La Cittadinanza, a reddito.

Come avrete visto, ho evitato, con cura e come la peste, di infilarmi nel BLABLABLA precedente e successivo alle elezioni di quasi due settimane fa. L’ho fatto a ragion veduta, perché nei bailamme sarebbe stato impossibile dire qualcosa di appena un poco sensato. Abbassato il polverone, in attesa di capire SE nascerà un pateracchio con il Pd, uno con la Lega o si deciderà per il seppoku alla scala di paese, ovvero per tornare alle elezioni, Una cosa che avvantaggia i partiti tradizionali e forse il M5S, e sfavorisce la Lega.

Nell’ambito dei punti del programma M5S sui quali, all’improvviso, sono tutti molto o parecchio d’accordo, si parla, non poco, del reddito di cittadinanza.

Se ne parla in termini di costo ( ci costa troppo/ci costa poco/recupereremo i soldi qui&li, la lotta all’evasione etc etc etc) e se ne parla in termini di giustizia sociale. Se ne parla per confronto, se ne parla per metodo, se ne parla per approccio ideologico…bla&bla.

Non se ne parla, secondo me, nel modo più importante. Ovvero come recupero di senso di cittadinanza, di comunità, come rinnovato patto sociale, come necessario primo passo nella direzione, praticamente obbligata, di uno scollegamento tra reddito (di base, almeno) e produttività. Ripeto, per i duri di comprendonio/distratti: scollegamento tra reddito e produttività.

Una cosa ovviamente aborrita dagli economisti anzi: da TUTTE le scuole di economia non Socialiste , perché implica il collasso di alcuni fondamentali postulati tra i quali il prevalente è che il lavoro è una merce, con un suo valore di mercato, come le altre e che alterare il valore di questa merce crea disastri.  esemplifiachiamo le due posizioni tipiche: dare un reddito permanente alza l’asticella per i redditi da lavoro, perché ovviamente è più comodo accontentarsi che cercare lavoro. Stracciamento delle vesti da parte dei confindustriali.

Eh, no: il reddito fisso spinge a cercare ed accettare anche lavori sottopagati, perché il reddito fisso sussidia le paghe da fame, vedasi minijob tedeschi. Stracciamento delle vesti degli economisti di sinistra. ( è tutto un coNplotto della ca$$ta).

Benché queste idee siano state fortemente opinabili da sempre ( il buon Keynes a cui devono proprio fischiare tanto le orecchie in questi giorni lo sosteneva già oltre ottanta anni fa) lo sono certamente oggi, al raggiungimento dei limiti naturali del pianeta ed all’approssimarsi della crisi del debito, sovrano e sistemico.

Il lavoro è una merce abbondante e lo è sempre di più ed in tutto il mondo, perché l’aumento della produttività copre l’aumento della domanda ( quando c’e’, visto che in Europa e negli Stati Uniti, questo aumento è completamente finanziato dal debito, pubblico e privato).

D’altronde ogni singolo giorno circa altri 200.000 esseri umani si preparano ad entrare nel mondo del lavoro, QUINDI, benché la crescita esplosiva del PIL cinese indiano e delle altre “tigri” asiatiche abbia permesso anche una crescita dei salari, in sostanza il lavoro è sempre più sottopagato, precarizzato, marginalizzato etc etc.

Aver tolto i limiti alle ore lavorate, agli orari, agli stipendi minimi non ha, in effetti reso il nostro paese più competitivo, per il banal fatto, sempre qui sostenuto, che si è reso conveniente non investire in produttività , essendo appunto il lavoro una merce abbondante ed a buon mercato. Il risultato è che le aziende italiane sono poco produttive, poco competitive ( siamo tra i paesi che investono meno in innovazione) poco innovative e sono state svendute o smembrate, riducendo ancora la loro forza. Di fronte a scenari in cui la competitività delle aziende di famiglia era sempre minore e non perché il lavoro fosse una zavorra così impossibile ma perché l’innovazione e l’investimento in quella direzione si erano o fermati i fortemente rallentati, ha fatto tirare i remi in barca agli imprenditori.

Del resto era più remunerativo investire nel settore finanziario e/o immobiliare che in quello produttivo.In pratica si è smantellato sia lo stato sociale che il sistema industriale, senza particolari benefici, se non per una ristrettissima percentuale della popolazione che ha preferito mettere a reddito finanziario i capitali così raccolti, piuttosto che reinvestire.

E’ anche vero che, in alcuni paesi, il reddito di cittadinanza ha creato ulteriori mostri, noti come “minijobs” che hanno generato ancora più precariato, ancora più svalutazione del lavoro, purtuttavia gli errori fatti da altri possono essere utili per evitare di ripeterli.

Qui preme ricordare un paio di cose, spiegate dal summenzinato Keynes oltre 80 anni fa:

  1. Chi è indigente, tende, come è noto, a non avere risparmi. Spende tutto o quasi il denaro che guadagna o che gli viene elargito.
  2.  questo denaro viene quindi immediatamente messo in circolo, non prima di una cospicua sfoltita fiscale ( il 22% di iva e il 27% di irpef di chi vende le merci acquistate). A sua volta questo denaro serve per pagare stipendi e spese correnti, mentre una parte non grande viene messo a reddito sotto forma di investimenti finanziari immobiliari o strutturali. Il gioco quindi ricomincia, perchè anche i soldi guadagnati da dipendneti, datori di lavori etc etc verranno spesi e si recupereà l’IVA e le imposte e, alla fine, lo Stato riceve sostanzialmente un aumento netto delle imposte, grazie al PIL che cresce. Con questo coprirà i costi del reddito di cittadinanza.  E’ il famoso moltiplicatore del reddito che non è solo una fissazione Keynesiana ma che è stato recentemente funzionare, anche e sopratutto in modo inverso: tassando a sangue un paese si ha un CROLLO e non una crescita degli introiti fiscali, per esattamente gli stessi motivi. Quindi:
  3. La domanda. chi paga? E’mal posta, perché si paga da solo, con le maggiori entrate derivanti da una economia nazionale a cui finiscono buona parte dei contributi così stanziati. Ovviamente sarebbe opportuno che l(ex) indigente di cui sopra NON vada a fare la spesa presso la grande distribuzione, che , avendo sedi fiscali in altri paesi, NON ridistribuisce il reddito o ne distribuisce solo una parte, sostanzialmente l’IVA. Questo non può essere impedito per legge ma si potrebbe, ad esempio, svolgere una campagna serrata a favore della filiera corta, della distribuzione porta a porta, dei gruppi di acquisto, insomma di tutte quelle pratiche che permettano di lasciare sul territorio la maggior parte possibile di quei contributi.
  4. Se la vedete così quindi, quel che viene fatto non è garantire un reddito di cittadinanza. E’ mettere a REDDITO cittadini che attualmente sono solo un costo, per il sistema. Si deprimono, si ammalano, pesano sul sistema sanitario. Pesano sulla rete familiare, riducendo il tenore di vita anche dei loro cari, che consumano meno ( le attese per il futuro sono una componente fondamentale di ogni decisione economica) etc etc etc. Questi cittadini, liberati dall’obbligo del lavoro sono contemporaneamente a disposizione per coprire esigenze di breve termine ma impellenti per gli enti locali che, tipicamente, non hanno disponibilità di cassa ne tempi ne modo di assumere personale. Tra parentesi una volta raggiunto il successo grazie a questo primo step, il redditto di cittadinanza andrebbe esteso a TUTTE le categorie di cittadini, salvo quelle chiaramente non indigenti. Per evitare, giustappunto, il sudetto fenomeno dei minijobs.
  5. Direte voi: creeremo parassiti che non lavoreranno bla bla bla. Può essere ma proprio l’esperienza degli altri, ci dimostra che in realtà non è così. SI crea un plafond per gli stipendi, perché sotto una certa soglia non c’e’ incentivo a lavorare e QUINDI si stimola ad aumentare la produttività delle imprese.     E’ anche bene chiarire che in realtà quello del costo del lavoro è un argomento gonfiato ad arte da un sistema , quello delle imprese che vuole scaricare su altri le proprie responsabilità per la scarsa competitività. Il costo del lavoro è attualmente una componete infima del costo di un QUALUNQUE prodotto industriale si va, in breve dal 5 al 15% del prezzo di mercato del prodotto finito. Capite bene che quindi anche avere degli schiavi, pagati solo con vitto ed alloggio, non restituirebbe che un attimo di respiro alle aziende nazionali.
  6. Proprio in questo senso, un reddito di base metterebbe un freno alla cd “fuga dei cervelli” ovvero ai tantissimi brillanti laureati italiani, cittadini in cui la Comunità nazionale ha investito tempo e risorse preziosi che sono obbligati ad emigrare per trovare un minimo di reddito dopo laurea e specializzazione. Se a questo reddito si sommasse, infatti le modeste borse post doc che ancora vengono erogate, sarebbe possibile garantire una alternativa dignitosa alla fuga all’estero.
  7. Ecco quindi spiegato il titolo del post: Il reddito di cittadinanza mette a reddito la cittadinanza, crea utilità per il sistema paese laddove ci sarebbe solo dispersione di risorse (materiali ed umane. Gli essere umani, quando si parla di lavoro sono chiamati così: risorse, ed in fondo è giusto, costituiscono davvero una risorsa per il sistema produttivo)

Ma questo è il meno. A me pare importante che, per la prima volta, grazie al reddito di cittadinanza, che disaccoppia lavoro e retribuzione, si possa parlare di una transizione necessaria dove l’attuale sistema economico sarà soltanto un ricordo. Dove il successo o l’insuccesso personale e di sistema non verrà misurato solo con la quantità di denaro accumulata. Dove, quindi il reddito non dipenderà dal lavoro.

Una utopia, certo.  ma una utopia necessaria, perché il Pil mondiale, per raggiungimento dei limiti planetari, non può più crescere infinitamente, i redditi attuali mondiali non sono in grado di pagare il crescente peso del debito e quindi, va disaccoppiata l’economia dal denaro, per evitare che l’inevitabile collasso finanziario si trascini dietro anche il resto dell’economia reale.

Se ci pensate bene la vera utopia, purtroppo nefasta, è quella prevalente, che crede che si possa continuare con questo sistema e questi paradigmi, indefinitamente, limitandoci ad una aggiustatina ai metodi di produzione dell’energia….