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Elezioni e democrazia sono sinonimi?


democraziaItaliaPer consolidata abitudine mentale, consideriamo che la democrazia consista nell’esercizio del voto, ma sempre meno gente va a votare e praticamente più nessuno si sente rappresentato da chi viene eletto.  Men che meno gli eletti si fidano di coloro che rappresentano.    Evidentemente qualcosa è andato molto storto e vorrei affrontare il tema in una prospettiva storica, sia pure in versione telegrafica per restare nei limiti di un post.

Un po’ di storia.

Di solito, si cita la Repubblica di Atene come diretto antenato delle democrazie moderne.  Non credo che sia corretto.   Organi di governo risalgono infatti al nostro passato paleolitico e probabilmente anche a quello pre-umano.   Tutti i mammiferi sociali hanno gerarchie precise ed i capi-branco sono quelli che mangiano per primi, scelgono il posto dove dormire, si accoppiano con i partner migliori; in molti casi sono gli unici che si riproducono.   Sono quindi quelli che lasciano la maggiore discendenza, ma non sono quelli che vivono più a lungo perché più di tutti si espongono al pericolo ed alla fatica quando il bisogno stringe ed il nemico incalza.   In pratica, i capi sono quasi sempre figli di capi, ma il loro ruolo deve essere costantemente accettato dagli altri, altrimenti si cambia.   Si chiama “legittimità”.

Nelle piccole bande di cacciatori-raccoglitori il capo è (o meglio era) un uomo giovane e robusto, ma anche stimato per la sua intelligenza e la sua capacità di parlare in pubblico.   Ed è qui che nasce la politica: il capo deve essere uno bravo in battaglia e nella caccia, ma anche saggio e capace di relazionarsi con gli altri.   Società più numerose e hanno richiesto strutture sociali più complesse ed elaborati sistemi di selezione delle gerarchie, ma con la stessa costante che troviamo nei lupi:la legittimità.   Il che significa che delle persone si riconoscono il dovere di ubbidire ad altri, mentre questi si riconoscono la responsabilità dei gregari.   I criteri per stabilire la legittimità possono cambiare molto, ma comunque se cessano di funzionare la società si disintegra.

atene-assembleaPer tornare ala repubblica ateniese, gli ingredienti con cui confezionare la dirigenza erano sostanzialmente 4: ereditarietà, partecipazione, sorteggio e voto.   Coloro che avevano i diritti politici erano solo i discendenti diretti di cittadini ateniesi residenti in città, maschi adulti liberi, proprietari di immobili, in regola con le tasse e che avessero completato l’addestramento militare.    In pratica circa il 10% della popolazione.

Costoro si conoscevano almeno di vista e passavano parecchio tempo a discutere fra di loro e non solo dei giochi olimpici.   Dunque era gente che partecipava quotidianamente alla vita politica della città, con un controllo sociale incrociato molto stretto e soggetta ad una fiera e frequente selezione.   Erano infatti loro a costituire la prima linea di battaglia nelle guerre che decidevano di fare.   Come erano loro che pagavano per intero le tasse che decidevano di imporre.

Tutti insieme costituivano l’Ekklesia, vale a dire l’assemblea che aveva sostanzialmente la funzione di votare le leggi proposte da altri cittadini, eleggere i comandanti militari ed un centinaio di funzionari, votare le dichiarazioni di guerra ed i trattati internazionali.   In questo gioco, evidentemente, contavano moltissimo il prestigio personale e familiare, la ricchezza e la capacità oratoria.   Si formavano quindi dei “partiti” che non si riferivano a differenti ideologie, bensì alle famiglie principali.   Proprio per limitare questo fenomeno, quasi tutti i magistrati ed i funzionari (circa un migliaio) erano designati per sorteggio e turnati rapidamente.
Su questo elemento vorrei attirare l’attenzione perché forse fu proprio l’invenzione chiave del funzionamento delle repubbliche urbane della Grecia classica e di moltissime altre forme di governo nella storia europea.

re medievaleFacciamo un salto di un migliaio di anni diamo un occhiata molto superficiale al funzionamento delle istituzioni feudali.   Non propriamente un esempio di democrazia, eppure vi troviamo gli stessi ingredienti visti ad Atene, sia pure confezionati in diverso modo.

Tanto per cominciare, il monarca veniva eletto dall’assemblea dei nobili e dei vescovi, la quale poteva anche, in casi estremi, revocare la designazione.   Di solito il nuovo re era uno dei figli del precedente monarca, ma non necessariamente e, comunque, neppure l’Imperatore poteva diventare tale se non veniva designato da un parlamento cui doveva poi rendere conto delle decisioni principali, specialmente in materia di tasse, politica estera e guerra.   In epoca merovingia i nobili laici erano nominati dal re, mentre i vescovi erano eletti dalle assemblee cittadine (tutti gli adulti: uomini e donne).   Vi furono anche parecchi vescovi figli di vescovi.   Successivamente e gradualmente, i feudi divennero prevalentemente ereditari, mentre la nomina dei vescovi passò al papato e/o a re ed imperatori.

Un aspetto importante è che la guerra era un affare esclusivo per coloro che decidevano in proposito, il che ne limitava efficacemente il numero.   Viceversa, sugli affari quotidiani della gente comune la chiave di volta del sistema era il “costume”.   Vale a dire la tradizione, così come ricordata dagli anziani e dai “prudent’uomini” che erano dei notabili, ma mai dei nobili.   Perlopiù contadini ed artigiani particolarmente stimati.   Qualunque questione rilevante si discuteva in un tribunale che in città era presieduto da un funzionario del re o del vescovo, mentre in campagna dal signorotto locale.   Ma la decisione era presa da una giuria di persone scelte per sorteggio.

Dunque un sistema in cui la politica è appannaggio esclusivo di una classe che perlopiù gode di un diritto ereditario e vi partecipa attivamente come già i cittadini ateniesi, ma percentualmente meno numerosa.   Viceversa, l’amministrazione quotidiana era largamente sotto controllo di una tradizione in costante evoluzione, ma vincolante anche per le massime autorità.

Non tutti gli stati medievali erano monarchie.    Vi furono anche diverse repubbliche, due delle quali, Andorra e S. Marino, esistono ancora.   Defunta, ma molto più importante fu la Repubblica di Venezia.    Anche questa retta su di una complicata combinazione di partecipazione, ereditarietà, elezioni e sorteggio.    Aveva una sua logica e, infatti, funzionò bene molto a lungo.   L’ereditarietà aveva la funzione di fornire persone preparate e conosciute, non ricattabili in quanto non potevano essere private del loro privilegi.   La partecipazione di un numero consistente di persone garantiva la più ampia visione possibile dei problemi.   L’elezione consentiva di selezionare le persone più stimate per i differenti ruoli.   Il sorteggio serviva, come sempre, a spezzare gli incuici, le camarille e le “lobby” che, allora come oggi, costantemente insidiavano il buon funzionamento degli organismi statali.

Nascita della democrazia moderna.

Con un altro salto giungiamo nel XVIII secolo.   La Serenissima esiste ancora, ma profittando dell’utopia illuminista del “dispotismo illuminato” gli stati principali sono diventati delle monarchie assolute.   Con la parziale eccezione dell’Inghilterra che più degli altri aveva conservato la tradizione medioevale.   Eppure proprio in Inghilterra scoppiò la prima e più importante rivoluzione della storia moderna: la Rivoluzione Americana.   Una pietra miliare non solo perché ne nacque lo stato più potente della storia (per ora), ma anche perché ne nacque l’identificazione fra democrazia ed elezioni che oggi diamo per scontata.   Dei quattro ingredienti base degli ordinamenti precedenti: partecipazione, ereditarietà, elezione e sorteggio, la costituzione americana ne conservò uno solo: l’elezione.  Il sorteggio rimase, ma solo per le giurie dei tribunali e con un ruolo molto ridotto rispetto al passato.  Tutte le cariche pubbliche, a partire dallo sceriffo, furono assegnate per elezione, tranne quelle che divennero appannaggio del governo, a sua volta nominato mediante votazione.

Una scelta fatta sostanzialmente per due ragioni.  La prima furono le distanze enormi e le difficoltà di comunicazione.   Gli ordinamenti europei erano relativi a comunità in cui le persone si conoscevano almeno di vista e, comunque, potevano comunicare fra loro.   Una cosa che in America era molto difficile, al netto di alcune città principali.  La seconda fu che i padri fondatori non avevano nessuna fiducia nella capacità di autogoverno delle plebe raccogliticcia che stava popolando il continente.   Ancor meno quando gli ordinamenti attuali presero forma definitiva, mentre masse crescenti di avventurieri e disgraziati sbarcavano a migliaia e dilagavano sul continente.   Un sistema esclusivamente elettorale, si pensò, avrebbe necessariamente favorito le poche persone capaci di raggiungere una certa notorietà in ambiti sufficientemente vasti.  Quindi persone presumibilmente capaci e motivate, sostenute da famiglie importanti o da gruppi consistenti di cittadini.

Fu proprio in questo periodo che il Visconte Alexis de Tocqueville visitò gli Stati Uniti per studiare questo strano fenomeno politico.   Il suo rapporto (La democrazia in America) è del massimo interesse perché, già allora, l’acume del francese aveva individuato il pericolo che, disse, avrebbe potuto portare al disastro un sistema siffatto.   Tocqueville lo chiamò “la dittatura della maggioranza”.   In un sistema esclusivamente elettivo, disse, il rischio maggiore era rappresentato dal fatto che si potesse catalizzare un blocco di opinione pubblica abbastanza coeso ed esteso da marginalizzare qualunque opposizione.    In una tale situazione, le libertà civili sarebbero venute meno e il rischio di decisioni dissennate alto.   Un pericolo che avrebbe dovuto essere contrastato dalla libertà di stampa, ma il nostro era abbastanza smaliziato da aver capito che l’alfabetizzazione di massa e la diffusione dei giornali potevano anche essere usati per costruire una tale dittatura.   Molto di più egli contava quindi sul più antico dei quattro elementi base: la partecipazione.  Cioè, ai suoi tempi, sulla rete ufficiosa di comitati locali ed associazioni mediante cui i cittadini si auto-organizzavano per far fronte alle difficoltà.    Questo tessuto non istituzionale, sosteneva, aveva infatti il compito di mantenere viva la coscienza collettiva ed alta la guardia contro le derive autoritarie ad ogni livello.

Circa un secolo più tardi la repubblica americana servì da esempio per la democratizzazione degli stati europei, con risultati finora tutto sommato positivi.  In effetti, è un fatto che le democrazie hanno assicurato ai loro cittadini una vita migliore e maggiori livelli di libertà rispetto agli altri paesi.   E, nel frattempo, hanno vinto sia contro le dittature di matrice nazi-fasciste, sia contro le oligarchie comuniste.   Ma  quando si è trattato di affrontare pericoli provenienti dalla propria struttura sociale ed economica , questi sistemi si sono dimostrati del tutto incapaci sia di prevenire, sia di reagire al pericolo.

Con una classe dirigente composta da professionisti dell’intrallazzo e della propaganda; ed una popolazione atomizzata in individui che lottano disperatamente per sé stessi, sognando un impossibile ritorno della prosperità,  non ci sono segni di luce in fondo al tunnel.

La dittatura della maggioranza alla fine si è verificata ed è quella che ha deciso che la crescita economica e demografica erano la strada maestra da seguire.   Adesso è facile scagliarsi contro l’esigua minoranza di coloro che, più spregiudicati e fortunati, continuano ad arricchirsi a scapito di tutti gli altri; ma la decisione di seguire questa strada è stata condivisa da tutti: ricchi e poveri, nord e sud.   Molto democraticamente.

La conseguenza di questo fiasco storico sono oggi le derive autoritarie e lo spionaggio di massa che ovunque stanno svuotando di significato gli ordinamenti democratici.   Se la storia davvero ci può insegnare qualcosa, abbiamo due strumenti per cercare di contrastare il fenomeno: sviluppare la democrazia di base e ripristinare il sorteggio per l’assegnazione di molti ruoli.

Purtroppo, il tentativo di reintrodurre elementi di democrazia diretta si scontra con la capacità dei poteri elettivi e delle lobby economiche di manipolare e/o vanificare questi processi.
Il sorteggio non viene neppure preso in considerazione, mentre potrebbe essere proprio il grimaldello per spezzare i meccanismi perversi e ridare senso anche alle elezioni.    L’ereditarietà oggi suona anacronistica perché era basata su di una tradizione completamente perduta, ma nomine a vita di persone particolarmente capaci, lungi dall’essere poco democratiche, potrebbero mettere in circolazione persone non ricattabili e non interessate al prossimo turno elettorale.

Democrazia-vignettaOvviamente, non esiste nessuna garanzia che una riforma radicale degli ordinamenti funzionerebbe.   Tanto più che dovrebbe essere fatta dalle stesse persone ed organizzazioni che sarebbe necessario scaricare.  Dunque non accadrà.   Ma intanto ci sono gruppi di persone che cercano di organizzarsi fra di loro.  A costoro vorrei semplicemente ricordare che, da quando esistono e finché sono esistite, le forme di governo non autocratiche sono stata basate su diverse combinazioni di quattro ingredienti: partecipazione, ereditarietà, votazione e sorteggio.  Era così nel paleolitico e credo che sarà così anche in futuro.