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CONFINI – 2 – Globalizzazione, ovvero la scomparsa dei confini

Abbiamo visto (link) che qualunque sistema, di qualunque taglia e natura, necessita di una delimitazione che serve a controllare gli scambi fra ciò che è “dentro” e ciò che è”fuori”.  La dimensione e il grado di permeabilità di questa barriera devono necessariamente cambiare nel tempo, per adattarsi al divenire dalla situazione sia interna, che esterna al sistema in esame.  Pena la disintegrazione.

Nascita degli stati e degli imperi.

cacciatori di testePassando ad osservare le società umane, vediamo che, fin dall’inizio, ogni clan o piccola tribù ha costituito un sistema (perlopiù formato da sotto-sistemi familiari), facenti parte di sistemi più grandi (popoli ed umanità).  A loro volta parte della Biosfera e così via.
I limiti erano costituiti da barriere genetiche (grado di parentela), ma più spesso da limiti immateriali come quelli culturali (lingua, religione, faide, ecc.).  A questi si associavano spesso (ma non sempre) anche limiti materiali, ad esempio geografici.

Abbiamo però visto che i sistemi più grandi e complessi sono più efficienti nell’estrazione delle risorse e nella dissipazione dell’ energia.  Ad esempio, sempre parlando di società primitive, una tribù più numerosa si può permettere persone specializzate come artigiani, guerrieri e sciamani.  E questo le può consentire di prevalere sui vicini, raziandoli; oppure eliminandoli per estendere il proprio territorio.

Vi è quindi un vantaggio notevole nella collaborazione ed integrazione fra sistemi diversi.  Una progressiva integrazione che, man mano che cresce, rende progressivamente più permeabili i confini dei sotto sistemi, rafforzando di conserva il confine comune che si va formando.
Ricordate la foglia?  Le cellule perdono buona parte della loro individualità, costituendo tessuti ed organi.   In questo modo, ogni cellula perde qualcosa in termini di “sovranità”, ma guadagna parecchio in termini di una maggiore e più regolare disponibilità di energia ed alimenti.   Un’alga monocellulare può sfruttare una frazione di millimetro cubo di acqua.   Un albero può sfruttare migliaia di metri cubi sia sopra che sotto terra.   Può anche usare la porpria ombra per uccidere altre piante concorrenti e, viceversa, favorire organismi che gli sono utili.

Analogamente, un clan familiare di contadini autosufficienti può sfruttare un paio di ettari di terra, usando attrezzi di legno e di pietra.  I grandi imperi della storia hanno costellato il Pianeta di meraviglie.

Vantaggi e svantaggi dell’integrazione

Dunque, il punto qui è che un sistema più ampio permette una maggiore abbondanza e regolarità nei flussi di materia e di energia sia in entrata che in uscita.

Per esempio, nelle economie locali semi-autosufficienti bastano due-tre cattivi raccolti di seguito, oppure una calamità importante, e la gente comincia a morire di fame.   Mentre lo sviluppo dei commerci e dei trasporti su grande scala e distanza, così come la nascita di grandi stati e potenti organizzazioni sovra-nazionali,  rendono possibile far affluire nelle zone di crisi il surplus di altre.

Il rovescio della medaglia è però che, in questo modo, ogni sotto-sistema dipende da altri.   Trattando di società umane, la perdita di sovranità è il prezzo da pagare per aumentare le proprie potenzialità di difesa, di crescita e di contenimento delle crisi.

Sempre parlando di società umane, aumentare la complessità significa anche la nascita e lo sviluppo della specializzazione professionale e, di conseguenza, delle classi sociali.  Man mano che i confini interni si erodono, aumenta infatti la produzione complessiva di beni e servizi, ma questi non sono mai ugualmente distribuiti, in nessuna società complessa.   Ed il livello di ineguaglianza tende a crescere con le dimensioni del sistema ed il suo grado di integrazione.   L’Impero Romano di Traiano, fortemente integrato e centralizzato, era molto meno egalitario dell’Impero Carolingio, basato su una miriade di capi locali legati fra loro da un giuramento. Ovviamente, non è questo l’unico fattore, ma è una tendenza.

In pratica, le sperequazioni presenti fra i sistemi separati che si integrano tendono a sparire, mentre ne sorgono altre, diversamente distribuite.  Per questo, la creazione degli stati nazionali ha richiesto l’eliminazione, spesso violenta, delle società precedenti.  Per fare un esempio, la formazione della Francia, fra Luigi XIII e XIV, ha comportato la sostituzione di gran parte della classe dirigente di tradizione feudale con un’altra formata da burocrati e proto-capitalisti.  Mentre la formazione della Francia moderna è passata attraverso il Terrore e le guerre napoleoniche.

Un esempio di natura diversa, ma analogo, è lo sviluppo del capitalismo industriale che eliminò ogni traccia delle tradizioni che davano identità e resilienza alle classi popolari.  Queste si adattarono, creando un nuovo confine culturale: l’identità della classe operaia.  Il capitalismo finanziario ha eliminato anche questa.   Il primo passaggio era stato ampiamente previsto da Marx ed Engels, il secondo assolutamente no.

In sintesi, l’integrazione di sotto-sistemi in sistemi maggiori comporta un vantaggio complessivo, ma necessariamente questo avviene a danno di alcuni elementi, per il maggior vantaggio di altri.   Un “effetto collaterale” che può essere fortemente mitigato scaricando i danni ad altri soggetti esterni.  Finché questi soggetti sono altre società umane, la cosa è crudele, ma sostenibile.  Quando il “soggetto esterno” è invece la Biosfera (come di norma, almeno in parte) è più problematico.  Infatti, anche se siamo abituati a considerare la Biefera come esterna al nostro sistema socio-economico, è invece il nostro sistema umano ad essere interno all’ecosistema globale.  In altre parole, danneggiando la Biosfera necessariamente danneggiamo noi stessi.

Il pericolo più insidioso è quindi che la maggiore crescita economica e demografica che accompagna la complessità metta sotto crescente stress il sistema maggiore di cui le società umane fanno parte (ecosistema e financo la Biosfera).   Ci torneremo.

Internazionalizzazione

confini - InternazionalizzazioneNel XVIII secolo, i principali stati europei avevano raggiunto un notevole grado di integrazione interna, ma il commercio internazionale era assai limitato.  Lo sviluppo di questo fu indicato da David Ricardo e dagli altri padri dell’economia liberale come una delle chiavi di volta per la crescita economica ed il progresso.   In estrema sintesi, si sostenevano due punti fondamentali.

Il primo è quello già citato della possibilità di sopperire con il surplus di alcuni alle carenze di altri.

Il secondo era che i diversi paesi e le diverse regioni hanno vocazioni produttive diverse.   Per esempio, in Sicilia si fa del vino migliore che nello Shropshire, mentre le pecore inglesi producono una lana migliore di quella siciliana.   Parimenti, i giacimenti di minerali e le fonti energetiche (all’epoca soprattutto il carbone) non sono uniformemente distribuiti.  Rendere i confini statali più permeabili alle merci  poteva quindi consentire ad ogni paese di specializzarsi nelle produzioni per le quali era più vocato, aumentando l’efficienza e quindi la ricchezza complessiva delle popolazioni.  Inoltre,  aumentando il grado di interdipendenza, diminuiva il rischio di conflitto.

Una teoria coerente con quello che oggi sappiamo sulla dinamica dei sistemi e, difatti, ha sostanzialmente funzionato, anche se non sempre così bene come Ricardo sperava.

Europeizzazione

confini paesi_unione_europeaLa formazione di una struttura sovrastatale europea ha seguito una schema analogo, ma con alcune importanti novità.  Tanto per cominciare, l’integrazione è avvenuta in modo volontario, sulla base di trattati approvati dai parlamenti nazionali e non, come di solito avviene, tramite un’invasione militare e/o l’imposizione di una nuova classe dirigente.

Un secondo punto importante è che, fino al 1995, l’integrazione è avvenuta in modo molto graduale.

Il terzo è che non ha riguardato solo accordi commerciali, ma che politici.  Di conseguenza, la permeabilità dei confini è cresciuta non solo nei confronti delle merci, ma anche delle persone e dei capitali.

Come in tutti i processi di trasformazione, anche questo ha avuto i suoi perdenti, ma nel complesso, l’Europa occidentale è diventata la società di gran lunga più prospera e pacifica dell’intera storia dell’umanità.  Un dato di fatto che è di moda dimenticare.

Con l’integrazione dei paesi dell’ex-impero sovietico (nel 2004 e nel 2007) furono invece commessi diversi errori.   I due principali penso che siano stati la scelta sbagliata dei valori fondanti e la fretta.   I valori fondanti di Coudenhove-Kalergi e, successivamente, di Shuman, de Gasperi e gli altri “padri fondatori”  erano soprattutto la fine delle guerre in Europa e lo sviluppo di una società liberale.   Viceversa, negli anni ’90 e 2000, fu in nome del benessere materiale che società ed economie furono sconvolte nel giro di pochi anni.   Ovviamente, il contraccolpo generò una serie di squilibri che siamo lontanissimi dall’aver recuperato.

Globalizzazione

confini - globalizzazioneMa in quegli anni, tutto questo era invisibile per una classe dirigente completamente ebbra di vittoria (in occidente). Oppure completamente sedotta dalla prospettiva di una facile ricchezza (in tutti gli altri paesi).

Sorse così l’idea di estrapolare un processo simile a quello europeo a livello mondiale. Era nata la globalizzazione.   Nei sogni dei suoi promotori, avrebbe dovuto integrare tutti i paesi della Terra in un unico mercato, governato da organismi internazionali indipendenti e sovraordinati agli stati.  Col tempo, si diceva, ciò avrebbe portato anche ad un’unica società, con un’unica lingua, un’unica cultura, un unico governo, eccetera.  L’intera umanità finalmente affratellata in una sorta di villaggio globale grazie al commercio ed alle nuove tecnologie.

Sappiamo che è andata diversamente per una lunga serie di fattori. Limitandoci qui al punto di vista sistemico, si può però dire che è accaduto esattamente quello che ci si poteva aspettare.

Nell’internazionalizzazione, capitali e persone rimangono ancorati al loro luogo d’origine. Ciò significa che chi si arricchisce con il commercio internazionale è costretto a investire nel proprio paese e questo, almeno in linea di principio, crea lavoro per la popolazione locale che è anch’essa vincolata al proprio territorio.  Non solo; i capitalisti si posso arricchire a dismisura, ma non possono lasciare il proprio paese, pena perdere tutto.  Inoltre, se si rendono sufficientemente odiosi, potrebbero anche subire delle conseguenze molto sgradevoli, come molte volte è effettivamente accaduto nella storia.

Jacopo Simonetta - PaneuropaNell’europeizzazione i confini dei singoli stati veniìvano progressivamente erosi, ma contemporaneamente si formava e rafforzava un confine esterno comune.  In pratica, anche se il processo di europeizzazione e quello di globalizzazione vengono spesso confusi, sono intrinsecamente antitetici.

Gli accordi di globalizzazione permettono lo spostamento ovunque sia dei capitali finanziari, sia del capitale culturale (in particolare know-how e tecnologie). Permettono altresì ai capitalisti di spostarsi quasi liberamente da un luogo all’altro in quello che, per loro, è effettivamente un villaggio globale.   E permettono anche lo spostamento di masse di manodopera, creando un mercato globale del lavoro che, in pratica, diventa un sistema di crumiraggio mondiale.

Paradossale ed istruttivo è il fatto che la UE e gli USA furono fra i principali promotori di questa follia planetaria.   Senza rendersi conto che  i loro stessi confini ed i loro stessi sistemi socio-economici sarebbero stati  fra quelli che avrebbero subito il contraccolpo maggiore.   In un processo di integrazione rapida a tutti i livelli, ci sono infatti necessariamente sotto-sistemi (regioni, gruppi di persone, imprese, o altro) che avranno il più dei vantaggi, se non tutti.  Mentre altri soggetti avranno gli svantaggi corrispondenti.  In altre parole, si crea un mondo di vincenti e perdenti assoluti.  E dovremmo sapere tutti da un pezzo che la civiltà industriale è un “gioco” in cui chi ha le manifatture vince, chi ha le cave, le miniere e le discariche perde.  Esattamente quello che, guarda caso, è accaduto.   Nessuna sorpresa.

Il seguito, al prossimo post.