La tempesta perfetta

La tempesta perfetta è il titolo di un film di quasi venti anni fa, per certi versi profetico, con protagonista George Clooney.

E’ la storia, purtroppo reale, di una barca da pesca del suo equipaggio e del suo comandante, obbligato dai debiti a prendere il mare, pur consapevole di andare incontro a rischi enormi, causati da una rarissima configurazione meteo che farà convergere più perturbazioni in un ristretto braccio di mare e, come poi succederà, ad una morte eroica, quanto prevedibile.

Molto meno eroicamente, le principali banche tedesche, ad esempio la Commerz bank e la Deutsche bank, insieme ad una galassia di banche rurali ed altre minori, navigano in un mare tempestoso, costellato di titoli tossici, destinati ad avvelenarle in un tempo non lungo.

Una scelta obbligata, dal momento che le banche tedesche sono le principali detentrici dei titoli tedeschi, i famosi BUNDS sui quali si calcola il famoso “spread” di cui ormai si parla anche dal barbiere. I tassi di rendimento di questi BUNDS sono, da tempo NEGATIVI. Ovvero le banche prestano soldi allo stato tedesco RIMETTENDOCI. Lo fanno, contrariamente a qualunque senso logico nonché contabile, perché….sono PUBBLICHE!

Da qualche parte, devono rimediare. Il loro azionista di maggioranza fa quel che deve per dargli una mano. Sopratutto considerando che molto del suo debito( e deficit!!) viene assorbito e reso invisibile, in quanto “privatizzato” ovvero emesso proprio da queste banche e dalla teutonica Cassa Depositi e prestiti.

Queste cose, se siete lettori di Crisis, probabilmente le sapete già. Ne scriviamo da anni.

Non si tratta di bazzecole. Una grande percentuale del debito pubblico tedesco ( chi dice il 30 chi dice il 50%) grazie a queste cabale, non compare nelle statistiche. Queste banche partecipano regolarmente, da anni, alle aste PRIMARIE ( cioè quelle di emissione) dei titoli pubblici degli altri paesi e, come è noto, si sono impelagate per centinaia di miliardi in finanziamenti ad alto rischio in Spagna, Grecia, Portogallo, facendosi salvare da tutti gli europei tramite il cosiddetto fondo salvastati, in realtà salvabanche, per centinaia di miliardi. DOPODICHE’ l’opinione pubblica tedesca, spaventata dal precedente, percepito non come salvataggio delle banche tedesche ma come regalia ai mangiaaglio sudisti, ha imposto che queste cose non dovessero più ripetersi. QUINDI è stato necessario investire in qualcosa d’altro, giocoforza rischioso anche solo per far quadrare i conti.

Sappiamo, sulla nostra pelle, che una parte di questi investimenti, quelli meno rischiosi, sono stati i titoli italiani, i cui rendimenti ovviamente DOVEVANO essere e restare elevati. A questo bastando un poco di critiche ben centrate dei vertici europei e, naturalmente, la naturale tendenza al masochismo delle nostre classi dirigenti. Ups: digerenti.

Perché solo chi ha digestione lenta e faticosa, con relativo ottenebramento delle facoltà intellettive può gioire di un tentativo di salvataggio di un catafalco putrefatto e verminoso che dovrebbe essere riesumato con i soldi dei risparmiatori italiani.

Ma non è bastato e non bastano queste manovre.

Quindi ecco il riciclaggio internazionale di denaro per centinaia di miliardi ( accertati oltre 160 miliardi), ecco l’esposizione per decine di migliaia di miliardi ( SIC!!! Almeno due volte il PIL USA) ai cds ed altri titoli tossici.

In “buona compagnia” intendiamoci, di buona parte delle banche europee, tutte esposte per multipli del pil dei rispettivi paesi, tra le quali, fortunatamente NON, se non in misura marginale ( sempre enorme comunque), quelle italiane.

Qui un quadro relativamente recente.

Questo immenso mare virtuale vale 33 VOLTE il PIL mondiale. Basterebbe una minima oscillazione per provocare uno sbilanciamento in grado di affondare qualunque barca.

E questo è già un guaio, ma certo non l’unico.

Ormai, a forza di allarmi lanciati dalle massime istituzioni finanziarie mondiali, non è un mistero che la barca da pesca ( a strascico) travestita da locomotiva, chiamata Germania faccia acqua da tutte le parti.

Crollo delle esportazioni( oltre -3%), crollo della produzione  industriale (quasi il -2%), marciumi vari e falle malamente tamponate scoperte in sentina…metà dei nuovi posti di lavoro sotto forma di minijob, previdenza in fuga incontrollata…..

Il vero malato d’Europa non siamo noi ( che pure, siamo tutti d’accordo,  non stiamo tanto bene).

E’ la Germania. Ovviamente, il morbo non può che espandersi, sia per i riflessi diretti che per quelli, spesso più gravi, indiretti ( la politica dello scaricabarile non è una nostra esclusiva).

Ma questo scassato peschereccio naviga in un mare non solo tossico ( abbiamo visto) ma tempestoso, con due o tre perturbazioni sistemiche in grado di travolgere tutto. Intanto la bolla del fracking, da sola grande un paio di volte quella dei mutui subprime. In breve, le frenetiche attività estrattive che hanno permesso agli USA di tornare ad essere, dopo decenni, il principale produttore di petrolio, NON sono sostenibili se non a prezzi del barile molto più alti di quelli attuali. Fino a qualche anno fa si parlava di 80 dollari. Con il crollo degli stipendi, il miglioramento delle tecniche e lo sfruttamento all’osso di tutte le risorse disponibili, ora si parla di 60 dollari al barile. PER FAR PARI. In pratica si estrae in perdita, con l’unico scopo di ripagare non i debiti ( quelli vecchi e quelli nuovi) ma gli interessi sui debiti. in questo modo gli istituti di credito possono presentare floridi bilanci dove gli investimenti ( i prestiti) rendono bene. Il denaro fresco da investire, non potendo provenire dalle esangui tasche degli indebitatissimi sudditi dell’imper…ahem cittadini USA arriva dalla stamperia centrale e, fino a qualche mese fa, dai risparmiatori internazionali ( attraverso giri più o meno complicati). In ottima percentuale cinesi e Russi.

Non c’e’ bisogno di dire che la guerra dei dazi promossa da Trump ha provocato la rottura di un equilibrio che vedrà danneggiati, come in ogni guerra che si rispetti, ambedue i lati del pacifico. Il guaio è che il denaro fresco di cui sopra , necessario peraltro a coprire gli infiniti buchi presenti ad ogni livello della società americana ( carte di credito, assistenza sanitaria, previdenza, debiti scolastici etc etc) DEVE essere creato in qualche modo ed uno di questi modi consiste nel prestarlo in maniera sempre più parossistica ( cercare moltiplicatore bancario o moltiplicatore dei depositi).

Aumentando il rischio insolvenza.

Crollo della fiducia. Crollo della domanda e della produzione industriale, collasso finanziario dei più grandi istituti di credito, crollo della produzione petrolifera (la produzione petrolifera mondiale aumenta solo grazie a tre o quattro paesi, gli USA contribuiscono per i due terzi, senza investimenti il fracking si ferma in pochi mesi e poi la produzione si dimezza ogni 18 mesi). Scoppio di bolle multiple ciascuna più grande di quella dei mutui subprime.

Arriva la tempesta perfetta e, questa volta, non ce la caveremo aumentando il debito come nel 2007 per un motivo molto semplice: non servirà “stampare” il denaro.

In realtà su una sola cosa hanno davvero anzi: DAVVERO ragione i vari commentatori “istituzionali”: quando parlano della NECESSITA’ di aumentare la fiducia degli investitori ( anche se sbagliano paese, riferendosi al nostro, piuttosto che i nostri sedicenti “partners” europei). La FIDUCIA E’ DENARO. In senso letterale.

Davvero davvero.

Niente fiducia, niente denaro.

E la fiducia, se uno non ce l’ha non se la può dare ( parafrasando il Don Abbondio di Manzoni, che parlava del coraggio).

Modestamente ( quanto contestabilmente, ci mancherebbe) ne ho scritto qui: “il picco del tempo e del denaro”.

Se non l’avete fatto, dovreste leggerlo.

EXXON. Avvelenare. inquinare. Indagare. Sopire. Ingannare. Pagare.

La concentrazione della CO2 nell’atmosfera misurata in cima al Mauna Loa, Hawaii

Exxon è la più grande compagnia petrolifera privata del mondo ( la compagnia di bandiera dell’Arabia Saudita è lontana seconda, il fatturato della Exxon supera l’intero PIL dell’Arabia Saudita).

Per sua stessa natura, per convinta scelta, è il lupo cattivo della favola.

Lobbizza i presidenti, vellica i dittatori, accende e spegne a suo piacimento intere economie, promuove guerre di esportazione della democrazia…esplora, trivella, estrae, inquina.

Tanto. Da sempre. Troppo, per definizione. Per necessità.

Nel processo fa un sacco di soldi, da un sacco di tempo. oltre  venti miliardi di utili solo nel 2018.

Ovviamente promuove un sacco di studi e ricerche,  specialmente quelli e quelle che mostrano come il riscaldamento globale NON è colpa sua, come, anzi, è una cosa normale, naturale, di cui non preoccuparsi, che porterà, anzi, la pioggia nel sahara, renderà la Siberia verde, fertile e lussureggiante e, insomma, dovremmo stare sereni.

Oltre il 95% dei climatologi ( eccettuato un piccolo e sparuto numero più o meno direttamente promosso dal Lupo cattivo e dai suoi sodali, amici e compagni di merend… strada) si sgola da molti, troppi anni, a ripetere che abbiamo sempre meno tempo davanti a noi per evitare una catastrofe che potrebbe sconvolgere il pianeta, far morire o soffrire miliardi di esser umani, provocare, guerre, inondazioni etc etc etc. Ultimamente, una esile sedicenne svedese con le treccine si è incaricata di ricordarci, con la dovuta durezza, che il tempo per baloccarsi è finito. Un vecchio amico, climatologo, Luca, lo ribadisce con forza.

O decidiamo che questa è una emergenza e l’affrontiamo per quello che è , con intensità e dedizione simili a quelle espresse durante la seconda guerra mondiale o saranno crauti amarissimi.

OVVIAMENTE i think thank sponsorizzati dalla Exxon, DA SEMPRE, tranquillizzano gli investitori ed i governi. Continueremo ad estrarre petrolio per tanto tempo, ce n’è tantissimo ancora, il riscaldamento globale, non esiste, se esiste non è di origine antropica, se esiste ed è di origine antropica, è un bene, perché porterà i monsoni in zone aride e farà crescere il grano in Alaska e vendemmiare Champagne in Inghilterra.

OVVIAMENTE, l’abbiamo sempre saputo: tutte carrettate di materia organica altamente riciclabile di origine bovina, ben confezionate e profumate.

OVVIAMENTE abbiamo sempre avuto il dubbio che, a forza di cercare appigli per arrampicarsi sugli specchi, avessero imparato a conoscere bene la materia. Si sapeva, da decenni che avevano finanziato numerosi studi e che, ad un certo punto i risultati e le conclusioni di questi studi erano stati secretati.

Il motivo era intuibile.

ORA, a distanza di quasi quaranta anni, alcuni di questi studi sono emersi.

Corrispondono, da un punto di vista mediatico, a mettere la testa sul ceppo, tirare su la lama della ghigliottina con le proprie mani e poi lasciarla andare di schianto.

Quel che emerge da questi studi è semplice quanto disarmante.

NEL 1982 la EXXON; aveva tra le mani una previsione praticamente perfetta e lo possiamo constatare ora, a distanza di quasi 40 anni.

Avevano azzeccato quanta CO2 ci sarebbe stata nell’atmosfera nel 2020, CON UN ERRORE INFERIORE ALL’ 1%, ed avevano azzeccato, con un errore analogamente ridotto, per difetto, a quale anomalia termica rispetto alla media saremmo andati incontro, con quei livelli di CO2.

da uno studio riservato Exxon del 1982

Qui il confronto con le temperature medie mondiali realmente misurate ( wikipedia)

Sul fatto che, con questi ed altri studi a disposizione abbiano fatto tutto quanto era in loro potere per ritardare la presa di coscienza dei popoli e dei governi mondiali c’è poco da aggiungere: ne risponderanno, per danni agli azionisti ( SIC! essendo stati tenuti all’oscuro, dicono i meschini, lamentano un danno) e per i danni al mondo, si spera, proporzionalmente di più.

Pagheranno insomma. Mai abbastanza, ma tanto.

Mi interessa, qui, fare presente un’altra cosa, visto che siamo su Crisis e cerchiamo di scansare le ovvietà, sia pure condividendo chi lancerà le adeguate bordate virtuali di materiale organico altamente fermentato verso le specchiatissime facciate della multinazionale.

I modelli utilizzati per fare previsioni climatiche o sistemiche sono complessi , richiedono una matematica peculiare per essere gestibili/comprensibili ( trasformate di Laplace, anyone?) hanno un sacco di variabili, un sacco di parametri, sono fortemente non lineari….Insomma sono oggetti difficili e da maneggiare con cura, da parte di personale assai competente.

NONDIMENO, quando si applicano ad un sistema gigantesco come la Terra, gli innumerevoli errori, che commettiamo nelle varie semplificazioni ed approssimazioni, si elidono a vicenda. Resta il segnale. Ed è un segnale forte, inequivocabile. Si può addirittura verificare, è anzi una prassi standard, quanto sia sensibile il modello e le relative previsioni, a variazioni dei parametri e delle condizioni al contorno. Purtroppo per noi, si dimostra che i modelli SONO ROBUSTI, nel senso che non è facile far saltare fuori previsioni che siano lontane o opposte a quelle catastrofiche che con pervicacia producono ( ora sappiamo che lo fanno da oltre quaranta anni).

Questo in teoria. Infatti non solo ultimamente i climatologi ma addirittura da oltre 50 anni, dai tempi dei “limiti dello sviluppo” gli scienziati, gli esperti, si sgolano a far presente quanto i loro modelli siano difficili da confutare e quanto i trend previsti siano restii ad essere modificati. Specie se non si cambia paradigma sociale ed economico.

In pratica,  ED ORA LO SAPPIAMO PER CERTO, è assolutamente così.

Ringrazio Insideclimate news per aver scoperchiato il verminaio.

E ringrazio Marco Sclarandis e Gianni Comoretto per la segnalazione.

Un’altra nave, altre balle.

Sea watch. fonte: Ansa

Arieccoci. Siamo sotto elezioni,e  naturalmente una bella Sea watch, nave di una omonima ong che cerca di intercettare i gommoni che partono dalla Libia prima che affondino, ci sta proprio a fagiolo. Per stracciarsi le vesti, ergersi a fiero difensore della battigia italica, etc etc. Il teatrino è il consueto: la nave ferma davanti ad un porto italiano, in attesa per giorni, mentre quelli a bordo si arrangiano come possono. Giuramenti e spergiuramenti che i barbari non passeranno, che i porti italiani sono chiusi.

Poi, nella notte, mentre si affermano proprio queste cose a Firenze, di fronte a 4 gatti e 2000 contestatori, con tono abbastanza stentoreo da farsi sentire fino a sotto le mie finestre, il distrattissimo Ministro scopre che i migranti sono sbarcati e si apre un altro giro di accuse reciproche. Si profila un’altra storia simile a quella di un anno fa.

Intanto, per ricostruire la storia, conviene partire dai tweets della ONG.

I migranti sono stati raccolti a 30 miglia dalle coste libiche. Una motovedetta “” libica” ( le virgolette sono d’obbligo, il cosiddetto governo libico, riconosciuto da pochissimi altri stati oltre l’Italia, controlla, a malapena, alcuni quartieri di Tripoli) si rifiuta di farsene carico e invita la nave dell’ONG a “dirigersi a Nord”.  Prima di tirare fuori le solite storie da ignoranti ( perché non sono andati a Tunisi, perché non sono andati a Malta etc etc etc) ricordatevi di una cosa, fondamentale: la zona SAR ( Search And Rescue) che parte dalla costa ed arriva fino a circa cento miglia a Nord è stata assegnata alla “Libia”,  ma, come coordinamento, ALL’ITALIA.

Le zone Sar aggiornate e le aree di intervento delle varie missioni internazionali ( Mare sicuro, Frontex, Sophia etc etc)

La Storia della tragica farsa di questa zona SAR libica è stata raccontata da tante fonti, tra le quali citerò questa.

OVVIAMENTE, su Crisis di questa e delle altre SAR ho ampiamente scritto, ad esempio sull’analogo post  “dei migranti delle sar e delle balle,”di circa un anno fa.

Una volta che la vedetta libica non prende a bordo i migranti ( peraltro, credo che nessuno lo contesterà, la Libia non ha, in questo momento, sotto piena guerra civile, alcun porto sicuro, come ha ammesso anche il nostro ministro Moavero, alcuni mesi fa) la zona di competenza essendo coordinata dall’Italia, TOCCA ALL’ITALIA.

O crediamo che, per farci un piacere, La Tunisia o Malta avrebbero accettato di farsene carico?

Poco probabile, no?

Quindi la cosa è semplice, al netto di tutte le elementari norme e regole di civiltà umana: La nave della Sea Watch non poteva fare altro che navigare verso le coste italiane.

L’Italia, ormai da molti mesi, come testimoniano anche alcune tragedia avvenute in mare, tra tutte citerò quella di Josefa non coordina un bel nulla. In assenza di controlli, i libici, che peraltro hanno confermato di recente che il coordinamento SPETTA ALL’ITALIA, fanno di tutto e di più e, sopratutto, di peggio.

Lo sbarco in Italia, quindi, era un atto dovuto, nonostante quel che il nostro ignorantissimo Ministro degli interni ( che peraltro NON ha competenza sulle operazioni di polizia marittima e, se per quello, nemmeno sui porti) stentoreamente proclamava quella sera a Firenze.

La cosa , secondo me, tremenda è che si sia dovuto aspettare un magistrato e il suo ordine di sequestro, per fare sbarcare le persone.

In questo basso impero, come in ogni basso impero che si rispetti, le competenze sono minime, i poteri sono confusi, le grida si alzano sempre più feroci in maniera inversamente proporzionale alla capacità di dare seguito ai proclami.

OVVIAMENTE l’indagine si chiuderà in una bolla di sapone.

A meno che non si dimostri un accordo tra i trafficanti di persone e l’equipaggio della Sea Watch, la nave aveva sia il diritto che il dovere di recuperare quelle persone e non aveva alternative a fare rotta verso un porto Italiano.

Bisogna dire che in questa circostanza il Ministro Salvini si è lasciato superare, come deliri nazionalistici di destra, da Giorgia Meloni che prima dimostra la sua totale ignoranza in materia ( o la sua spregiudicatezza nel mentire sapendo di mentire, a scelta) e poi propone di affondare la nave, un atto di guerra nei confronti del paese di cui la nave porta la bandiera.

Naturalmente, la spiegazione più semplice è che a nessuno importi un beato tubo dei migranti, di quanti siano e di cosa facciano, davvero, in Italia.

Interessa, molto di più, quanti voti si riescono a spostare con qualche proclama sufficientemente sanguinoso che li utilizza come bersaglio.

Finché ce ne sono, possibilmente tanti, possibilmente disperati, sono un pacchetto consistente di voti. Perché rimandarli indietro quindi?

I due milioni stanziati a tal fine nel cosiddetto “pacchetto sicurezza” che dovrebbe essere discusso nei prossimi giorni, la dicono lunga sulle reali intenzioni  ed anche sulla buona fede del nostro Ministro degli Interni.

Ho una consolazione. Non durerà di più del suo omonimo predecessore.

Io e Greta

Traghetto elettrico a Stoccolma

Nota: Questo post è stato pubblicato su Ecquologia esattamente 15 giorni fa.

Era un radioso giorno di Agosto a Stoccolma.

Con la mia compagna eravamo arrivati qualche giorno prima, avendo deciso di sfruttare un volo last second e di approfittare della più calda estate della storia della Svezia per una breve vacanza.

Come al solito, come in OGNUNO dei voli che raramente faccio, mi  mi sentivo vagamente e, questa volta, doppiamente, in colpa.

Per il volo stesso, con i suoi circa 300 kg di C02 emessi per portarmi a destinazione ( l’equivalente di circa 100 litri di carburante) e per aver sfruttato a fini “turistici” quella che, a tutti gli effetti era una vera emergenza climatica. Tre mesi di siccità a Stoccolma ed in buona parte della Svezia avevano provocato un disastro. Nessun problema. Il purgatorio si sconta sulla Terra, come diceva una mia vecchia e saggia zia. Al nostro arrivo, c’erano FORSE sei gradi ed una non esattamente piacevole pioggerella, orizzontale a causa del vento gelido da nord. In un cielo plumbeo si rincorrevano confuse nuvolaglie Ottobrine. Nonostante il clima, tipicamente svedese, anche sotto la pioggia battente, i segni della siccità c’erano e spaventosi, Oltre la metà degli alberi sembravano morti o sofferenti. Stoccolma, come  buona parte della Svezia, è cresciuta su rocce granitiche, lisciate dai ghiacciai, con solo un sottile velo di suolo che le ricopre. Gli alberi hanno radici superficiali, che comunque, visto il clima, normalmente sono ampiamente sufficienti.

Normalmente, appunto, Ma non c’era niente di normale in quello che vedevo.

Buona parte degli abeti, metà delle betulle erano ingialliti. Qualcuno era morto. L’erba era bruciata come nelle rotonde alla francese del bel paese, a Ferragosto. Ovviamente, gli incendi avevano divorato migliaia di ettari di bosco.

un campo svedese, Agosto 2018

Parlare di siccità e di riscaldamento globale con dieci gradi ad agosto, sotto una pioggerella gelida, sembrerebbe ironico ed in effetti la mia compagna mi prende non poco in giro, tra uno starnuto ed un batter di denti, mentre zaino in spalla ci dirigiamo verso il più bel ostello del mondo, una vecchia nave scuola a vela della Marina svedese, ormeggiata davanti al centro storico di Stoccolma.

Nei giorni successivi, tornato il sole, in un paesaggio che appare curiosamente per metà autunnale (alberi, ingialliti) e per metà estivo (l’erba recupera in fretta) facciamo i turisti: Gamla Stan, la Wasa, il villaggio storico il palazzo etc etc.

Da turisti,non possiamo non notare che il paese si da, in apparenza, da fare, per dimostrare che l’ambiente è importante, che la sostenibilità è necessaria, che gli orti in permacoltura sono fighi, che i veicoli elettrici sono cool. Traghetti elettrici, (sarebbe tempo di istituirli  anche noi, almeno su tratte brevi o brevissime, come lo stretto di Messina) taxi boat elettriche, molte auto elettriche naturalmente(a Stoccolma vi sono facilitazioni pesanti per i veicoli a zero emissioni) perfino distributori biglietti per parcheggi e tourist spots solari (in Svezia!!) e macchine operatrici edili elettriche.

Certo: il fatto stesso che spicchino, tra i membri delle rispettive categorie, dimostra che ANCORA sono mosche bianche. Sempre meglio che non avere nemmeno quelle, comunque, sempre precursori e pionieri di un mondo migliore, no?.

In Svezia sono in piena campagna elettorale, in quei giorni. Tra un appello ai valori tradizionali della famiglia  e della società svedese e sorridenti inviti a votare questo o quella candidata sorridente, la parola “klimatet”, facilmente comprensibile anche per un turista, fa capolino in almeno metà dei cartelloni e dei manifesti. L’estate più torrida e siccitosa della storia svedese ha chiaramente lasciato il segno.

L’ultimo giorno a Stoccolma, decidiamo di tornare a Gamla Stan (il piccolo centro storico della città, che sorge su una isoletta), per visitare il palazzo reale. Ci allunghiamo un attimo in una strada commerciale per comprare un magnete di Pippi calzelunghe per il frigorifero e facciamo una strada diversa dal solito. Come ho scritto all’inizio di questo post è un radioso giorno di fine estate.

In una piazzetta appena prima del ponte che porta all’isoletta su cui sorge il parlamento, da lì, con un altro ponte, si arriva a Gamla Stan, c’è un gran viavai di giornalisti, telecamere, auto blindate, energumeni con improbabili occhiali a specchio, auricolare all’orecchio, strizzati in giacche che contengono a mala pena i possenti bicipiti. Chiaramente è in corso qualche evento politico associato alle elezioni. Attraversiamo il ponte, fra turisti e svedesi indaffarati e passiamo sotto l’arco che segna l’ingresso all’isola. Mi attardo a guardare un messaggio sul cellulare. La mia compagna va avanti. Mentre mi affretto a raggiungerla, noto una ragazzina con un cartello, tutta sola, a sinistra dell’arco, seduta sotto una finestra del palazzo, con un cartello, qualcuno dei passanti legge e sorride. Lei non sorride a nessuno. È seria, silenziosa.

Mi avvicino per leggere il suo cartello. “Skol strejk fur klimatet”.

Non conosco lo svedese, ma mastico abbastanza inglese da capire cosa vuol dire. Sorrido, non posso farne a meno. Penso ai sorridenti politici che a pochi metri da lì straparlano di crescita occupazione clima futuro famiglia (ed immigrazione, tutto il mondo è paese) all’immagine stereotipata della Svezia come la punta di diamante della politica ambientale mondiale. Guardò Greta e capisco, tutto insieme, che non bastano le parole, due pannelli fotovoltaici, gli orti sinergici e un paio di barche elettriche per salvare il mondo. E che una ragazzina con le treccine e l’aria arrabbiata ci ricorda che bisogna, decisamente, essere più convincenti. Se è così arrabbiata, penso, da fare sciopero, vuol dire che anche in Svezia non si è fatto abbastanza. Che anche in Svezia sono stufi dell’ambientalismo “decorativo”. Insomma: non la bevono.

La mia compagna è lontana, corro a raggiungerla, mormoro in fretta due parole a Greta Thunberg, non ricordo esattamente quali: forse un “brava, you are right! Keep on fighting” o qualcosa del genere. Non so se Greta sente. Resta seria, assorta. Nessuna telecamera in vista. Nessun giornalista. Solo qualche persona che, come me, si volta, legge il cartello, sorride. È il suo primo giorno di sciopero, scoprirò, pochi giorni dopo. Non c’è il babbo, non c’è la mamma, non ci sono membri di qualche oscura associazione, solo una ragazzina, con le treccine, l’aria arrabbiata.

Greta, il suo primo giorno di sciopero

Passiamo qualche giorno nella Svezia profonda, dove a Vadstena, quasi 58 gradi di latitudine nord, fotografo un piccolo vigneto, quasi mille km più a nord delle dolci colline dello Champagne. Una cosa impensabile, anche solo dieci anni fa. torniamo verso Stoccolma. Sulla via del ritorno leggo un lancio di agenzia: Greta è già diventata un caso internazionale e si accinge a diventare un simbolo, una icona e, per quelli della mia generazione, uno sprone.

Ad essere più incisivi. A passare dalle spiegazioni, studi e presentazioni, all’azione.

Greta è arrabbiata. Ed ha ragione.

Dice che alla sua età non dovrebbe occuparsi di clima ma studiare, solo che è inutile studiare se alla sua generazione viene negato i, futuro. Ed ha ragione.

Dice che tocca alla nostra generazione salvare il mondo oppure distruggerlo, ed ha ragione.

Dice che dobbiamo cambiare tutto, perché cambierà tutto comunque, ma in peggio.

Dice che sappiamo cosa dovremmo fare, ed ha ragione.

Dice che non c’è tempo, ed ha maledettamente ragione.

Non lo dice ma in fondo, pur criticandoci, spera che riusciremo a crescere abbastanza da smetterla con i nostri tragici e stupidi giochi di potere, soldi e parole, guardare in faccia il mostro che abbiamo generato  e metterci una pezza.

Ecco, su questo, basterà leggere l’infame titolo di un quotidiano, il sedicente “libero”, temo che possa avere torto. La crescita infinita, che è sulle agende politiche di tutto il mondo, che sta fallendo, che è sempre più appesa ad arte e speranze di ulteriori aumenti dei consumi, ovvero della velocità di distruzione del pianeta, non è quella che dovrebbe, non è quella che vorresti, Greta.

Peccato, perché è l’unica che potremmo davvero raggiungere.

 

 

La rivolta dei Ciompi.

Di Jacopo Simonetta

La rivolta dei Gilet Gialli è animata da un insieme di rivendicazioni, alcune molto stupide ed altre molto giuste. Vi convergono soggetti eterogenei come pensionati poveri e giovani disoccupati, ma anche militanti fascisti e comunisti, casseur di professione e molto altro.   Un’eterogeneità che prosegue una tradizione antica come le società complesse: La rivolta del popolino esasperato.

Ogni rivolta ha una panoplia di cause e di effetti specifici.  La rivolta dei Ciompi era molto diversa da quella di Masaniello e le “Jaqueries” avevano ben poco in comune con la Rivoluzione Francese.   Eppure, mi pare che si possano individuare degli elementi in comune che riassumerei così:

  • Assenza di un’ideologia di riferimento.  Semmai l’ideologizzazione avviene in seguito, progressivamente, secondo lo sviluppo degli eventi e dei gruppi organizzati che riescono ad imporsi alla massa.  Quando emerge un’ideologia, la struttura del movimento cambia, così come buona parte dei suoi aderenti.
  • Assenza di una leadership.  Anche i capi emergono gradualmente dalla massa e si impongono come rappresentanti e capitani, ma solo in corso d’opera e se la rivolta dura abbastanza a lungo.
  • Tentativo più o meno riuscito di strumentalizzazione da parte di organizzazioni politiche e/o personaggi di spicco pre-esistenti.
  • Una serie di cause inconsce, tutte derivanti dagli stress sociali ed economici connessi con quel fenomeno complesso e dinamico che possiamo chiamare “sovrappopolazione”.
  • Una serie di cause molto coscienti, economiche e sociali, esacerbate dall’incapacità della classe dirigente ad affrontarle e gestirle.
  • Un elemento scatenante futile, che fa da detonatore di tensioni profonde, accumulate nel tempo.
  • Un fiasco finale.  Di solito questo genere di rivolte spontanee si esaurisce per stanchezza; oppure viene repressa.   In qualche caso storico, rivolte spontanee hanno portato a riforme politiche drastiche, quanto effimere.   Qualche volta hanno invece scatenato dei terremoti politici di portata storica, ma senza migliorare le condizioni economiche e sociali dei ribelli.  Semmai il contrario.

Dunque le rivolte sono inutili?  No, perché nel bene e nel male rappresentano delle valvole di sfogo di tensioni divenute insostenibili.   La classe dirigente che non ha sputo prevenirle o gestirle può uscirne vittoriosa o sconfitta.  In questo caso, si verifica una sua sostituzione più o meno completa, ma le cause che hanno portato alla rivolta alla fine rimangono uguali, o peggiorano.   Tranne, in qualche caso, la pressione demografica che può risultare alleggerita da un netto aumento della mortalità e/o dell’emigrazione, ma è difficile ritenerlo un successo.

Se si può azzardare una regola storica su questo genere di rivolte (non di tutte le rivolte) direi che è questa: “La ribellione inizia per esasperazione e termina per rassegnazione”.   Talvolta per disperazione.

Anche a questo proposito, basta dare un’occhiata alla letteratura di 50 anni fa in materia di economia, ambiente e popolazione, per vedere che quello che sta succedendo è esattamente quello che, all’epoca, ci si aspettava che sarebbe successo.  Le società complesse funzionano infatti bene finché usufruiscono di un flusso di bassa entropia crescente e si trovano immerse in un ambiente stabile.  Quando queste condizioni vengono meno, le società entrano in crisi e cominciano a disgregarsi: un processo che continua finché non viene ritrovato un nuovo, temporaneo, equilibrio del sistema umano in rapporto al sistema naturale di cui fa parte.

Un processo frequente nella storia, ma che oggi, per la prima volta, riguarda l’intera umanità contemporaneamente.

La rivolta dei GG sarà utile se aiuterà qualcuno a capire che occorre attrezzarsi per rallentare e gestire la decrescita facendosi il meno male possibile, anziché continuare a vagheggiare un impossibile ritorno della crescita economica..