo che l’Egitto, finora alleato di ferro e principale cliente (in senso latino) dei sauditi, si era sfilato.  Magari il petrolio a 50$ e la bancarotta incombente sul regno saudita ci hanno qualcosa a che fare.
Intanto, gli americani cominciano a stufarsi di loro.  Formalmente l’antica alleanza tiene ancora, ma il rapporti sono altrettanto tesi di quelli con la Turchia.   Forse Obama stava pensando di scaricare l’Arabia per imbarcare l’Iran di Rohani, ma bisognerà vedere che succederà ora.

Russia
La Russia voleva mettere in sicurezza la sua base di Tartus e lo ha fatto, potenziandola per l’occasione.   Ha anche colto l’occasione per rilanciare il suo ruolo nel gioco politico mondiale.  Ora però non sembra interessata a continuare la guerra, forse perché gli costerebbe troppo (circa 1 miliardo l’anno).   Così sta trattando con americani e turchi sulla spartizione di quel che resta della Siria.  Di sicuro, fin dall’inizio c’era un accordo con gli altri contendenti, tanto è vero che per 2 anni le aviazioni di una decina di nazionalità hanno operato con solo due incidenti gravi.  Il primo fu l’abbattimento del jet russo da parte dei turchi.  Il secondo fu il bombardamento da parte dei siriani di posizioni curde dove c’erano anche degli americani, fortunatamente illesi.  Non ci hanno più provato.   Ora si sta definendo un accordo più generale, con due grosse incognite: cosa faranno il nuovo governo USA ed Erdogan?   Entrambi totalmente inaffidabili.

USA
Grazie al veto russo e cinese, hanno evitato l’errore di mettere troppo presto i piedi nel ginepraio siriano.  La prima scelta, di appoggiare l’ESL, e’ stata un completo fallimento, mentre l’opzione curda ha dato eccellenti risultati.  Ora si trovano con un influenza ridotta il Iraq (dove primeggiano gli iraniani) e con una rinnovata presenza russa in mediterraneo.   In compenso, controllano tutto il nord della Siria e difficilmente i curdi volteranno la gabbana.  Non gli conviene e devono troppo allo Zio Sam.  Ma sono comunisti ed è Trump che potrebbe piantarli in asso, così come potrebbe fare qualunque altra idiozia.  Tuttavia, per ora, sembra che prevalga il buon senso, specie considerando che della Turchia non si fida più nessuno e l’Iran non si sa ancora cosa deciderà di fare.

Tirando le somme

In estrema sintesi, direi che chi ha sicuramente perso sono i ribelli laici della prim’ora ed i sauditi.  Chi invece ha sicuramente vinto sono gli iraniani ed i curdi. I governi siriano e irakeno hanno vinto pure, ma fino ad un certo punto.  Hanno infatti recuperato parte del territorio, ma sono oramai entrambi sotto tutela iraniana.
I russi hanno vinto, ma hanno bisogno di uscire dal gioco ora che possono farlo “a coda alta”.   Gli americani hanno perso in Iraq, dove hanno però evitato il peggio.  Invece hanno guadagnato qualcosa in Siria.
La Turchia ha perso su tutta la linea.   La sua economia arranca ed un quasi-stato ostile si è formato alle sue frontiere, per di più alleato del loro stesso alleato.  La violenza dilaga in gran parte del paese, mentre Erdogan fantastica di politica “neo-ottomana” quando non riesce più neppure a far funzionare la madrepatria.

Ma la partita è appena cominciata.  Avremo delle sorprese.

Chiosa

A chiosa, propongo questo schemino che, pur essendo estremamente semplificato, ben rappresenta i levantini intrecci della politica medio-orientale.  Chi ama pensare in termini di “buoni contro cattivi” è pregato di non guardarlo.  Anzi, è meglio se non guarda proprio nulla che riguardi la politica.

matrice amici-nemici

TURCHIA: Ataturk è morto, evviva Ataturk!

 

Pillole.

Turchia AtaturkLa Turchia uscì a pezzi dalla I guerra mondiale.  Kemal Pasha (detto Ataturk – Padre dei Turchi) prese il potere con un colpo di stato ed instaurò una dittatura militare che si pose lo scopo di portare quel che restava del defunto Impero Ottomano a far parte integrante dell’Europa occidentale.    Primo passo: laicizzare lo stato, con lo buone o (molto più spesso) con le cattive.   Per essere chiari: Kemal non era un buonista, né un apostolo della democrazia.   Era un uomo molto intelligente ed un eccellente generale che si era posto il problema di come evitare che i resti del suo Paese finissero colonia di una potenza straniera.
Da allora il programma politico delle forze armate turche non è mai cambiato.   Tutte le volte che il governo ha preso una direzione diversa da quella indicata da Ataturk, l’esercito ha riportato la barra al centro (4 colpi di stato, tutti riusciti, fra il 1960 ed il 1997; ogni volta seguiti dopo pochi anni da nuove elezioni e nuovo governo civile).
Fino al 1999, quando la Turchia, all’epoca saldamente kemalista, militarizzata e filoccidentale, fece richiesta di adesione alla Comunità Europea.   Problema: il partito filo europeo era minoritario fra la popolazione, ma dominante nelle istituzioni proprio grazie all’ingerenza dei militari nella politica.   La maggioranza della popolazione turca era e rimane islamista, con varie sfumature.
La prima cosa che l’Europa chiese ai militari turchi per coronare il programma del “Padre dei Turchi” fu di rinunciare alle loro prerogative politiche ed in parte a quelle economiche.   Lo fecero e nel 2003 andò al governo il sindaco di Istambul: un certo Recep Tayyip Erdoğan.
All’inizio si presentò ed agì da perfetto democristiano in salsa islamica: molte chiacchiere sulla religione e le tradizioni, ma la barra saldamente al centro.

Entusiasmo nella UE e nella NATO:  Avevamo in tasca un grande stato mussulmano, economicamente in crescita esponenziale; politicamente amico di Israele e totalmente filo –occidentale.   Ma anche cultore di buoni rapporti con tutti i vicini indipendentemente dal loro orientamento politico, perfino con la Siria e gli stati islamici del “ventre molle” della ex-URSS.   Cosa di meglio?

Non sapremo mai se Erdogan abbia agito fin dall’inizio con un ingegnosissimo piano a lunga scadenza o se si sia montato la testa man man che gli andava bene, ma di fatto nel corso degli ultimi 3-4 anni la sua politica è cambiata in modo sempre più palese ed aggressivo.   Fino a giungere a cacumini di megalomania e ad una spregiudicata manipolazione della forza a sostegno del suo programma oramai apertamente “neo-ottomano”.
Ma l’appoggio mal celato a Daesh (almeno nelle fasi iniziali), l’epurazione progressiva dei kemalisti, le riforme e le dichiarazioni sempre più islamiste, il sostegno a Morsi, la sistematica repressione del dissenso, la censura eccetera non gli avevano ancora dato il potere assoluto.   Neppure aver rilanciato la guerriglia kurda mediante una serie di sapienti provocazioni era stato sufficiente.   Per completare il lavoro bisognava eradicare definitivamente Ataturk “dalla mente e dal cuore” dei turchi, ma senza che se ne accorgessero.

Il tentato “golpe”

golpe turchia
Fonte: www.maurobiani.it ; Autore: Mauro Biani.

C’è stato davvero?   Alcuni sostengono che si sia trattato di una montatura destinata a fornire il pretesto necessario all’epurazione finale dei dissidenti.   Possibile, ma personalmente ritengo che si sia trattato dell’ammutinamento di un manipolo di militari che speravano di provocare una sollevazione generale delle forze armate grazie ad una serie di azioni spettacolari.
Comunque, indipendentemente dalla genesi dell’ammutinamento, esattamente quello di cui Erdogan aveva bisogno per completare il lavoro:   nel giro di pochi giorni sono finite in carcere migliaia di persone, mentre oltre 50.000 sono state licenziate ed è solo l’inizio.   E’ di ieri la notizia della sospensione dei passaporti, di oggi quella della sospensione della convenzione sui diritti umani.   Di fatto, chi è in odore di opposizione od appartiene ad una famiglia sbagliata non può espatriare e si può stare certi che la “caccia alle streghe”proseguirà meticolosamente.
Intendiamoci, non sappiamo quali fossero i veri scopi dell’ammutinamento e se avessero vinto loro avremo ugualmente visto arresti di massa, epurazioni, eccetera.   Tuttavia, nessuno dei 4 colpi di stato realizzati dall’esercito turco dal 1960 ad oggi ha condotto ad una dittatura come quella che sta nascendo dal fallimento di questo “golpe”.
Ufficialmente il “cattivo” è Fethullah Gülen, un altro leader islamista, oppositore di Erdogan ed esule in USA.   Ma guarda caso le istituzioni su cui si è abbattuta la scure dell’epurazione per prima e con più violenza sono quelle tradizionalmente kemaliste: le forze armate, la polizia, la magistratura, la burocrazia ministeriale, la scuola.

Prospettive

La vicenda si inserisce in un quadro già molto difficile per la Turchia.   I tradizionali buoni rapporti con tutti sono un ricordo; attualmente i rapporti vanno dal freddo al pessimo con tutti i vicini.   Il miracolo economico è morto e sepolto, mentre la guerra in Siria, comunque vada, sarà persa dai turchi e dai loro sodali locali.   La guerriglia ed il terrorismo hanno finora fatto il gioco dell’aspirante “sultano”, ma resta da vedere se e come riuscirà a riportarle sotto controllo, dopo averle scatenate.

Gli USA e la NATO continuano ad essere alleati, ma non hanno apprezzato il doppio gioco e si stanno forse preparando a scaricare la Turchia.   L’accordo sottobanco con Russia ed Iran sulla gestione della guerra in Siria e la protezione assicurata finora a Gulen sono solo due dei fattori che dovrebbero preoccupare il governo turco che rischia fortemente di restare fra due sedie, insieme ai Saud che non se la passano niente bene neppure loro.
I rapporti con l’Europa poi sono quanto di più grottesco si possa pensare.   Erdogan ha infatti insistito per continuare ad ampliare trattative; siamo oramai a ben  16 capitoli aperti, senza peraltro averne mai chiuso definitivamente neanche uno.   E questo proprio mentre fra dichiarazioni pubbliche ed azioni, di fatto, la Turchia prende rapidamente le distanze dal nostro continente.
Perché?   Da parte del governo turco, probabilmente, per fingere con la propria popolazione di essere fedele al programma di Ataturk.  Da parte europea, si cerca invece di usare questo strumento per rallentare il processo di costruzione di una dittatura islamista, ma con risultati davvero scarsi!
Insomma, se nessuno ha fretta di scaricare un alleato di questa taglia, nessuno neanche più se ne fida e fervono i preparativi.   In particolare tramite una normalizzazione dei rapporti con l’Iran che da arci-nemico è già passato ad alleato di fatto, almeno nei teatri critici di Iraq e Siria.

Poi c’è la mega-questione dell’immigrazione che Erdogan sta usando per ricattare gli occidentali, incapaci di gestire la questione.   Gli accordi finora non hanno funzionato e, probabilmente, proprio in questo momento la preoccupazione principale delle cancellerie europee è come continuare a fingere che la Turchia sia un “paese sicuro” per servirsene come deposito e filtro di profughi ed emigranti.

Come procederà?   Di sicuro la riforma costituzionale voluta da Erdogan passerà a pieni voti ed egli coronerà il suo sogno di potere.   Chi non è d’accordo farà bene a tenere un profilo bassissimo.
Un altro punto abbastanza certo è che la situazione economica peggiorerà in Turchia più rapidamente che altrove (peggiorerà ovunque) ed il governo si troverà quindi a dover gestire grandi masse di gente impoverita e/o disoccupata, mentre i canali tradizionali dell’emigrazione si andranno stringendo.   In casi di questo genere, accelerare la deriva teocratica è di solito una mossa efficace.   Ma solo sul breve periodo ed è quindi probabille che, prima o poi,  il “sultano” pensi di usare la sua notevole forza militare per uscire dall’angolo in cui si è cacciato.   Non credo che sarà mai tanto pazzo da usarla contro di noi e forse non uscirà nemmeno dalla NATO, ma la prospettiva di una grande guerra fra Turchia e Arabia Saudita da un lato, Iran dall’altro diviene sempre più concreta.

Turchia colpo di stato
“Il golpe è stato un dono di Dio”

La Turchia moderna è nata da un colpo di stato militare riuscito ed è morta con un colpo di stato fallito.   Adesso comincia un’altra storia, completamente diversa.

Golpe? Quale golpe?

ANSA/cp
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Benché Crisis lavori a bassa intensità in questi giorni, con la redazione in altre e varie attività affaccendata, due righe sul tentato golpe in Turchia ci stanno tutte. Poiché gli analisti si sprecano, qui solleviamo solo alcune domande. Intanto la prima è ovvia: Cui prodest? Che Erdogan abbia scombussolato la posizione internazionale della Turchia, sconvolgendo equilibri che sembravano consolidati, è un fatto. Come? Ad esempio: rompendo la storica vicinanza con Israele, riallacciando stretti rapporti con i vari stati e dinastie sunnite, riprendendo una vera e propria campagna di sterminio nei confronti degli indipendentisti curdi (pkk in primis) con tanto di immunità concessa ai militari, comprese le temute e sanguinarie milizie locali per gli atti compiuti durante la loro missione.  Infine, l’ovvia condiscendenza nei confronti dell’Isis, di cui ha permesso l’ascesa, mantenendo aperti i corridoi verso il confine con la Siria (con contorno di malversazioni di famiglia sull’import/export di armi&petrolio) tenendo invece chiuse quelle verso il Kurdistan  siriano, proprio mentre l’Isis cercava di fare tabula rasa di ogni singolo villaggio o città e dei suoi abitanti. In generale è evidente la deriva islamista, nazionalista e populista. A parte i militari, da sempre garanti dello Stato laico di Ataturk bla bla bla (comunque tre golpe in sessanta anni non sono uno scherzo), l’intera faccenda ha dato parecchi grattacapi al resto della NATO. Senza contare che, visti i risultati sul campo e la situazione di fatto creatasi, uno stato cuscinetto curdo, comunque declinato, appare come l’unico possibile elemento di stabilizzazione nell’intricatissimo marasma tra Siria, Turchia ed Irak che si preannuncia nel dopo Isis. Con Erdogan al potere questo era chiaramente impossibile. Con la Turchia attraversata da un conflitto interno… Beh, almeno avrebbero smesso di bombardare i villaggi curdi d’oltreconfine.

Quindi: cui prodest? Beh, magari alla NATO. Certo Erdogan la pensa così, visto che ha accusato Gulen un ex amico rifugiato negli USA, di essere dietro il golpe (il che è il massimo che può fare senza accusare direttamente gli USA).

Che almeno un pensierino la NATO l’avesse fatto, lo dimostrerebbe il rifiuto plurimo ad atterrare, che avrebbe fatto vagare Erdogan per un paio di ore per i cieli d’Europa, appeso al suo smartphone, proprio nei primi e cruciali momenti del golpe.

Mentre scrivo, pare che Erdogan, dopotutto, stia riprendendo il controllo. Seguiranno purghe, epurazioni ed ulteriore riduzione delle già scarse libertà in Turchia. In pratica un’ulteriore scivolata verso una Turchia re-islamizzata e simpatizzante dei vari movimenti “estremisti” nel mondo.

A quanto pare prodest anche a lui.

Che dire? Non ci sono più i golpisti di una volta…