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Qualunquismo, Populismo e Fascismo.

di Jacopo Simonetta

Qualunquismo, Populismo e fascismo sono tre parole spesso confuse ed indifferentemente usate come insulti.  Non essendo un politologo, propongo qui una mia riflessione personale che non pretende certo di essere né completa, né esatta.   Anzi, se qualcuno avrà da precisare, correggere e discutere, meglio!  Lo scopo di questo blog è proprio quello di stimolare la discussione.

Populismo.

Ne ho parlato in un mio vecchio post cui rimando.  Qui vorrei solo ricordare che i movimenti ed i partiti populisti nacquero agli albori della rivoluzione industriale e si svilupparono fino a i primi del XX secolo, quando furono definitivamente sconfitti dai liberisti in alcuni paesi e dai comunisti in altri.
Talvolta spacciati per rivoluzionari, i populisti erano piuttosto dei conservatori che si opponevano in tutti i modi sia al capitalismo moderno, sia al comunismo.  Furono invece strenui difensori del lavoro artigianale ed agricolo, rifiutando sia la salarizzazione del lavoro, sia la  collettivizzazione dei mezzi di produzione.
Per loro, la società avrebbe dovuto essere radicalmente ristrutturata sulla base delle autentiche ed antiche tradizioni popolari.  Insomma, un estremo tentativo di rivalutare “Il costume antico” e la “common decency” che erano state fondamento della società civile nei secoli precedenti.
Tipici frutti di questi movimenti furono le società di mutuo soccorso, le fratellanze ed anche varie società segrete, talvolta intersecate con la Massoneria che, però, nel suo insieme fu invece un’organizzazione di impostazione liberale e progressista.

Fascismo.

Esistono biblioteche su questo argomento.  Qui vorrei solo precisare che uso questo termine in senso generico di “movimenti e partiti di tipo fascista” e non solo del partito di Mussolini che ha una sua storia precisa e particolare.
In estrema sintesi, direi che rappresentano la perversione del populismo in quanto basano anch’essi la loro retorica sul richiamo ad antiche tradizioni.   Ma mentre le tradizioni cui si riferivano i populisti di 50 o 100 anni prima erano ancora almeno in parte vive, le “tradizioni” cui si riferivano e si riferiscono i fascisti (sensu lato) sono in gran parte di fantasia.  Penso, ad esempio agli Ariani ed ai Turanici che non sono mai esistiti, ma anche la “romanità” mussoliniana aveva ben poco a che fare con la romanità storica.
Una lettura delle opere di Julius Evola è, credo, emblematica in questo senso.   Dall’inizio alla fine sono un peana ad un’atavica tradizione ben chiara nella sua mente, ma di cui non si trova traccia nei documenti antichi e nei resti archeologici.
All’atto pratico, i governi di tipo fascista si sono sempre contraddistinti per la creazione di regimi totalitari, per la capacità di trovare dei comodi compromessi con il grande capitale e per l’attitudine a precipitare i rispettivi paesi in guerre devastanti e puntualmente perse.  Con l’eccezione di Franco che, da militare avveduto qual’era, preferì litigare con Hitler (nel 1940), piuttosto che imbarcarsi in una guerra che sapeva sarebbe stata perduta.

Qualunquismo.

Anche il termine “qualunquista” è stato ed è ampiamente usato come insulto, ma ha un origine diversa .   L’ “Uomo Qualunque” nacque infatti nel 1944 come giornale; il logo raffigurava un tizio strizzato dai poteri forti in un torchio per estrarne dei soldi.  Il motto era: «Questo è il giornale dell’uomo qualunque, stufo di tutti, il cui solo, ardente desiderio è che nessuno gli rompa le scatole».

Il foglio ottenne un notevole successo, usando una satira spesso grezza ed insultante; fra l’altro storpiando i nomi dei politici in maniera ridicola.  Ad esempio, Calamandrei (capogruppo del Partito d’Azione) divenne “Caccamandrei”, Salvatorelli (giornalista) divenne  “Servitorelli”, Vinciguerra (deputato socialista) divenne “Perdiguerra” e così via.
Nel 1946 il movimento divenne un partito: il Fronte dell’Uomo Qualunque, mantenendo però l’impianto e lo stile del  suo giornale.  Subito odiato da tutti gli altri partiti, fu spesso tacciato di essere una riedizione del disciolto Partito Nazionale Fascista.  Ma anche se un certo numero di fascisti vi confluirono, la forza del Fronte fu proprio quella di saper raccogliere e dar voce agli scontenti e ai delusi di tutte le tendenze: dai monarchici ai liberali, dai fascisti ai socialisti.  La sua impostazione generale era liberale e libertaria, basata su pochi punti chiave:

  • Lotta a tutte le ideologie politiche, a partire dal fascismo ed dal comunismo.
  • Lotta alla “partitocrazia” (termine che comparve proprio in quell’epoca).
  • Lotta al grande capitale, in particolare alla grande industria, ed alla sua ingerenza in politica.
  • Sostegno alla piccola impresa, agli artigiani, commercianti, impiegati, contadini e, in generale, all’ “uomo della strada”, visto come  abituale vittima delle strutture di potere.
  • Riduzione delle imposte.
  • Lotta all’ingerenza del potere pubblico nella vita privata dei cittadini. Lo stato doveva essere un semplice amministratore che  fornisce i servizi essenziali con il minimo indispensabile di prelievo fiscale.

Non sono certo il primo a cogliere delle analogie con un’altro partito che oggi va per la maggiore.  Se altri sono dello stesso avviso, saranno forse interessati a sapere come andò a finire. Presto detto:  male.
Alle amministrative del 1969 l’Uomo Qualunque ottenne il 4% circa su base nazionale, ma in Italia meridionale fece il 15-20% a seconda delle circoscrizioni, fino ad oltre il 30% a Messina.   Alle successive elezioni per l’Assemblea Costituente andò ancora meglio ed ottenne ben 30 deputati.   Dunque una buona partenza per un partito che aveva tutti contro e che, per la sua propaganda, disponeva solo di un giornale autofinanziato.   Ma già un anno dopo, l’avvicinamento del fondatore e capo del partito (Guglielmo Giannini) al governo de Gasperi gli giocò buona parte della popolarità e le successive evoluzioni politiche fecero peggio, finché il partito fu sciolto nel 1953.

Tirando le somme.

Come ho più volte sostenuto, la definizione di “populista” in uso oggi è profondamente scorretta.  Casomai, il M5S ed altre formazioni simili in Europa potrebbero essere assai meglio definite come “qualunquiste”, nel senso originale del termine.   Anche per distinguerle dai movimenti e dai partiti autenticamente neo-fascisti o neo-nazisti che pure proliferano e che pure vengono impropriamente definiti “populisti”.
Certo, una parziale commistione c’è (come ci fu per con l’UQ), ma il fatto che dei fascisti votino M5S non significa che il partito sia fascista.
Non per ora, ma se davvero i 5S andranno al governo si aprirà una grossa crisi al suo interno.   Già le prime manovre post-elettorali e l’elezione della Castellati alla presidenza del Senato hanno allarmato parte dei suoi sostenitori e non potrebbe essere che così.
Il “Partito degli scontenti” funziona bene finché si è all’opposizione, ma quando si va al governo il rischio di scontentare gli scontenti è estremamente alto. Soprattutto in un contesto come quello attuale in cui i margini di possibile miglioramento sono oggettivamente esigui, mentre quelli di possibile peggioramento sono assai vasti.
Un forte indizio in questo senso è che fra le poche città importanti in cui i “grillini” hanno perso ci sono Roma, Livorno ed altre in cui avevano vinto a mani basse le amministrative precedenti.

Secondo me, la forza dei 5S oggi, come dell’UQ ieri, è quella di essere stato capace di raccogliere consensi da ogni parte, ma mantenere un equilibrio simile stando al governo sarà molto più difficile.
Vedremo.

Vittoria! Vittoria?

Nota preliminare: In queste pagine userò il termine “fascistoide” come sinonimo di “Partito o movimento di estrema destra”, per distinguerli dai partiti fascisti storici che hanno caratteristiche loro proprie, almeno in parte diverse da quelle di molte formazioni dell’estrema destra attuale. Inoltre, non ho utilizzato il termine alla moda di “populisti” per rispetto dei movimenti autenticamente populisti del XVIII e XIX secolo che ebbero una dignità ed una valenza politica che nessun partito attuale neppure si sogna.

Tutto cominciò con la brexit.

Nonappena la vittoria del “leave” cominciò a delinearsi sugli schermi, i promotori del referendum entrarono in uno stato di panico. Nelle aspettative di Farage e soci avrebbe dovuto vincere di stretta misura “remain”, in modo da mantenere ingessato lo status quo e permettere loro di continuare con la consueta sceneggiata. Cosa non aveva funzionato nei loro calcoli? Probabilmente parecchie cose, ma principalmente avevano sottostimato il potere combinato della delusione e della rabbia sulla maggioranza degli elettori. Un fatto questo importante perché cavalcare la delusione e la rabbia (peraltro largamente giustificate) sono la cifra che accomuna i movimenti fascistoidi di tutta Europa e non solo.
Per questo, nelle settimane immediatamente successive il voto inglese, le cancellerie europee si sono rese conto che nel 2017 cadevano una serie di scadenze elettorali critiche fra cui le politiche in Austria, Bulgaria, Olanda, Francia e Germania. Un crescendo che, se fosse scattato il tanto temuto “effetto domino”, avrebbe disintegrato l’UE nel giro di pochi mesi.

Vittoria?

Sappiamo come è andata finora. In Austria, Bulgaria, Olanda e Francia i candidati dell’estrema destra hanno perso. In Germania stagnano in basso nei sondaggi. Vittoria dunque?
Si può dire che la prospettiva di un’implosione della UE è quantomeno rimandata a data da destinarsi, ma a ben vedere chi non ama l’estrema destra non ha molto di cui rallegrarsi. In Austria le presidenziali sono state vinte di strettissima misura da un vecchio residuato di quando l’ambientalismo era una forza politica importante. In Bulgaria ed in Olanda sono stati confermati i candidati governativi, che però non hanno mai dato gran prova di sé. Tanto che il loro margine di vantaggio sull’opposizione fascistoide si è comunque ridotto sensibilmente.
La Francia era un pericolo maggiore per l’importanza e la posizione del paese. La netta vittoria di Macron è stata una brutta sorpresa per la signora LePen che puntava ad un finale “al fotofinish” in stile austriaco. Tuttavia il pericolo è solo posticipato e neanche di molto. Un pericolo anche maggiore è infatti rappresentato dalle prossime elezioni in Germania.
Qualcuno si stupirà. Nella patria dei crauti entrambi i maggiori partiti in lizza si dichiarano apertamente europeisti e la maggior formazione di estrema destra, Alternativa per la Germania (AfD), non dovrebbe superare il 10%. Dunque perché preoccuparsi? Perché l’ottusità ed il provincialismo testardamente dimostrati dalla cancelliera uscente sono state proprio, il volano che ha fatto crescere l’eurofobia in tutto il continente. Con l’elezione di Junker, la “scomparsa” di Hollande e la rinuncia di Renzi ad un qualche ruolo a livello europeo, la Merkel si è assicurata un ruolo assolutamente egemone nella UE. In più di un’occasione importante è stato chiaro che le decisioni le prendevano lei ed il suo fido Schauble, alla faccia delle istituzioni comunitarie.
A partire dallo scoppio della crisi, mai conclusa, del 2008, la cancelliera ha usato questo potere per condurre una politica decisamente euroscettica nel senso autentico del termine. Vale a dire che ha usato gli strumenti comunitari in funzione esclusivamente o quasi degli umori dell’elettorato interno tedesco. E fra tutti i gravi danni fatti all’Europa, sicuramente il peggiore è stata la crisi greca. Un disastro voluto e perseguito dal governo tedesco senza che gli altri paesi, pur potendo, facessero nulla; e senza rendersi conto che così si stavano picconando le fondamenta stesse del mito europeista.
Oggi, una nuova vittoria della cancelliera uscente appare più che probabile, ma sarebbe una tragedia senza riparo. Altri 4 anni di Merkel-Schauble e un’ondata di governi fascistoidi in tutt’Europa sarà inevitabile. Non perché aumenteranno i veri fascisti, ma perché aumenterà il livello di frustrazione fino ad un punto in cui non ti interessa più che il tuo candidato menta platealmente o farnetichi di cose impossibili. Ti interessa solamente rovesciare il “sistema”. Costi quel che costi. E può costare moltissimo.

Il cambiamento.

Che le cose in Europa vadano molto peggio di 10 anni fa è un fatto. Come è un fatto che i governi e le classi dirigenti in genere hanno commesso una serie molto lunga di errori molto gravi. Ma come dice un vecchio adagio: “non c’è mai limite al peggio”.
Il punto più pericoloso è che mentre ci sono governi che per consolidarsi hanno bisogno di mostrare qualche successo, ve ne sono altri che si rafforzano proprio mediante il costante peggioramento della situazione. E funziona. Forse l’esempio attuale più spettacolare in questo senso è quello di Recep Erdogan. Quando salì al potere per la prima volta nel 2003, la Turchia era nel pieno di un mirabolante “miracolo economico”, godeva di rapporti preferenziali con le maggiori potenze planetarie, ottime relazioni con tutti i paesi confinanti e molto altro ancora. Oggi in Turchia ci sono migliaia di morti all’anno (circa 10.000 dal 2015, pare) fra attentati, bombardamenti e sparatorie. Decine di migliaia di persone sono vittime di arresti arbitrari e maltrattamenti, mentre centinaia di migliaia sono state licenziate perché sospettate di essere contrarie al regime. Molti parlamentari di opposizione sono in galera, la crisi economica morde, gli investitori fuggono, i rapporti internazionali sono appesi ad un filo, internet e la stampa sono pesantemente censurate, eccetera. Ma tutto ciò non ha impedito al nostro di vincere un referendum che gli concede un ulteriore, consistente aumento di potere, praticamente a vita.
In tutto l’Occidente, la lista dei partiti e dei movimenti che si candidano a “ripulire e rinnovare” la politica è lunga. Ma l’esperienza ci dovrebbe aver insegnato che può essere molto difficile, lungo e doloroso licenziare un “uomo forte”. Anche in Italia è già successo.

E dunque?

E dunque l’unica possibilità di uscire dalla trappola è che partiti e leader non legati a movimenti di estrema destra capiscano che il loro compito non è quello di continuare a difendere una linea politico-economica fallimentare. Bensì quello di gestire una decrescita non felice, ma inevitabile; mitigandone gli impatti e facendo capire a più gente possibile cosa sta succedendo e perché. Quand’anche ciò risultasse impossibile, in fondo, la maggior parte dei cittadini chiede cose perfettamente legittime:

1 – Uno stile sobrio da parte di uomini e donne al potere.

2 – Combattere efficacemente la corruzione a tutti i livelli.

3 – Ridurre le sperequazioni eccessive fra i redditi troppo alti e quelli troppo bassi. Visto che alzare i redditi bassi è, oggettivamente, difficile e forse impossibile, bisognerebbe ridurre quelli troppo alti.

4 – Riprendere il controllo delle frontiere. Cioè stabilire quanta e quale gente, a quali condizioni può entrare e restare. Insomma, un ragionevole punto di equilibrio fra il “tutti” ed il “nessuno” proclamati dalle propagande contrapposte.

Non sembrano cose impossibili, a condizione che si prendano provvedimenti idonei in tutti i paesi UE contemporaneamente. É infatti chiaro (o dovrebbe esserlo) che nessuno dei paesi europei da solo potrebbe oggi perseguire questi risultati con un minimo di probabilità di successo. Non ne avrebbe la forza politica, né i mezzi pratici.
Qualcosa forse comincia a muoversi, proprio grazie alla scelta inglese ed alla paura suscitata dall’elezione di Trump. Non rimane molto tempo e le prospettive non sono incoraggianti, ma questo turno elettorale, finora, ci ha concesso altri 4-5 anni di tempo per fare qualcosa. Certo, il declino della civiltà industriale non sarà fermato né così, né in altro modo, ma forse riusciremo ad evitare di aggiungere il male al malanno.

studiare la storia

“Coloro che non studiano la storia sono condannati a ripeterla.   Coloro che la studiano sono condannati ad osservare impotenti gli altri che la ripetono”.