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La fine della crescita, reloaded

 

Un classico per ogni catastrofista che si rispetti

Se siete lettori affezionati di Crisis, l’avrete già letto.

In ogni caso, ve lo sarete chiesti anche voi: Non è che la cosiddetta crescita, fonte di ogni letizia presente e futura, massima preoccupazione di qualunque governante, esiste solo nella rappresentazione o meglio nella narrativa, che ci viene quotidianamente, settimanalmente, mensilmente, stagionalmente, annualmente, ETERNAMENTE propinata?

La mia posizione è in merito molto semplice: la crescita da MOLTO tempo e, sicuramente, da almeno otto anni, NON ESISTE.

O meglio: esiste la crescita della produzione, la crescita del consumo parossistico e sempre più drogato di energia, materie prime, seconde, terze e beni di consumo. In sostanza: stiamo CERTAMENTE consumando il pianeta e, nel processo, noi stessi, a ritmi sempre crescenti. Il punto è che a questa crescita dei consumi NON corrisponde un aumento REALE del benessere economico. Almeno ( vedasi post precedente) non per il 99% della popolazione di cui facciamo parte. Ma, si dice, l’economia è comunque cresciuta.

No, neanche questo. Non solo a scala Nazionale ma a scala GLOBALE la crescita è stata INTERAMENTE finanziata con il debito. Pubblico e privato. Ovvero: è una crescita fatta a spese del proprio futuro e di quello dei propri figli.

Possibile?

SI!!

ecco i dati: il debito globale mondiale ha raggiunto, lo scorso luglio, il 327% del PIL mondiale. 217 mila miliardi di dollari.

In dieci anni è cresciuto di circa il 3% all’anno, quindi di circa il 30%.

Come si vede dalla metà ai tre quarti della crescita del pil mondiale era ed è dovuta alla Cina, agli Stati Uniti ed all’India, mentre il resto del mondo, Europa in primo luogo ha contribuito in modo crescentemente marginale.

andamento del pil mondiale.

Nello stesso periodo il debito TOTALE ( pubblico e privato) mondiale è passato da 149 a 217 mila miliardi. Un incremento del 45%.

Ovvero un terzo in più del pil mondiale.

A parte il periodo del quasi crack delle borse e del sistema, a cavallo tra 2008 e 2009, che ha aperto una falla costata decine di punti percentuali di pil nei conti pubblici delle principali economie, anche nell’ultimo tranquillissimo anno il debito è aumentato di almeno 500 miliardi di euro.

Avete capito?

La ricchezza teoricamente creata, la crescita teoricamente avvenuta, è avvenuta ad un tasso più lento della crescita del debito.

Se un padre di famiglia in un dato anno porta 5000 euro in più a casa ma si indebita per 7000, lo chiamereste una crescita della ricchezza della famiglia, anche se con quei 5000 euro in più ha pagato la nuova cucina? Se continuasse cosi’ per dieci anni, trovandosi ad accumulare un debito che è il 45% più alto ed è tre volte quello che guadagna in un anno, pensereste che è un buon padre di famiglia, diretto verso il successo, il benessere e una serena vecchiaia?

Eppure cercano di raccontarvela così.

OGNI-SANTO-GIORNO.

Poiché la situazione è questa da molti anni e poiché lo scenario è che, quando la ( presunta) crescita rallenterà, quando la bolla ( una delle tante possibili) esploderà, si ripartirà con altri quantitative easing sempre più disperati, non vi è nessuna probabilità che le cose cambino nel futuro.

Quindi?

Quindi stiamo distruggendo il pianeta a ritmi crescenti, correndo a velocità crescente verso un inevitabile crack finanziario che o distruggerà i vostri risparmi o distruggerà l’economia o farà ambedue le cose. Il tutto per servire un solo unico grande implacabile cieco spietato ed insaziabile signore: IL DEBITO.

Ecco quindi che forse l’antico uso di rimettere i debiti, una cosa che imponeva a tutti moderazione nell’uso delle risorse, limitava il facile strozzinaggio dei forti e ricchi nei confronti dei deboli e poveri, dovrebbe essere preso seriamente in considerazione, prima che, comunque, il mostro divori se stesso e noi prima di lui.

E la crescita? La crescita, non c’e’ è una illusione, presto insostenibile.

Una follia collettiva, che si volatizzerà. Faremmo bene, anche qui a farcene una ragione e cominciare a cambiare, prima che sia tardi, i nostri paradigmi.

Ok. Per esempio? Per esempio qui in Italia?

Volete che ne dica una tosta?

Non sono un economista. Non sono un finanziere. Non sono uno statista maaaa….

Perchè non cancelliamo, con qualche dovuto distinguo, i debiti in sofferenza e contemporaneamente non rendiamo pubbliche le banche?

Lo Stato si farà garante dei conti correnti dei cittadini ed almeno la parte privata dei debiti, che sta portando le banche al collasso cesserà di esistere.

Così evitando il collasso dell’economia, ridando “ossigeno a imprese e cittadini etc etcetc

Notare che oltre il 90% del valore dei debiti in sofferenza sono superiori ad un milione di euro, ovvero NON sono i poveri che sono insolventi, come del resto Junus, dice da una vita.

Proprio questo, infatti, dovrebbe essere uno dei principali distinguo.

Valutare i posti di lavoro messi a rischio da una data insolvenza, valutare motivazioni ed importo del debito in sofferenza etc etc etc.

In ogni caso: così come stanno le cose, Lo stato sta intervenendo per coprire LUI i debiti in sofferenza, salvando cosi’ le banche, ma rimanendo, grazie a varie cabale, ( bad bank good bank etc etc) azionista di minoranza.

Con il bel risultato di spingerle a comportarsi più avventatamente di prima, sottraendo risorse vitali per gli altri settori come l’educazione la sanità etc etc che languono. Una alternativa esiste ed è creare un fondo di garanzia nazionale, una banca Pubblica ma di diritto privato a cui possano accedere i cittadini con crediti e conti presso istituti di credito in fallimento, salvando i loro risparmi e lasciando al fallimento le banche avventate o prezzolate.

Sarebbe anche tempo che i dirigenti di istituti di credito falliti non possano, per almeno otto anni, ricevere altri incarichi dirigenziali, in perfetta analogia con quel che succede ai falliti.

Ma sono già uscito dal seminato. Non sta ad un umile blogger cercare le soluzioni, a lui, come ad ogni altro giornalista o osservatore della realtà, sta prima di tutto raccontare ed evidenziare paradossi, fatti, falsità e problemi.

Trappole 2: L’ innovazione

innovazione

Uno dei mantra con cui si cerca di esorcizzare la crisi è quello dell’ innovazione.   Se un paese, un’impresa, un singolo lavoratore vuole essere competitivo deve innovare.   Più fai innovazione e più fulgido è il tuo futuro.  Chi rimane indietro verrà fatto fuori dalla concorrenza a tutto vantaggio della collettività perché questo è il meccanismo che rilancia costantemente il progresso, la crescita ed il benessere.   Ma siamo sicuri?

Effettivamente, fra due imprese in concorrenza è probabile che venda di più quella che ha i prodotti più alla moda e che sviluppa i processi più efficienti.   Ma se per innovare ha fatto dei debiti ed il mercato non tira abbastanza, non è detto che vada a finire bene.   Personalmente, ho conosciuto più di un caso in cui, nell’ambito di un settore in crisi, sono sopravvissute proprio le aziende più “all’antica” perché usano impianti già ammortizzati ed hanno processi produttivi più elastici.

Salendo di scala, buona parte della storia è fatta di come popoli più innovativi sul piano organizzativo, tecnico e militare abbiano fatto fuori gli altri.   Ma anche in questo caso, se l’ innovazione sicuramente conferisce un maggiore potere, genera anche ulteriori necessità.   Ad esempio, la precoce e spinta petrolizzazione dell’economia USA è stata uno dei fattori che ne hanno fatto la giga-potenza mondiale.   Ma ha anche condotto gli americani ad impantanarsi nel caos medio – orientale (fra l’altro).   Contemporaneamente, ha dato un contributo fondamentale all’inquinamento globale, che adesso sta erodendo le basi dell’economia.

Salendo ancora di scala, quale può essere l’effetto dell’ innovazione sul capitalismo globale?

Semplificando al massimo, il fondamento del sistema è l’accumulazione di capitale, non solo sotto forma di denaro, ma anche e soprattutto in forma di impianti, macchine, infrastrutture, maestranze, conoscenze, eccetera che costituiscono l’autentica ricchezza di una società.

Sappiamo che il capitale si accresce mediante investimenti e si erode mediante consunzione ed obsolescenza.   Cioè, il capitale cresce perché una parte del suo prodotto viene reinvestito per produrre nuovo capitale.   E man mano che il capitale cresce, cresce la quantità di risorse che possono essere investite e così via.   E’ la “crescita” tanto amata da tutti.
Ma per mantenere in efficienza il capitale è necessario investire una parte della produttività del medesimo.    Le macchine hanno bisogno di manutenzione, le maestranze mangiano, le strade vanno periodicamente asfaltate eccetera.   Perfino per conservare un simbolo come il denaro ci vogliono banche, polizia e molto altro.
Dunque più cresce il capitale, più cresce il suo prodotto, ma anche i suoi costi energetici di manutenzione, finché questi diventano tali da mettere in crisi il sistema.    E’ uno degli infiniti esempi di come i Ritorni Decrescenti rallentano ed infine bloccano la crescita dei sistemi.

Ma niente paura!   L’innovazione ci permette di rendere sempre più produttivo il nostro capitale, così come di ridurre le risorse necessarie alla manutenzione.    Vero, ma anche qui si pone un problema di Ritorni Decrescenti.   “Accelerare l’ innovazione” è esattamente sinonimo di “accelerare l’obsolescenza”.   Più rapidamente si innova, più rapidamente si dovranno sostituire pezzi di capitale, anche trascurando la truffa dell’obsolescenza programmata.   Lo vediamo in maniera esagerata con i computer, ma lo stesso fenomeno riguarda qualunque parte del capitale materiale che sostiene una società: strade, impianti industriali, immobili, macchine, eccetera.   Ma succede anche col capitale immateriale: più rapidamente vengono superate le conoscenze tecniche e scientifiche, più bisogna investire in aggiornamento e/o sostituzione del personale, adeguamento dei programmi scolastici e via di seguito.

E’ pur vero che in molti campi (anche se non tutti) le nuove tecnologie hanno bisogno di una minore manutenzione o (soprattutto) di meno personale addetto.   Ma anche quando effettivamente si riducono i costi di manutenzione, accelerando il ricambio si aumentano quelli di ammortamento.   Anche in questo caso, arriva quindi un punto in cui lo scapito è maggiore del guadagno ed ogni ulteriore progresso tecnologico aumenta e non riduce i costi aggregati.

Infine, è necessario fare almeno un cenno al fatto che con il termine “innovazione dei processi produttivi” di solito si intende dire “licenziamo un po’ di gente”.    Anche in questo caso, finché vi sono i presupposti per una rapida crescita economica poco male, perché la gente che perde un impiego di solito ne trova un altro.   Ma quando i presupposti sono per una stagnazione, o peggio, dell’economia, chi perde il lavoro diventa suo malgrado un peso per la società.

Questa è la trappola:
L’innovazione è ciò che ha consentito alla nostra specie prima ed alla nostra civiltà poi di dominare il Pianeta.
A livello di singoli soggetti, può anche continuare ad essere una strategia vincente.   Ma da quando siamo entrati in una fase di stagnazione (o più probabilmente di recessione) di lungo periodo, l’innovazione rischia di giocare un ruolo fortemente negativo a livello generale.

In pratica, quello che favorisce i singoli soggetti danneggia il sistema di cui questi stessi fanno parte.