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Tutto va bene, Madama la marchesa

Niente basta, a colui al quale non basta quel che è sufficiente/10 Il pedal coin

Il pedal coin, storia di una idea promettente

Quel che segue è uno zibaldone di lavoro, da cui avevamo sviluppato nel tempo varie ipotesi operative, non riproducibili su un blog. Serve comunque, spero, ad introdurre e mostrare in cosa sarebbe consistito il pedal coin.

Purtroppo se qualcuno l’introdurrà, state pur certi che NON sarà in open source…

Molto semplicemente, dopo un paio di anni di divulgazione nei nostri circoli amicali, magari per convergenze parallele, magari perché vi sono pochi gradi di separazione fra due individui qualunque sul pianeta….è arrivato questo.

Con tanti cari saluti allo spazio per un futuro libero ed indipendente del concetto.

Unica consolazione: le idee, i memi, non ti appartengono davvero. una volta divulgate, vivono nella testa di chi le condivide.

( segue lo zibaldone, per chi ha voglia)

PEDAL COIN: UNA PROPOSTA OPERATIVA

INTRODUZIONE

Dopo la nascita dell’antesignana, Bitcoin, sono state create centinaia di monete virtuali, ciascuna con le proprie specificità ed i propri punti di forza, ciascuna in lotta per la sopravvivenza, alla ricerca di una nicchia di mercato.

Tutte si basano su due concetti fondamentali: il registro distribuito o distributed ledger e la catena di blocchi o blockchain come metodo di archiviazione condiviso.

Esistono due principali protocolli di funzionamento del “distributed ledger” con infinite e continuamente modificate varianti: il cd proof of work e il cd. “proof of stake”.

Questi protocolli, implementati in modo diffuso, costituiscono il segreto del successo di queste monete “virtuali”, perché, sostanzialmente, premiano gli utenti del sistema che forniscono la capacità di calcolo necessaria a svolgere i complessi procedimenti di calcolo che garantiscono transazioni sicure e la loro archiviazione condivisa nella rete ( cd distributed ledger).

Questo processo di calcolo a supporto di una particolare moneta si chiama “mining” e viene attuato secondo un particolare protocollo, che nella maggior parte dei casi e segnatamente nella più nota e diffusa di queste monete, il bitcoin, viene “premiato” con nuova moneta, allo svolgimento di un certo numero ( solitamente esponenzialmente crescente nel tempo) di calcoli connessi alle operazioni di validazione.

A causa della sua crescente complessità, che dipende duplicemente dal tempo, sia per la natura stessa del protocollo utilizzato sia perché il numero di transazioni aumenta all’aumentare della moneta in circolo e della sua diffusione, attualmente il mining è una attività che richiede enormi potenze di calcolo, elevati investimenti in tecnologia dedicata ed energia e costi crescenti anche in termini ambientali, per essere una attività remunerativa.

Proprio per questo, appositi panel costituiti dai fondatori della rete hanno più volte rivisto il protocollo di funzionamento, al fine di renderlo meno energy intensive, mantenendo lo schema di funzionamento, anche al fine di garantire la principale delle caratteristiche di queste monete, ovvero la loro natura di moente a credito ( vengono emesse solo a fronte di una attività e/o un investimento), tendenzialmente deflattive. Infatti il numero di monete totali è predefinito o mediante una unica emissione una volta per tutte o, come nel caso dei bitcoin, dalla crescente difficoltà di ottenere nuova moneta a fronte di un dato lavoro di calcolo eseguito.

Benché non sia lo scopo del presente lavoro fornire una analisi anche solo pallidamente esaustiva del concetto di moneta, si fa solo presente che la “virtualità” di queste monete è sostanzialmente simile a quelle delle monete ordinarie più diffuse, che sono anche esse, strettamente, virtuali

Sono infatti monete cosidette “fiat” ( dal fiat lux, di biblica memoria: sono un atto di imperio di una organizzazione nazionale o sovranazionale ( l’euro) che le fa “esistere”).

Da tempo, quindi, il denaro è un mezzo di scambio non connesso ad una singola e particolare entità fisica, potendo così essere prodotto nella quantità e con le modalità desiderate.

Il suo valore, dipende dal mercato, ovvero dalla utilità percepita dal suo possesso e quindi dall’interscambio con altre entità virtuali ( altre monete fiat) o reali ( beni e servizi, ad esempio il petrolio).

Per la loro natura “speculativa” le monete virtuali sono state prima ignorate e poi fieramente irrise, fino a che, circa tre anni fa si è assistito ad una esplosione del valore , iper esponenziale e speculativa, che ha visto un bitcoin passare da poche decine  a 1200 dollari, crollare a poco più di 100 dollari e rimbalzare poi fino a quasi ventimila dollari di valore, trascinando con se le principali monete.

Attualmente si assiste ad un forte ridimensionamento da quei valori stratosferici ed ad un opportuno ripensamento sia sui protocolli sia sulle potenzialità delle varie monete. Alla fine, come è logico che sia, delle centinaia esistenti, ne resteranno solo poche, ciascuna presumibilmente, andando a coprire una nicchia differente di diffusione e funzionamento.

Il pedal coin è una proposta operativa che intende creare una “” moneta” o, più correttamente un mezzo di scambio che sia basato:

  • Sul distributed edger
  • Su un metodo di funzionamento e consenso affine alla proof of work (POW) o proof of burn ( POB). Nel caso di una proof of Work andrà valutata la possibilità di un protocollo tipo mimble wimble3
  • Su una precisa attività fisica che sia verificabile tramite  una funzione di hash crittografico con HW di bordo
  • firma digitale
  • rete permissionless peer to peer ( p2p)
  • crittografia a chiave pubblica e privata.
  • Che generi benefici diretti ed immediati con la sua stessa esistenza
  • Che possa vedere la sua utilità sociale, economica ed ambientale riconosciuta dalla rete finanziaria tradizionale, ad esempio sotto forma di sgravi fiscali riconosciuti alla presentazione di tokens, in modo da rendere possibile, con vantaggio per ambedue i mondi, un punto di contatto.

L’attività che si intende porre alla base della sua esistenza è tanto semplice quanto intuitiva: il movimento in bicicletta, declinato su qualunque percorso e qualunque finalità. Ovviamente il concetto, una volta implementato, è passibile di essere allargato ad altre attività analogamente “virtuose”.

Rapida analisi dei benefici personali e collettivi attesi dall’uso di un velocipede

Prima di affrontare il tema complesso dei benefici diretti attesi, sembra più opportuno perché ragionevolmente prevalenti, affrontare quello dei benefici indiretti, derivanti, in sostanza, dalla sostituzione di spostamenti attuati con mezzi a motore con spostamenti attuati con velocipedi.

E’ comune consapevolezza che il costo per la collettività degli spostamenti che utilizzano mezzi endotermici o, più genericamente, a motore, è un multiplo di quello percepibile dal singolo cittadino.

Il cittadino infatti è conscio dei costi fissi ( bollo, assicurazione, rate di acquisto e/o deprezzamento) del veicolo che utilizza e di quelli variabili ( riparazioni, manutenzione, incidenti etc) mentre ben difficilmente può rendersi conto di quelli che vengono sostenuti dalla collettività.

Fra questi sono ben visibili quelli legati alla realizzazione ed al mantenimento delle infrastrutture trasportistiche necessarie, strade, viadotti, segnaletica, barriere di protezione; molto meno quelli legati agli aumentati rischi sanitari ( incidenti, malattie croniche legate all’inquinamento, degrado delle condizioni psicofisiche delle persone etc etc). Ancora meno immediatamente visibili sono quelli necessari a mantenere la complessa infrastruttura indispensabile per il rifornimento dei veicoli, il loro smaltimento la loro costruzione, i sussidi( spesso immensi) alle aziende del settore, agli autotrasporti etc etc.

Tali sussidi ai settori interessati sono spesso i maggiori, percentualmente, che lo Stato fornisce al sistema produttivo, ed i costi infrastrutturali accennati sono tra i principali che deve affrontare.

Senza, naturalmente, tener conto delle problematiche connesse  alle guerre, agli sbalzi del mercato petrolifero, etc etc. Senza contare, infine, l’immenso danno ambientale provocato, la devastazione di interi ecosistemi, il rischio sanitario che provoca decine di migliaia di morti all’anno.

Esiste una ampia, quasi infinita, messe di studi che hanno affrontato l’insieme di questi costi, palesi ed occulti, alcuni citati in bibliografia. Qui basterà ricordare uno degli studi più puntuale e recente, europeo, che ha stimato queste esternalità ( i costi che la comunità affronta per ogni km percorso in auto)  in 11 centesimi al km percorso, mentre ha stimato in 18 centesimi i benefici ( esternalità positive) derivanti da 1 km percorso in bicicletta ed in 37centesimi a piedi.

I costi complessivi affrontati in Europa per garantire il trasporto automobilistico sono stimati in 500 miliardi euro all’anno.

Se si tiene conto del basso tasso di riempimento delle auto, mediamente meno di due persone a veicolo, si può ritenere che i benefici costituiti dall’usare la bicicletta al posto dell’auto, immaginando di sostituire un’auto con due passeggeri con due persone in bicicletta, siano pari a circa 11/2+18*2=41,5 centesimi al km.

Tutto questo serve a fornire una possibile base di calcolo per agganciare una moneta che viene generata se e solo se si pedala, spostandosi tra due punti geografici differenti, al mondo economico reale. Il pedal coin, in sostanza, si propone come una specie di “certificato bianco”a minimale ed accessibile a tutti, con un suo mercato ( la piattaforma stessa) un suo metodo di archiviazione, distribuzione, certificazione e generazione ( la blockchain, il distributed ledger e la proof of work) e un suo valore di partenza, determinato dalla utilità ambientale sociale ed economica che la sua stessa esistenza attesta. Tale valore, inizialmente per motivi politici/ambientali, ma ben presto per motivi concretamente economici e sociali, dovrebbe o potrebbe essere riconosciuto dagli Stati in cui viene implementato, ad esempio sotto forma di sgravi fiscali riconosciuti dalla presentazione di pedal coins, secondo un interscambio che sia dell’ordine di grandezza necessario a riconoscere almeno il 50% dei benefici attesi al presentatore di pedal coin. E’ bene chiarire che il presentatore dei pedal coins potrebbe NON essere colui che ha materialmente pedalato per i corrispondenti chilometri ma che tali pedalcoins esistono solo grazie al fatto che si è svolta QUELLA e non altre attività ( proof of work).

Implementazione

L’implementazione prevede un protocollo simile alle versioni più “leggere” del protocollo di funzionamento del distributed ledger e relativadi bitcoin. Tale protocollo leggero è necessario perché il calcolo si svolge sfruttando la potenza di calcolo disponibile sugli smartphones attuali.

Il processo di mining si avvia SE e solo se, il dispositivo è agganciato con procedura di crittazione a doppia chiave, ad un minidispositivo connesso alla bici ( può essere portato anche in tasca) che, dotato di piattaforma inerziale di derivazione dalle schede dei cellulari attuali, dia dati di posizione velocità e caratteristiche di movimento congruenti con quelli risultanti dal cellulare stesso.

In poche e più semplici parole, se il sw di mining non vede un movimento che è assimilabile al pedalare ed analogamente il dispositivo “di bordo” ( può essere un gadget che fornisce una buona luce frontale e contiene l’accellerometro ed il dispositivo di connessione bluetooth) non vede lo stesso movimento, con una tolleranza la più stretta possibile, il mining NON si attiva.

I PEDAL COINS VENGONO GENERATI, TASSATIVAMENTE, SE E SOLO SE SI PEDALA, SU UN PERCORSO DEFINITO E MISURABILE TRAMITE GPS. Ecco perché una modalità tipo la proof of burn, che prevede di “bruciare” una certa quantità, in percentuale, dei token generati, in cambio di tokens premiali potrebbe permettere di collegare questi ai km percorsi, grazie alla variabile tempo, a sua volta connessa alle transazioni eseguite ed alla disponibilità di rinunciare ad un dato numero di token. Una cosa comunque da approfondire e non banale, come appare ovvio.

Proof of work e pedal coin analisi alternative

Un modo compatto e necessariamente semplicistico di definire la complessa serie di calcoli numerici sottostante alla validazione dei blocchi, nota come proof of work, è che la proof of work  consente alla rete di non essere aggredibile da un hacker o un truffatore che voglia creare transazioni fittizie finalizzate o al collasso del sistema per sovraccarico ( DOS attack) o alla generazione di profitto per lui, tramite incameramento illegittimo dei tokens ( delle monete virtuali) circolanti. In pratica, poiché i nodi della rete sono tutti ugualmente qualificati a riconoscere e validare una certa transazione, un attacco che crei una motitudine di noi che validino una operazione truffaldina potrebbe creare un forking, cioè un ramo della rete che, pur fittizio, essendo basato su una operazione scorretta, riceverebbe la maggior parte degli assensi e quindi verrebbe riconosciuto valido. Proprio la potenza di calcolo necessaria a validare un blocco di transazioni, legata alle modalità di formazione e validazione dei blocchi attività che viene remunerata dalla generazione di nuova moneta,  permette di bloccare queste intrusioni malevole, per insufficiente capacità di calcolo. Se quindi il concetto alla base della proof of work, evitare intrusioni malevole volte a far collassare il distributed ledger o modificare a proprio vantaggio lo stesso, ottenendo un reddito illecito, è questo, ecco che il pedalcoin come concepito, appare in grado di ottenere lo stesso risultato sostituendo alla proof of work la proof of pedal. 

Infatti un nodo malevolo, per far validare una transazione scorretta, o tentare un attacco DOS, dovrebbe prima di tutto fornire una proof of pedal ovvero mostrare che sta pedalando e che i suoi dati sono congruenti con quelli del device. Ma, ovviamente, non è possibile generare istanze multiple perché si avrebbe bisogno di device multiple che siano a loro volta congruenti con nodi multipli ed attivi ( stiano pedalando) congruenti con essi.

Proprio perché è basata fisicamente, su una azione difficilmente duplicabile o falsificabile, la proof of pedal non appare forzabile se non con il consenso della maggioranza dei nodi, cosa che non appare possibile ne probabile ( le device hanno chiavi private che le rendono non modificabili o crackabili). Il pedal coin viene generato, quindi, a fronte di una attività, una proof of work, che dipende dai km percorsi secondo un algoritmo da verificare. Ogni nodo attivo, ovvero che sta pedalando contribuisce alla validazione DIRETTA ( senza calcolazioni complesse ulteriori, dato che la rete non è forzabile) dei blocchi e viene direttamente premiato in modo costante, in dipendenza dei km fatti. L’aggancio alla rete avviene dopo assenso da parte del device e si mantiene se e solo se i dati ricavati dal device sono congruenti con quelli dello smartphone o smartwatch del candidato nodo. Esiste un limite superiore di 50 km/gg ( possibile grazie al timestamping)  che potrebbe essere imposto sia per evitare forzature nelle attività sia perché vi sono prove che percorrenze elevate non siamo significativamente positive per la salute dell’atleta e quindi, in ultima analisi, per la collettività.

Poiché è essenziale che si mantenga una democraticità tra i nodi ( ogni partecipante alla rete riceve tokens in proporzione ai km fatti) si propone che i tokens generati dalla chiusura di un dato blocco siano generati in proporzione dei km totali percorsi nel tempo generato dalla creazione del penultimo blocco da tutti i nodi partecipanti alla validazione e siano distribuiti in uno di due possibili modi:

  1. in maniera equa fra tutti. Benché in questo modo chi percorre più km viene premiato meno di chi ne percorre di meno nello stesso tempo, si ritiene che il tempo intercorso sia sufficientemente breve da non creare pesanti distorsioni e comunque potrebbe essere stabilito un limite minimo e massimo alle velocità di validazione di un nodo ( ad esempio 10 e 35 km/h) dato che quel che si vuole incentivare, ricordiamocelo sempre è LO SPOSTAMENTO in bicicletta tra due punti e non l’attività fisica in quanto tale e si ritiene quindi che velocità troppo alte o troppo basse siano indizi di attività diverse da quelle che intendiamo promuovere.
  2. In maniera proporzionale ai km percorsi dal singolo nodo nel tempo intercorso. In questo modo si mantiene un incentivo maggiore per chi, in un dato tempo si muove più velocemente, cosa di per se non obbligatoriamente sempre e comunque positiva. Rimane però il vantaggio sia di una maggiore equità che di un legame stretto con il contributo dato dal singolo al benessere collettivo.

I sensori necessari sono già presenti dentro ogni cellulare ( l’accelerometro dei cellulari è già in grado di riconoscere, grazie a molti sw liberamente scaricabili, il tipo di attività fisica svolta, il nr. di passi o di pedalate etc etc) e sono anche facilmente reperibili in forma estremamente miniaturizzata, ed economica, basterà qui ricordare gli orologi ed i bracciali utilizzati per le attività fisiche da milioni di atleti e semplici praticanti amatori, nel mondo. Si presuppone probabile una implementazione della piattaforma HW di conferma, cd “device” a partire da arduino e sensoristica connessa, per un costo stimabile, a sensore, di circa 5-15 euro e di circa 30-50 euro del device ( verifica necessaria). Da notare che il device ha anche l’utilissima caratteristica di poter costituire un ottimo allarme in caso di furto e che potrebbe essere realizzato in un bundle con altre utilità, ad esempio una luce e diffusore sonoro, una radio fm.. etc etc

La presenza di un doppio sensore, il proprio cellulare e il device di bordo” con collegamento a doppia chiave, rende difficili le truffe.

Si ritiene comunque che il valore tendenzialmente basso e comunque pari al massimo ad una ventina di centesimi, di un km percorso, nella sua interfaccia con il mondo reale tramite i riconoscimento di sgravi fiscali ( il 50% o meno dei benefici collettivi attesi per l’attività) renda scarsamente interessante l’implementazione di sistemi in grado di ingannare sia il sw sia il sensore “di bordo” che andrebbe, in qualche modo, pensato come certificato o certificabile e dotato di una sua univoca identità, per quanto anonima.

Da notare che il device può essere venduto con un riconoscimento parziale di un tot di pedal coin, che in qualche modo costituirebbe sia un modo di finanziare lo sviluppo dell’idea sia un modo per restituire utilità sotto forma di tokens a chi partecipa alla offerta iniziale di pedal coins. Si propone un intercambio credibile, ma comunque non troppo elevato, dato che i pedal coin saranno connessi ai km percorsi con valori in termini di ondo reali, bassi. ( 10 O 20 CENTESIMI A PEDAL COIN). Si vuole inoltre incentivare la creazione di valore mediante attività e non i rentier, che comprano device e non li usano.

Ad esempio 100 pedal coin, per un device da 50 euro.

O 200 per un device da 100 euro.

resta da chiarire:

  • Licenza per difendere l’idea. Propongo creative commons: chi vende sensori certificati e ci guadagna deve pagare le royalties previsti dalla legge. Chi li realizza senza fini di lucro ( ad esempio, un istituzione pubblica) e li distribuisce liberamente, no.
  • Il protocollo proof of work che sia leggero e compatibile con la potenza di calcolo disponibile e, nel contempo sia fisicamente agganciato ( tot al km, in qualche modo e non tot al minuto, per evitare che qualcuno vada in bici a passo di lumaca e faccia mining come un atleta in allenamento)è corretta la visone che vede la proof of pedal sufficiente?
  • Costi e modi di realizzare e certificare il sensore “on board”.
  • Lancio dell’idea, media coverage, endorsment politico e sistemico etc etc.

Bibliografia/riferimenti

I certificati verdi ed il loro fallimento https://www.theguardian.com/environment/2009/mar/10/lovelock-meacher-slam-carbon-trading

Stabilità ed affidabilità del Nakamoto consensus: https://eprint.iacr.org/2019/943.pdf

The Social Cost of Automobility, Cycling and Walking in the European Union

StefanGösslingabcAndyChoidKaelyDekkereDanielMetzlerf

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0921800918308097?via%3Dihub

The True Costs of Automobility: External Costs of Cars Overview on existing estimates in EU-27

TU Dresden Chair of Transport Ecology Prof. Dr. Ing. Udo J. Becker Thilo Becker Julia Gerlach

https://stopclimatechange.net/fileadmin/content/documents/move-green/The_true_costs_of_cars_EN.pdf

3 https://www.binance.vision/it/blockchain/what-is-mimblewimble

Mimblewimble cambia il modello tradizionale delle transazioni blockchain. In una blockchain MW, non ci sono indirizzi identificabili o riutilizzabili, quindi tutte le transazioni appaiono ad un estraneo come dati casuali. I dati della transazione sono visibili soltanto ai rispettivi partecipanti. Quindi, un blocco Mimblewimble appare come una grande transazione invece di una combinazione di tante. Questo significa che i blocchi possono essere verificati e confermati, ma non forniscono alcuna informazione in merito a ciascuna transazione. Non è possibile collegare gli input individuali ai rispettivi output. Mimblewimble utilizza una funzione chiamata cut-through, in grado di ridurre i dati all’interno dei blocchi rimuovendo le informazioni sulle transazioni superflue. Quindi, invece di registrare ogni input e output (dai genitori di Alice a lei, e da Alice a Bob), il blocco registrerà solo una coppia input-output (dai genitori di Alice a Bob). In breve: Permette a una blockchain di avere una cronologia più compatta, più facile e veloce da scaricare, sincronizzare e verificare.

Inquadramento generale sui DL, blockchains e proof of work https://www.blockchain4innovation.it/esperti/blockchain-perche-e-cosi-importante/

Niente basta , a chi non basta quel che e’sufficiente/3

…In poche parole, ci siamo resi conto che la tana del bianconiglio che ci siamo scavati su misura di quanto teorizzava un certo Paul Ricardo, oltre 100 anni fa (ogni paese deve specializzarsi nel produrre e vendere quel che sa fare meglio e comprare dagli altri quello che non sa fare o sa fare peggio) è davvero profonda. 

Che la produzione ottimale non è detto che corrisponda ad una situazione ottima, per i cittadini di un paese. 

Stiamo, insomma, rendendoci conto che mantenere un presidio di capacità produttive nei vari settori merceologici è nell’interesse strategico di un paese.

In Italia, non devo dirvelo, abbiamo ampiamente rinunciato, al contrario dei nostri vicini, a combattere per mantenere queste capacità affidando ai singoli più ostinati e fantasiosi il compito di lottare e sopravvivere sul mercato globale.

A parte malversazioni, lenocini e sudditanze psicologiche varie, non siamo stati disposti a pagare il prezzo di questa semplice constatazione ( tanto più vera in un paese che, oltretutto è anche povero di materie prime). Abbiamo privatizzato, svenduto, rottamato interi settori economici.

E’ evidente che, se vogliamo garantire un poco di resilienza al paese, dobbiamo recuperare, per quanto è possibile, una parte delle capacità perdute. Questo implica investimenti e, visti i capitani di industria residui che abbiamo ed il loro comportamento, la parziale nazionalizzazione delle aziende così recuperate o salvate, a tutela dell’interesse pubblico e sociale. 

Europa o non Europa.

Il tutto in un quadro strategico più ampio che ci ricorda che il paradigma della crescita infinita è impossibile e che, dato questo, anche il paradigma dell’indebitamento pubblico e privato deve essere portato alle sue estreme conseguenze, usato per permettere una transizione decente ad un nuovo patto sociale, un new deal, giustappunto, che prenda atto della incontrovertibile realtà del raggiungimento dei limiti fisici del pianeta e della necessità di abbandonare la tenace illusione della crescita infinita.

Già difficile a dirsi nei paesi avanzati, ma inaccettabile nei paesi in via di sviluppo che lottano per garantire un minimo standard ai miliardi di loro cittadini.

E’ vero: solitamente ad un aumento del reddito pro capite corrisponde, fino ad un certo punto, un aumento del danno ambientale e poi, almeno localmente, una decrescita.

E’ la cosiddetta curva di Kuznets ambientale

Peccato che questa curva esprima l’inquinamento LOCALE. Spesso e volentieri (volentieri, si…salvo che per chi ne subisce le conseguenze) questa curva si traduce in trasferire in paesi meno fortunati le produzioni più inquinanti ed impattanti. ed un poco di pennellate verdi qua e la.

Dobbiamo fare di meglio.

E’ evidente quindi che dalla crescita sostenibile, che non esiste (vedasi sopra) dobbiamo passare allo sviluppo, all’evoluzione.

Unica possibilità di mantenere una qualche forma di collante sociale mondiale. La transizione verso un sistema sostenibile non può avvenire in poco tempo, anche muovendosi alla massima velocità possibile ed ammesso che ci si decida a perseguirla. Va cambiato, semplicemente, il modo di produrre, le motivazioni per produrre, la struttura economica, sociale, paradigmatica della società. Il modo di vivere. Di tutti.

E va fatto convintamente, con il minimo di coercizione possibile. Vasto programma!

Pure dobbiamo muoverci, evolverci, o collassare.

Ai grandi pensatori, ai migliori politici, ai leader del futuro, l’onere di costruire un sistema economico e sociale che funzioni. A noi agevolare il cambio di mentalità e modalità produttive, economiche e sociali che possano agevolare e rendere meno traumatica la transizione.

Se, quindi, la sfida è la più grande che sia mai stata affrontata dall’umanità e sicuramente la più complessa, a noi cittadini comuni va il compito di dare il nostro piccolo contributo.

Non possiamo salvare il mondo, non tutto.

Ma possiamo salvarne un pezzettino, contribuire un poco, aiutare, spingere, suggerire, influenzare, dare l’esempio di attività iniziative che vadano nella direzione giusta.

(continua)

Niente basta, a chi non basta quanto e’ sufficiente

Pratolino, la grande quercia

prima parte

“Niente basta a chi non basta quanto è sufficiente.”

Epicuro

“Non è lontano il giorno in cui il problema economico prenderà il posto che gli compete, ovvero il sedile posteriore e l’arena del cuore e la testa saranno occupate o ri-occupate dai nostri reali problemi, i problemi della vita e delle relazioni umane, della creazione e del comportamento e della religione…”

John Maynard Keynes

Il Covid-19 resterà nella storia.

Di questo  paese ed anche nella nostra, personale.

Come la crisi più importante dai tempi della seconda guerra mondiale. Una grande tragedia, ovviamente, ma anche come una opportunità, se la sapremo cogliere, di ripensare ai valori che ci legano, alle cose che ci uniscono ed a quelle da cambiare. Perchè lo sappiamo, che dobbiamo cambiare. Perchè lo sappiamo che il paradigma sociale ed economico che ha plasmato la realtà che ci circonda non tiene più, è diventato un dinosauro, un gigante dai piedi di argilla, che in preda al panico può distruggere tutto intorno a lui, prima di cadere, vittima della sua fragilità e della sua incapacità di cambiare. Lo stiamo vedendo bene, in questi giorni, ed ancora non sappiamo ancora quanto grave sarà il danno provocato all’enorme schema Ponzi [1] che è diventato il mondo finanziario attuale[2].

Opportunità dicevamo.

Del resto sia i greci che i cinesi sapevano bene che la parola crisi (krísis è “scelta, decisione”) racchiude in sé una duplicità. I cinesi infatti così esprimono il termine:

Rischio ed opportunità, scelta, cambiamento. La seconda parola da sola è fortemente polisemica ( ha molti significati diversi). I vari significati, in ogni caso, vanno di pari passo. 

Enormi rischi, ad esempio quelli associati alla rivoluzione, alle guerre, alle carestie, alle epidemie (ahinoi) costituiscono anche enormi opportunità, che non sempre si sanno o vogliono cogliere. Cosa che la Storia, solitamente, rinfaccia a chi non le coglie, da sempre.

Certo: in un mondo dominato da un unico dio minore, il denaro, o meglio il debito [3], le opportunità vengono automaticamente convertite in opportunità di guadagno. 

E spesso nelle normali crisi finanziarie è così, per chi sa ed ha gli strumenti per coglierle.

Ma questa NON è una crisi normale. Non è infatti una crisi endogena al sistema. Non è una crisi di produzione, non è una crisi di liquidità, non è una crisi di domanda. Non è una crisi di fiducia: è tutto questo insieme ed altro ancora. Le centinaia di miliardi paracadutate dagli istituti centrali sui mercati, per cercare di salvare il salvabile, potrebbero non bastare. Un poco come avere il serbatoio pieno non serve a molto, se si ha il motore rotto.

In un mondo in cui, all’improvviso, il denaro non serve o non basta a far ripartire l’economia, la Società, è evidente che si debba pensare ad altro, ripensare ai fondamenti stessi della Società: lo sappiamo, l’abbiamo sempre saputo, in realtà, che ambire ad una crescita infinita in un pianeta finito non poteva avere senso. Se il prestigiatore, ovvero la scienza, ha tirato fuori dal cappello un numero strabiliante di conigli, la Storia ci ha sempre avvisato, nell’indifferenza generale, che anche il migliore illusionista non dispone di infiniti trucchi.

Ancora oggi buona parte degli economisti, pur riconoscendo che c’è seriamente qualcosa che non funziona, nell’attuale sistema, non ha voluto o saputo metterne in discussione i fondamenti [4]. Non tanto e non solo il principio astratto – e quanto mai falso – di libero mercato, una astrazione potentemente combattuta nella realtà, dominata infatti, sempre di più, da giganteschi conglomerati economici (che fatturano più di interi stati) ma anche, più sottilmente, il principio economico su cui l’enorme crescita economica di questi anni si è fondata e di cui ormai il sistema è diventato schiavo. Come un tossico all’ultimo stadio alla ricerca disperata di sempre maggiori dosi per ottenere lo stesso effetto. È tempo di comprendere che il debito e QUINDI LA CRESCITA non possono aumentare all’infinito, e che un nuovo paradigma, di conseguenza, è necessario. 

Non abbiamo la pretesa, ovviamente, di tratteggiare una nuova teoria economica, ma solo, in questo breve viaggio a tappe, proporre alcune piccole iniziative che, incidendo sulla vita di tutti i giorni di ciascuno di noi, ci facciano comprendere come è possibile cambiare concretamente ed in modo rapido l’impatto che abbiamo sull’ambiente, così permettendo, per intanto, di fare cambiare prospettiva a più persone possibile, a mostrare che un altro mondo è possibile, non in un remoto futuro ma qui, ora, domani. Nell’insieme vogliamo ottenere un di più di qualità della vita, consumando meno risorse. Di più con meno.

Dematerializzare la cosiddetta crescita (la crescita economica è apparente perché in realtà, in tutto il mondo aumenta più lentamente del debito necessario a sostenerla), che attualmente garantisce un minimo di prospettiva futura. 

In attesa di sostituirla con un vocabolo molto più interessante: lo sviluppo o in alternativa l’evoluzione. 

Non sempre infatti la crescita è sinonimo di evoluzione o miglioramento. I dinosauri, come è noto, crescevano moltissimo. Ma non sono sopravvissuti al meteorite, al contrario dei piccoli, adattabili, apparentemente fragili e furtivi mammiferi.

Alla prossima!

(continua)

[1] https://it.m.wikipedia.org/wiki/Schema_Ponzi

[2] https://www.crisiswhatcrisis.it/2020/01/20/yo-yo-36-miliardi-ed-una-bottiglia-di-rhum/

[3] https://www.crisiswhatcrisis.it/2016/07/28/il-picco-del-tempo-e-del-denaro/

[4] https://www.milanofinanza.it/news/perche-il-sistema-capitalistico-e-praticamente-morto-202005051341469082

Giuseppi e il paracadute money: una modesta proposta.

Celebrate Easter in lockdown with crafts, egg hunts and virtual ...

Quale sorpresa ci sarà nell’uovo Pasquale? Come ci guarniranno la colomba in Europa?

Il MES, ma attenti ai cacs. Lo SURE, ma attenti alle garanzie di stato. La BEI, ma e’cara. I corona Bonds, al patto di chiamarli obolo di Giuda ( protettore dei cassieri) oppure questo oppure quello……

oppure:

La BCE compra i buoni del tesoro in scadenza dei vari paesi, sul mercato secondario , creando la liquidità che gli serve per farlo e LI ANNULLA, ad esempio dichiarando che rinuncia all’incasso per cinque anni.

Dopo cinque anni, da noi ma non solo, i diritti dei detentori dei nostri titoli di stato sono prescritti. EVAPORATI.

A quel punto l’Italia, ad esempio, che avrebbe 300 miliardi di buoni in scadenza nel 2020, può emettere nuovo debito per tale cifra senza indebitarsi di più di quanto non sia.

Se rinuncia ad una quota di questa cifra, ad esempio il 50%, e quindi si finanzia per 180 miliardi, i suoi conti MIGLIORANO rispetto al previsto.

Mi sbaglierò ma….i buoni in scadenza sono già emessi e quindi sono sul mercato. La BCE PUÒ comprarli, senza cambiare il regolamento, sul mercato secondario. ( whatever it takes, anybody?)

Quelli che comunque non vengono intercettati, poniamo un 50%, vengono acquistati dalla cassa depositi e prestiti o similari( ogni paese ne ha almeno una o qualcosa che ci somiglia) dal suo azionista di maggioranza, ovvero dallo stato italiano, ad esempio al 99% del valore di facciata, così ci guadagna. E li gira alla bce, che come visto li può comprare.

La soluzione è equanime perché premia tutti allo stesso modo, non genera inflazione, consente agli Stati una grande libertà di azione ed evita speculazioni, dato che gli Stati devono collocare molti meno buoni del tesoro del solito e, sopratutto, lo possono fare con le tempistiche più opportune e non sotto il vincolo di rimediare la liquidità necessaria al rimborso dei buoni in scadenza.

Nell’insieme in questo modo NON si aumenta il debito degli Stati.

Il denaro in circola aumenta ma, ricordiamocelo, serve anche per coprire le inesorabili voragini che stanno per aprirsi nei bilanci delle banche e, naturalmente di imprese, famiglie, Stati.

Difficile, in questa condizione, che ripartano i prezzi ed i consumi. Ci sono anzi rischi di deflazione.

Nel caso, la qui presente premiata consociata Crisiswhatcrisis& partners, per la consulenza, si accontenta dello 0.00001% dell’importo, che devolve fin d’ora ad un fondo destinato a premiare tesi sociali sull’utilizzo del termine “sticazzi” o meglio di equivalenti ma più delicate allocuzioni, politically correct nelle relazioni internazionali…. eeeh?

Mes, Eurobond ed il dilemma di Leonida

Contrariamente a quanto si crede gli Spartani alle termopili, non avevano gli scudi con la lettera Lambda, come si vede nei film. Ognuno si decorava lo scudo a modo suo.
Contrariamente a quanto si crede gli Spartani alle termopili, non avevano gli scudi con la lettera Lambda, come si vede nei film. Ognuno si decorava lo scudo a modo suo.

Il MES e gli eurobond.

E’ il tema di questi giorni, ogni volta che si allunga lo sguardo oltre la pila di cadaveri lasciati dalla pandemia.

Ogni volta che si prova a pensare, in qualche modo, al dopo.

Si tratta, questo lo capiscono tutti, di rimediare qualche centinaia di miliardi di euro e spenderli il prima possibile, per fare ripartire l’economia. Prima che milioni di persone finiscano senza lavoro, non per qualche mese, ma per il futuro prevedibile.

In Europa, Germania e paesi satelliti vorrebbero adottare il MES, famigerato strumento finanziario utilizzato per “aiutare” Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda. Conte è miracolosamente riuscito a creare una specie di coalizione di paesi favorevoli invece ai cosiddetti Coronabonds o Eurobonds che dir si voglia.

Ma di cosa si tratta?

Differenza spiegata presto e, spero, bene:

Il MES e’finanziato anche dall’Italia, che deve fare debito pubblico per finanziarlo, pro quota. 17 miliardi versati finora, fino ad 125 miliardi, potenzialmente.
Se l’Italia riceve un prestito usufruendo MES, proporzionale alla sua partecipazione, cosa probabile, riceve i soldi che ci ha messo dentro, raccolti prendendoli in prestito ad un tasso di interesse più alto.
In più viene messa sotto schiaffo, dalla troika.
Ottiene, in sostanza, lo stesso risultato di quello ottenuto emettendo nuovi buoni del tesoro, legandosi mani e piedi ai desiderata di forze oggettivamente ostili ai suoi cittadini.

Di fatto, il MES e’per noi perfettamente inutile.
Serve per “aiutare” (ehm!!!) pochi paesi con i soldi di tutti.
Ma qui la situazione è chiara quanto diversa: aiuterebbe tutti e quindi tutti proporzionalmente.
Riprenderemmo i soldi che abbiamo versato.
Di fatto ci troveremmo, in un certo senso, indebitati DUE volte. Per la stessa cifra ( solo in apparenza, perché ovviamente l’Italia sarebbe indebitata con se stessa, nel caso del Mes, essendo uno dei paesi che lo finanzia)
Mica male, no?
Non è finita: aumentare il nostro indebitamento comporta un giudizio negativo da parte delle agenzie di rating. Siamo già al limite. Ancora un downgrading ed I nostri titoli così declassati non possono, in forza del regolamento fondativo, essere comprati dalla BCE sul mercato secondario per calmierare i tassi di interessi e relativo spread.

Il famoso whatever it takes di Draghi, che ci ha “salvato” in questi ultimi anni. I nostri tassi, liberi di fluttuare, esploderebbero verso l’alto ed andremmo a raggiungere la Grecia.

Gli eurobond dovrebbero essere emessi direttamente dalla bce, che ne garantirebbe la restituzione. Essendo una banca centrale non potrebbe, per definizione, andare in crisi di liquidità. I tassi degli eurobond quindi, rispecchierebbero solo il rischio cambio ed il rischio inflazione. Nello scenario attuale praticamente nulli.

I tassi degli eurobond sarebbero quindi bassissimi, prevedibilmente e sicuramente vantaggiosi, rispetto ai costi dei bond nazionali.

I soldi raccolti sul mercato verrebbero girati proquota ai vari paesi. Quindi nessuno si avvantaggerebbe sugli altri. E nessuno pagherebbe i debiti altrui.

Ora arriva la parte interessante.

I buoni possono essere onorati dalla bce in due modi: o chiedendo ai paesi che hanno ricevuto i fondi la restituzione degli stessi ad interesse 0 ed in 30 anni ( ma così aumenta il debito pubblico) o creando dal niente il denaro necessario. La prima ipotesi è quella più probabile, sarebbe un vantaggio importante rispetto al MES ed abbiamo visto perchè. Ma non sarebbe niente di rivoluzionario.

La seconda sarebbe decisamente più innovativa.

In pratica la BCE emetterebbe centinaia di miliardi di nuova liquidità, tramite la restituzione degli eurobond, via via che andassero a scadenza. Nessuna richiesta di restituzione agli Stati.

In condizioni normali questo aumenterebbe l’inflazione; ma in queste condizioni, di chiara recessione, abbiamo fatto un test probante nel 2008, l’inflazione, nonostante mille mila miliardi creati dal nulla, non ripartirebbe, perché l’economia e’depressa.

La cosa non piace allo stato tedesco per un motivo preciso: le sue banche sopravvivono lucrando sul differenziale dei tassi con i paesi vicini. E con loro se ne avvantaggia anche lo stato tedesco.

Le suddette banche sono infatti le uniche che accettano di comprare buoni del tesoro con tassi negativi… i famosi bunds, sui quali misuriamo lo spread. da qualche parte si devono rifare.

Ovviamente ai cittadini tedeschi la cosa viene venduta in modo diverso. “Gli italiani e le altre cicale che hanno vissuto e vivono al di sopra dei loro mezzi, vogliono continuare a farlo con i soldi di noi tedeschi”. Il bello è che la cosa viene ripresa, praticamente senza confutazione, dai nostri Media nazionali.

Non è vero, ovviamente, per mille e vari motivi di cui alcuni ricordati qui.

Ed alcuni nel post precedente.

Quindi, riassunto della situazione:

  • Fare nuovo debito non funziona.
  • Affidarsi al Mes non funziona.
  • Conte non ha alternative.
    O eurobond o morte.
    E noi con lui.
    Avete presente le Termopili? Ecco…
    Molon labe’.
    Per davvero…
    Chi dice il contrario, chi sminuisce la cosa, e’ un vero traditore.
    Reale, concreto. Nitido.
    Ne abbiamo già qualcuno. Sappiate che non è possibile equivocare.
    Qui non c’entrano ne Meloni ne Salvini né Bagnai ne borghi.
    C’entra la Storia. Si dice che le circostanze creano e forgiano l’uomo.
    Speriamo sia vero.
    Perché di forgiati ne vedo pochi.
    Di spremuti parecchi.

 

Il pane, in casa, a modo nostro

il pane descritto nel post

Non è certo una novità. Non è certo qualcosa di eccezionale. Però il pane, fatto in casa, a partire da farina acqua e lievito, quando riesce bene è una grande soddisfazione. psicologica, tattile, olfattiva, gustativa, visiva e pure uditiva ( gli scrocchi del pane fresco,  la crosta croccante…sapete di cosa parlo).

In tempo di lockdown, potreste avere voglia di cimentarvi anche voi. MOLTO meglio di una lunga coda dal panettiere. Più sicuro. Più divertente. Perfino più economico, a ben considerare. Sicuramente più resiliente, In tempi di crisi il pane fresco non è una certezza. In quel caso si deve imparare a fare e conservare la pasta madre..ma di questo parleremo un’altra volta.

Vi sono un milione di ricette per fare il pane. Un milione di pani possibili. Un milione di farine. Un milione di levitazioni…

Ma questa è la ricetta per il NOSTRO PANE.

A noi garba così.

A noi piacciono le farine “rustiche”, il nostro pane è fatto con quelle. In queste settimane comincia a scarseggiare la farina migliore e ci si deve accontentare di una farina zero, in mix con una farina tipo Verna macinata grado 2 ( una semintegrale macinata grossina). tenete conto che viene anche con tutta farina zero. anzi: lieviterà ancora di più . Ma vi perderete qualcosa, in termini di esperienza.

Ecco, di seguito la ricetta. La chiave di volta: lievitazione LENTA. La chiave nr. 2: Le pieghe. Hanno lo stesso scopo: simpatici buchetti e mollica areata, morbida fragrante…una buona levitazione finale!

ingredienti PER QUEL PANE: farina: 500 grami divisi così:  tipo 2 Verna: 300 grammi. farina zero: 200. Si può fare tutto con farina 2 o integrale, l’abbiamo fatto così perché stiamo finendo la tipo 2. lievito di birra fresco 6 grammi ( avevo sbagliato) max 10. sale, se si vuole.

Noi siamo toscani. Non assolutisti, un poco ne mettiamo. Acqua: 420 grammi circa. E’ un impasto piuttosto liquido.

Un terzo di cucchiaino di zucchero, se si vuole, per velocizzare ed avviare la lievitazione.

Al contrario del solito, si mette l’acqua con il lievito di birra sbriciolato e disciolto e si aggiunge la farina pian piano rigirando.

Si copre con una pellicola e si lascia 15 minuti fuori dal frigo. poi con un mestolo si rigira e si lascia li, ricoprendo,;si ripete per tre volte. Poi si mette in frigo sempre coperto dalla pellicola e se ne riparla la mattina dopo sul tardi, se siamo partiti nel pomeriggio.

La mattina dopo l’impasto deve avere almeno raddoppiato o triplicato il volume, con tante bolle.

Si stende sulla spianatoia dopo averci messo un poco di farina, si forma un rettangolo CON LE MANI, senza stressare troppo la pasta e si fanno le pieghe di rinforzo: cioè piegare in tre su un lato, come se fosse un asciugamano direzione nord sud. girarlo a pancia in su e piegarlo sempre in tre, direzione est ovest. Rigirare di nuovo a pancia sotto. Ripetere da capo le pieghe.

E’ un poco oscuro, riconosco: ecco cosa intendo:

 

Tenete conto che è la fase più importante per fare lievitare come dio comanda il tutto. Poi su un asciugamano con tanta farina per non fare attaccare ( è un impasto piuttosto umido, ripeto). lasciare lievitare fuori dal forno un’ora e mezzo.

Trovare una teglia, a sponde alte. meglio se con coperchio e metterla a scaldare in forno a 230 gradi. Quando forno e teglia sono caldi, infornare. 30 minuti a 230 gradi. 30 minuti a 220.  Ventilato.

PRONTO!

Il pane, BUONO, ha qualcosa di atavico. Si basa su poche cose, che devono essere BUONE. Buona farina, buon lievito, acqua non troppo dura. manipolare l’impasto in un certo modo. Ricordiamoci che, fino a che no nentra in forno, abbiamo a che vedere con qualcosa di vivente, uno strano e peculiare ecosistema. La perfezione non esiste. Ma arrivare a qualcosa di soddisfacente è possibile. Provateci!

E raccontateci, se avrete voglia, come è andata.

il pane, tagliato

 

 

Garlic belt, ovvero le notizie proseguite con altri mezzi

Garlic belt

Clausewitz, scrisse, in un trattato rimasto famoso, che la guerra era la politica proseguita con altri mezzi. Benché il trattato sia ormai (per fortuna, direi) relegato alle accademie militari, il detto è rimasto famoso ed è stato parafrasato un poco da tutti. Per non sottrarsi quindi, alla tradizione, PARAFRASANDO, anche noi, mi sento di affermare che, alle volte, capitano casi di vera guerra propagandistica, in salsa giornalistica.

Quella del “garlic belt” è una RELATIVA novità, dopo l’infausta era dei paesi PIIGS ( portogallo, irlanda, italia Grecia spagna) , i maiali, brutti sporchi e gozzovigliatori, da contrapporre ai nobili paesi del nord europa, con il loro digrumare nel fango, dissipando e sbafazzandosi le risorse a loro generosamente gettate. In attesa del Norcinaio, ovviamente. Che quella dei “PIIGS” non fosse solo una sigla ma piuttosto una strategia comunicativa, lo capimmo noi di Crisis, tra i primi, ormai dieci anni fa.

Combattemmo una minoritaria battaglia per far presente che vi sono altri Pigs prima di noi, che si mettono la maschera da formichina, pur essendo cicale quanto e più di noi.

Poichè questa cosa dei piigs era ormai fatta propria un poco da tutti, perfino dai diretti interessati e/o sembrava poco politically correct, e/o sembrava ormai poco incisiva, visto il fastidio che da l’attuale compagine governativa italica,  e visto che non si prendono mai abbastanza le distanze da noi barbari e cafonazzi del sud, ecco che è spuntata la “garlic belt”, la cintura dell’aglio, intesa come quei paesi euromediterranei usi ad abusare dei saporosi bulbetti.

Ci sarebbe da far presente a chi ha coniato questo termine che i francesi lo usano quanto e più di noi, nella loro cucina e che, d’altro canto, in Germania e in tutti i paesi nordici si fa amplissimo e forse esagerato uso dell’erba cipollina, non esattamente fragrante di fiori di montagna.

Ci sarebbe da ridere se non fosse che la prima regola, per schiacciare o colpire qualcuno è trasformarlo in un qualcosa. In un qualcosa di puteolente, sgradevole, insignificante. Del resto l’aglio si schiaccia, no?

Ecco un articoletto tipico, dimostrativo dell’uso del termine.

NATURALMENTE la nostra stampa, mai abbastanza subordinata e complessata, ha fatto proprio il termine , con accenti di immancabile commiserazione. Il Sole 24 Ore, in particolare, ha pubblicato un articolo che mostra la disoccupazione in Europa, sotto il titolo “mezza Italia è tedesca l’altra mezza è Garlic belt”. Ora, premesso che in ogni caserma che si rispetti ( e l’Europa, QUESTA Europa,è una caserma) il nonnismo va sempre dal più forte al più debole, questo articolo non è solo una indegnità, visto che usa un termine già indegno di suo INDEGNAMENTE verso una parte del paese.

E’, sostanzialmente FALSO. Perché, tanto per cambiare, in questa statistica, la Germania trucca le carte. I Land con la disoccupazione più BASSA sono anche quelli dove è più ALTA la percentuale dei cosiddetti “minijob”, lavori sottopagati che vengono integrati dallo Stato, con una forma di sussistenza occulta il cui unico scopo, in sostanza, è quello di poter produrre statistiche con dati falsati come questi. Se si confronta, infatti, i dati areali salta immediatamente agli occhi che SE SI AGGIUNGONO i minijob, sostanzialmente redditi di cittadinanza SOTTO MENTITE SPOGLIE, dati in cambio di lavori di poche ore a settimana pagati pochi euro/ora, alle percentuali di disoccupazione, all’improvviso si scopre che il NORD ITALIA è più Germania della Germania, che in realtà ha tassi di disoccupazione E sottoccupazione simili a quelli del centro Italia e perfino di un paio di Regioni del sud.

 

a sinistra: % minijob sul totale contratti di lavoro, a dx % disoccupazione

Potete “divertirvi” a verificare da soli, giocando un poco con i grafici, che sono interattivi, qui per i minijob e qui per i tassi di disoccupazione. Ausschließlich sta per esclusivamente, ovvero come unica attività il minijob. Nebenjob come lavoro part time, e Gesamt come somma dei due.  Conclusione? Non è certo da questi dati che si vedono, se poi esistono DAVVERO, i differenziali tra NOi maiali mangiaglio ed i profumati e decorosissimi paesi della “cintura del burro”. Magari non avranno pensioni, esattamente come noi, magari si affanneranno in lavori sottopagati e di bassa specializzazione, magari il tutto si traduce, PRIMA DI TUTTO in un clamoroso aiuto alle imprese piuttosto che ai lavoratori, semplicemente sussidiati, ma tant’è, l’importante è poter raccontare a tutta Europa e, prima di tutto a se stessi che tutto va bene la Signora Marchesa. Il problema non è tanto che loro sparano bufale. E’ che noi ci crediamo. Considerando che il nostro principale giornale di informazione economica, dopo aver elargito per decenni sensatissime e precisissime analisi economiche, è quasi fallito, ed ora vale un decimo che dieci anni fa, direi che faremmo bene a dargli la stessa percentuale di attendibilità.

La competenza ai tempi della Crisi

 

Il neonato governo giallo verde è ufficialmente nato ieri e già tutti i media si baloccano con il nuovo giocattolo facendo a gara a chi trova l’incompetente più grande, la boiata più grossa.

Il che va benissimo ed è anche sano, se l’avessero fatto anche per i 4 governi che l’hanno preceduto. La competenza, in effetti, è un argomento perfettamente Cassandresco.

Ecco quindi Il mio personale contributo. D’annata, ovviamente, perché così fanno le Cassandre.

ah, a pensarci bene, è ancora leggermente ottimista. Perché il principio di Dunning https://it.m.wikipedia.org/wiki/Effetto_Dunning-KrugerKruger dice che l’incompetente sarà l’ultimo che si accorgerà della sua incompetenza.

Un corollario, citato, dice che per rientrare nella casistica basta…”respirare”.

Diario doloroso di un assimilato:
Oggi ho appena scoperto che non basta essere assimilati, per scamparla.
Sono andato a rivedermi l’origine del famoso ( ehm almeno tra noi gente bislacca) principio di Peter: In una data gerarchia ogni membro tende a raggiungere il proprio livello di incompetenza.
Come FORSE sapete, questo primo e famoso principio si accompagna a tre un poco meno famosi, ma strettamente connessi:

1) In una data gerarchia ogni singola posizione tende ad essere occupata da un individuo inadeguato al lavoro che deve svolgere;

2) Con il tempo ogni posizione lavorativa tende ad essere occupata da un impiegato incompetente per i compiti che deve svolgere;
3) In una data gerarchia il lavoro tende ad essere svolto prevalentemente da coloro che non hanno ancora raggiunto il propro livello di incompetenza.
Ho sempre pensato che questo sia in realtà un BEST case, perchè postula, ad esempio, l’esistenza di un sistema meritocratico.
Mediamente parlando le cose vanno peggio di cosi.
Ma c’è qualcosa di piu’ interessante: poichè ovviamente i compiti o almeno le competenze necessarie per svolgerli decentemente sono sempre piu’ complessi, via via che si sale i gradini, anche nel migliore dei casi, IN UNA GERACHIA I POSTI DI VERTICE SONO STATISTICAMENTE COPERTI DA INDIVIDUI INCOMPETENTI.
Che questo sia sostanzialmente vero, l’abbiamo sotto gli occhi tutti, almeno di chi li tiene aperti.
Ma c’è di più: Il sistema NEL SUO COMPLESSO è destinato al collasso.
Infatti il quarto e meno noto principio di Peter recita:
«Ogni cosa che funziona per un particolare compito verrà utilizzata per compiti sempre più difficili, fino a che si romperà.»
Notate che è un principio più generale che COMPRENDE gli altri tre.
Soprattutto notate come si lega a quel che ha scritto Tainter sui sistemi complessi o comunque ai casi NOTI di collasso di sistemi complessi.
Le cose stanno proprio cosi. Ad ogni livello del sistema, QUALUNQUE sia il sistema preso in considerazione, umano o naturale, ad ogni livello COMPLESSO formato da sistemi di sistemi ed ovviamente anche al livello massimo, al sistema dei sistemi dei sistemi chiamato Terra.

Stiamo adoperando la nostra società per compiti sempre più difficili e non funziona più. In più chi è ai vertici non è in grado di gestire la cosa, essendo incompetente.
Stiamo adoperando IL NOSTRO PIANETA allo stesso modo.
Come si può scappare dal collasso?
O con la decrescita ( fare cose piu’ semplici, in minori quantità).
O con la sostituzione dei vertici ( mettere persone più brave che non hanno ancora raggiunto il loro livello di incompetenza).
O con tutti e due.
Abbiamo poco tempo, direi la terza che ho detto.
Ma, per la legge di Peter, questa evenienza è estremamente remota.
Colui che arriverà a poter decidere cosa fare, NON SAPRA’ FARLO.
Se ci pensate, diecimila anni di civiltà ci danno proprio questa risposta: i casi di competenti al comando è cosi rara che questi pochi sono GLI UNICI che fanno avanzare le cose.
Per davvero: quelli di Peter sono dei postulati .
Come quelli euclidei.

crisis what crisis? 2012

Il Debito, lo Spread e la lavandaia.

05/06 UP-update.

La lavandaia, dopotutto, non fa di lavoro la lavandaia. Avendo altro da fare, ha accumulato un cesto di bucato da fare gigantesco. Come saprete, ora un governo ce l’abbiamo, gli apprendisti stregoni ( tutte le parti interessate, nessuno escluso) impauriti dallo sconquasso, si sono precipitati a metterci una pezza, hanno nominato un governo tendenzialmente di destra, ed hanno partecipato, con contorno di reciproche pacche sulle spalle, virtuali e non alla festa della repubblica. Consentitemi la r minuscola, per rispetto alla Repubblica che dovremmo essere.

Il ministro dell’economia pare un tipo tranquillo, non fosse che i suoi principali consiglieri e probabili sottosegretari, Bagnai e Siri sono teorizzatori della brexit come piano A e non come piano B. Per fortuna il mercato si è annoiato e per ora ci lascia in pace.

28/05 Update: MAI lasciare un post a mezzo durante un psicodramma: Questo weekend, come saprete, il nostro esimio Presidente della Repubblica, dopo un braccio di ferro durato almeno 48 ore, ha rifiutato di nominare un Ministro dell’economia considerato antitedesco e, peggio ancora, antieuro. E’ una bufala, ed anche grossa, A meno che essere a favore della verità e della realtà non sia di per se antitedesco, ma questo lo vedremo in un prossimo post.

A quanto pare, Mattarella ha rifiutato di nominare qualunque personalità alternativa che fosse analogamente critica della attuale situazione europea. Per due partiti che si sono presentati ed hanno vinto in nome di un cambiamento storico, in nome di una decisa rottura con i governi degli ultimi dieci anni era semplicemente una patata troppo grossa da ingoiare. Il Presidente del consiglio incaricato si è dimesso, Luigi Di Maio ha chiesto la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica, che ne frattempo ha nominato Cottarelli, ex dirigente del fondo monetario internazionale, ex “Mr. Tagli” del governo Letta… che si presenterà in parlamento per ricevere una sfiducia e quindi portare l’Italia alle urne, con il governo attuale prorogato per l’ordinarietà. Non potendo fare una manovrina correttiva che ci chiede l’Europa, scatteranno le clausole di garanzia etc etc etc. Se non è un colpo di Stato, poco ci manca, ne giova ricordare precedenti profondamente diversi di governi Berlusconi, Letta, etc etc. Un bel disastro, comunque una la voglia vedere. Si è almeno calato il velo di ipocrisia su quali sia la situazione dell’Italia in Europa ed il suo livello di libertà reale.

Detto questo, riprendiamo il post originale, che è da un lato superato dagli eventi, dall’altro, per i fatti che espone quanto mai di attualità.

Il debito  lo spread e la lavandaia

Ricomincia il tormentone. Puntuale come la pioggia Marzolina e le alluvioni Ottobrine, Mentre ci dipaniamo tra un curriculum e l’altro, dei nostri futuri governanti, mentre si vanno ad intervistare ex mogli, si disseppelliscono cartelle esattoriali, si disquisisce sulle scarpe, sul taglio dei capelli, su quanto detto o letto o semplicemente studiato da coloro che dovrebbero governarci, in mancanza di notizie che rassicurino l’Europa sul fatto che, per la cinquantesima volta, in Italia ci sia un governo succube, possibilmente debole, meglio ancora se complice e pronube, è ripartito il tormentone dello Spread, del deficit, del debito. prevalentemente con il pilota automatico. Ovvero senza approfondire un filo, senza nemmeno sforzarsi un attimo di capire, senza chiedersi se, dopo tutto, il meccanismo proposto: mancata fiducia internazionale nel governo italico prossimo venturo, sia un buon motivo per la risalita del suddetto spread.

La lavandaia, a questo punto , stufa di tutto questo inutile ed anche un poco ridicolo bla bla, ha deciso di dare il suo modestissimo  contributo, per quanto possono le sue deboli capacità. Pulite le mani sul grembiule, annodato il fazzoletto in testa, Si comincia.

Prima cosa: i tassi tedeschi. La Germania è un paese affidabile, con i conti in ordine, quindi può emettere bond a tasso bassissimo e piazzarli tutti.

Noi siamo il paese di Arlecchino, pulcinella, Pantalone ( 60 milioni di pantalone, veramente), pizza, ammore, mamma, mandolino e Mafia etc etc.

QUINDI lo spread, ovvero la differenza di rendimento tra i tassi del nostri buoni del tesoro e quelli tedeschi è alto e tende a salire, quando ci allontaniamo dal sentiero virtuoso.

Giusto? Ni, Diciamo no e ci avviciniamo parecchio.

Per due semplici motivi:

  1. Le banche tedesche sono, in buona parte, in mano pubblica. QUINDI l’azionista pubblico di maggioranza può sempre imporre a dette banche di comprare i bunds, non importa quanto basso sia il tasso. Ci sono stati momenti in cui questo tasso era prossimo a zero. In realtà ancora oggi per i bunds decennali ed oltre siamo molto prossimi a quel valore.  Ecco il quadro complessivo delle varie emissioni tedesche. Benché siano risaliti, i tassi sono sempre vicini o sottozero. Se mi spiegate perché, al di fuori di quanto appena detto, una banca dovrebbe acquistare buoni del tesoro con rendimenti inferiori all’inflazione o addirittura inferiori al semplice tenere i soldi a disposizione per qualche altro più lucroso impiego, ve ne sarò grato. In effetti le banche tedesche fanno qualcosa di diverso: prendono denaro alla BCE, per comprare bunds che pongono a garanzia di questo denaro e con quel che avanza speculano in modo quanto mai aggressivo, pserando di mantenere i costi di strttura. Spesso esagerano e l’EUropa li salva. Quando è successo? Più di una volta in questi anni ed in particolar modo nei casi della Grecia, di Cipro etc etc etc. Vi ricordate i salvataggi della Grecia etc etc etc? in realtà sono stati salvataggi, con i soldi di tutti gli europei (70 miliardi italiani, più di una finanziaria), delle banche tedesche ( ed anche francesi) pesantemente esposte verso quei lucrosi mercati. In seguito , recentemente, è stato concepito il meccanismo del bail in , per evitare che questi salvataggi si ripetessero. Ovviamente a banche tedesche ormai sane salve e risanate ( per ora, si veda questo) ed ai danni, per dire, delle banche italiane in brutte acque.

2)Negli ultimi anni il principale compratore estero dei nostri Buoni del tesoro è stata la BCE. Come si vede facilmente da questo grafico:Quindi? Beh, quindi la credibilità di questo o quel governo c’entra poco, sul medio periodo. Nel breve periodo, al di fuori delle aste di titoli italiani, sul cd mercato secondario, la cd. “speculazione”, ovvero, semplicemente, investitori che fanno il loro mestiere, facendo scommesse sull’andamento di QUEL mercato, può fare salire i prezzi. Anche perchè questo mercato secondario è ristretto  e poco frequentato ovvero “illiquido”. Ovvero è facile spostare l’equilibrio con relativamente pochi sforzi.

Non lo dice la lavandaia, lo dice un parlamentare europeo tedesco.

Uno di quelli che si occupa proprio della regolamentazione di questo mercato.

Ma, è bene chiarire, è la BCE, che li decide, i prezzi, su scala mensile od oltre.  In sostanza, come si vede, la BCE negli ultimi anni ha comprato, gli altri hanno venduto. Ma non perché i tassi e/o oi rischi sono alti!! ANZI: quando i tassi erano alti, il rischio default altissimo, 2012, 2013, i privati le banche etc etc, europei compravano, eccome! E’semplicemente che, ai tassi attuali, i nostri BTP etc etc non sembrano un investimento interessante. Del resto sono solo pochi decimi sopra l’inflazione. Se i prezzi saliranno, su base mensile o superiore, lo deciderà la BCE, non la sfiga cosmica o i cd. “speculatori”

Ed il rischio default, uscita dall’euro, etc etc di cui, ad ogni stormir di spread, si riempiono la bocca i commentatori economici di giornali che la Lavandaia non riesce nemmeno a leggere, per le tante e complicate parole, per le involutissime ed autoreferenti frasi e considerazioni e sopratutto perché sono scritti in piccolo, tiene una certa età e le diottrie calano?

Semplicemente, con una inflazione tra l’ 1 e l’ 1.5% i tassi dei BTP decennali, intorno all’ 1.8-3% ( il 3% sono gli ultimi valori di pochi giorni fa) sono risibili.

Come investimento non esistono. QUINDI, se non ci sono banche con azionista di maggioranza pubblico abbastanza grosse da comprare sul mercato secondario e calmierare il mercato, anche se questo, da un punto di vista speculativo è addirittura un danno, la pura e semplice logica del profitto fa salire lo spread, nel momento in cui se ne intravede una possibilità, perché i volumi in gioco, nel libero scambio, sono bassi.

Insomma: lo spread che sale è colpa della “speculazione”?

No, non più di quanto un incendio in un deposito di carburante sia colpa della scintilla.

La mancanza di una mano pubblica che controlli il mercato, evitando la “speculazione”, con la dovuta celerità, la mancanza di una severa regolamentazione del cd mercato secondario che eviti i movimenti bruschi e, sopratutto rapidi, visto che sono in gioco le vite di milioni di persone che NON speculano in borsa, il futuro stesso di interi paesi, sono l’equivalente di una mancanza di sistemi antincendio.

L’incendio non lo provoca il fiammifero. L’incendio lo provoca l’accumulo di materiale incendiario e la mancanza di sistemi di controllo/allarme efficaci.

Debiti enormi, mercati dei titolo di stati piccoli e strutturati per favorire la “speculazione.”

Il problema, nota la lavandaia, non è Italiano. è globale. La soluzione dovrebbe essere globale.

 

Qualunquismo, Populismo e Fascismo.

di Jacopo Simonetta

Qualunquismo, Populismo e fascismo sono tre parole spesso confuse ed indifferentemente usate come insulti.  Non essendo un politologo, propongo qui una mia riflessione personale che non pretende certo di essere né completa, né esatta.   Anzi, se qualcuno avrà da precisare, correggere e discutere, meglio!  Lo scopo di questo blog è proprio quello di stimolare la discussione.

Populismo.

Ne ho parlato in un mio vecchio post cui rimando.  Qui vorrei solo ricordare che i movimenti ed i partiti populisti nacquero agli albori della rivoluzione industriale e si svilupparono fino a i primi del XX secolo, quando furono definitivamente sconfitti dai liberisti in alcuni paesi e dai comunisti in altri.
Talvolta spacciati per rivoluzionari, i populisti erano piuttosto dei conservatori che si opponevano in tutti i modi sia al capitalismo moderno, sia al comunismo.  Furono invece strenui difensori del lavoro artigianale ed agricolo, rifiutando sia la salarizzazione del lavoro, sia la  collettivizzazione dei mezzi di produzione.
Per loro, la società avrebbe dovuto essere radicalmente ristrutturata sulla base delle autentiche ed antiche tradizioni popolari.  Insomma, un estremo tentativo di rivalutare “Il costume antico” e la “common decency” che erano state fondamento della società civile nei secoli precedenti.
Tipici frutti di questi movimenti furono le società di mutuo soccorso, le fratellanze ed anche varie società segrete, talvolta intersecate con la Massoneria che, però, nel suo insieme fu invece un’organizzazione di impostazione liberale e progressista.

Fascismo.

Esistono biblioteche su questo argomento.  Qui vorrei solo precisare che uso questo termine in senso generico di “movimenti e partiti di tipo fascista” e non solo del partito di Mussolini che ha una sua storia precisa e particolare.
In estrema sintesi, direi che rappresentano la perversione del populismo in quanto basano anch’essi la loro retorica sul richiamo ad antiche tradizioni.   Ma mentre le tradizioni cui si riferivano i populisti di 50 o 100 anni prima erano ancora almeno in parte vive, le “tradizioni” cui si riferivano e si riferiscono i fascisti (sensu lato) sono in gran parte di fantasia.  Penso, ad esempio agli Ariani ed ai Turanici che non sono mai esistiti, ma anche la “romanità” mussoliniana aveva ben poco a che fare con la romanità storica.
Una lettura delle opere di Julius Evola è, credo, emblematica in questo senso.   Dall’inizio alla fine sono un peana ad un’atavica tradizione ben chiara nella sua mente, ma di cui non si trova traccia nei documenti antichi e nei resti archeologici.
All’atto pratico, i governi di tipo fascista si sono sempre contraddistinti per la creazione di regimi totalitari, per la capacità di trovare dei comodi compromessi con il grande capitale e per l’attitudine a precipitare i rispettivi paesi in guerre devastanti e puntualmente perse.  Con l’eccezione di Franco che, da militare avveduto qual’era, preferì litigare con Hitler (nel 1940), piuttosto che imbarcarsi in una guerra che sapeva sarebbe stata perduta.

Qualunquismo.

Anche il termine “qualunquista” è stato ed è ampiamente usato come insulto, ma ha un origine diversa .   L’ “Uomo Qualunque” nacque infatti nel 1944 come giornale; il logo raffigurava un tizio strizzato dai poteri forti in un torchio per estrarne dei soldi.  Il motto era: «Questo è il giornale dell’uomo qualunque, stufo di tutti, il cui solo, ardente desiderio è che nessuno gli rompa le scatole».

Il foglio ottenne un notevole successo, usando una satira spesso grezza ed insultante; fra l’altro storpiando i nomi dei politici in maniera ridicola.  Ad esempio, Calamandrei (capogruppo del Partito d’Azione) divenne “Caccamandrei”, Salvatorelli (giornalista) divenne  “Servitorelli”, Vinciguerra (deputato socialista) divenne “Perdiguerra” e così via.
Nel 1946 il movimento divenne un partito: il Fronte dell’Uomo Qualunque, mantenendo però l’impianto e lo stile del  suo giornale.  Subito odiato da tutti gli altri partiti, fu spesso tacciato di essere una riedizione del disciolto Partito Nazionale Fascista.  Ma anche se un certo numero di fascisti vi confluirono, la forza del Fronte fu proprio quella di saper raccogliere e dar voce agli scontenti e ai delusi di tutte le tendenze: dai monarchici ai liberali, dai fascisti ai socialisti.  La sua impostazione generale era liberale e libertaria, basata su pochi punti chiave:

  • Lotta a tutte le ideologie politiche, a partire dal fascismo ed dal comunismo.
  • Lotta alla “partitocrazia” (termine che comparve proprio in quell’epoca).
  • Lotta al grande capitale, in particolare alla grande industria, ed alla sua ingerenza in politica.
  • Sostegno alla piccola impresa, agli artigiani, commercianti, impiegati, contadini e, in generale, all’ “uomo della strada”, visto come  abituale vittima delle strutture di potere.
  • Riduzione delle imposte.
  • Lotta all’ingerenza del potere pubblico nella vita privata dei cittadini. Lo stato doveva essere un semplice amministratore che  fornisce i servizi essenziali con il minimo indispensabile di prelievo fiscale.

Non sono certo il primo a cogliere delle analogie con un’altro partito che oggi va per la maggiore.  Se altri sono dello stesso avviso, saranno forse interessati a sapere come andò a finire. Presto detto:  male.
Alle amministrative del 1969 l’Uomo Qualunque ottenne il 4% circa su base nazionale, ma in Italia meridionale fece il 15-20% a seconda delle circoscrizioni, fino ad oltre il 30% a Messina.   Alle successive elezioni per l’Assemblea Costituente andò ancora meglio ed ottenne ben 30 deputati.   Dunque una buona partenza per un partito che aveva tutti contro e che, per la sua propaganda, disponeva solo di un giornale autofinanziato.   Ma già un anno dopo, l’avvicinamento del fondatore e capo del partito (Guglielmo Giannini) al governo de Gasperi gli giocò buona parte della popolarità e le successive evoluzioni politiche fecero peggio, finché il partito fu sciolto nel 1953.

Tirando le somme.

Come ho più volte sostenuto, la definizione di “populista” in uso oggi è profondamente scorretta.  Casomai, il M5S ed altre formazioni simili in Europa potrebbero essere assai meglio definite come “qualunquiste”, nel senso originale del termine.   Anche per distinguerle dai movimenti e dai partiti autenticamente neo-fascisti o neo-nazisti che pure proliferano e che pure vengono impropriamente definiti “populisti”.
Certo, una parziale commistione c’è (come ci fu per con l’UQ), ma il fatto che dei fascisti votino M5S non significa che il partito sia fascista.
Non per ora, ma se davvero i 5S andranno al governo si aprirà una grossa crisi al suo interno.   Già le prime manovre post-elettorali e l’elezione della Castellati alla presidenza del Senato hanno allarmato parte dei suoi sostenitori e non potrebbe essere che così.
Il “Partito degli scontenti” funziona bene finché si è all’opposizione, ma quando si va al governo il rischio di scontentare gli scontenti è estremamente alto. Soprattutto in un contesto come quello attuale in cui i margini di possibile miglioramento sono oggettivamente esigui, mentre quelli di possibile peggioramento sono assai vasti.
Un forte indizio in questo senso è che fra le poche città importanti in cui i “grillini” hanno perso ci sono Roma, Livorno ed altre in cui avevano vinto a mani basse le amministrative precedenti.

Secondo me, la forza dei 5S oggi, come dell’UQ ieri, è quella di essere stato capace di raccogliere consensi da ogni parte, ma mantenere un equilibrio simile stando al governo sarà molto più difficile.
Vedremo.