Il 15 marzo ricorreva l’anniversario dell’inizio della guerra civile siriana. A che punto siamo oggi?
Premesse ed avvisaglie.
La crisi siriana, come tutte le guerra, ha origini complesse. Fattori storici, etnici, religiosi, economici e politici si intrecciano con i fattori demografici, ambientali, geologici e climatici. Del resto, rivolte contro il regime degli Assad erano già scoppiate varie volte. Ad esempio nel 1982 a Hama, da parte dei Fratelli Mussulmani, e nel 2004 a Kamichlié, da parte dei Curdi. Ogni volta la repressione era stata rapida e violenta; con bilanci variabili fra le decine a qualche migliaio di morti l’ordine pubblico era sempre stato ripristinato.
Alle prime manifestazioni del 2011, sulla scia delle maledette “primavere arabe”, il regime rispose promettendo riforme, ma al crescere della protesta si ritornò alla repressione vecchio stile. Solo che stavolta la protesta non si spense, bensì si diffuse e montò in tutto il paese. Finché anche dai ranghi dell’esercito non cominciarono le diserzioni e la crisi divenne una vera guerra. E le guerre, si sa, sono come il miele sia per le potenze internazionali, sia per parecchi dei paesi vicini che, ognuno con uno scopo diverso, si sono immischiate nel conflitto.
A partire dal 2014, con l’emergere di Daesh come contendente principale, la guerra è debordata nel già martoriato Iraq, saldando i due paesi in un unico conflitto.
Secondo stime ONU, ad oggi la guerra civile siriana ha fatto circa 400.000 morti, quasi 6 milioni di profughi e circa 13 milioni di sfollati interni; circa metà della popolazione. La traballante economia nazionale è andata, l’infrastruttura urbana e industriale è stata largamente ed irreversibilmente demolita. Il bilancio per l’Iraq è più difficile a tracciarsi, dal momento che, per questo paese, questa è solo una fase di una ben più lunga guerra iniziata con l’invasione americana del 2003.
Un dettaglio: coloro che erano scesi in piazza nel 2011 volevano riforme e giustizia. Niente di più e niente di meno. Ricordiamoci sempre che non possiamo prevedere il futuro.
A che punto siamo?
C’è un po’ di casino, vediamo, brevemente, uno per uno i contendenti principali.
Governativi irakeni.
Nel 2014 le avanguardie dell’ISIL scorrazzavano nelle periferie di Baghdad. Oggi i miliziani neri vendono cara la pelle a Mossul. Merito soprattutto dell’aviazione USA e delle fanterie iraniane che hanno rimesso insieme lo sbandato esercito governativo ed inquadrato diverse milizie locali. L’incognita è cosa succederà quando sarà finito l’ISIL. Ci sarà un’altra guerra fra governo e curdi? Oppure Baghdad accetterà la partizione di fatto del paese? Teniamo conto che gli americani patrocinano entrambe le parti (per ora). Inoltre i curdi irakeni hanno l’appoggio anche militare della Turchia, mentre il governo ha quello dell’Iran.
Governativi siriani.
Sembravano spacciati, ma il massiccio soccorso russo e iraniano ha rovesciato le sorti della guerra. Oggi Assad controlla nuovamente quasi del tutto le città principali ed il grosso della Siria occidentale. Ma le decisioni d’ora in avanti non le prenderà lui, bensì i russi ed gli iraniani senza i quali le sue sorti tornerebbero quanto mai fosche. E pare proprio che a Vladimiro non interessi dare ad Assad molto più di quello che gli ha già dato (v. seguito). La situazione che si delinea è di una ripartizione in quattro parti: l’est del Paese ad Assad, sotto tutela russa ed iraniana. Il nord ai curdi, sotto l’egida americana. L’ovest formalmente al governo, di fatto abbandonato a se stesso. Una zona cuscinetto ai turchi, lungo il loro confine meridionale. Per ora, poi si vedrà.
ISIL
Il “Califfato” pare sia allo sbando. Sta perdendo su tutti i fronti, i suoi canali commerciali sono prosciugati e si moltiplicano diserzioni ed ammutinamenti. Dovrebbe essere solo questione di tempo, ma se anche finirà l’ISIL, non finiranno l’integralismo islamico ed il sogno di restaurare il califfato. E’ solo questione di tempo, qualcun’altro ci riproverà, magari altrove, dove e quando meno ce lo si aspetta.
Altri ribelli siriani
Eterogenea accozzaglia di bande armate e milizie locali (oltre 1.500 gruppi combattenti indipendenti censiti nel 2015, oggi molti meno) spesso nemiche fra loro. I gruppi principali superstiti fanno capo soprattutto alla Turchia, dopo che gli USA hanno deciso di scommettere sui curdi. Fra i gruppi principali ci sono diverse milizie tribali, ma anche gruppi integralisti, come Al Nousra, molto vicini ad Al Quaida. Nel 2016 hanno perso molte posizioni, ma tengono ancora dei quartieri in varie città (anche nella periferia di Damasco) ed estesi territori, sia nel nord che nel sud del paese. Almeno alcuni di questi gruppi hanno beneficiato della protezione dei russi che hanno trasferito i miliziani che si sono arresi, con le famiglie, nella zona di Idlib. Sorge la quasi certezza che ci sia un accordo con la Turchia per lasciare questa zona a loro.
Turchi
Qui la faccenda si complica notevolmente. Contro il volere del governo di Baghdad, la Turchia ha inviato truppe in Iraq a sostegno dei Curdi, i quali sono però alleati coi curdi siriani, arcinemici dei turchi. La Turchia ha poi occupato con reparti propri un ampio saliente in Siria, combattendo sia contro l’ISIL che contro i curdi siriani (patrocinati dagli USA), per impedire a questi di controllare tutto il nord del paese. Inoltre, la Turchia coltiva rapporti sempre più tesi con gli europei e con gli americani, mentre cerca buone relazioni con la Russia, pur restando nella NATO e senza ritirare la domanda di adesione alla UE. Probabilmente la guerra serve ad Erdogan soprattutto per spingere il suo tentativo di ripristinare prima il sultanato e poi, chissà? Magari anche il califfato. Il problema è che in questa impresa la guerra è tracimata Turchia dove attualmente operano almeno tre formazioni combattenti indipendenti: curdi, ISIL e comunisti.
Secondo l’ONU, nell’ultimo anno, nel sud del paese, fra attentati, combattimenti e rappresaglie ci sono state un paio di migliaia di morti ed interi quartieri urbani sono stati fatti a pezzi. Se anche questa non è una guerra civile, ci somiglia molto. Specialmente considerando che, intanto, fra arresti arbitrari ed epurazioni, parecchie migliaia di turchi sono finiti in galera (fra cui un buon numero di parlamentari) e decine di migliaia sono stati licenziati. Naturalmente, del “miracolo economico turco” non se ne parla più nemmeno per scherzo.
Alle prossime elezioni la riforma ultra-presidenzialista di Erdogan passerà sicuramente, con o senza brogli, ma cosa succederà dopo è impossibile a dirsi.
Curdi
All’inizio della guerra erano poca cosa ed a Kobane se la sono vista molto brutta, ma in quell’occasione Obama decise di scaricare quel che restava dell’Esercito Siriano Libero ed imbarcare i Curdi. Da allora le cose gli sono andate bene, tanto da mettere in forse il loro sostegno ad Assad. Da quando le rispettive avanguardie si fronteggiano sul terreno, la tensione fra curdi e governativi è salita e ci sono stati numerosi scontri. Ma una vera offensiva per ora no, probabilmente perché nessuno dei due è in grado di farlo senza l’ombrello dei rispettivi protettori.
Proprio in questi giorni, i curdi e gli americani stanno compiendo uno sforzo per tentare di prendere Raqqa (con l’anatema di Assad, ma con la benedizione di Putin). I russi hanno preso Aleppo e gli sciiti (iraniani ed iraqueni) stanno prendendo Mosul. I curdi (e gli americani) hanno bisogno di un trofeo importante da mettere sul tavolo delle trattative post-belliche.
Iran
L’Iran sostiene i governi sia siriano che irakeno; nel primo caso assieme coi russi e nel secondo con gli americani. Tipico della politica di Rohani, ma a maggio ci saranno le elezioni e potrebbe ritornare Ahmadinejad, cambiando totalmente il quadro. Altra incognita: attualmente vigono ancora gli accordi fatti con l’amministrazione Obama, ma cosa farà Trump? Li manterrà o cambierà le carte in tavola?
Intanto la crisi economica stringe la morsa anche in questo paese. Chi contava sull’allentamento dell’embargo per cavarsi la ruggine dai denti è rimasto deluso. Col petrolio a 50$ c’è poco da stare allegri in un paese che campa esportando greggio ed importando benzina e gasolio.
Comunque, sullo sfondo di tutto questo, è evidente lo scontro fra Iran e Arabia Saudita per l’egemonia sulla regione. Uno scontro che per adesso sta vincendo l’Iran.
Arabia Saudita
Le truppe saudite sono impegnate contro movimenti e milizie sciite in Yemen ed in Bahrein, ma non in Sira ed in Iraq. Eppure la “petrocrazia” per antonomasia è uno dei principali protagonisti della vicenda. Con ogni probabilità sono stati infatti i sauditi (ed il Qatar) a far decollare l’ISIL, nel tentativo di impadronirsi dei due stati vicini, ma è gli andata molto male. Del resto, in Yemen, dopo 2 anni di guerra, sono riusciti a ricacciare indietro gli Houthi, ma non a sconfiggerli. Mentre stanno distruggendo un paese che era già allo stremo per ragioni demografiche ed ambientali. Il risultato sono milioni di disperati allo sbando che nessuno vuole, men che meno i sauditi. Non solo, la guerra yemenita sta tracimando in Arabia ed i sauditi, malgrado abbiamo il 4° bilancio bellico a livello mondiale, sono stati costretti a chiedere l’aiuto del Pakistan per controllare le proprie frontiere. Una mossa a sorpresa, dopo che l’Egitto, finora alleato di ferro e principale cliente (in senso latino) dei sauditi, si era sfilato. Magari il petrolio a 50$ e la bancarotta incombente sul regno saudita ci hanno qualcosa a che fare.
Intanto, gli americani cominciano a stufarsi di loro. Formalmente l’antica alleanza tiene ancora, ma il rapporti sono altrettanto tesi di quelli con la Turchia. Forse Obama stava pensando di scaricare l’Arabia per imbarcare l’Iran di Rohani, ma bisognerà vedere che succederà ora.
Russia
La Russia voleva mettere in sicurezza la sua base di Tartus e lo ha fatto, potenziandola per l’occasione. Ha anche colto l’occasione per rilanciare il suo ruolo nel gioco politico mondiale. Ora però non sembra interessata a continuare la guerra, forse perché gli costerebbe troppo (circa 1 miliardo l’anno). Così sta trattando con americani e turchi sulla spartizione di quel che resta della Siria. Di sicuro, fin dall’inizio c’era un accordo con gli altri contendenti, tanto è vero che per 2 anni le aviazioni di una decina di nazionalità hanno operato con solo due incidenti gravi. Il primo fu l’abbattimento del jet russo da parte dei turchi. Il secondo fu il bombardamento da parte dei siriani di posizioni curde dove c’erano anche degli americani, fortunatamente illesi. Non ci hanno più provato. Ora si sta definendo un accordo più generale, con due grosse incognite: cosa faranno il nuovo governo USA ed Erdogan? Entrambi totalmente inaffidabili.
USA
Grazie al veto russo e cinese, hanno evitato l’errore di mettere troppo presto i piedi nel ginepraio siriano. La prima scelta, di appoggiare l’ESL, e’ stata un completo fallimento, mentre l’opzione curda ha dato eccellenti risultati. Ora si trovano con un influenza ridotta il Iraq (dove primeggiano gli iraniani) e con una rinnovata presenza russa in mediterraneo. In compenso, controllano tutto il nord della Siria e difficilmente i curdi volteranno la gabbana. Non gli conviene e devono troppo allo Zio Sam. Ma sono comunisti ed è Trump che potrebbe piantarli in asso, così come potrebbe fare qualunque altra idiozia. Tuttavia, per ora, sembra che prevalga il buon senso, specie considerando che della Turchia non si fida più nessuno e l’Iran non si sa ancora cosa deciderà di fare.
Tirando le somme
In estrema sintesi, direi che chi ha sicuramente perso sono i ribelli laici della prim’ora ed i sauditi. Chi invece ha sicuramente vinto sono gli iraniani ed i curdi. I governi siriano e irakeno hanno vinto pure, ma fino ad un certo punto. Hanno infatti recuperato parte del territorio, ma sono oramai entrambi sotto tutela iraniana.
I russi hanno vinto, ma hanno bisogno di uscire dal gioco ora che possono farlo “a coda alta”. Gli americani hanno perso in Iraq, dove hanno però evitato il peggio. Invece hanno guadagnato qualcosa in Siria.
La Turchia ha perso su tutta la linea. La sua economia arranca ed un quasi-stato ostile si è formato alle sue frontiere, per di più alleato del loro stesso alleato. La violenza dilaga in gran parte del paese, mentre Erdogan fantastica di politica “neo-ottomana” quando non riesce più neppure a far funzionare la madrepatria.
Ma la partita è appena cominciata. Avremo delle sorprese.
Chiosa
A chiosa, propongo questo schemino che, pur essendo estremamente semplificato, ben rappresenta i levantini intrecci della politica medio-orientale. Chi ama pensare in termini di “buoni contro cattivi” è pregato di non guardarlo. Anzi, è meglio se non guarda proprio nulla che riguardi la politica.