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Pillole demografiche – Italia e Nigeria.

di Jacopo Simonetta

Concludiamo la nostra carrellata con due paesi molto diversi.  Per le pillole precedenti si veda (qui, quiquiqui e qui).

Italia.

Per prima l’Italia, che a prima vista si presenta come un caso paradigmatico di “transizione demografica”; ma ad un più attento esame forse non del tutto.

fig.1. Demografia italiana. Purtroppo la qualità della figura è pessima, ma rimane leggibile sapendo che il grafico va dal 1860 al 2016; la linea rossa rappresenta i morti e quella azzurra i nati.

Semplificando al massimo, nei primi 40-50 di unità nazionale, sono andate aumentando sia la natalità che la mortalità, con un saldo attivo piuttosto ridotto.  Poi c’è stata una lunga fase di lieve calo della natalità, ma ancora maggiore della mortalità.  Dunque un saldo attivo molto maggiore, ma in gran parte assorbito dall’emigrazione, il che spiega anche il rapido calo della mortalità. (v. fig. 2).
Poi ci fu il duplice disastro della “grande guerra” e, subito dopo, della “spagnola”.   Da notare che in questo, come in moltissimi altri casi, durante la fase acuta della moria anche la natalità è crollata, per rimbalzare subito dopo ad un livello leggermente superiore a quello precedente la crisi.  Interessante è anche osservare che, malgrado le politiche fortemente demografiche di Mussolini, durante il “ventennio” la natalità diminuì più rapidamente della mortalità, pur restando il saldo in campo ampiamente positivo. Quindi ci fu un doppio picco positivo di natalità a cavallo del picco negativo corrispondente alla 2a Guerra Mondiale (che fece molte più distruzioni, ma meno morti della prima, malgrado i bombardamenti l’olocausto, le rappresaglie, ecc.).
Poi, e questo è molto interessante, una netta depressione durante la ricostruzione degli anni ’50 e quindi un ripido picco positivo, in corrispondenza di quei mitici e ultra-ottimisti anni ’60 che ancora ci ossessionano.  Coi primi anni ’70 (maggiori diritti alle donne e diffusione del femminismo, ma anche primo sensibile intoppo sulla via della crescita), iniziò il graduale calo della curva fino a quota di mantenimento alla metà degli anni ’90 (al netto dell’immigrazione che ha mantenuto un saldo attivo della crescita demografica complessiva).  Tutto considerato, il picco storico di natalità è stato ai primi del ‘900, seguito da un altalenante declino.
Viceversa, considerando anche il saldo migratorio, il massimo storico di incremento demografico è invece quello che stiamo vivendo da 15 anni a questa parte.

Fig. 2. Demografia italiana saldo naturale (linea grigia) e saldo migratorio (linea nera).

L’ultima notazione rilevante è questa: la crisi mai finita del 2008 si è finora accompagnata sia un lieve aumento della mortalità, sia una lieve diminuzione della natalità. Non è detto che entrambi i parametri siano direttamente correlati ai dati economici.  Anzi, sicuramente, diversi fattori concorrono a questo risultato, ma è interessante che ciò sia esattamente il contrario di ciò che prevede la “Teoria della Transizione demografica”.
Comunque, bisogna tener ben presente che si tratta di una fluttuazione ancora troppo lieve e troppo recente per poter dire se si tratta di “rumore” o di una tendenza strutturale.

Se ora diamo un’occhiata alla struttura della popolazione italiana, vediamo che innegabilmente abbiamo un problema di “bubbone senile” in rapido arrivo.  E’infatti  innegabile che una società con più vecchi che giovani abbia dei problemi drammatici.  Dunque (escludendo, spero, l’ipotesi di una mattanza degli “over-50”), vediamo le strategie possibili.

1 – Rilancio della natalità.  La più sbagliata di tutte perché fino a 20 anni (minimo) i giovani italiani sono improduttivi, non foss’altro perché vanno alla scuola dell’obbligo.  Ipotizzando quindi di lasciare fermi gli altri fattori (che in realtà cambiano sempre e comunque), aumentare la natalità significherebbe essere rapidamente stritolati nella morsa di un duplice “bubbone”: troppi vecchi e troppi bambini contemporaneamente sulle spalle di troppo pochi adulti (quelli che oggi sono ragazzi).  Inoltre, ciò non farebbe che accrescere il dramma della sovrappopolazione locale e globale.

2- Favorire l’immigrazione.  E’ la scelta che è stata fatta.  E’ già meno stupida della precedente perché non aggiunge bocche al desco globale; ma le aggiunge comunque a quello nazionale che è già in affanno, specie fra i bassi ranghi dei commensali.   Inoltre, la pratica dovrebbe aver ormai dimostrato che le difficoltà di integrazione aumentano in misura più che proporzionale coi flussi.  In parole povere, se effettivamente un modesto flusso di immigrati può rappresentare un vantaggio, flussi imponenti come quelli verificatisi negli ultimi 15 anni sono ampiamente in grado di costituire la proverbiale “goccia che fa traboccare il vaso” in società già ampiamente fragilizzate da altri fattori.

3 – Ristrutturare la società adattandosi al fatto che, mediamente, saremo sempre più poveri.  Ciò rappresenterebbe un compito immane che dovrebbe investire ogni aspetto, a cominciare dal taglio dei redditi eccessivi al fine di rendere accettabile il loro stato ai poveri.  Poi bisognerebbe organizzare un sistema di “welfare” minimale, sostenibile con fondi decrescenti e quindi puntando sulla ricostituzione delle reti sociali autonome.  Ma occorrerebbe anche piantarla di raccontare balle razziste e/o buoniste per, finalmente, spiegare cosa sta accadendo e perché.  I passaggi dolorosi ed indispensabili sarebbero moltissimi e la crisi sarebbe grave, ma temporanea (pochi decenni).

Nigeria.

La Nigeria è il paese che più di tutti si presta ad illustrare l’esplosione repentina delle “bomba demografica”.  In appena 50 anni la sua popolazione è triplicata e continua a crescere ad un vertiginoso tasso vicino al 3% annuo.Le conseguenze sono state complesse.  Anche se molti acclamano il vertiginoso aumento del PIL del paese, la devastazione pressoché totale degli ecosistemi ha provocato la disintegrazione degli equilibri sociali e delle società tradizionali, con un tasso di inurbamento fantastico sia per dimensione che per velocità. Guerre locali, terrorismo, corruzione ad ogni livello, disoccupazione alle stelle e molto altro completano un quadro che sta già contribuendo a destabilizzare una bella fetta di mondo. Come se non bastasse, una situazione politico-sociale molto instabile all’interno di un paese ricco di risorse minerarie non può che essere un potente attrattore per speculatori privi di scrupoli da tutto il mondo.
La metà della popolazione ha meno di 17 anni e i due terzi vive in completa miseria, ma ciò nondimeno diverse ricerche internazionali hanno classificato il Nigeria come uno dei paesi più ottimisti del mondo.  Nel senso che la stragrande maggioranza delle persone, ad onta di ogni difficoltà e disgrazia, ha grandi progetti per un futuro che immaginano molto migliore del presente.
Questa è probabilmente una delle due principali ragioni per un calo così lento della natalità, in un ambiente così ostile per la grande maggioranza dei cittadini.  L’altro è che la larghissima maggioranza dei nigeriani sono cattolici o mussulmani, molto convinti e credenti in entrambi i casi.

Fig. 3 previsioni demografiche ufficiali per i 7 paesi più popolosi del mondo; la linea rossa rappresenta la Nigeria.

Come andrà nei prossimi decenni?  Impossibile a dirsi, ma di sicuro la proiezione demografica ufficiale è la meno probabile di tutte.  Anche tenendo conto che l’impronta ecologica è un parametro parziale, non c’è dubbio che la popolazione attuale abbia già ampiamente superato la capacità di carico del Paese da decenni.
Che la popolazione ed i consumi possano crescere ancora per molti anni non si può escludere a priori (il mondo reale è sempre ricco di sorprese), ma diciamo che è perlomeno molto improbabile.
Finora l’emigrazione di una molto modesta percentuale della popolazione complessiva (ma consistente della classe media) è stata sufficiente ad evitare il collasso del paese, ma situazione peggiorerà molto rapidamente e qualunque evento capace di fermare un simile impulso sarebbe (sarà?) qualcosa di “biblico” che coinvolgerà il mondo intero.
Faremmo bene a pensarci e ad prepararci, nei limiti del possibile..

PILLOLE DEMOGRAFICHE – Russia

di Jacopo Simonetta

Riprendiamo la nostra carrellata con un altro dei paesi più importanti: la Russia.  Per le pillole precedenti si veda (qui, quiqui e qui).

Se osserviamo la tendenza di lungo periodo, vediamo che la popolazione russa è cresciuta in modo esponenziale a partire dal 1500 circa, invadendo e colonizzando gradualmente l’Asia centrale e Parte dell’Europa orientale.   Un processo che raggiunse il culmine durante il XIX secolo, per poi rallentare anche a causa delle due guerre mondiali.  Parimenti disastrose sul piano demografico, ancorché di segno opposto su quello geopolitico.   La prima segnò infatti la fine dell’Impero Russo, la seconda la nascita di quello Sovietico.

Per quanto riguarda il secondo dopoguerra, il tasso di accrescimento della popolazione calò rapidamente, a fronte di un tasso di mortalità che è calato fino alla metà degli anni ’60, per poi tornare a crescere leggermente. Il netto rallentamento della crescita demografica fu dunque dovuto soprattutto ad un forte calo della natalità e, secondariamente, ad un modesto aumento della mortalità.  La cosa qui interessante è che ciò è avvenuto durante il periodo di massima espansione economica e politica dell’URSS.
Già questa una situazione che non coincide con la teoria, secondo cui la crescita economica dovrebbe causare prima un aumento e poi una stabilizzazione della popolazione.

Dal nostro punto di vista, è però ancora più interessante ciò che è accaduto dopo.
Il collasso dello stato sovietico, con la gravissima crisi economica che lo accompagnò, iniziò infatti alla metà degli anni ’80. Puntualmente segnato non solo da un balzo della mortalità (come c’era da aspettarsi), ma soprattutto con un ulteriore sdrucciolone della natalità, che raggiunse il minimo storico durante il decennio 1995-2005.  Per poi riprendersi, ma solo in parte, a fronte di una migliorata situazione economica e di una maggiore stabilità politica.  Un fatto questo molto importante perché diametralmente opposto alle previsioni fatte in base alla teoria.  Ed un fatto ulteriormente confermato negli ultimi anni.  Ma vediamo meglio che cosa è successo.

“A stato Putina”


Invece no.   Il periodo nerissimo dell’economia russa corrisponde, approssimativamente, alla presidenza di Boris Yelstin.  Ma la brusca ripresa della crescita economica avvenne fra il 1998 ed il 1999; cioè mentre Yelstin era ancora presidente e Putin era capo dell’ FSB (ex KGB) .  Dunque le politiche economiche non erano di sua competenza.  In effetti, le cause del rimbalzo siano state indipendenti dall’operato di Putin.  Tuttavia è probabile che, come capo dei servizi segreti, abbia avuto modo di ostacolare il saccheggio allora in corso da parte delle imprese occidentali, appoggiate dalla mafia locale.  Si occupò infatti di riportare sotto il controllo del governo le principali cosche mafiose, cosa che gli detto anche  modo di avviare la costruzione di quella rete di oligarchi miliardari che a tutt’oggi costituisce l’ossatura della politica russa.   Nel 1999, Putin (diventato nel frattempo primo ministro) fu anche colui che decise di invadere la Cecenia (allora semi-indipendente) e chiudere così la partita con il terrorismo islamista che, dallo staterello caucasico cominciava ad estendersi in altre regioni (la seconda guerra cecana fece tra i 25.000 ed il 50.000 morti secondo le stime).
Comunque, diventato presidente nel 2000, Putin stabilizzò per alcuni anni il tasso di crescita economica e ricostruì un apparato statale funzionante, ma con due problemi strutturali molto profondi.  Il primo è che l’economia russa post crisi dipende totalmente dalle esportazioni di gas e di petrolio.  Il picco del primo è alle spalle da un pezzo (fine anni ’80) e quello del secondo è probabilmente circa adesso (ma è troppo presto per esserne certi).

Il secondo problema è strettamente correlato col primo ed è l’estrema concentrazione della ricchezza in pochissime mani; un dato in tendenza con il resto del mondo, compresi UE e USA, ma molto più elevato.  Entrambi questi fattori hanno giocato un ruolo determinate nello sviluppo della crisi, prima economica e poi politica, in cui anche la Russia si dibatte dal 2007.


Dal punto di vista demografico, il risultato è che durante il primo decennio circa dell’ “era Putin” la natalità è tornata a salire e la mortalità a scendere.  Mentre da quando l’economia ha ricominciato ad andare male, la natalità ha fluttuato a cavallo della parità con la mortalità.
Certo altri fattori influenzeranno la demografia russa, primo fra tutti l’immigrazione da alcune delle repubbliche ex sovietiche;  consistente soprattutto negli anni di relativa crescita economica.
Ciò nondimeno, a Mosca sono molto preoccupati, tant’è vero che da alcuni anni il governo sta portando avanti politiche decisamente nataliste sempre più martellanti, appoggiandosi sui sentimenti patriottici e religiosi della maggioranza dei russi, ma pare che per ora i risultati siano scarsi.

Nella prossima puntata parleremo dell’Italia.

 

Per chi vuole saperne di più sul “quadro d’unione” fra i vari termini della crisi sistemica in corso:
https://luce-edizioni.it/prodotto/picco-capre-libro-crisi-collasso-simonetta-pardi-vassallo/

 

Pillole demografiche 4 – La bomba demografica è scoppiata, e ora?

di Jacopo Simonetta

Nelle pillole scorse (qui, qui e qui) abbiamo dato un sommario sguardo alla teoria della transizione demografica e ad un paio di casi reali, non molto in linea con essa.   Prima di proseguire questa carrellata con alcuni altri esempi, propongo una pausa di riflessione per discutere un interessante articolo recentemente apparso sull’autorevole rivista “Proceedings of the National Accademy of Sciences of the United States of America” (abbreviato PNAS) dal titolo “La riduzione della popolazione umana non è un rimedio rapido per i problemi ambientali“.
Raccomandando a chiunque di leggere l’originale, tirerò per prima cosa le somme di questo lavoro, per poi fare cenno a cosa manca.  Lacune peraltro dichiarate e spiegate nell’articolo stesso.

Quello che dice

L’articolo si compone di tre parti.   Nella prima gli autori hanno testato mediante dei modelli matematici quali effetti demografici avrebbero riduzioni nel tasso globale di natalità, ferme restando le altre condizioni (tasso di incremento della aspettativa di vita media e saldo migratorio zero – ovviamente visto che si tratta di proiezioni a livello globale).   Il risultato era abbastanza scontato: riduzioni anche estreme, tipo un solo figlio per donna come media mondiale, avrebbero effetti trascurabili nell’immediato e modesti nel giro di decenni; mentre diventerebbero molto importanti dopo una settantina di anni. Nella fig. 1 si riassumono gli scenari delineati, come si vede solo lo scenario 4 (declino della natalità ad un solo figlio per donna a partire dal 2045 e aspettativa di vita media costante sui valori del 2013) comporterebbe un sensibile rallentamento della crescita in tempi brevi e una  riduzione della popolazione a 4 miliardi di persone al 2100.  In compenso, proiettando i risultati su tempi appena più lunghi (2130) si vedrebbero risultati abbastanza sconvolgenti (fig. 2).

 

Una seconda serie di prove ha testato l’effetto che avrebbero catastrofi bibliche, in grado di spazzare via miliardi di persone nel giro di pochi anni.   Ebbene, qualcuno sarà sorpreso, ma il risultato è che avrebbero un impatto trascurabile.  Perfino un ipotetica pandemia che sterminasse 2 miliardi di persone non ridurrebbe gran che la popolazione sui tempi lunghi.  Una catastrofe da 6 miliardi di morti nel 2040 significherebbe comunque oltre 5 miliardi di persone nel 2100.  Ovviamente nell’ipotesi che, nel frattempo, i parametri di natalità e mortalità restassero quelli attuali.
Il risultato è teorico, ma attendibile. Per citare un solo caso, il XX secolo è stato quello che ha visto la maggiore crescita demografica della storia della nostra specie, ad onta di un’infinità di guerre fra cui le due più terribili di sempre, epidemie carestie assortite, nonché Hitler, Stalin, Mao e vari loro imitatori.

Infine, gli autori hanno ripartito il mondo in 14 regioni dal comportamento demografico relativamente omogeneo ed hanno confrontato questa ripartizione con la distribuzione delle zone in cui si trovano i massimi livelli di biodiversità a livello globale.  Ne è risultato un quadro abbastanza fosco, con la situazione peggiore di tutte in Africa; continente in cui l’altissima crescita demografica sta comportando una distruzione particolarmente rapida di biodiversità

Nelle conclusioni, si afferma quindi che occorre assolutamente rilanciare a tutti i livelli le politiche di controllo e riduzione delle nascite, ma che questo sarà inutile se, contemporaneamente, non si ridurranno drasticamente i consumi pro-capite che, negli ultimi decenni, sono invece aumentati ben più rapidamente della popolazione.
Una conclusione corretta, ma incompleta.

Quello che non dice

Per quanto riguarda la prima parte del lavoro, la principale lacuna, peraltro dichiarata, è il tasso di mortalità.  Gli autori hanno cioè indagato gli effetti sia di una catastrofe biblica che di modeste variazioni nella natalità e nella mortalità infantile.  Ma non le conseguenze di un incremento di uno o due punti percentuali nella mortalità degli adulti.   In altre parole, si è dato per scontato che l’attuale tendenza all’incremento dell’aspettativa di vita prosegua secondo la tendenza attuale; oppure che si stabilizzi.  Ma non si è presa in considerazione l’ipotesi di una sua riduzione sul lungo periodo.   Come se l’aspettativa di vita fosse indipendente dall’evolvere delle condizioni economiche, ambientali e sociali.
Dunque, invece di immaginare pestilenze globali e guerre nucleari, proviamo semplicemente ad ipotizzare che quella “stagnazione secolare” di cui parla l’FMI gradualmente coinvolga tutte le principali economie del mondo.   Significherebbe il diffondersi e moltiplicarsi di situazioni analoghe a quelle già viste nell’ex URSS (v. pillola prossima ventura) durante gli anni ’90 o, attualmente, in parecchi paesi anche occidentali;  pur senza arrivare alla gravità di situazioni come quella attuale in Venezuela.   Aggiungiamoci crisi umanitarie analoghe a quelle attualmente in corso, ma in un contesto di minori disponibilità di intervento da parte della comunità internazionale; poi una riduzione dei servizi sanitari gratuiti e l’effetto cumulativo dell’inquinamento.  Non appare fantascientifico ipotizzare un incremento del tasso di mortalità di 2-3 punti percentuali che, associato al proseguimento dell’attuale riduzione della natalità, comporterebbe il dimezzamento della popolazione in molto meno di un secolo.  E senza neppure scomodare il 4 cavalieri dell’Apocalisse.

Una seconda osservazione riguarda l’analisi relativa alle possibili grandi calamità.  Che, di solito, catastrofi repentine non abbiano impatti demografici duraturi è un fatto storicamente confermato. Anzi, a seguito di guerre ed epidemie, spesso si verificano significativi rimbalzi di natalità (v. il caso cinese pillola 2).   Tuttavia, sia gli esempi storici che i modelli matematici, riguardano popolazioni in crescita, colpite da momentanee catastrofi.   Dal momento che la natalità è fortemente influenzata da fattori sociali e psicologici (oltre che economici ed ambientali), non possiamo sapere che effetto avrebbe una calamità biblica su di una popolazione che è già in contrazione per altre cause.  La gente potrebbe infatti reagire in modo tradizionale, con un ritorno di natalità, ma potrebbe anche reagire in altro modo.  Tanto più che la morte di miliardi di persone, specie se in paesi industrializzati e specie se per causa bellica, si accompagnerebbe ad un tracollo irreversibile dell’economia globale.   Cosa che contribuirebbe a mantenere elevata la mortalità e (forse) a mantenere bassa la natalità anche ad emergenza finita.

Infine, per quanto riguarda la dinamica regionale, lo studio pubblicato su PNAS dichiaratamente trascura l’effetto delle migrazioni in quanto dipendente soprattutto da fattori politici e militari del tutto imprevedibili. Il che è vero, ma le migrazioni rappresentano il fattore demografico determinante nel mondo attuale e prossimo venturo.  Trascurarle significa girare largo da una mina politica, ma anche dal nocciolo della questione.

Lacuna eguale e contraria

Può essere interessante confrontare i risultati dello studio in questione con il blasonatissimo “Limiti della Crescita” (LdS).   Malgrado la veneranda età, questo rimane infatti ancora lo studio più completo disponibile, proprio perché centrato sull’interazione tra fattori economici, ambientali e demografici.   Inoltre, caso raro, le sue anticipazioni sono state finora sostanzialmente confermate dai fatti.  Eppure contiene un errore strutturale analogo, ma contrario, a quello dell’articolo sul PNAS.
Nel modello Word3 (cuore dello studio LdS) fu infatti incorporata la teoria della “Transizione demografica” che prevede, in caso di crescita economica, un calo sia della natalità che della mortalità cosicché la popolazione dapprima cresce e poi si stabilizza.  Viceversa, in caso di crisi economica grave e persistente, prevede un aumento di entrambe, sia pure con un prevalere della mortalità, cosicché la popolazione diminuisce lentamente.
Sulla base di ciò, LdS propone uno scenario base con l’inizio di una irreversibile contrazione economica fra il 2020 ed il 2030 circa, seguita da un picco demografico circa 10 anni più tardi, cui dovrebbe seguire una lenta decrescita.   Oggi sappiamo però che, almeno in molti casi, ad un peggioramento delle condizioni economiche e sociali fa riscontro sia un aumento della mortalità, sia un calo della natalità (v. ad esempio la Russia anni ’90).  Anzi, almeno in alcuni casi documentati (fra cui l’Italia) il calo della natalità si verifica già a livelli di crisi troppo lievi per provocare aumenti sensibili della mortalità.  Tornando quindi allo scenario BAU di Word3 (fig.4), sarebbe quindi perfettamente plausibile ipotizzare un calo della popolazione molto più rapido di quello indicato dalle curve, almeno in vaste regioni della Terra.   Personalmente, anzi, ritengo che questo sia lo scenario più probabile, anche se non azzardo profezie.

Tirando le somme

  • La bomba demografica ci sta scoppiando sotto il naso proprio ora ed ha appena cominciato a farci male. Il “meglio” deve arrivare ed arriverà. Su di una cosa gli autori dell’articolo sul PNAS hanno perfettamente ragione: non ne usciremo alla svelta. Qualunque scenario minimamente realistico indica oltre il secolo venturo un possibile ritorno entro densità umane forse sostenibili. Sempre che, nel frattempo, clima e biosfera non siano collassati perché, se ciò accadesse, l’estinzione della nostra specie potrebbe anche verificarsi.
  • Probabilmente, un’ipotetica ecatombe nucleare o d’altro genere non avrebbe effetti demografici duraturi, anzi potrebbe provocare un riflusso di natalità.
  • La popolazione non tenderà a stabilizzarsi, bensì a diminuire, ma non in modo omogeneo. Ciò, unitamente agli altri fattori (climatici, ambientali, politici ecc.), renderà la questione delle migrazioni uno dei temi su cui si giocherà la sopravvivenza delle società.   Quello che stiamo vedendo oggi non è che il “lieve vento” che precede la tempesta.

Che cosa ha senso fare?

Soprattutto evitare il “benaltrismo”.   Cioè lo scarica barile fra chi vuole fare una cosa e chi un’altra: se vogliamo sperare di controllare almeno in parte ciò che accadrà nei prossimi decenni, sono molte le cose che dovremo fare contemporaneamente.

Secondo me, le principali emergenze sono salvare il salvabile del clima e della biosfera, in modo che il pianeta sia ancora abitabile fra un secolo o due.   Dunque ogni forma di riduzione volontaria della natalità ha perfettamente senso ed i molti paesi è prioritario, ma darà dei risultati tangibili fra decenni e non possiamo permetterci di aspettare senza far altro.

Un secondo ordine di cose urgenti da fare riguarda quindi la riduzione dei finanziamenti alla vecchiaia per aumentare quelli alla gioventù.   In tutto il mondo occidentale e non solo, i vecchi possiedono la quasi totalità del capitale e la maggior parte dei redditi, oltre che beneficiare della principale fetta dei finanziamenti pubblici (sanità, pensioni, sgravi e sconti vari, ecc.).  Aveva senso quando i vecchi erano mediamente più poveri dei giovani, non ora che è il contrario.   Non dico che bisognerebbe uccidere qualcuno, dico solo che una società che si dissangua per prolungare di qualche mese la vita di un vecchio, anziché investire per preparare e far lavorare un giovane non intende durare a lungo.
Poi ci sono una serie di provvedimenti che potrebbero rallentare il peggioramento del clima ed il collasso della Biosfera a partire da subito.   In estrema sintesi, ridurre i consumi, ridurre i consumi e ridurre i consumi.   Quindi tutta una serie di interventi attivi per conservare la biodiversità, i suoli e l’acqua.
Infine, altro punto dolente: garantire entro i limiti del possibile la sicurezza delle proprie frontiere.  Il che non significa sigillarle (non sarebbe neppure possibile), ma significa avere un sostanziale controllo sui flussi in entrata ed in uscita.   Ma significa anche essere in grado di dissuadere i potenziali aggressori in un mondo in cui le guerre regionali si moltiplicano e si ricomincia a temere perfino una guerra globale.  Tutte cose che richiederebbero un drastico cambio di rotta non solo alla politica, ma soprattutto al nostro modo di pensare.   Per ora non pare che ne abbiamo.

 

Gli articoli parlano dei dettagli, i libri del quadro d’insieme.

“Da molti anni di riflessioni nasce “Picco per capre”, un libro scritto per persone che hanno voglia di capire cose di cui sentono parlare (cambiamento climatico, crisi ecologica, picco del petrolio, limiti della crescita, ecc.) e di cui intuiscono l’importanza, ma che non hanno né gli strumenti, né il tempo per affrontarle su testi tecnici o anche di divulgazione “alta”.
La capra non è stupida, solo un po’ ignorante e indaffarata a trovare le risorse per vivere.

Estratto dalla prefazione di Luca Mercalli. “Picco per Capre” cerca di spiegare in termini semplici situazioni e concetti complicati.

 

 

Immigrazione e chiarezza.

 

Quando si parla di qualcosa, è una buona abitudine di chiarire prima il significato delle parole che si usano.   Specialmente quando ci sono ampi margini di vaghezza.

Le principali rotte d’arrivo. La cartina è del 2013 e la situazione attuale è un poco diversa in quanto la rotta africana passa oggi per la Libia, non più per la Tunisia (Fonte Limes)

Dunque:

1 – Immigrato.   Persona che si trasferisce per un lungo periodo di tempo (anni o decenni) in un luogo diverso da quello dove è nato.   Può significare che proviene da un paese estero, ma anche da un’altra regione del medesimo paese, come i calabresi a Milano.   Quasi sempre, il motivo per emigrare è la ricerca di un lavoro.   Il 1 gennaio 2017, i cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia erano circa 5 milioni (dati ISTAT), di cui circa 1.150.000 romeni e circa 100.000 da altri paesi UE.   I residenti stabili con passaporto non europeo sono quindi circa 3,5 milioni, perlopiù albanesi e marocchini, seguiti da cinesi e ucraini.   L’unico paese africano ad avere una comunità residente consistente è il Senegal con poco meno di 100.000 persone (v. tabella in calce all’articolo).
Norme e condizioni per gli immigrati sono completamente diverse a seconda dei paesi di partenza e di arrivo.   Ad esempio, i cittadini dei “paesi Maastricht” possono stabilirsi dove vogliono, all’interno dell’UE, senza richiedere particolari permessi; di fatto non sono “stranieri”.   Cittadini di altri paesi (ad es. la Georgia e l’Ucraina) possono invece entrare in Italia liberamente, ma per stabilircisi hanno bisogno di un permesso di soggiorno rilasciato dalla prefettura.   Altri ancora hanno infine bisogno anche di un visto d’entrata, solitamente a termine, rilasciato dalla locale ambasciata del paese di destinazione.

2 – Profugo.   Spesso usato come sinonimo di rifugiato, giuridicamente indica invece la persona che è costretta a tornare in patria dal paese dove era emigrata.   Un esempio tipico sono gli europei tornati a seguito dell’indipendenza delle colonie; oppure gli italiani fuggiti dall’Argentina durante la dittatura.   Attualmente, per l’Italia è un fenomeno irrilevante, ma fra un paio di anni potrebbe esserci una grave crisi, a seconda di come andranno le trattative per la “Brexit”.

4 – Richiedente asilo.   Persona che richiede lo status di “Rifugiato” che viene rilasciato dalla prefettura in base alle disposizioni diramate dal Ministero degli Interni (v. seguito).   Quantificare questa aliquota di persone è arduo perché in costante e rapida evoluzione.   Sappiamo però che i “centri di accoglienza” ed il sistema “Sprar”  (compreso il famoso albergo a 30 € giornalieri) accolgono circa 174.000 persone (dati Ministero dell’Interno aggiornati al marzo 2017).   Non tutti sono richiedenti asilo, ma può andare come ordine di grandezza.   Teoricamente, coloro le cui richieste non vengono accolte dovrebbero essere respinti o rimpatriati.   In pratica ciò non avviene e, di solito, le persone si danno alla macchia arrangiandosi poi in qualche modo (v. seguito).

Boat people arrivati in Europa, fra il 2006 ed il 2015 (dati UNHCR).

5 – Rifugiato.   Persona che viene protetta dalle autorità del paese di accoglienza perché in patria è vittima di una specifica persecuzione per motivi politici, etnici o di altro genere.   Di solito si tratta di singole persone come esponenti ed attivisti politici ; per esempio molti intellettuali russi fuggiti in occidente durante l’epoca sovietica.   A seguito di guerre possono però acquisire lo status di rifugiato intere popolazioni, come i palestinesi fuggiti dalle zone occupate da Israele nel ’48 o gli Yazidi siriani fuggiti dalle zone occupate dall’ISIL nel 2015.   Oggi i rifugiati in Italia sono fra i 150.000 ed i 190.000 a seconda degli anni, una delle cifre più basse d’Europa.   E’ anche importante ricordare che lo status di rifugiato garantisce una serie di diritti, ma impone anche obblighi ben precisi.

5 – Extracomunitario.   Persona che non ha un passaporto europeo.  Dunque, fra gli altri,  sono extracomunitari i somali ed i cinesi, ma anche gli americani e, fra un paio di anni, anche gli inglesi.

6 – Immigrato irregolare o Clandestino.   Persona che si trova in territorio italiano senza autorizzazione.  Per definizione, solo gli extracomunitari possono essere clandestini.   Quanti siano ovviamente non si sa, ma sono stimati fra i 400 ed i 500.000 (dati Ministero degli Interni).   Perlopiù è gente a cui è stato rifiutato lo status di rifugiato, ma a cui è stato dato un permesso temporaneo; oppure che semplicemente se la è squagliata da un centro di accoglienza.   Teoricamente dovrebbero essere rimpatriati e le prefetture emanano circa 35.000 decreti di espulsione l’anno.   Ma ne vengono effettuate meno del 10%, per una combinazione di fattori (costo elevato dell’operazione, farraginosità della procedura, ordini ministeriali).   In compenso si conoscono bene le due principali porte di ingresso: gli aeroporti di Malpensa e di Fiumicino.  La maggior parte degli irregolari arriva infatti tranquillamente in aereo, se necessario con un visto turistico o di studio, per poi rimanere campando di espedienti nella speranza di incappare in una sanatoria od altro sistema per regolarizzarsi.
La seconda rotta è quella dei barconi e dei salvataggi in mare che tanto spazio ottiene sui media, malgrado sia quantitativamente secondaria.
Un problema cruciale è che molte di queste persone vanno ad ingrossare le fila dei parassiti sociali, della malavita e/o dei nuovi schiavi, volenti o nolenti.

Dunque quale è il problema?

Tirando le somme, la popolazione extracomunitaria in Italia ammonta probabilmente a qualcosa vicino ai 4,5 milioni di persone (clandestini compresi), pari a circa il 7-8% della popolazione.   E per rispondere a chi teme l’islamizzazione del paese, di questi meno della metà provengono da paesi a maggioranza mussulmana, e la metà di questi (circa 400.000) dall’Albania; non propriamente terra di islamisti scatenati.

Può non sembrare molto, eppure un pericolo che rischia di determinare in buona parte il futuro dell’Italia e dell’Europa, anche se per ragioni solitamente trascurate (o addirittura negate) anche da chi più teme questo fenomeno.

1 – La principalissima ragione è che l’Italia, come tutto il resto d’Europa e del mondo, è tremendamente sovrappopolata.   Gli indicatori sono molteplici, ma qui citerò solamente l’Impronta ecologica che, molto approssimativamente, misura quanto una data popolazione ecceda la capacità di carico del suo territorio.   L’Italia ha un’impronta pari a circa il quadruplo di ciò che sarebbe probabilmente sostenibile.  Ovviamente, non conta solo il numero delle persone, ma anche quanto queste consumano.   Non per niente, al calo del 25%  del nostro PIL pro-capite dal 2008  (dati Banca Mondiale), ha fatto riscontro un quasi equivalente calo della nostra impronta ecologica.   Una tendenza contrastata dall’aumento demografico, ma in misura limitata perché la stragrande maggioranza degli immigrati appartengono alle classi più povere che, loro malgrado, consumano meno della media nazionale.   Dovrebbe perciò essere evidente che continuare a ridurre i consumi sarà necessario (probabilmente anche inevitabile), ma che su tempi nell’ordine dei decenni non può bastare.   La decrescita dei consumi, felice o meno, potrà riportare la bilancia in equilibrio solo se accompagnata da una parallela, graduale riduzione della popolazione.   Cioè esattamente quel  1,2 – 1,5 % l’anno circa che avremmo in assenza di un’immigrazione che, viceversa mantiene la popolazione su tassi di crescita molto alti: circa il 2% annuo, anche se con fortissime fluttuazioni (dati ISTAT).   Ovviamente, 50 o 60 anni di decrescita demografica comporterebbero enormi difficoltà legate allo sbilanciamento verso l’alto della struttura demografica, ma sarebbe una crisi gestibile e prodroma di un migliore futuro.   L’alternativa, continuare a crescere, servirebbe solo a rimandare ed aggravare il problema, visto che i bambini di oggi saranno i vecchi di domani (si spera).   Finché, non sappiamo come e non sappiamo quando, sarà superato un limite oltre il quale la decrescita demografica avverrà comunque, ma in modo precipitoso ed incontrollabile.

Popolazione residente in Italia (esclusi irregolari).

2 – La seconda ragione è che attualmente l’Italia funziona come principale porta di ingresso in Europa per un flusso di persone che cercano poi di raggiungere altri paesi, soprattutto Francia, Germania, Inghilterra e paesi scandinavi.   Vale a dire che l’Italia contribuisce largamente non solo alla crescita della propria popolazione extracomunitaria, ma anche a quella dei nostri vicini.   Cosa che sta rendendo problematici i nostri rapporti con gli altri paesi europei.  Temporanee e parziali chiusure delle nostre frontiere sono già avvenute.  Se dovessero diventare definitive, il rischio di diventare un “cul di sacco” per una massa non valutabile di persone sarebbe molto elevato.

3 – Gli attuali livelli di pressione migratoria sono solo un blando assaggio di ciò che avverrà nei decenni venturi.   Con l’intera Africa e l’intero mondo islamico, dal Pakistan al Marocco, sull’orlo del collasso e forse di una grande guerra pan-islamica le prospettive sono nerissime.   Ciò che sta accadendo è solo l’inizio della deflagrazione della Bomba Demografica globale, qualcosa che non è mai accaduto prima nella storia dell’umanità e dalle conseguenze molto più tragiche di quanto non ci piaccia immaginare.   In altre parole, una vera invasione non è ancora in corso, ma è fra le prospettive possibili già nel giro di pochi anni.

4 – Il pericolo maggiore connesso con il proseguimento dell’attuale politica sull’immigrazione  è una crescita del livello di stress sociale che, prima o poi, finirà col portare partiti nazionalisti al governo di molti paesi UE.   Certo, non possiamo essere certi di cosa farebbero una volta al comando; la differenza fra ciò che si dichiara quando si è all’opposizione e ciò che si fa quando si è al governo è solitamente notevole.   Tuttavia è un’eventualità che potrebbe provocare la disintegrazione almeno parziale della delicata struttura comunitaria, lasciando parecchi paesi privi dei mezzi necessari per fronteggiare e gestire le crisi davvero gravi che sicuramente ci aspettano.    Per esempio, non penso proprio che l’Italia odierna avrebbe né la forza politica, né quella militare per trattare accordi convenienti con gli altri paesi.   Men che meno per controllare una frontiera come la nostra.

Proposte?

E’ molto rilassante essere un “signor Nessuno”, garantisce dal rischio che i propri eventuali errori vengano pagati da altri.   Forte di ciò, vorrei azzardare qualche suggerimento.

Il primo punto da mettere in conto ritengo sia recuperare un ragionevole controllo sulle frontiere interne ed esterne.  Che non significa sigillarle (non sarebbe nemmeno fattibile), bensì poter controllare l’ordine di grandezza dei flussi.   Una cosa vitale per qualunque paese che intenda continuare ad esistere, ma molto più facile da dire che da fare e, comunque, molto costosa.   Per questo, ritengo che solo un’effettiva collaborazione a livello europeo sarebbe una condizione necessaria , ancorché non sufficiente per riuscirci.   Ciò presuppone che tutti i paesi concordino e rispettino un ragionevole compromesso fra le loro diverse posizioni; una cosa che finora nessuno ha voluto fare.

Il secondo punto  è che non sono e non saranno un problema i rifugiati.   Sono troppo pochi, sono i più motivati ad integrarsi e sono anche la categoria che pone i maggiori obblighi etici, visto che respingerli significa esporli a rischi elevati, non di rado mortali.

Il terzo è che l’accoglienza dei migranti in cerca di lavoro dovrebbe essere commisurata alla possibilità di un loro inserimento lavorativo. Certamente ci sono ancora dei margini, ma esigui ed in contrazione, vista la generale contrazione del nostro sistema economico che tende ad espellere e non ad assorbire forza lavoro.

Potrebbero sembrare banalità, ed invece sono alcuni degli scogli su cui si stanno infrangendo molte delle nostre speranze per una transizione non troppo dolorosa verso il mondo che sarà.

 

Cittadini stranieri regolarmente residenti al 1º gennaio
Paese di cittadinanza 2005 Variazione
2005-2010
(%)
2010 Variazione
2010-2016
(%)
2016
 Romania 248 849 257 887 763 30 1 151 395
 Albania 316 659 47 466 684 0 467 687
 Marocco 294 945 46 431 529 1 437 485
 Cina 111 712 69 188 352 44 271 330
 Ucraina 93 441 86 174 129 33 230 728
 Filippine 82 625 50 123 584 34 165 900
 India 37 971 178 105 863 42 150 456
 Moldavia 54 288 95 105 600 35 142 266
 Bangladesh 35 785 107 73 965 61 118 790
 Egitto 52 865 55 82 064 34 109 871
 Perù 53 378 64 87 747 18 103 714
 Sri Lanka 45 572 65 75 343 36 102 316
 Pakistan 35 509 83 64 859 57 101 784
 Senegal 53 941 35 72 618 35 98 176
 Polonia 50 794 108 105 608 -7 97 986
 Tunisia 78 230 33 103 678 -8 95 645
 Ecuador 53 220 61 85 940 2 87 427
 Nigeria 31 647 54 48 674 59 77 264
 Macedonia 58 460 59 92 847 -21 73 512
 Bulgaria 15 374 199 46 026 26 58 001
Nota: le comunità sovraelencate sono quelle che superano i 50.000 residenti nel 2016 e complessivamente costituiscono oltre l’82% degli stranieri in Italia.

 

22/09/2016: Fertility day

Il 22 settembre 2016 si celebra in Italia il primo Fertility Day, su iniziativa del Ministero della Salute, in attuazione di un “Piano Nazionale per la Fertilità” (leggere per credere).
Un po’ in sordina, visto il coro di sberleffi che l’iniziativa ha suscitato, ma comunque si farà.

Al di la di tutto, una domanda sorge per me spontanea: perché?

Se fosse un fenomeno solo italiano, si potrebbe facilmente immaginare che si tratti dell’ennesimo marchettone alla Chiesa.   Probabilmente c’è anche un po’ di questo, ma non solo.   Analoghe, demenziali, iniziative sono infatti state prese anche da numerosi altri paesi con religioni dominanti diverse e perfino alcuni stati decisamente laici.   Fra gli altri, USA nel 2011, Gran Bretagna nel 2013, Danimarca nel 2014 e Singapore nel 2013 e nel 2016.   Consola che ovunque l’accoglienza del pubblico ha spaziato fra il freddo e l’adirato, passando per molta derisione.   Ma la questione rimane aperta: quali interessi muovono iniziative così anacronistiche in un mondo in cui l’esplosione demografica sta letteralmente divorando la Biosfera, devastando economie e società, mandando in frantumi gli equilibri geopolitici globali?

Senza voler qui “tirare la croce addosso” a nessuno, vediamo brevemente alcuni soggetti che probabilmente hanno a che fare con questo genere di iniziative.

Il clero.   Una delle cose che accomunano le principali fra le attuali religioni è il difficile rapporto con la sessualità, vista molto spesso come qualcosa di intrinsecamente peccaminoso.   Eppure inevitabile, dunque giustificabile in quanto passaggio necessario alla procreazione.   Il peso politico del clero (di tutte le confessioni) varia moltissimo da paese a paese, così come l’atteggiamento del clero stesso verso la sessualità e la riproduzione, ma in molti casi un’ingerenza c’è.  O perlomeno un retaggio culturale in tal senso.

fertility-day

Gli economisti.   Oggi costituiscono una specie di clero laico cui la politica si rivolge in cerca di guida e conforto.   Ovviamente, non tutti gli economisti credono nella crescita infinita, ma molti si.   Rifiutando per articolo di fede che dei limiti invalicabili alla crescita esistano e siano quella cosa contro cui ci stiamo sfracellando, passano il tempo a cercare di pensare come “rilanciare la crescita”: universale panacea.   Una delle trovate di moda è che la crescita demografica possa rilanciare l’economia.   In soldoni è semplice: più gente = più consumi = più PIL et voila, il gioco è fatto.    Solo che se per qualsiasi ragione non puoi aumentare i consumi globali in misura sufficiente, più gente significa invece più miseria.   Che è esattamente ciò che sta portando milioni di persone allo sbando, in giro per il mondo.   Ed esattamente quello che sta aumentando ogni tipo di inquinamento e distruzione del Pianeta.

Gli industriali.   Da molto tempo oramai le ricerche di mercato hanno dimostrato che la categoria di persone maggiormente inclini a spendere, anche a vanvera, sono le coppie con bambini piccoli.   Tombola!   Più bambini = più vendite = più crescita ecc.   Per fortuna, moltissime persone (specialmente donne) hanno capito che è una trappola ed altre se ne sta accorgendo.   Non per nulla i tassi di natalità stanno calando più o meno ovunque, ma c’è chi non si rassegna.

I banchieri.   Si fidano degli economisti ed hanno prestato soldi agli industriali.   Se le teorie non funzionano ed i consumi non crescono? Ahiahiahi…

I governi.   Ai tempi di “quando c’era Lui, caro Lei…”, i “figli alla patria” servivano per produrre carne da cannone per improbabili sogni di gloria.   Oggi, uno degli spettri che perseguitano i responsabili di governo è l’evidente impossibilità a continuare a pagare le pensioni.   Il sistema è infatti stato costruito sulla base del presupposto che le generazioni successive sarebbero sempre state mediamente più numerose e più ricche di quelle precedenti.   Circa 40 anni fa si sapeva benissimo che le cose sarebbero gradualmente cambiate, ma tutti hanno preferito ignorare il fatto ed oggi la gente paga per mantenere le pensioni di persone che, nell’insieme, hanno lavorato meno e guadagnato più di loro.   Chi pagherà per gli attuali contribuenti?   Oggi quello che i governi vogliono è carne da tassare, anziché carne da cannoneggiare.   Una bella differenza, certo, ma che col tempo rischia di sfumare.fertility day-fascista

I primatisti di qualunque genere.   In giro ci sono persone che si immaginano di stare combattendo una “guerra del ventre” contro qualcun altro.   Qualcuno lo dice anche chiaro e tondo.   Orbene, questa è una guerra molto particolare perché può solo essere perduta da tutti i contendenti ed anche da chi non la fa.   Dal momento che, indipendentemente dal colore dei capelli e dalla lingua che si parla, abbiamo sostanzialmente le stesse necessità, gli stessi desideri e le stesse paure, aggiungere bocche ad una tavola dove le vivande diminuiscono ed i rifiuti aumentano non è foriero di niente di buono per nessuno.   Un tragico esperimento a macro-scala è del resto in corso da decenni fra Israeliani e Palestinesi.    Ovviamente non tutti partecipano personalmente, ma nel complesso c’è effettivamente una corsa all’incremento demografico da entrambe le parti.   Il risultato è sotto gli occhi di tutti e non dovrebbe richiedere commenti.

E dunque?

E dunque personalmente penso che per una volta la maggior parte della popolazione abbia avuto esattamente la reazione che ci voleva: pernacchie.   Sperando che al ministero non insistano.   Il dramma è che in queste fesserie spendono dei soldi che potrebbero servire da un’altra parte (qualunque altra a questo punto).

3-fertilityday

Sistemi a sorpresa

dinamica dei sistemiLa dinamica dei sistemi è una branca scientifica fra le più moderne ed affascinanti. Studia come la materia e l’informazione reagiscono ai flussi di energia.
In pratica, qualunque cosa che faccia qualunque cosa può essere considerato un “sistema”.   Già ponendo una pentola di acqua sul fuoco si creano fenomeni molto interessanti (v. Roddier).
Tuttavia, i sistemi più affascinanti sono quelli “complessi”.    Cioè quelli che hanno una struttura complicata, così da sfidare il nostro comprendonio. Sono particolarmente affascinanti perché finiscono sempre col sorprendere chi li studia, anche quando sono i più esperti fra gli scienziati. Facciamo due esempi per “fare a capirsi”.

La bomba demografica.

http://ugobardi.blogspot.fr/2016/06/la-bomba-demografica-scoppia-o-non.html
Milioni di affamati nel mondo.

Negli anni ’60 gli studiosi del settore erano in ambascia per la prevedibile carestia globale che avrebbe spazzato via decine o centinaia di milioni di persone nel giro di una ventina di anni.   In realtà successe il contrario.   Le ultime grandi carestie (ad oggi) sono state proprio quelle degli anni ’60.   A partire dai primi anni ’70 il numero e la percentuale di gente affamata è andata diminuendo fino ad un minino storico alla metà degli anni ’90.   Poi ha ricominciato a salire, ma di ecatombe per fame fortunatamente non se ne sono viste.

L’analisi era sbagliata?   No, era giusta, ma incompleta.
In questo caso, erano state sottostimate sia la capacità produttiva (temporanea) dell’industrializzazione dell’agricoltura e la globalizzazione, impensabile fino agli anni ’90.  Il risultato è stato che la bomba è esplosa 30 anni dopo il previsto e (per il momento) anziché produrre centinaia di milioni di morti ha prodotto centinaia di milioni di fuggiaschi (65 milioni di profughi secondo l’ONU, più un numero imprecisabile, ma maggiore, di migranti).   Una massa che sta cambiando gli equilibri geopolitici planetari e siamo solo all’inizio.
Naturalmente qualcuno obbietterà che i profughi fuggono dalla guerra o dalle persecuzioni, dalla siccità e quant’altro, non dalla sovrappopolazione. Ed è proprio questo il punto: i sistemi complessi non rispondono a banali logiche di causa-effetto, bensì a intricate reti di retrazioni, forzanti ed adattamenti. La popolazione è sempre una delle forzanti principali, ma mai l’unica.
Possiamo prevedere che nei prossimi dieci anni accadranno cose che ora riteniamo impossibili, ma non possiamo sapere quali perché il sistema è troppo complesso per essere prevedibile. Possiamo solo sapere che la crisi si aggraverà, ma con modi e tempi diversi da zona a zona. Così come diverse saranno le reazioni delle persone e delle istituzioni.

Il picco del petrolio.
Più volte annunciato e negato, il picco del petrolio convenzionale è arrivato puntualmente intorno al 2005, ma gli effetti sono stato molto diversi da quelli attesi. Invece di un decollo dei prezzi abbiamo avuto un picco brevissimo, seguito da un lungo plateau e quindi un vero crollo del prezzo, tanto che il petrolio è tornato a fare aggio sul carbone ed i depositi mondiali rigurgitano “oro nero”.

I seguaci di Hubbert si erano sbagliati? No, anche in questo caso l’analisi era corretta, ma altri fattori hanno interferito con l’industria petrolifera, creando un effetto a sorpresa. Nella fattispecie, erano stati sottovalutati sia il potenziale estrattivo dei “petroli non convenzionali”, sia la severità e la durata della crisi economica globale. Una crisi, si badi bene, in buona parte dipendente proprio dalla bassa energia netta dei petroli non convenzionali, oltre che dalla sovrappopolazione. Ma anche da molti altri fattori, come la finanziarizzazione dell’economia, l’esplosione del debito, il riscaldamento globale, l’agonia degli oceani e molto altro. Tutti a loro volta che interagiscono fra loro.

E dunque?
Semplicemente il mondo è molto, molto più complesso dei nostri cervelli, sia pure coadiuvati dai loro prodotti tecnologici. Si dirà che un solo cervello umano ha più sinapsi che stelle il cielo, ma i nostri sistemi nervosi non sono che una parte del Pianeta ed una parte è necessariamente meno del tutto. Potremmo scoprire ancora moltissime cose; potremo capire quali sono le tendenze evolutive dei sottosistemi che studiamo, ma non potremo mai capire tutte le interrelazioni che li legano al resto del Mondo. Insomma possiamo delineare scenari più o meno probabili, ma mai prevedere esattamente qual che accadrà.

La Realtà ci coglierà sempre di sorpresa.

La bomba demografica, che fine ha fatto?

bomba demografica
“Beh, a quanto pare è arrivata” “Si, ma non scoppia”

La Bomba Demografica, prima di essere un modo di dire, fu il titolo di un best-seller dell’ambientalismo prima maniera.    Uscito nel 1968, cominciava con questa frase: “La battaglia per nutrire l’intera umanità è persa.   Durante gli anni ’70 centinaia di milioni di persone moriranno di fame, qualunque drastico programma venga messo in atto adesso”.    E continuava sullo stesso tono.
Fra l’altro, ispirò un famosissimo film di fantascienza: “Soylent Green”, uscito in Italia col titolo “2022: i sopravvissuti”

Il film era bello, ma il pronostico sbagliato.   Gli anni ‘70 segnarono anzi la fine delle grandi carestie post-belliche che avevano ucciso non centinaia, ma decine di milioni di persone.    Di carestie ce ne furono anche dopo, beninteso, ma assai meno gravi e dovute assai più a questioni politiche ed economiche che ad un’insufficiente produzione agricola mondiale.
Ma Paul Ehrlich, autore del libro, continuò a gufare e nel 1980 si scontrò con Julian L. Simon.   Un economista che diceva cose tipo: “Le condizioni di vita umane miglioreranno sempre in tutti campi materiali.   Qualunque sia il tasso di crescita della popolazione,

Paul Ehrlich
Paul Ehrlich

storicamente, la disponibilità di cibo è cresciuta alla stessa velocità, se non di più”.

Ehrlich scommise che fra il 1980 ed il 1990 il prezzo di cromo, rame, nickel, stagno e tungsteno sarebbe aumentato in conseguenza della crescita demografica e, quindi, dei consumi.
Perse.    Malgrado l’aumento di quasi 1 miliardo di persone in un solo decennio,  il tasso di crescita produttiva fu ancora superiore ed il prezzo delle materie prime (e del cibo) diminuì.    Simon vinse la scommessa.

Grande festa e definitiva archiviazione della questione “sovrappopolazione” che, nel frattempo, era diventata molto “politicamente scorretta”.   Gli ambientalisti ripiegarono sulla trincea “Il problema sono i consumi e non le persone” e lo spettro del reverendo Malthus fu per l’ennesima volta esorcizzato.

Ma ci sono spettri che hanno la capacità di risaltare fuori ogni volta che si pensa di essersene sbarazzati.

Del resto, nel 1798 il reverendo aveva osservato alcuni semplici dati di fatto.
Il primo era che i poveri avevano l’abitudine di fare più figli di quelli che potevano mantenere.  Ne dedusse che, se non si riusciva ad insegnare alla gente a controllare la propria riproduzione, non sarebbe stato possibile sconfiggere la povertà.
Il secondo era che la disponibilità di cibo cresceva più lentamente della popolazione.   Ciò creava una situazione da cui si poteva uscire in solo due modi: o una carestia, o un’emigrazione di massa che avrebbe spazzato via i “selvaggi delle Americhe”.
Entrambe le cose accaddero puntualmente e di più ancora.   Infatti, la strabordante popolazione europea sommerse non solo gli amerindi, ma travolse anche gli australiani e parecchi popoli dell’Asia centrale, come i Circassi.

Fra un bagno di sangue ed uno di folla, comunque la crisi globale su superata.   Nel senso che dopo ci furono un sacco di carestie gravissime, ma nessuna tale da avere conseguenze globali.
Del resto, da sempre la carestie locali hanno rappresentato uno dei metodi più efficaci per superare le crisi di sovrappopolazione.    A ben vedere, il fatto che gli europei, invece di crepare a casa propria, abbiano invaso il modo è una parziale anomalia, legata al fatto che hanno avuto i mezzi tecnici per farlo (navi a vapore e armi da fuoco moderne).    Prima di noi lo avevano già fatto altri, ad esempio gli Unni, a più riprese.   Del resto, anche le migrazioni da massa attuali si verificano perché i paesi-obbiettivo o lo consentono (almeno in parte), o non hanno i mezzi per impedirlo.

Comunque sia, negli anni ’60 il problema si ripropose e stavolta non c’erano continenti vuoti o vuotabili in cui sfogare il surplus di gente.   Ehrlich e molti altri ne conclusero che una morìa generale era inevitabile.
Dove hanno sbagliato?   Semplice: avevano sottovalutato le potenzialità del petrolio.   La “Rivoluzione Verde” consistette infatti nella capillare diffusione di una serie di tecnologie che, in termini energetici, misero gli umani in grado di mangiare petrolio e secondariamente metano.   Brutto?   Si, ma certamente meno che morire di fame.

bomba demografica e rivoluzione verde
Incremento del tasso di crescita demografica a seguito della Rivoluzione Verde.

Il guaio fu che, non solo accadde esattamente il contrario di quello che aveva detto Ehrlich.   Accadde anche esattamente quello che aveva previsto Norman Borlaug  che era stato esplicito.

La rivoluzione verde, aveva detto, regalava all’umanità il tempo di una generazione.   Se questo tempo non fosse stato impiegato per stabilizzare la popolazione, sarebbe stato un disastro senza precedenti.    Ed il tasso di crescita demografica aumentò vertiginosamente, per arrivare probabilmente al picco proprio in questi anni.

Dunque eccoci di nuovo a fare i conti con il fastidioso fantasma del reverendo.
Per ora non sta mancando cibo a livello globale.   Anche se il numero di persone denutrite sta aumentando rapidamente, è vero che se ci fossero meno sprechi ed un più efficiente sistema di distribuzione, oltre che meno guerre e disparità, da mangiare per tutti ce ne sarebbe.   Ed è anche vero che il tasso di natalità sta declinando dappertutto, lasciando intravedere la possibilità di una stabilizzazione spontanea fra i 9 e i 10 miliardi di persone, verso la metà di questo secolo.
Ma allora perché preoccuparsi?
Per una semplicissima ragione:   la popolazione attuale supera già la capacità di carico del pianeta PERLOMENO del 50%, probabilmente molto di più.
Ne è una prova definitiva il fatto che stiamo assistendo ad un’accelerazione vertiginosa di tutti i processi di degrado dell’ecosistema globale.  Che vuole anche dire: processi di riduzione della capacità di carico.
Per essere chiari, per vivere stiamo distruggendo molto rapidamente non solo i fondamentali di qualunque possibile economia, ma anche i presupposti per l’esistenza di una vita biologica sulla Terra.    Chiaro il concetto?

Per di più, il nostro alimento principale, il petrolio, comincia ad avere dei costi energetici rapidamente crescenti.   Cioè ci vuole sempre più petrolio per estrarre e raffinare il petrolio.   Il rischio che cominci a scarseggiare di qui a poco è quindi concreto.

Allora la bomba demografica scoppia?

Dipende.   Molto, molto indicativamente direi che sono possibili tre scenari-base.

Scenario 1 – Le tendenze attuali in termini di crescita della produttività, crescita demografica e distruzione della Biosfera rimangono sostanzialmente inalterate.    I 4 cavalieri non ce li toglie di dosso nessuno.   Non sappiamo quando e come, ma arrivano di sicuro.

Scenario 2 – Si trova il sistema di aumentare vertiginosamente la produttività agricola e industriale, pur riducendo drasticamente tutte le forme di inquinamento e, contemporaneamente, si stabilizza la popolazione umana.   Insomma quello che avremmo dovuto fare 50 anni fa.   Molti dicono che è possibile, ma io sono scettico.   Nessuna delle tante tecnologie attualmente in concorso per il salvifico ruolo ha le potenzialità produttive che aveva a suo tempo il petrolio.   Non in tempi così brevi, perlomeno.   Inoltre rimarrebbero aperte le questioni demografiche e della distruzione della Biosfera che nessuno ci sta spiegando come si pensa di sistemare.

Scenario 3 – Tutte le risorse disponibili vengono investite nella conservazione/recupero delle tre “conditio sine qua non” per l’esistenza di una qualunque civiltà: Fertilità, Acqua e Biodiversità.   Si lascia che il tasso di mortalità aumenti in modo non drammatico e, nel frattempo, si spinge il rallentamento della natalità in quelle zone dove è ancora molto alta.   Con molta fortuna, prima della metà del secolo la popolazione mondiale potrebbe cominciare a declinare in maniera abbastanza rapida, ma quieta.   Senza catastrofi apocalittiche.    Se nel frattempo fossimo riusciti a conservare una quota sufficiente di biosfera, gli ecosistemi potrebbero lentamente recuperare, almeno in parte, tendendo ad un qualche tipo di parziale equilibrio.    Questo significherebbe la possibilità per i nostri discendenti di costruire nuove civiltà.    Senza petrolio è possibile, senza acqua, terra e biodiversità invece no.

Si tratta di una possibilità piuttosto remota, ma a mio giudizio già molto più probabile dello scenario 2, anche se molto meno seducente.

Comunque, secondo voi, a quale di questi tre scenari stanno lavorando i governi e quasi tutte le istituzioni del mondo?