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Niente basta, a colui a cui non basta quel che è sufficiente/8

Vallombrosa, l’albero più alto d’Italia, un Abete di Douglas, 65 metri, 110 anni.

Sarebbe possibile produrre metano a partire dall’energia fotovoltaica che costi uguale a quello in arrivo dalla Russia?

La risposta migliore è: dipende.

Se guardiamo la cosa dal punto di vista di uno di noi, che paghiamo il metano circa 70-80 centesimi al metro cubo, compreso imposte iva e balzelli vari, 700-800 euro per mille metri cubi, ovviamente si. 

Il kWh fotovoltaico costa, abbiamo visto, per impianti di media  dimensione, anche in italia, intorno a 5 centesimi a kWh prodotto e continua a calare.

In un metro cubo di metano ci sono 10 KWh di energia ( circa).

Tenendo conto dell’efficienza di produzione con la reazione Sabatier, il costo dell’energia per la produzione di un metro cubo di metano a partire da acqua e CO2 sarebbe di circa 75 centesimi. 

Il costo dell’energia elettrica prodotta da questo metano sarebbe di circa 18 centesimi al kWh.

10 centesimi al kWh di più delle fonti fossili.

Questo articolo, che invece del metano cita un impianto pilota che produce combustibili liquidi a partire da elettricità, parla di circa 1 dollaro al litro, come costo complessivo del costo energetico ed impiantistico.

Tenendo conto del maggiore contenuto energetico di un metro cubo di metano rispetto ad un litro di carburante, il calcolo sembra confermato.

Basterebbe non caricare le accise sul metano prodotto a partire da fonti rinnovabili, sull’energia prodotta a partire da metano prodotto da fonti rinnovabili innovative, arrivare ad un incentivazione complessiva di circa 25 centesimi a kWh, se si produce metano a partire da fonti elettriche rinnovabili,  e la cosa potrebbe stare in piedi.

Un buon esempio può essere un confronto con la situazione attuale del fotovoltaico e relativi incentivi: il decreto fer 1, come riporta questo articolo premia fino a 105 euro/MWh alcune tipologie di fotovoltaico, con caratteristiche di particolare utilità ( sostituzione coperture di amianto, supporto alla ricarica di veicoli elettrici etc).

L’introito totale, tenendo conto della vendita dell’energia elettrica prodotta, è mediamente di circa 150 euro/MWh. 

Come abbiamo visto questa cifra rende ampiamente remunerativo un impianto fotovoltaico, dati i costi di realizzazione attuali.

Sempre come abbiamo visto, per fare un metro cubo di metano a partire da Acqua e CO2 ci vogliono circa 16 kWh. che un impianto fotovoltaico venderebbe a circa 70-80 centesimi, oltre ad incassare dal GSE i corrispondenti incentivi, per circa 1.68 euro.

Si deve rendere conveniente questa scelta, tenuto conto delle varie complessità, rispetto all’alternativa di vendere sul mercato l’energia prodotta, quindi il metro cubo di metano prodotto da fonti rinnovabili deve essere incentivato. E si deve incentivare chi lo sceglie al posto di quello da fonti fossili. 

Poiché si deve considerare la complessità del sistema di produzione, si dovrebbe pensare ad un incentivo sostanziale per quanto riguarda la produzione, ad esempio 25 centesimi al kWh ( simile agli incentivi del quarto conto energia e molto simile agli incentivi dei prosumer che sostituiscono le coperture in amianto e consumano almeno il 40% dell’energia prodotta) se questi sono utilizzati per produrre metano o idrogeno. In questo modo l’alternativa, considerando i 16 kWh elettrici prodotti da fotovoltaico, sarebbe tra 1.68+0.80=2.48 euro se si immette direttamente l’energia in rete e 4.0 euro se si produce 1 metro cubo di metano. 

Questo potrebbe essere venduto a prezzi di mercato ai grandi distributori o consumatori, intorno ai 15/20 centesimi al metro cubo, oppure, ancora meglio stoccato ed utilizzato  in situ per produrre energia durante le ore di punta serali. quando il costo al kWh può salire verso i 15 o più centesimi kWh. Le centrali di piccole dimensioni, rapide ad intervenire, hanno ulteriori complicate premialità che potrebbero permettere una notevole redditività di sistema di stoccaggio e produzione sul posto.

Il totale degli introiti starebbe tra 4.15 e 4.70 euro, per 16 kWh. Ovvero dal 60% al 90% in più di quanto ricavabile da un impianto fotovoltaico in sostituzione di un tetto in amianto.

Gli incentivi dedicati ai prosumer, dato l’interesse di utilizzare in loco il metano prodotto, così riducendo le dispersioni in atmosfera durante il tragitto fino al consumatore, dovrebbero essere mantenute. In caso quindi di un impianto completo, fotovoltaico, impianto di idrolisi, ciclo di sabatier, microturbina a gas o cella combustibile,il produttore a fronte di una notevole complessità impiantistica, si vedrebbe incentivato ancora di più con ulteriori 10 centesimi a kWh, questa volta sulla produzione finale immessa in rete. Quindi circa altri 40 centesimi, considerando il solito metro cubo di metano.

Il nuovo conteggio sarebbe quindi il seguente: 4+0.60 ( ricavi da energia serale immessa in rete)+0.40= 5 euro. Quasi il doppio di un semplice fotovoltaico in sostituzione di un tetto in amianto. Tale enorme incentivazione servirebbe, ovviamente, solo per i primissimi impianti pilota e poi dovrebbe andare a calare. 

Eguagliando l’incentivazione al kWh a quella della sostituzione dei tetti, i ricavi, in caso di ciclo “chiuso” sole-energia elettrica-metano-energia elettrica ore giorni o mesi dopo, resterebbero comunque notevolmente alti, semplicemente tenendo conto delle leggi di mercato e degli incentivi per l’auto consumo: 2,68 euro contro 2.48 per i tetti fotovoltaici incentivati attuali.

In alternativa, se fossero abolite accise, iva ed altre imposte sul metano da CO2, il costo al consumatore finale diventerebbe competitivo ( attualmente il costo all’utente finale complessivo di imposte ed altri aggravi oscilla intorno ai 70 centesimi MC consumato) e quindi il distributore che distribuisce QUESTO metano, certificatamente, potrebbe avere margini importanti di redditività con analoghi vantaggi commerciali lato produttore.

Prima che qualcuno cominci a storcere il naso sui costi che traspariscono vorrei ricordare una cosa.

Ancora una volta: concediamo MILIARDI a molte nostre imprese per ricercare il metano in zone remote, per costose e rischiose joint venture per la realizzazione di metanodotti che, attraversano zone come minimo irrequiete, disperdendo, nelle migliaia di km di condotte, valvole, pompe etc, metano, un gas serra potente, in atmosfera. Tutto questo ad un costo per il sistema paese immenso.

 Paghiamo una bolletta energetica di decine di miliardi ogni anno.

E’ tempo di cominciare ad orientare queste aziende verso pratiche più rispettose, dell’ambiente, del paese, del futuro. Questa è una delle proposte possibili di cui, per lo meno, sarebbero da approfondire problematiche e costi e benefici ( quasi certamente di gran lunga maggiori).

Ci vanno studi, progetti, ricerche, tutte cose che fanno muovere le imprese e le teste, senza contare le competenze, oltretutto anche e soprattutto quelle del petrolchimico, che rischierebbero di restare disoccupate, in un futuro verde. Approfonditi temi e prospettive, costi e problematiche, tutti aspetti superabili ed, anzi, NECESSARIAMENTE, superabili,i primi impianti pilota potrebbero sorgere rapidamente.

Uno, come riportato anche nei link qui sotto, esiste già in località Troia, vicino a Foggia e sta dando i primi risultati, interessantissimi.

Qui un link ai numerosi risultati conseguiti.

Nel giro dei 20-30 anni previsti, il nostro paese potrebbe completare davvero la transizione verso le rinnovabili e, in un momento in cui probabilmente, la bolletta energetica sarebbe esplosa ovunque, senza contare i disastri ambientali, sarebbe, per la prima volta autonomo ed energeticamente indipendente.

Naturalmente il metano rilasciato non combusto in atmosfera, di qualunque origine sia, è un gas serra molto più potente ( da 25 ad 80 volte a seconda delle stime) della CO2. QUINDI le emissioni di metano possono e devono essere ridotte e questo è possibile, immediatamente.  Cifrare questo documento.

Di seguito i riferimenti per approfondire quanto qui riportato in estrema sintesi:

Uno studio sul passaggio elettricità- metano-elettricità

https://learn.openenergymonitor.org/sustainable-energy/energy/sabatier-process

Un esempio italiano recentissimo

https://www.storeandgo.info/demonstration-sites/italy

Uno studio recente per la produzione di metano a partire da energia elettrica, con idrolisi e reazione  Sabatier:

http://www.sgc.se/ckfinder/userfiles/files/SGC284_eng.pdf

Gli stoccaggi sotterranei italiani della Stogit

https://it.m.wikipedia.org/wiki/STOGIT

celle a combustibile a metano

https://www.sciencedaily.com/releases/2018/10/181029130939.htm

https://pubs.rsc.org/en/content/articlelanding/2017/ra/c7ra05245f#!divAbstract

(continua)

C’era vita su Marte e non solo il Sabato sera…

mars gullies mistery resolved
mars gullies mistery resolved

È strano, ma questa storia, mentre scrivo, NON è ancora uscita, pur essendo indubbiamente una storia interessante,anzi, rivoluzionaria.

Non è stata ancora indetta nessuna conferenza stampa dalla Nasa, non è stato ancora pubblicato nessun articolo da un prestigioso e credibile centro di ricerca di rilevanza mondiale.

Eppure, è una storia plausibile. Anzi, se avrete la pazienza di seguirmi in quello che si annuncia un post MOLTO lungo, è forse la storia PIÙ plausibile che si possa attualmente scrivere sul pianeta rosso.

Per mia fortuna, un blogger non ha gli stessi obblighi di un serio ricercatore di un  centro di ricerca internazionale. Il che non lo esime, naturalmente, dallo scrivere storie plausibili, fondate su fatti assodati o almeno su evidenze solide. Prendetela, quindi, come una storia curiosa, che voglio condividere con voi, una storia curiosa quanto affascinante, che resisterà o meno alla prova dei fatti ( ulteriori) che emergeranno nelle settimane,mesi, anni, prossimi.

Cominciamo, come si dice, dall’inizio.

Quando Mariner 9, nel 1971, entrò in orbita intorno a Marte e fotografò oltre l’85% della superficie, fu chiaro che Marte, in un’epoca remota ( lo dimostravano i numerosi crateri sovrapposti) aveva attraversato una o più fasi in cui l’acqua liquida era stata presente. Letti di fiumi disseccati, delta fossili, crateri parzialmente riempiti di sedimenti: le prove erano numerose ed inconfutabili.

una foto di mariner 9

Le missioni dei 40 anni successivi hanno ampiamente dimostrato che non solo l’acqua era stata presente sul pianeta nel passato ma lo era stato per periodi lunghi, centinaia di migliaia di anni per volta, o addirittura milioni.

Restava da capire come era stato possibile che su un piccolo pianeta, molto più lontano dal sole della Terra, in un remoto passato in cui il Sole era più debole di oggi del 20-30%, si fossero verificate le condizioni ambientali perché  vi fosse acqua allo stato liquido per lunghi periodi. La prima e più semplice risposta, per molto tempo, è stata quella di un poderoso effetto serra.

Vediamo la situazione attuale: La pressione media su Marte è circa un cento sessantesimo di quella terrestre ed è alquanto variabile con la stagione ed anche su cicli molto più lunghi ( Marte, non avendo una grande Luna come la Terra, ha moti di precessione sostanzialmente caotici e molto più ampi di quelli terrestri). L’atmosfera di Marte è composta quasi interamente di CO2, con minime percentuali di gas nobili ed azoto.

Da circa dieci anni si è potuto riscontrare anche una presenza saltuaria quanto minima di Metano, in concentrazioni di qualche parte per miliardo. Ancora non siamo in grado di dire se questa presenza attuale sia di origine geologica ( alterazione di rocce basaltiche) o biologica. Solo una analisi isotopica ( la vita predilige gli isotopi “leggeri” per motivi di maggiore efficienza nelle reazioni) ci darà una risposta certa e definitiva.

Anche se sembra poca cosa, in realtà su Marte vi è molta più CO2 che sulla Terra: la pressione parziale di CO2, su Marte, è circa 15 volte quella terrestre e, una volta considerate le diverse dimensioni dei pianeti e la diversa gravità, si può valutare che vi sia circa dieci volte più CO2 che nella nostra atmosfera.

Anche se si tiene conto dell’influenza della CO2 nell’effetto serra terrestre, dal 30 al 60% del totale, a seconda che vi siano o meno nuvole (il vapor acqueo contribuisce all’effetto serra in maniera sensibile), in realtà su Marte è presente comunque un effetto serra più sensibile che sulla Terra.

Tutto questo premesso, la temperatura media attuale su Marte è stimata intorno a 45 gradi sotto zero, con una T massima registrata al suolo di +35 gradi e minime di oltre 170 gradi sotto zero . Anche qualora si raggiungano temperature sopra zero, l’acqua liquida non può esistere, se non per brevissimi periodi, perché, data la bassa pressione, tenderebbe a bollire ed evaporare rapidamente.

Le uniche fasi stabili dell’acqua su Marte, sono quindi quella gassosa e quella solida, il ghiaccio, che è presente sia ai poli, per spessori di alcuni km, che in molte altre aree del pianeta, spesso coperto da uno strato di polvere e sedimenti. Come detto, infatti, l’asse di rotazione di Marte, a causa delle perturbazioni di Giove ( assai più vicino rispetto alla Terra) subisce nel tempo oscillazioni imponenti, decine di volte maggiori di quelle terrestri e quindi i poli hanno occupato, nel tempo, anche aree attualmente poste alle medie latitudini.

E le tracce, certe, di acqua liquida, per periodi non brevi, allora?

Evidentemente, deve essere stato presente un effetto serra imponente, sufficiente a portare la temperatura media, per lunghi periodi, sopra quella di congelamento dell’acqua.

Per decenni questo effetto serra è stato attribuito ad una atmosfera di CO2 molto più spessa di quella attuale.

In tempi recenti, anche a causa della scoperta, come abbiamo visto, di metano, sia pure in tracce infinitesime, questa convinzione ha cominciato a scontrarsi prima con verifiche e simulazioni realizzate con modelli numerici e, in ultimo, con i dati sperimentali delle sonde che orbitano il pianeta e, più recentemente, dei robot sulla superficie.

In primo luogo, numerosi studi e simulazioni, fra i quali citerò questo, hanno dimostrato che, qualora si cerchi di raggiungere condizioni climatiche sufficienti al mantenimento di acqua liquida al suolo, anche pressioni elevatissime di CO2, fino a 5-10 bar ( corrispondenti ad una atmosfera circa trenta volte più densa di quella terrestre attuale) non sarebbero in grado di aumentare a sufficienza la temperatura, perché la CO2 condenserebbe come ghiaccio secco prima che il pianeta si riscaldi abbastanza.

Del resto, non si capisce dove sia finita tutta questa CO2.

La CO2 presente attualmente su Marte, sotto forma di ghiaccio secco, anche se potesse essere fatta tutta sublimare, come viene proposto negli scenari di “terraforming”porterebbe la pressione a 0.4-0.6 Bar, insufficiente per garantire la presenza dell’acqua allo stato liquido, data l’insolazione attuale.

Le cose, miliardi di anni fa, andavano ancora peggio.

Il giovane Sole di 4 miliardi di anni fa, era circa il 30% più debole, tanto che anche la Terra, nonostante una atmosfera MOLTO più ricca di CO2 di quella attuale, ha attraversato diverse fasi glaciali estreme forse fino ad essere ricoperta interamente da ghiacci.

La Terra a palla di neve

Date le prove CERTE della presenza di acqua liquida sulla Terra in quel periodo, si è dovuto, anche per il nostro pianeta, postulare una atmosfera assai diversa da quella attuale, in modo da superare il cd. “paradosso del sole debole”.

A queste osservazioni si è cercato di rispondere, postulando la presenza di carbonati di calcio come “trappole geologiche” per la CO2 mancante, in analogia con quanto successo sulla Terra ( se l’anidride carbonica emessa dai vulcani terrestri non fosse stata “sequestrata” sotto forma di carbonati, poi sepolti, ora avremmo una atmosfera decine di volte più densa dell’attuale, più spessa di quella di Venere e un effetto serra sufficiente a far rimpiangere le brezze primaverili del pianeta gemello).

Il problema è che, grazie alle capacità dell’ultima generazione di sonde, è possibile riconoscere, con affidabilità e risoluzione ottime, la natura delle rocce presenti sulla superficie di Marte, tanto che i siti per l'”ammartaggio” dei robot Opportunity e Spirit sono stati scelti anche per le caratteristiche geologiche dei siti, come risultavano dall’orbita.

Dettaglio di una mappa geologica di marte, USGS

Nonostante queste capacità, di carbonati, sulla superficie di Marte, non ne sono stati rilevati, se non in piccole percentuali e in zone limitate della superficie. Storia simile, analizzando i meteoriti marziani conosciuti.

Dove è finita, allora, tutta la CO2 che avrebbe dovuto essere presente, una volta, per garantire il mantenimento di acqua liquida su Marte? I carbonati che avrebbero dovuto formarsi, per la contemporanea presenza di acqua liquida ed elevate quantità di CO2, dove sono finiti? Sono stati forse sepolti dalle fasi climatiche e geologiche successive, venendo sottratti ad una facile individuazione dall’alto?

Il robot Curiosity, su Marte dal 2012, è stato inviato in un sito molto particolare, il cratere Gale, proprio per cercare di dare una risposta, una volta per tutte a queste ed altre domande pressanti sul passato ed il presente di Marte.

il cratere Gale e la zona di ammartaggio del rover opportunity
il cratere Gale e la zona di ammartaggio del rover curiosity

Il cratere Gale è caratterizzato dal Monte Sharp, una montagna che si eleva di oltre 5,5 km dal suo fondo, una altezza paragonabile a quella delle maggiori montagne terrestri del nostro pianeta ( la più grande montagna singola della Terra è il Mauna Loa, Hawaii, che si eleva di quasi dieci km dai fondali circostanti), ivi compreso il Mt Everest, che, come montagna singola si eleva di circa 4.8 km sulle zone circostanti.

Questa montagna, già dai rilievi fatti dall’orbita, risultava essere formata interamente da sedimenti, che una volta coprivano interamente il cratere e che in seguito alla loro deposizione, in miliardi di anni, sono stati pian piano erosi dal vento fino alla situazione attuale.

Un lato del cratere mostrava chiare tracce di un delta fluviale fossile, così rivelando l’origine probabile dei sedimenti stessi. 5 km e mezzo di sedimenti rappresentavano un periodo assai lungo di deposizione, certo non legato a singoli eventi catastrofici di riscaldamento ma piuttosto ad un periodo o più periodi di sedimentazione di una durata minima di milioni di anni.

Un tragitto di studio che partisse dalla parte più bassa del cratere e risalisse, via via le pendici del monte Sharp, sarebbe stato un tragitto a partire dalle prime fasi di vita del pianeta via via verso tempi più recenti.

Dopo quattro anni, 17 km e Terabye di dati raccolti, Curiosity ha confermato lo scenario, mostrando che, almeno fino alla parte del cratere e del Monte Sharp fin qui esplorati, lo scenario era quello di deposizione in acque tranquille, presumibilmente a cielo libero.

PIA17595-16 marte

Formazione di Yellowknife. Questo, una volta era il fondo di un lago, su Marte

Mancavano infatti le tracce e prove di una sempre possibile deposizione sotto una coltre glaciale ( che avrebbe permesso la permanenza di acqua libera anche in presenza di condizioni ambientali sfavorevoli).

il cratere Gale oltre 3,5 miliardi di anni fa
il cratere Gale oltre 3,5 miliardi di anni fa

I minerali rilevati comprendevano argille, sintomo di una deposizione lenta e tranquilla, derivanti dall’alterazione in ambiente ricco d’acqua di rocce primarie. La natura mineralogica delle argille ritrovate ha mostrato che l’ambiente di deposizione era neutro o ALCALINO. Ovvero, l’acqua in cui si sono formate e deposte queste argille poteva mantenere in soluzione solo concentrazioni molto basse di ioni carbonati ( altrimenti avrebbero dovuto essere acide o fortemente acide). D’altronde i carbonati, che avrebbero dovuto depositarsi nei sedimenti, ovvia conseguenza della impossibilità di mantenere in soluzione la suddetta CO2, in un ambiente che ne avrebbe dovuto essere ricchissimo, erano assenti o presenti in piccole quantità. In realtà una atmosfera con le concentrazioni di CO2 richieste sarebbe stata in equilibrio solo con acque acide o molto acide, deposizione o non deposizione e quindi il solo fatto che le acque di deposizione fossero costantemente neutre o alcaline smentiva questa ipotesi.

In sostanza: quando si sono formati i sedimenti, centinaia e centinaia di metri di fanghi accumulatisi lentamente sul fondo di un tranquillo lago, per un tempo MINIMO di milioni di anni, carbonati in soluzione praticamente non c’erano, ne potevano esserci e di conseguenza l’effetto serra che permetteva il mantenimento dell’acqua allo stato liquido, PER MILIONI DI ANNI, non poteva essere stato causato dalla CO2, in accordo con quanto già risultava dai modelli e da quanto appreso dall’orbita.

Se non era causato esclusivamente dalla CO2 ( cosa, come abbiamo visto già quasi impossibile per definizione) l’effetto serra era CERTAMENTE causato da qualche altro gas o mix di gas.

Non pensiate che queste conclusioni, nonostante il tempo all’imperfetto di questo racconto, siano antiche: l’articolo che ha attirato la mia attenzione e che mi ha spinto ad approfondire l’argomento, è di solo un mese e mezzo fa. Qui la pubblicazione originaria.

Qui un articolo precedente che, analizzando le meteoriti marziane, arrivava alle stesse conclusioni: poca CO2, <1 bar, e pochi carbonati.

In realtà, la mancanza di evidenze scientifiche di una densa atmosfera di anidride carbonica nel passato del giovane Marte, è un dato di fatto ormai acquisito in modo diffuso e solido, anche se recente.

Ok. Quali potevano quindi essere questi gas e quanti dovevano essere per ottenere l’effetto serra necessario?

Risposta rapida: escludendo i gas nobili, il freon, l’ammoniaca ed altri esotici, anche perché su Marte le birre restavano e restano fresche da sole ed i Marziani non avevano bisogno di frigoriferi, ci restano il Metano e l’idrogeno.

birre sempre fresche su marte!
birre sempre fresche su Marte!

In effetti sempre molto recentemente, c’e’ chi si è preso la briga di fare le dovute simulazioni ed ha calcolato che, con una atmosfera “mix” di CO2, idrogeno e metano, Marte avrebbe potuto avere condizioni sufficienti a mantenere l’acqua allo stato liquido anche per pressioni molto più basse che nel caso di una atmosfera prevalentemente di CO2. Il Metano, infatti, è un gas serra MOLTO più potente della CO2, circa 25 volte di più.

Il problema è che anche queste simulazioni postulano una atmosfera di CO2 TROPPO densa(un paio di Bar), per evitare di dover avere troppa H2, che sarebbe scappata rapidamente nello spazio e metano, che ha il brutto vizio di essere scomposto rapidamente dagli ultravioletti solari.

Nelle condizioni attuali di Marte si calcola che una molecola di metano duri circa 350 anni. Anche sulla Terra, che pure ha la protezione dell’ozono, che assorbe gli ultravioletti, la durata del metano è comunque nell’ordine di alcune centinaia di anni.

Benché nel passato di Marte la radiazione solare fosse, come visto, più debole, è comunque impossibile ipotizzare una atmosfera ricca di metano ed idrogeno senza prevedere una vigorosa sorgente per questi gas, tale da permetterne il ricambio in poche migliaia di anni.

Poiché, come visto, è assolutamente vitale postulare una atmosfera ricca di questi gas, resta da determinare quale  ne fosse l’origine.

L’ipotesi, temeraria magari, ma meno di quelle alternative, come vedremo,che fa il sottoscritto è che non solo l’origine di questi gas sia biogena ma che è IMPOSSIBILE che non sia tale.

Ovvero: che è molto ma molto ma MOLTO MOLTO improbabile che possa essere di origine non biologica.

Ovvero che, ai tempi in cui il cratere Gale ospitava un lago, era presente una vigorosa attività biologica che permetteva ad una densa atmosfera di metano, idrogeno e CO2 di persistere, per molti milioni di anni.

La perdita progressiva di idrogeno verso lo spazio, in un periodo di centinaia di milioni di anni, ha reso sempre più difficile il mantenimento duraturo di quantità sufficienti di metano ed idrogeno, con le condizioni adatte alla vita che si riducevano, lasciando la sola CO2, insufficiente a garantire un effetto serra abbastanza potente, che è rapidamente condensata, come ghiaccio secco, via via che la temperatura calava ai livelli attuali,

Episodici periodi con clima più caldo, dovuti alle oscillazioni dell’asse di rotazione, fasi vulcaniche più intense ed altre variabili solari hanno permesso il ritorno di condizioni più favorevoli, ma per periodi sempre più brevi e distanziati tra di loro. Fino all’instaurarsi con qualche variazione del clima e delle condizioni attuali.

Ok: sto DAVVERO dicendo che è possibile provare che è esistita la vita su Marte?, Mettetemi pure il bicorno da Napoleone, anzi: fatemelo mettere da solo, ma…si.

Detail_from_a_painting_of_Napoleon

Con una prova “ad escludendum, ma intendo dire proprio questo!

Vediamo come funziona, la cosa.

Questa ipotesi mi è venuta naturale, dal momento in cui ho letto con notevole curiosità del meccanismo proposto per la produzione di metano abiogeno, cioè di origine non biologica.

Quella degli idrocarburi abiogeni, qui sul pianeta Terra, è quasi una setta, che si basa su pochi e contestati dati, per teorizzare che TUTTI gli idrocarburi siano di origine abiogena e quindi esistano in quantità praticamente illimitate, nel profondo delle viscere terrestri.

Il meccanismo proposto per la formazione di metano abiogeno su Marte, però è completamente diverso ed ha a che vedere con la mia ( prima) tesi di laurea in geologia e, per quanto possa sembrare strano, con questo:

Il battistero di firenze
Il Battistero di firenze

Che, come saprete, è il Battistero di Firenze. Questo e decine di altre chiese di Firenze e della Toscana, sono decorate da elegantissimi rivestimenti di marmi verdi e bianchi. In realtà il marmo verde, anche noto come marmo di Prato … non è un marmo!

Un dettaglio della Badia Fiorentina

Si tratta di serpentinite, una roccia metamorfica, prevalentemente formata da un minerale, il serpentino, derivante dall’alterazione da parte di fluidi idrotermali, dei principali minerali costituenti rocce ( solitamente intrusive) di composizione basaltica.

Quando ho letto che il meccanismo proposto per spiegare la presenza di metano su Marte era questo: mi è suonato un campanello: non mi ricordavo niente del genere, nei miei studi sulle ofioliti ( che è il nome aulico, perché derivato dal greco, della famiglia di rocce che comprendono le serpentiniti, una storica specialità della facoltà di geologia di Firenze, che vede tra i suoi docenti e dottorati alcuni tra i massimi esperti mondiali del settore, manco a dirlo).

Il primo motivo era semplice: le serpentiniti si formano, mi ricordavo, intorno a 200-500 gradi ed a quella temperature gli idrocarburi, tutti, non sono stabili e degradano in C( grafite) ed acqua; è la ben nota “finestra del petrolio”, la gamma di temperature del sottosuolo entro le quali ci si può aspettare di trovare petrolio, con varie caratteristiche, gas o…grafite, se va bene.

finestra degli idrocarburi

La reazione di serpentinizzazione “classica”, quella che avevo studiato io, invece, avviene a temperature e pressioni anche più basse, in termini geologici, ma comunque troppo elevate per avere produzione di metano, oltretutto la reazione è fortemente esotermica e scalda la roccia circostante. Ecco di cosa parliamo:

Fayalite3 Fe2SiO4 + water2 H2O → magnetite2 Fe3O4 + aqueous silica3 SiO2 + hydrogen2 H2
(Reaction 1a)
Forsterite3 Mg2SiO4 + aqueous silicaSiO2 + 4 H2O → serpentine2 Mg3Si2O5(OH)4
(Reaction 1b)
Forsterite2 Mg2SiO4 + water3 H2O → serpentineMg3Si2O5(OH)4 + bruciteMg(OH)2
(Reaction 1c)

Fayalite e Forsterite sono i due estremi, tutto Fe o tutto Mg, del minerale Olivina che ha formula (Fe,Mg) SO4. Da notare come la reazione che produce H2, avviene con il termine estremo “tutto Fe”, che sulla Terra è caratteristico di rocce vulcaniche che su Marte sono molto rare .

Qui si fermavano le mie conoscenze e quindi, quando ho letto dei processi di serpentinizzazione come possibile fonte di metano su Marte, sono caduto dalle nuvole. In effetti, negli ultimi venti anni si sono scoperti qua e la, nei pressi delle dorsali oceaniche, dei “camini” idrotermali peculiari, al di sotto dei quali accadono reazioni MOLTO particolari.

Tra le quali, questa:

Olivine(Fe,Mg)2SiO4 + watern·H2O + carbon dioxideCO2 → serpentineMg3Si2O5(OH)4 + magnetiteFe3O4 + methaneCH4

Che, in forma bilanciata può essere scritta così:

18 Mg2SiO4 + 6 Fe2SiO4 + 26 H2O + CO2 → 12 Mg3Si2O5(OH)4 + 4 Fe3O4 + CH4 (Reaction 2a’)
Olivine(Fe,Mg)2SiO4 + watern·H2O + carbon dioxideCO2 → serpentineMg3Si2O5(OH)4 + magnetiteFe3O4 + magnesiteMgCO3 + silicaSiO2 (Reaction 2b)

Vedete? C’é una reazione che produce Metano!!!

Questa reazione o altre simili, sono quelle proposte per permettere la produzione di metano abiogeno su Marte. Se può essere una possibilità per le poche centinaia di tonnellate/anno necessarie a spiegare il metano attuale, resta da capire se sia plausibile per i (molti) miliardi di tonnellate/anno necessari a mantenere una densa atmosfera di CO2, metano ed idrogeno su Marte.

Come vedremo, no.

Il primo problema è che questa reazione ( la 2a, nello schema sopra) avviene, preferibilmente, se la Serpentinite è povera di magnesio. Abbiamo visto che questo corrisponde a rocce tendenzialmente più differenziate rispetto alla composizione prevalentemente basaltica delle rocce vulcaniche marziane e, più in generale, della superficie del pianeta. Ma, SOPRATTUTTO, avviene se vi è una scarsa presenza di CO2. Ma come potremmo avere una scarsa presenza di CO2 e contemporaneamente un IMPONENTE rilascio di CH4, Metano, nelle quantità necessarie? da dove arriverebbe il C necessario?

C’è di peggio. La reazione è stata equiparata qui e qui ad un processo noto come Fischer-Tropsch ( o al processo Sabatier, un analogo) ed avviene con difficoltà se non c’è UN CATALIZZATORE metallico. E’ evidente che ipotizzare condizioni naturali che prevedano la presenza di metalli aventi le caratteristiche adatte a funzionare da catalizzatori naturali, pone immediatamente dei vincoli pesanti, in termini di probabilità che questo si verifichi. A tal proposito e, più in generale, per un autorevole sunto della situazione, si veda questo video, di uno dei massimi esperti mondiali di metano abiogeno, un  italiano, interessante anche per quanto riguarda la mancanza di comunicazione tra i diversi settori di ricerca planetologica.

Benché esistano articoli recenti che evidenziano come, in limitati casi, sia possibile una reazione diretta a partire dall’idratazione dei minerali ( senza la mediazione dell’H2 e senza un “catalizzatore”) da una semplice analisi di quanto sappiamo sul nostro pianeta, risulta abbastanza chiaro che il processo è relativamente raro.

sorgenti metanifere note da serpentiniti continentali https://www.youtube.com/watch?v=UwJxDUZ_TEQ&feature=youtu.be
sorgenti metanifere note da serpentiniti continentali https://www.youtube.com/watch?v=UwJxDUZ_TEQ&feature=youtu.be

Ora:

  • Sulla Terra, le rocce basaltiche sono presenti in enormi estensioni sotto la grande maggioranza dei bacini oceanici e, in particolare, ci sono decine di migliaia di km di dorsali oceaniche che costituiscono siti di vulcanismo attivo e di emissioni ed alterazioni idrotermali vigorose, tanto da permettere l’esistenza di interi ecosistemi, completamente scollegati dall’energia solare. Nonostante questo, la scoperta di metano abiogeno è relativamente recente e comunque, ad oggi sono un paio di dozzine i siti identificati in tutto il pianeta.
  • SE così non fosse, avremmo concentrazioni di metano in mare e nell’atmosfera di gran lunga superiori a quelle riscontrate.
  • Il vulcanismo marziano ha caratteristiche diverse da quello terrestre, prevalentemente per la caratteristica di avere centri eruttivi migliaia di volte più longevi ( miliardi di anni contro milioni) con singole eruzioni più vigorose e più distanziate nel tempo ( milioni di anni contro migliaia o meno). In ogni caso, l volumi complessivi messi in posto nel corso della storia del pianeta e le relative emissioni, non sono nemmeno lontanamente confrontabili con quelli terrestri. Per creare e, SOPRATTUTTO, mantenere una atmosfera densa a sufficienza, si sarebbero dovuti produrre, come detto, centinaia di miliardi di tonnellate di metano ed idrogeno ogni anno, con processi che avvengono lentamente e non frequentemente ( di nuovo: se fossero processi comuni, in un pianeta, il nostro, in cui i tre quarti del vulcanismo è subacqueo e il quarto rimanente vede la presenza diffusa di acqua negli ultimi km vicino alla superficie, li avremmo scoperti MOLTO prima). Questo si traduce nella messa in posto di migliaia di km cubi di magma all’anno, volumi enormi che anche sul nostro pianeta, assai più attivo vulcanicamente, hanno pochi riscontri (i trappi indiani, alcune eruzioni particolarmente catastrofiche, l’Islanda, in alcuni momenti particolarmente vivaci) Soprattutto, al contrario di quanto sappiamo del vulcanismo marziano, si sarebbe dovuto trattare di emissioni tanto imponenti quanto relativamente costanti, per mantenere le condizione adatte al mantenimento di acqua liquida, per milioni di anni per volta, causa rapido degrado del metano e fuga dell’idrogeno.

Fino a qui, come vedete, ho fatto considerazioni qualitative, basate su dati generali.

Recentemente, qualcuno ha provato a fare i conti e ha mostrato che la produzione di metano abiogeno con i meccanismi conosciuti e mostrati, avverrebbe, su pianeti di tipo “terrestre” e “marziano”, molto lentamente, non permettendo così di raggiungere le necessarie concentrazioni in atmosfera.

In questo articolo si è calcolato quanto metano ed idrogeno potessero essere prodotti da pianeti di tipo terrestre, con una attività geologica simile a quelle conosciute e  quali concentrazioni si  potessero raggiungere in atmosfera.

In breve: i risultati sono in accordo con la mia tesi: Produzioni basse: 10 alla nona, (ovvero miliardi di) molecole al secondo, ovvero decine di milioni di miliardi di molecole/anno. Per centimetro quadro. Sembra tanto ma si tratta di  infinitesime frazioni di milligrammo all’anno. Una produzione totale massima nell’ordine di un milione di tonnellate/ anno per pianeti di tipo terrestre. Concentrazioni MASSIME di poche parti per milione in atmosfera.

Non ci siamo e non ci siamo per forse quattro o cinque ordini di grandezza!!!!

Facciamo tutta la tara che vogliamo a questo articolo ed altri simili, ma la sostanza non cambia: un processo interessante ma limitato e poco produttivo, che non può in alcun modo produrre le quantità necessarie di gas serra.

La cosa, in qualche modo, deve essere filtrata anche tra i vari gruppi di ricerca che lavorano sui dati in arrivo dai robot e dalle sonde marziane.

Infatti, per risolvere il problema di una produzione troppo modesta e sporadica, è stato proposto un meccanismo di rilascio improvviso di metano “fossile”dovuto alla dissociazione di clatrati, formatisi pian piano, in tempi geologici, riscaldati da eruzioni vulcaniche, emissioni idrotermali o addirittura da impatti meteorici.

Poco, ma poco ma MOLTO poco poco probabile!

Il problema di base è sempre lo stesso: le prove dal terreno sono per una presenza continuata di acqua allo stato liquido sulla superficie di Marte, per periodi lunghi. Un rilascio “cataclismatico” di metano dovuto a qualche imponente eruzione remota avrebbe si prodotto un effetto serra, forse anche un effetto serra a valanga, per il feedback positivo prodotto dal riscaldamento iniziale, ma si sarebbe trattato di un episodio, della durata massima di qualche migliaia di anni.

A parte questo c’e’ il trascurabile problema che i clatrati su Marte, non sono ancora stati trovati, benché siano, di nuovo, postulati, per spiegare la presenza ATTUALE di metano.

Da notare che, se l’articolo citato poc’anzi è corretto, questa è l’unica possibilità per continuare a postulare una origine abiogena per il metano ATTUALE.

Infatti le quantità di metano che sarebbero emesse attualmente ( la distribuzione di metano in atmosfera è molto irregolare e sembra dipendere da emissioni localizzate) nell’ordine di qualche centinaio di tonnellate all’anno, sembrano compatibili con i risultati dell’articolo. Solo che quei risultati sono calcolati a partire da un pianeta di tipo “terrestre”, ovvero con una vigorosa attività’ geologica, una tettonica a zolle con decine di migliaia di km di dorsali e zone di rift attive, etc etc. Su Marte non c’è traccia di niente del genere, in tempi recenti. Quindi, causa ridottissima attività vulcanica attuale ( esiste qualche indizio di attività recenti ma si tratta comunque di episodi sporadici) le emissioni attuali non possono essere di origine abiogena, a meno di postulare, appunto, il rilascio a partire da depositi “fossili” di clatrati, instabilizzati da qualche sorgente idrotermale.

Questa è, da tempo, la spiegazione prevalente.

Come abbiamo visto però, non è la più plausibile, sia per il metano attuale, sia, in misura clamorosamente maggiore, per quello passato.

Ne esistono di alternative, come ad esempio il metano “incistato” nel salgemma, ma, senza stare tanto ad approfondire, si tratta comunque di ipotesi stiracchiate.

Non so se avrete avuto la pazienza di seguirmi in questo escursus, complesso, arizigogolato eppure, giocoforza, ancora limitato. Non so se condividerete con me l’idea che si sia vicini alla prova che la vita, dopotutto non è(stato) un evento limitato al pianeta Terra.

Lasciatemi chiudere con una citazione:

“Once you eliminate the impossible, whatever remains, no matter how improbable, must be the truth.”

Una volta che si elimina l’impossibile, quel che resta, non importa quanto improbabile, deve essere vero.

Arthur Conan Doyle

Per finire una ciliegina: una proposta operativa.

alcuni esperimenti avevano proposto un metodo per riconoscere e discriminare tra metano di origine biogena ed abiogena: il rapporto tra idrogeno e metano vicino alle sorgenti. Rapporti superiori a 40 avrebbero denotato una probabile origine abiogena ( processi di serpentinizzazione e simili).

Rapporti inferiori avrebbero puntato ad una origine biologica.

Uno studio recente ha rimesso tutto in discussione, dimostrando come sia DAVVERO necessario compiere una serie di sperimentazioni per comprendere l’intero range delle temperature e condizioni possibili, in modo da verificare quali possano essere i valori discriminanti.

Non si tratta di discussione accademiche:

Questi rapporti potrebbero essere misurati dall’orbita, a patto di rimuovere il disturbo costituito dal “fondo”, ovvero dalla presenza di idrogeno di altre origini, senza attendere una missione dedicata, che misuri i rapporti isotopici del carbonio del metano marziano ( come abbiamo visto la vita predilige, per motivi termodinamici, che prescindono dall’evoluzione, il carbonio “”leggero”).

Si potrebbe approfondire sperimentalmente QUESTO aspetto e fornire un’ulteriore prova a favore, o meno dell’origine biologica del metano e quindi dell’effetto serra primordiale che ha permesso il mantenimento di acqua liquida su Marte, per milioni di anni.

UPDATE Agosto 2018

E’ uscito un interessante articolo ad opera di ricercatori italiani, già citati in questo post. L’articolo propone, di nuovo, un metodo per discriminare tra Metano abiogeno e biogeno basato sull’abbondanza relativa di metano arricchito in C13.

Interessante? Direi MOLTO interessante! Perché passibile di approfondimenti e verifiche.

Da notare che, anche in caso di metano ( ed idrogeno) di origine organica, se ne sarebbe dovuto produrre tanto.

Insomma: non solo ci sarebbe stata vita su Marte ma, addirittura sarebbe stato BRULICANTE di vita e non solo il Sabato sera.

here only for the beer
Dopotutto, può darsi che su Marte il clima fosse tiepido e le birre non fossero poi un granché…

Metano su marte oggi articolo del 2009

Metano su marte oggi, articolo del 2015

 

 

 

Perché si? Perché no!

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L’avete già capito. E ve l’aspettavate. Noi di Crisis da sempre siamo per uscire dal petrolitico, l’era del petrolio bruciato. Da sempre siamo per uno sviluppo accelerato delle energie rinnovabili e di una economia evolutiva, ovvero re distributiva e non della crescita. Per l’abbandono del concetto di consumatore, base, manco a dirlo del consumismo e inesorabilmente dell’economia del debito. QUINDI è ovvio che, in merito al prossimo referendum, siamo per votare sì, per tutti gli ottimi motivi esposti da tutti i fautori del si. Do per scontato che sappiate di cosa si tratti. In fondo siamo su Crisis, mica su casabella&cento cose cool della prossima estate.

Quindi: perché votare sì? Perché no. Non è una buona idea continuare a cavare petrolio nei nostri mari. Ma questo, già ve l’hanno detto.

Bene. Ok. E ALLORA?

Allora, per dare un contributo un filo controcorrente, mettiamoci, per un attimo, il cappello con su scritto: i love oil.

Bene: se ami davvero il petrolio, se trivellare madre terra e’il tuo personale modo di interagire con il mondo in mancanza di donne, se conservi con amore una fiala di petrolio di Gawar, beh, proprio in questo caso, perfino in questo caso, il tuo amatissimo petrolio lo dovresti lasciare sotto terra. Intanto perché bruciare una cosa preziosa ed indispensabile come il petrolio, una cosa dalla quale si fanno fertilizzanti, medicine e la base plastica del tuo civilizzatissimo mondo, e’ da idioti. Eh sì, perché oltre i due terzi del petrolio viene bruciato subito, ho idea che lo sappiate, ed il terzo rimanente, venendo riciclato in minima parte,  finisce comunque bruciato, con grande gioia degli alveoli polmonari di qualche vivente nei dintorni.

Che peccato, no, per chi ama tanto il petrolio, il mistero della sua origine, il suo ancestrale olezzo di distillato invecchiato milioni di anni in geo barrique? E poi, non è certo un grande affare. Trivellare e produrre oggi significa rinunciare ai due terzi, forse all’80%, dei guadagni possibili. Perché il prezzo del barile( e quindi del metro cubo di metano) risalirà, statene certi e risalirà a livelli ancora più alti di quelli rivisti negli anni passati. Conviene, quindi, lasciarlo dormire sottoterra. Tenerselo buono buono per un decennio o due. Magari cinque o sei. Sarà un affare migliore tirarlo fuori quando sarà finalmente compreso, l’oro nero. Quando a nessuno passerà più per la testa di bruciarlo o sprecarlo.  Quando il suo costo al litro sarà più alto di quello di un litro di buon rosso di carmignano.

Si vabbe, torna sulla Terra, dai.

Hai ragione, coraggioso lettore di Crisis ed eccomi di nuovo qui.

Restando tra di noi mi pare ancora più semplice. La produzione metanifera e petrolifera nostrana, mai lontanamente in grado di renderci autosufficienti, e’ da anni in forte calo, per puri motivi di sfiga geologica. Abbiamo una geologia vivace e piuttosto attiva ed interessante nel senso della maledizione cinese e questo mal si accorda con succulenti giacimenti. Far fuori il poco che resta non è quindi una buona idea in termini strategici. Non supereremo mai la produzione attuale, che vale qualche per cento dei nostri fabbisogni. Quindi tanto vale aspettare quando, in un futuro, avremo fortemente ridotto la nostra dipendenza dalla combustione di krill morto milioni di anni fa.

La stessa identica produzione di petrolio e metano  sarà allora una percentuale assai più importante dei nostri fabbisogni e darà un contributo proporzionalmente maggiore al benessere della nostra bilancia dei pagamenti.

Eh, ma i posti di lavoro…nessuna paura.

Se c’è un settore che non conoscerà crisi se non momentanee e’quello delle estrazioni. Tocchera’ girare il mondo, certo. Ma l’hai scelto tu, bellezza, un ben remunerato lavoro di merda. E poi…andiamo, non si può usare la stessa scusa tutte le volte. L’hanno già usata per il salvataggio di Banca Etruria, degli&dagli amici babbioni del babbino della madrina della madre di tutte le riforme costituzionali…