Una Storia da pipistrelli



Racconto originale, di prima mattina.

Ero un pipistrello felice.
Con migliaia di miei simili vivevo in una bella e comoda caverna, in oriente.
Un giorno sono arrivati degli esserini, brutti, gnudi, sudici e rumorosi, che hanno cacciato gli orsi con cui condividevamo da millenni la nostra dimora.
Essendo ignudi, erano malaticci.

Tentavano di scaldarsi con grandi fuochi, che hanno fatto ammalare e poi hanno scacciato tanti miei simili. Ma si ammalavano lo stesso anche loro, perché anche a loro respirare tutta quella fuliggine non faceva bene.

Un giorno, una folata di vento ha spinto il fumo nell’angolo di caverna dove stavo io.
Soffocato, stordito, mi sono alzato in volo, ma, accecato, ho sbattuto contro una stalattite e sono caduto.

Mi ha raccolto un giovane uomo, si chiamano così, quegli esseri ignudi, mi ha guardato, con gli occhi arrossati, con il naso gocciolante, con un colorito paonazzo, che denotava come fosse ammalato e forse per quello ridotto al poco gratificante compito di sterminare la mia inerme specie e non qualche fiero predatore primario o qualche erbivoro apicale.

Poi, mentre aspettavo la mia inesorabile e dolorosa dipartita, infilzato in uno spiedo come alcuni miei compagni che già avevano subito la stessa fine, un attacco convulso di tosse l’ha colpito.

Sono stato accolto da una nuvola di goccioline di secrezioni dell’orrido troll, e lasciato cadere.

Mentre l’energumeno si dava grandi colpi sul torace e sbatteva le zampe anteriori qua e là, barcollando sono risalito su una parete ed ho spiccato il volo, libero.

Sono passati tre giorni ed ho un malessere mortale. Il mio respiro e’ affannnoso, la febbre mi assale. Si avvicina l’inverno, sento che non rivedrò le belle notti d’estate.

Nel dormire accanto ai miei cari, ai miei simili, stretti stretti, per difendersi dall’umidità e dal freddo notturno, nei pochi angoli di caverna dove non arriva il fetore di quelle laide bestie, ho trasmesso, senza volere, il mio morbo ad altri. Così che ora siamo in tanti, ammalati e forse, entro breve, lo saremo tutti.

I più forti e fortunati vedranno ancora la pallida selene illuminare con la sua inconsapevole luce le fervidi notti estive.

Noi, che ce ne andiamo, possiamo solo lasciare un testamento morale: evitate l’uomo, se potete. Rendetegli la pariglia, quando sarà il momento.

Sono un pipistrello, amo la notte.
Pure, ora che si avvicina quella finale, tra un brivido ed un colpo di tosse, agogno di vedere il sole.
Forse sbagliammo a rifugiarci nelle caverne.
Forse sbagliammo a non affrontare ogni giorno, coraggiosamente, la sfida della vita, come i nostri cugini di terra, nutrendo beffardamente i nostri predatori, nella consapevolezza che il numero e’ forza e la furbizia vince sia il numero che la forza.

Compatisco infine, quelli esseri ignudi, che non accontentandosi di sterminare il resto del creato con le loro ridicole ma tragicamente efficaci armi, ora cercano anche di ammorbarlo, con le malattie che la loro condotta sconsiderata, allontanatisi dai loro territori, provoca e provocherà.

Arriverci, Gaia.
Ci vediamo, uomo.