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Grugniti in libertà di un cacciatore raccoglitore del XXI secolo

Superbonus 2.0: una proposta operativa 2/2 Facciamo sul serio.

Un progetto in corso di approvazione per una casaclima “attiva”, sulle colline di firenze

Riprendo dal post precedente.

Dicevamo degli effetti, comunque positivi del Superbonus con costi REALI per lo Stato quasi nulli o addirittura on un utile netto per lo Stato…

Ma è la migliore misura possibile? Beh… ovviamente no.

Intanto perché a causa dell’enorme complessità raggiunta, una buona percentuale dei costi vanno in parcelle professionali per le asseverazioni, certificazioni, vidimazioni varie, che zavorrano di oneri quasi intollerabili committenti, progettisti, direttori lavori.

Poi perché l’aver compresso i tempi della misura ha comportato una corsa, un vero e proprio assalto alla diligenza.

Infine perché le modalità di cessione del credito hanno comportato notevoli limiti, ormai prossimi ad essere raggiunti, nella capacità di accettare ulteriori crediti ceduti da parte delle banche e delle altre istituzioni finanziarie.

In sostanza solo lo 0.5% delle abitazioni, pare, verrà interessato da lavori riferibili al sismabonus o al superbonus.

Una frazione trascurabile!!

Oltretutto tipicamente abitata da cittadini mediamente piu’ acculturati e benestanti della media, per i motivi poc’anzi indicati.

Urge quindi una proposta che riprenda in mano gli interessi ambientali e strategici rispettivamente del pianeta e del sistema paese.

L’Italia è infatti fortemente dipendente dall’estero per l’approvvigionamento energetico e lo sarà ancora per lungo tempo anche attuando una politica di transizione all’energia rinnovabile la più possibile aggressiva.

Quindi appare vitale intervenire rapidamente ed efficacemente sul fronte della riqualificazione e rigenerazione edilizia, ma con norme che siano agili, facilmente comprensibili ed affrontabili da parte dei cittadini.

Partiamo da una evidenza: né all’ambiente né al paese importa, da un punto di vista funzionale, COME si arrivi a consumare meno energia da fonti fossili ed a conseguire un dato risultato in termini di emissioni di CO2: importa che il risultato sia reale, verificabile in modo semplice, duraturo nel tempo.

Ecco quindi che appare opportuno concepire un nuovo SUPERECOBONUS 2.0 a partire proprio dai kg di CO2 per anno, dal metano consumato, verificabili direttamente a partire dai consumi ex ante ed ex post intervento.

Ovviamente questo è possibile anche quando si risparmia energia elettrica ( Basandosi sul mix energetico medio di produzione della stessa) o quando si passa dal metano all’elettricità. In tutti questi casi il cittadino si impegna a limitare i suoi consumi ed a mantenerli al di sotto di quanto dichiarato, per un periodo che dovrebbe andare da cinque a venti anni e ne riceve un credito fiscale in proporzione al taglio delle emissioni ottenuto.

Interessa il risultato, che andrà mantenuto e confermato anno dopo anno, non come ci si arriva.

Appare infatti piuttosto illogico l’enorme proliferare di certificazioni, asseverazioni, verifiche, etc del meccanismo attuale.

Perchè l’ente controllante, Agenzia delle entrate, potrà solo verificare l’esistenza di tutte le certificazioni richieste e della reale esecuzione dei lavori ma non già l’effettivo miglioramento ottenuto che dipende non tanto e non solo dai materiali utilizzati e lavori fatti, ma dalle modalità con cui vengono realizzati gli interventi.

Il Super Ecobonus 2.0 intende semplificare fortissimamente l’approccio e ribaltarlo: valutato il costo, in termini monetari per il sistema paese, di un kg di CO2 emesso, o di un metro di cubo di gas consumato, si intende retrovertire questo costo al cittadino che si impegni a ridurre i suoi consumi residenziali, in maniera verificabile, per un periodo da determinare ma che potrebbe essere da ventennale a decennale. Sotto forma di sgravi fiscali cedibili senza limite.

Niente complicazioni e certificazioni. Semplicemente un controllo costante e mensile sul 100% dei richiedenti.

Come?

Nel modo più elementare, sulla base delle bollette luce e gas.

Infatti chi accede al Superbonus 2.0 accetterà di entrare in un regime sorvegliato: i suoi consumi dovranno essere congruenti con la riduzione dichiarata, a pena di cessazione immediata del beneficio.

Fine dei furbetti e fine delle false certificazioni etc etc.

Il controllo sarà certo ed immediato ma verrà data piena libertà all’animal instict del singolo.

Se, per paradosso qualcuno riterrà di ottenere i contributi a fronte di una semplice rinuncia alla climatizzazione della casa, anche questo sarà accettabile.

Come scritto al pianeta ed anche al sistema paese interessa poco come si arrivi a conseguire il risultato di ridurre emissioni e consumi di energia da fonti fossili: basta che lo si faccia DAVVERO.

Ma QUANTO varrebbe, ipoteticamente un contributo del Superbonus 2.0?

Innanzitutto sarebbe opportuno riconoscere un bonus pari al costo di mercato pagato dall?Italia attualizzato sulla media degli ultimi 5 anni ( per esempio) per ogni metro cubo di metano risparmiato rispetto alla analoga media sugli ultimi cinque anni, delle bollette.

A titolo di esempio , passando dalla classe G alla classe C un appartamento di 100 metri quadri risparmia circa 1000 Metri cubi di metano all”anno.

Se il prezzo medio del metano sul mercato europeo negli ultimi cinque anni è, per dire di 38 euro/MWh, ovvero circa 40 centesimi a Metro cubo, verrà riconosciuto 400 euro/anno per dieci o venti anni.

Inoltre verrà riconosciuto un bonus pari al costo economico di ogni Kg di CO2 risparmiato.

Qui il conto è più difficile:

A parte che esiste un costo ambientale anche per il metano casalingo ( vi sono perdite, per quanto piccole cfr https://www.nature.com/articles/s41586-021-03386-6#:~:text=The%20social%20cost%20of%20methane%20(SC-CH4)%20measures,policies1%2C2%2C3.)

anche sul costo economico del danno ambientale causato da ogni kg di CO2 emesso si varia ampiamente.

Un interessante doc, un poco datato, 2015, definisce il valor minimo.

Pone il costo ambientale sopra a 37 dollari a tonnellata ( e vorrei vedere!!) il valore deciso dal governo USA… sotto Trump. https://www.edf.org/sites/default/files/expertconsensusreport.pdf

I valori riportati dall’IPCC sono MOLTO più alti ed oscillano selvaggiamente da 200 a 2000 $ a tonnellata cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/Social_cost_of_carbon

Se rimaniamo al risparmio di 1000 MC CH4 citato prima, come esempio tipico, Questi si traducono in circa 2 tonnellate di CO2 risparmiate.

Io sarei per considerare un valore alto, diciamo 1000 euro/tonnellata. Quindi circa 2000 euro/anno.

Ricordiamoci però, l’abbiamo visto, che ristrutturare grazie al bonus NON è un costo ma un beneficio, Keynesiano, per il sistema paese.

Ed anche questo deve essere retrovertito in qualche misura.

Anche se non è facile calcolarlo, io sarei per valutarlo come una proporzione almeno equivalente.

Secondo un coefficiente moltiplicativo su base keynesiana.

Ad esempio partendo da un moltiplicatore 3.5 Keynesiano si potrebbe ritenere congruo un coefficiente 2 da applicare agli sgravi.

Quindi il beneficio riconosciuto sarebbe di 2*(400+2000)= 4800 euro/anno, una cifra ottenibile in solido, per venti anni verrebbero 96mila euro/anno, esattamente come l’attuale superbonus, ma decurtata ad esempio del 20%, oppure a copertura di un mutuo con rata annuale di pari importo, 96mila euro, erogato da cassa depositi e prestiti.

In caso di scostamento dai valori attesi dei consumi partirebbe un richiamo, in caso di un secondo scostamento verrebbe sospeso il mutuo. Che verrebbe ripreso solo a seguito di una verifica da parte di un perito… etc etc.

La novità rispetto alla situazione precedente?

-Che si parte dai risultati OTTENUTI per riconoscere il bonus. Le dichiarazioni fallaci, o tout court false, i lavori mal eseguiti etc, si riflettono direttamente ed immediatamente sul bonus riconosciuto.

L’Agenzia delle entrate si era presa come impegno di controllare almeno il 2% delle pratiche di Superbonus, limitandosi tuttavia alla presenza di tutta la documentazione e quindi non entrando nel merito dei lavori concretamente eseguiti. Questa piccola rivoluzione copernicana offre invece la certezza del controllo e la certezza del parametro da considerare.

-Che si può pianificare un miglioramento incrementale e non rigido.

-Che niente vieta di migliorare la situazione gradualmente, che si evitano complicate asseverazioni che peraltro non garantiscono il risultato e ci si basa invece proprio sul risultato, non importa come raggiunto ( entro ampi limiti: non sarà permesso ovviamente bruciare pellet in città etc etc).

-Che non si stabiliscono barriere, blocchi, balzelli, certificazioni, asseverazioni, decine di adempimenti tecnici e burocratici che finiscono per drenare una buona percentuale delle risorse messe a disposizione, senza far risparmiare nemmeno un kg di CO2.

Si responsabilizza il cittadino: In cambio di un vantaggio economico importante, lo si vincola ad un comportamento responsabile, in cui risponde per il cattivo uso delle risorse.

Essendo il controllo immediato, totale e NON a campione, ma sul 100% delle richieste, resta poco spazio per i furbetti. (7)

riferimenti:

(1) https://www.boeckler.de/pdf/v_2021_29_10_deleidi.pdf

(2) https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2021-0613/QEF_613_21.pdf?language_id=1?pk_campaign=Newsletter-62

(3) https://www.corteconti.it/Download?id=2e9c3f2b-123e-4ad9-bac9-29e5f12c6d88

(4) http://www.cresme.it/

(5) http://documenti.camera.it/leg18/dossier/pdf/am0036b.pdf?_1652186124778

(6) https://www.mite.gov.it/sites/default/files/archivio/allegati/emission_trading/tabella_coefficienti_standard_nazionali_2011_2013_v1.pdf

7)SuperBonus versus Super Malus

I bonus edilizi valgono 50 miliardi di euro, di cui 25 solo per il superbonus.

Solo il 5% delle truffe sono riferibili al superbonus, buona parte di quelle accertate sono per il bonus facciate.

Superbonus 2.0: una proposta operativa 1/2

Casa, Architettura, Costruzione

Nel Luglio del 2020, grazie ad una lungimirante iniziativa  dell’Onorevole Fraccaro, è stato approvato il primo di una lunga serie di decreti che hanno disegnato un nuovo percorso di efficientamento dell’edilizia privata italiana.

Lo scopo era almeno triplice:

1)      Rispettare gli impegni internazionali presi dal nostro paese, in termini di riduzione delle emissioni climalteranti

2)      Ridurre l’impatto della bolletta energetica sul sistema paese e sulle famiglie

3)     Ridare ossigeno ad un’economia praticamente fermata da un anno di emergenza covid.

La strada indicata dal decreto era rivoluzionaria sotto molti profili: 

Per la prima volta si prendevano esplicitamente in considerazione tutte le misure tecniche concretamente attuabili per migliorare l’efficienza energetica di un edificio; 

Si imponeva il raggiungimento di un livello minimo di efficientamento ( due classi energetiche), si definivano interventi trainanti e trainati. 

Si copriva il 110% della spesa, con l’intenzione, espressamente dichiarata, di consentire, in termini economici, la cessione del credito con un margine sufficiente a coprire i costi finanziari diretti ed indiretti di cessione.

La misura ha avuto un successo immediato, pur tra molte perplessità interpretative, che hanno imposto successive e numerose revisioni.

Le successive precisazioni, correzioni, interpretazioni, intervenute nel tempo, hanno cercato di rispondere alle problematiche ed ai dubbi interpretativi sorti nell’applicazione concreta, che ha visto spesso in difficoltà professionisti le imprese, i committenti ed anche l’agenzia delle entrate, chiamata a svolgere un compito interpretativo di una norma tecnica, per il quale non era ovviamente vocata.

Inoltre, l’entusiasmo suscitato dalla opportunità offerta dal Superbonus, insieme agli evidenti risultati positivi della sua applicazione, in termini di crescita del PIl e dell’occupazione, hanno praticamente imposto, ad un governo non sempre del tutto favorevole e volenteroso, di prolungare il superbonus anche per il 2022 e, per molte tipologie di edifici, il 2023.

Dopo un anno e mezzo dalla sua nascita, è tempo di fare il punto della situazione:

Cominciamo dall’aspetto che è universalmente ritenuto più rilevante: il costo della misura.

La corte dei conti ( link) ha accertato che  il superbonus, lungi dall’essere un costo per lo Stato, è una misura che produce un bilancio POSITIVO per le casse dello Stato: rende più di quanto costi.

Come è possibile?

In breve: facendo emergere ogni singola voce di spesa, evita il sommerso, piuttosto diffuso nel settore edile e, nell’immediato, sotto forma di imposte ed Iva, recupera una buona percentuale del credito appena erogato. 

Ma vi è di più. 

Ovviamente quanto incassato dalle imprese edili, dai fornitori, dai dipendenti dei soci delle dette imprese viene in buona parte utilizzato per l’acquisto di beni necessari al funzionamento dell’impresa ed alla vita dei titolari, dei professionisti e dei dipendenti. Le persone occupate, tendenzialmente, aumentano.

L’aumento dei consumi di questi soggetti si traduce in aumento di fatturato per i loro fornitori  e così via. 

E’ il cosiddetto moltiplicatore del reddito, di Keynesiana (1)memoria:  ogni misura che incide sulla spesa pubblica ha un effetto più che proporzionale sul sistema paese, qualora, ovviamente, sia una misura che si traduca in un aumento delle attività reali del paese. 

E’ questo moltiplicatore Keynesiano quello che, alla fine, fa rientrare con ampio margine nelle casse dello Stato quanto in apparenza versato a fondo perduto, sotto forma di credito d’imposta, il famoso 110%.

Un documento recentissimo della Banca d’Italia (2) stima il valore di questo moltiplicatore sul lungo termine tra 2.8 e 5, in dipendenza delle modalità con cui vengono investite le risorse pubbliche.

La Corte dei conti (3) ha stimato che il superbonus potrebbe ” costare” circa 23 miliardi allo Stato. in realtà siamo diretti verso i trenta miliardi, già ora.

Ma è DAVVERO un costo per lo Stato? ovviamente no, per quanto anzi detto ma anche a verifica: il cresme ( 4) ente nazionale di ricerca e studio nel settore delle costruzioni, ha stimato che tutti i bonus edilizi finora erogati abbiano generato un UTILE per lo Stato di 25 miliardi (5). A monte di: Minori introiti ( detrazioni) per 165 miliardi, maggiori imposte ( iva irpef irpeg etc) per 131 miliardi ed altre varie poste ed effetti, fino ad arrivare all’utile indicato. 

Senza contare quelli indotti dalla maggiore occupazione.

Sulla base di questi studi, non è improbabile che il superbonus finisca per almeno ripagare il suo costo, senza considerare, ovviamente, i vantaggi in termini sociali ambientali e strategici per il paese.

Ma è la migliore misura possibile? Beh… ovviamente no.

(continua)

riferimenti:

  (1) https://www.boeckler.de/pdf/v_2021_29_10_deleidi.pdf

(2) https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2021-0613/QEF_613_21.pdf?language_id=1?pk_campaign=Newsletter-62

(3) https://www.corteconti.it/Download?id=2e9c3f2b-123e-4ad9-bac9-29e5f12c6d88

(4) http://www.cresme.it/

(5)  http://documenti.camera.it/leg18/dossier/pdf/am0036b.pdf?_1652186124778

(6) https://www.mite.gov.it/sites/default/files/archivio/allegati/emission_trading/tabella_coefficienti_standard_nazionali_2011_2013_v1.pdf

 7)SuperBonus versus Super Malus

I bonus edilizi valgono 50 miliardi di euro, di cui 25 solo per il superbonus.

Solo il 3% delle truffe sono riferibili al superbonus, buona parte di quelle accertate sono per il bonus facciate.

Più esattamente le truffe accertate sono così distribuite: bonus facciate 46%, Eco-bonus 34%, bonus locazioni/botteghe 9%, Sisma bonus 8%, Superbonus 3%.

E questo è noto da oltre sei mesi.

cfr: Superbonus e truffe, Draghi: “Chi più tuona ha scritto la legge che permette di non fare i controlli”. Fraccaro (M5s): “Sbaglia due volte” – Il Fatto Quotidiano

(continua)

Villini superbonus 110% e CO2. Qualche osservazione ed una proposta operativa.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante attività all'aperto e albero

Le ultime notizie danno il superbonus rinnovato fino al 2023 per le case popolari e al 2022 per gli altri. Ad esclusione delle case unifamiliari, per le quali sarà previsto un tetto al reddito isee, si parla di 40.000 euro.

Il superbonus 110% e’ la singola misura più importante per l’economia e la transizione. A patto, naturalmente, che si evitino sovrapprezzi, lavori approssimativo, certificazioni false etc etc.

Infatti, tra IVA, irpef ed IRAP, più gli altri mille balzelli, i supposti alti costi della misura vengono immediatamente recuperati per oltre il 50%. L’aumento del fatturato nelle piccole e piccolissime imprese, quelle che tipicamente lavorano nei piccoli condomini e sulle villette, si traduce in aumento dei consumi, parola che odio, diciamo della spesa dei titolari e dei dipendenti, che a loro volta aumentano di numero, ovviamente.

Più occupati, più pil, più tasse ( il superbonus impedisce l’evasione, ovviamente). Di fatto, dopo un paio di giri, l’intera cifra stanziata, qualcosa di più, qualcosa di meno, ritorna allo Stato, dopo aver, nel complesso, diffuso benessere nel paese. I consumi energetici delle famiglie interessate dai lavori diminuiscono di una % compresa tra il 50 ed oltre l’80%. Il che si traduce in un risparmio netto per il sistema paese, che, come noto, importa oltre il 90% delle sue risorse energetiche dall’estero.

La cosa ha anche un ruolo strategico: l’indipendenza di un paese, in un mondo dove le prossime guerre saranno guerre per le risorse, e’ prima di tutto energetica. Senza contare l’ambiente, ovviamente.

In questo contesto, su oltre 200 miliardi di recovery fund, se ne è inteso dedicare ben meno del 10% a questa voce ed in finanziaria le cose andranno pure peggio. E’ chiaro che non si rietiene questa misura particolarmente utile. Per ridurre gli investimenti, però, era necessario scompaginare il fronte, piuttosto compatto, dei partiti a favore, praticamente tutti.

Altrimenti sarebbe troppo evidente comprendere chi comanda davvero, dietro l’intenso gioco di gambe delle marionette sul palco. Quindi si è inventata la storia delle ville e villette. Innanzitutto, bene sapere, le ville e gli edifici censiti come di lusso, sono GIA’ESCLUSI dal superbonus e fin dall’inizio. Restano quindi gli edifici unifamiliari. Quasi un quarto degli italiani vive in edifici unifamiliari non accatastato come edifici di lusso.Certo: ci saranno anche imprenditori e professionisti dagli alti redditi. Ma la maggior parte sono persone normalissime, forse con stipendi appena più alti della media, buona parte imprenditori agricoli ( contadini, se volete) piccoli commercianti, quadri di qualche impresa, piccoli funzionari, giovani professionisti, pensionati. Forse saprete che anche la casa di proprietà contribuisce al reddito isee, per una percentuale anche assai elevata, specialmente per i redditi piccoli. Di fatto vivere in un villino di proprietà, con un reddito di 15-20.000 euro sara’ probabilment sufficiente per essere esclusi dal superbonus, se, come probabile, il tetto sarà di 40.000 euro di reddito ISEE. Spero che abbiate presente di cosa, tipicamente stiamo parlando. NON le ville: le villette.

Abbiamo tutti negli occhi la tipica villetta, tipicamente anni ‘60/70. Possiamo disegnarla, ad occhi chiusi: semplice telaio in cemento armato, muri di tamponatura in foratini, infissi economici, raramente in legno, più spesso in alluminio anodizzato, tetto non coibentato, riscaldamento a gas, di solito senza caldaia a condensazione…Un monumento all’inefficienza. Magari ci vivete. Magari ci avete vissuto. Nel caso, saprete come le spese di riscaldamento, specie se state al nord, sono quasi insostenibili e vi preparate a rinunciare ad ogni spesa voluttuaria o meglio, non indispensabile, per coprire gli aumenti del prossimo inverno.

Il motivo è ovvio: un edificio isolato di una determinata cubatura ha almeno il doppio di superficie esposta rispetto ad un identico immobile in un condominio. Data la qualità media del costruito e la inesistente attenzione al risparmio energetico di cinquanta anni fa, i suoi consumi oscillano tra il doppio ed il triplo di un appartamento normale. La mia esperienza personale, in quel di Moncalieri, una quindicina di anni fa, al primo piano di una villetta, con una bella parete vetrata esposta a sud, era: il quadruplo.

Ancora: sui condomini, a maggior ragione sui condomini più grandi, con decine di appartamenti, le cifre che si possono dedicare alla coibentazione sono talmente enormi che di fatto agevolano i sovracosti e sono comunque anticipabili solo da grandi imprese, con le spalle ben coperte. Le piccole imprese edili sono escluse. Il contrario e’vero per piccoli condomini e villette unifamiliari. Quello è il regno delle piccole imprese. In termini di posti di lavoro creati, spero sia ovvio: mille volte meglio novanta singoli interventi su altrettanti villini che un unico intervento su un grande condominio da novanta appartamenti. La maggiore intensità di manodopera si traduce in un aumento dei posto di lavoro, aumento della spesa dei dipendenti, con la creazione di posti di lavoro, maggiori introiti per lo stato etc etc etc.

Quindi, a rigor di logica, gli interventi ultramilionari sui grandi condomini andrebbero contingentati ( basterebbe una modifica basata sui metri quadri efficacemente isolati e sui kg di CO2 risparmiati, facilmente calcolabili), quelli sui villini e in generale gli edifici minori, fortemente incentivati.

Se lo scopo e’ quello di massimizzare il risparmio energetico, se lo scopo e’ quello di massimizzare i posti di lavoro creati, questa sarebbe la strada.

La cosa e’ non sindacabile. La cosa e’ indiscutibile. Infatti, non viene ne sindacata ne discussa. Con una ipocrisia invereconda il dibattito sarà sul reddito isee di ingresso per avere diritto al superbonus MA solo per i villini.

Ovvero: il direttore di banca, che vive nel suo bell’attico di 200 metri quadri, insieme ai suoi benestanti condomini, magari in affitto, avrà tempo fino al 2023 per i lavori e gli verrà riconosciuto il superbonus. I milioni di italiani microborghesi che popolano gli analoghi milioni di villini, no.

Ripeto: una soluzione corretta esiste e dovrebbe partire dai kg di CO2 risparmiati all’anno. Il beneficio, anche monetario, e’ misurabile: un litro di petrolio, un metro cubo di metano, equivalgono a circa 3 kg di CO2, ordine di grandezza. Ci sono numerosi studi che indicano gli extracosti dovuti ad ogni kg di CO2 emesso in circa un euro. Benchè i valori ufficiali attuali, presi in considerazione nei piani strategici siano molto inferiori ci sono indicazioni che i costi in tali scenari sono fortemente sottostimati. Fra i tanti studi citerò QUESTO.

Risparmiare mille metri cubi di metano significa risparmiare ( ordine di grandezza) 3000 kg di CO2 di emissioni. Riconosciamo questo, su 30 anni, durata ragionevole e forse prudenziale degli interventi, prezziamo il danno ambientale sociale economico evitato in un euro al kg ( una stima che potrebbe perfino essere ottimistica, si veda lo studio precedente) ed otteniamo 90.000 euro. UN valore estremamente simile a quello attuale di 96mila euro. Niente più complicazioni: % di superfice coibentata, certificazione degli infissi, valori di riflettanza dei materiali etc etc etc

CONTA IL RISULTATO, liberamente ottenibile. La stima certificata dei consumi prima e dopo l’intervento, Una cosa che peraltro discende, DIRETTAMENTE dalla certificazione energetica, ugualmente già necessariamente asseverata nel superbonus attuale.

La cosa sarebbe semplice, elementare, verificabile ( consumi energetici prima e dopo l’intervento) equanime, applicabile ad ogni edificio, escluso quelli di lusso, naturalmente. Applicabili ad interventi modesti e meno modesti o addirittura di demolizione e ricostruzione. In questo modo scopriremmo che la riduzione che si ottiene con la coibentazione die famosi 90 villini di cui sopra è un multiplo importante di quella che si ottiene con un grande condominio da 90 appartamenti, stessa superfice. Si allocherebbero con maggiore giustizia i fondi disponibili.

Si massimizzerebbe il risultato, oltretutto restituito in termini semplici per l’analisi costi/enefici conseguiti.

Anche perchè il bailamme di certificazioni asseverazioni etc etc attuale scoraggia gli interventi minori, onera di lavoro peraltro ben rietribuito i profesisonisti, aumenta la probabilità di errori, furbate, extracosti.. Più si tengono le cose semplici più aumenta la possibilità di controlli efficaci, addirittura in remoto, con la semplice verifica dei consumi prima e dopo l’intervento…

L’uovo di Colombo dite? Semplicistico, dite? Può essere.

Ma l’uovo di Colombo, dopo tutto, era una grande quanto semplice idea.

La porcheria vien di notte

Avete sentito parlare dell’autonomia differenziata delle Regioni, introdotta insieme al documento di aggiornamento della programmazione finanziaria, la misteriosa ( per i normali cittadini) NaDEF nella notte tra il 29 ed il 30 Settembre?

No, vero?

Beh, OVVIAMENTE, lo scopo di aggiungere DI NOTTE, a bozze già inviate alle redazioni in modo da fargli “bucare” la notizia, come collegato al Nadef e quindi votato insieme ad esso, un disegno di legge che, come mille e mille giaceva nel parlamento da anni, è ESATTAMENTE questo: non farne parlare, in modo più assoluto.

Cosa succede con questo disegno di legge chiamato “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione” ?

Si conferisce alle Regioni sulla tutela della salute (ed anche sulle altre materie) potestà legislativa esclusiva sottraendola alla potestà legislativa concorrente del Parlamento, oggi competente per la determinazione dei principi fondamentali.

In sostanza questo disegno di legge consente una autonomia regionale TOTALE sulla gestione dei fondi e sulla fornitura di prestazioni sanitarie, dagli stipendi alle prestazioni: ogni regione dovrà arrangiarsi in proprio.

Di fatto, avremo 21 Sistemi sanitari regionali e non più uno nazionale.

Con caratteristiche di accesso diseguali per i cittadini, con contrattualistiche diseguali per i dipendenti e non coerenti neppure sui principi fondamentali.

La volontà politica del governo e della sua maggioranza di confermare il perseguimento dell’autonomia regionale differenziata, così aumentando le già gravi sperequazioni esistenti tra una regine e l’altra è evidente.

Peraltro, siamo già al paradosso di miliardi euro che i cittadini delle Regioni più povere versano alle Regioni ricche, del Nord, per accedere ai migliori serivzi di quelle regioni.

Ora, con la NaDEF 2021, non vi è esolo il DL appena citato, approvato come collegato: si prevede una riduzione di finanziamenti del SSN tra il 2021 ed il 2024, resa ancor più devastante dalle previsioni/tendenze inflazionistiche che caratterizzano secondo le autorità finanziarie e gli osservatori la ripresa economica post Covid-19, (quindi incremento dei costi di produzione dei servizi sanitari!) . L’ennesimo colpo finale al SSN pubblico.
 
Altro che “indizi” di privatizzazione, come qualcuno ha scritto.

Qui si evidenzia un lucido disegno di demolizione del SSN, strumento di tutela della salute uguale su tutto il territorio nazionale e “per tutte le tasche”, e sua graduale ( nemmen tanto) sostituzione con un sistema in mano ad oligarchie private e amministrazioni regionali compiacenti.
 
E’ un disegno cinico, velleitario e fallimentare, se l’obbiettivo è una sanità di qualità per tutti i cittadini, come la sindemia Covid-19 ha ampiamente dimostrato.

Una schifezza, senza equivoci, da qualunque parte uno la voglia vedere.

Chi si è cimentato su questo tema, peraltro pochi media nazionali, ha parlato di una non ben precisata “”manina”.

Beh, sarebbe bastato andare a cercare: la manina ha nome cognome e carriera politica, insieme ad altri cofirmatari.

Eccolo qui il disegno di legge salvo errori e/o omissioni, DdL che risultava ancora depositato ma non discusso, prima dell’inserimento famigerato nel Nadef

Primo firmatario:

 Antonio MISIANI (Partito Democratico)

Altri firmatari:

Non c’è che dire: un provvedimento opportuno, puntuale, popolare, di sinistra, democratico, socialmente necessario.

Una porcheria invereconda, apppunto, di cui vi accorgerete, tra mesi, anni, ogniqualvolta non troverete un letto in corsia, non riuscirete a fare una analisi, nemmeno a fissare un appuntamento, urgente o meno.

Come dite? Che questo già succede?

Si, ma, come tanti, avrete pensato che fossero disservizi.

Non è così, purtroppo e queste manine ne sono la prova.

Diciamo che a chiamare queste manovre porcheria si fa torto ai maiali, animali intelligenti, usi a rotolarsi nel fango, ma prevalentemente per liberarsi da parassiti, zecchie, pidocchi, pulci ed altre infestazioni.

Ecco: più che porcherie, direi roba da parassiti dei suddetti porcelli.

I tre quarti degli edifici realizzati negli ultimi dieci anni sono abusivi? 2/3

una delle vincitrici del concorso cubo d’oro, per le migliori casaclima del 2018. Quante delle nuove realizzazioni del 2019 sono così?

Nella precedente puntata avevamo visto che esiste un negletto articolo di un quasi negletto Decreto legislativo, il dlgs 28/2011, che imporrebbe di ricavare almeno il 50% del fabbisogno energetico di un edifcio di nuova costruzione o soggetto a risttrurazione rilevante da fonti rinnovabili.

Nel 99% dei casi, pannelli fotovoltaici. Di fatto miriadi di norme locali, comunali e regionali confliggono regolarmente con questo articolo rendendolo inoperante.

Per quanto possa sembrare strano che una disposizione di legge cosi importante per il futuro delle rinnovabili sia stata bellamente ignorata o quasi, ho potuto verificare che invece è ancora vigente: l’articolo 11 del dlgs 28/2011 è ancora vivo, operativo, tassativo, come vedremo in seguito, nella terza puntata, dedicata alle verifiche.
Il punto dolente o cogente non sono tanto o solo gli edifici tutelati o in zone vincolate dalle norme di tutela del patrimonio artistico e paesaggistico,  ma la molto piu’ ampia famiglia degli edifici in zone dove i regolamenti urbanistici ed edilizi vietano, di fatto, i pannelli fotovoltaici sul tetto o sul terreno, o pongono norme così stringenti da non renderli concretamente, installabili. Nel caso di Firenze per esempio, questo si verifica in un’ampia zona grossomodo corrispondente alla citta’ antica, ottocentesca e della prima metà’ del novecento, oltre un terzo del territorio edificato comunale, con residui vincoli pesanti anche nella altre zone.

Eco qui cosa si prescrive nel regolamento urbanistico, per tutto il territorio comunale:

Come vedete, è quasi impossibile adempiere a queste norme e contemporaneamente a quanto richiesto dall’Articolo 11 del Dlgs 28/2011

Nelle zone di collina, vigono ulteriori vincoli di tipo paesaggistico, che vietano l’installazione anche su edificato recente. Quindi la responsabilita’ non e’ tanto o solo, della Soprintentendenza, che si occupa dei vincoli, ma dei singoli comuni che avendo 180 giorni nel 2011, dieci anni fa, per adeguarsi non l’hanno fatto o, in non pochi casi, si sono adeguati a…gambero, cioè creando vincoli, prima non esistenti, per l’installazione. Come ho scritto, la battaglia, che sembrerebbe importante ma puramente normativa, diventa mostruosamente vitale, perché’ di fatto il non aver adempiuto al “famigerato” articolo 11 rende all’improvviso illeciti probabilmente decine di migliaia di permessi a costruire in tutto il paese ed il fenomeno potrebbe essere ancora piu’ grave di cosi’ e poi peggiorare ulteriormente, via via che le nuove costruzioni, le ricostruzioni e le ristrutturazioni rilevanti realizzate utilizzando il super ecobonus aumentano.

Infatti il superercobonus prevede una serie di rigorosi adempimenti, asseverazioni, ex ante ed ex post ed ovviamente il credito di imposta viene riconosciuto a condizione di una prefetta conformità dell’immobile interessato. Prima e dopo l’intervento. Ma, abbiamo visto in non pochi casi non è consentito dai regolamenti comunali o dai vincoli paesaggistici o da quelli dei beni culturali, installar epannelli fotovoltaici sul tetto.

In questo caso la conformità ex post non è possibile e quindi i crediti di imposta non sono richiedibili.

Si creano premesse per migliaia di dolorosi contenziosi, e la richiesta, magari dipo anni di restituire i crediti di imposta illecitamente ottenuti, non affrontando questa situazione!

Insomma: si rischia una catastrofe.

Ma, come diceva, il Merovingio in Matrix, dove gli altri vedono rischi, io vedo opportunità o, al massimo, costi.

Intravedo infatti un’opportunità’ importante, proprio con l’ecobonus. 

ECCO LA MIA PROPOSTA
in occasione delle varie norme di revisione e semplificatorie del Superercobonus, ricordata la necessità, per tutti gli attori, del rispetto del dlgs 28, alla lettera, si potrebbe prevedere un particolare capitolo IN SANATORIA. 

In esso, in deroga al concetto di intervento trainante o trainato, si prevede che il fotovoltaico e gli altri interventi necessari a rendere conforme alla norma imposta dal Dlgs 28 2011 un dato edificio, ristrutturato in forma rilevante o costruito o ricostruito successivamente al 2011 e relativi interventi necessari, siano effettuabili anche senza altri interventi trainanti. 

Insomma: il fotovoltaico , SOLO IN QUESTI CASI rigorosamente definiti, sarebbe un “intervento trainante”….per se stesso (gli altri interventi trainati come noto, sono tali perchè devono attendere un intervento trainante ordinario per essere sbloccabili)
I fondi stanziabili ci sono, si tratta “solo” di aggiungere un capitolo di spesa ad un settore che ha gia’ finanziamenti pesanti previsti, confermati e confermandi fino almeno al dicembre 2023.
Esistono gia’ canali privilegiati ed eccezioni previsti dall’attuale  super sismabonus, previsti nelle zone terremotate: Si tratterebbe di inserire, verificata la correttezza di quanto da me qui riportato, anche questa nuova fattisipecie, limitataemnte agli edifici che rientrano nella categoria e, per ora, limitataemtne agli edifici residenziali.

Che, ricordo sono solo una piccola parte di quelli a cui l’articolo 11 si applica, ovvero TUTTI gli edifici dinuova costruzione o rilvante ristrtturazione.

SE avessi ragione, risolveremo un problema potenzialmente ENORME, una bomba in attesa di esplodere, per le amministrazioni e per i cittadini.Il decreto legislativo non lascia in apparenza spazio ad equivoci:

L’inosservanza dell’obbligo di cui al comma 1 comporta il diniego del rilascio del titolo edilizio.

Ne consegue che il rilascio di tali titoli, in inosservanza dell’ obbligo di installazione di impianti fotovoltaici in misura sufficiente, ha valore NULLO ed e’ per lo meno un illecito amministrativo se non qualcosa di piu’ grave.

Ne il cittadino, malcapitato, può scaricare la responsabilità’ sull’amministrazione autorizzante, perché l’obbligo del rispetto di legge cade sulle spalle di ambedue gli attori, in egual misura: ignorantia legis non excusat.

Senza contare naturalmente il progettista dell’opera, che avrebbe la sua quota di responsabilità’…

Insomma, SE solleviamo il can can, e DOBBIAMO farlo, se vogliamo davvero dare un futuro rinnovabile e sotenibile al nostro paese, dobbiamo anche immediatamente sedarlo, dando un termine per la messa in regola ed i finanziamenti per farlo, oltre una diffida urbi et orbi ad adempiere fedelmente, salvo rari e sporadici casi, da dimostrare uno per uno, per le opere future.

Nella prossima ed ultima parte, cercherò di dare una risposta ad un paio di questioni fondamentali, già ricorse tra le righe, in queste due prime parti:

  1. il DLGS 28/2011 e il suo articolo 11, SONO VIGENTI e vincolanti?
  2. Quale è la dimensione del problema?

I tre quarti degli edifici realizzati negli ultimi dieci anni potrebbero abusivi. E questa e’ una buona notizia. 1/3

Il rendering del nostro villino. Ed i pannelli?

Ok: la prendo un poco lunga, ve lo dico subito.

In occasione della presentazione di un progetto di integrale ricostruzione di un villino anni ’70 lesionato, utilizzando sia il cosidetto Supersismabonus che il sempre cosidetto superecobonus, mi sono fatto una certa cultura in merito alle normative locali e nazionali che riguardavano la questione.

Dopo un lavoro di studio e preparazione non breve, siamo riusciti a tirare fuori un progettino che pare rispettare tutte le norme edilizie urbanistiche etc etc etc ed essere anche gradevole nel processo. De gustibus…. ma lo vedete come immagine di questo post.

OVVIAMENTE il nuovo villino verrà realizzato in classe energetica A4: Basterà l’equivalente di un litro e mezzo di petrolio al metro quadro, all’anno, come energia, per le esigenze energetiche della casa. Considerando il seminterrato e la soffitta nel conteggio dei metri quadri, arriviamo a circa 1000kWh come fabbisogno energetico per le esigenze di raffrescamento/riscaldamento/acqua termica sanitaria.

A questi si aggiungono circa altrettanti kWh pecome consumi elettrici per le utenze casalinghe e la cucina ( fuochi ad induzione, ovviamente).

Ovviamente, coibentazione di primo livello, impianti di ultima generazione. OVVIAMENTE fotovoltaico.

Ovviamente?

Forse.

Perchè siamo in zona sottoposta al vincolo paesaggistico.

Perchè il Comune ha stabilito che, comunque, i pannelli dell’impianto fotovoltaico devono essere ad un metro dal colmo, ad un metro dalla linea di gronda, ad un metro dai limiti laterali della falda… Ma noi abbiamo falde di poco più di due metri e quindi i pannelli nello spazio consentito non c’entrano!

In sostanza, a leggere il combinato disposto dei vincoli, delle norme dei regolamenti comunali e confrontarle con le dimensioni dell’edificio, sembrerebbe che non sia possibile installare pannelli fotovoltaici.

Fino a qui sembrerebbe una normale questione di quelle che capitano a tutti. Ma la circostanza di dover giustificare ex lege che avevamo non solo il diritto ma il dovere di installare i suddetti pannelli ( e di metterli praticamente su tutta la falda di sud est, quella che si vede a sinistra nella foto) mi ha portato a riesumare un noto quanto negletto decreto legislativo di dieci anni fa il Decreto legislativo 28/2011 Articolo 11.

Quel che ho letto mi ha fatto scoperchiare un calderone che ho riassunto, come prima parte, in un articolo che trovate pubblicato su ecquologia

Qui sotto lo riporto, rimandando alla seconda puntata per un approfondimento sulla dimensione della cosa.

Dlgs 28 2011, regolamenti comunali e fotovoltaico: assoluta necessità di una conferma

Un importante limite all’effettivo dispiegamento di tutto il potenziale del Superbonus è costituito dai regolamenti Comunali. Parlo per esperienza diretta della citta in cui vivo, Firenze, ma credo che il problema sia MOLTO diffuso. Vi sono intere aree urbane, spesso ben al di là del centro storico, dove di fatto non è consentito il fotovoltaico sui tetti. Questo, ovviamente, comporta e comporterà’ un forte rallentamento nell’installazione.

Molti Comuni, il mio tra i tanti, sono stati ondivaghi negli anni: quando il mio ex Sindaco era giovane e desideroso di raccogliere consensi “alla moda” attuò modifiche che permettevano, di principio, di installare praticamente ovunque, anche sui tetti di edifici a torre medioevali. Cosa successa, sia pure in un limitato numero di casi. “Crescendo” politicamente, diventò ovviamente più attento sia agli interesse delle varie lobbies contrapposte sia, banalmente al disinteresse dell’opinione pubblica, quando non ostilità’, ben fomentata, come sappiamo, da una campagna mediatica ai tempi martellante (2015 e successivi). Molti regolamenti sono figli di quegli anni ed ancora non sono stati adeguati a quello che potremmo chiamare, un rinascimento delle energie rinnovabili, se non fosse parola tragicamente svalorizzata da usi inopportuni, come quello fatto di recente, dal mio sempre troppo citato ex sindaco.

Eppure, almeno per gli edifici di nuova costruzione e per le integrali ricostruzioni, il Decreto Legislativo 28/2011 – Fonti rinnovabili e certificazione energetica parla chiaro e non lascia spazio ad equivoci o successivi decreti attuativi, per la sua implementazione: su questi edifici, nuova costruzione ed integrale ricostruzione, è OBBLIGATORIO, senza eccezioni, raggiungere una quota di almeno il 50 per cento di energia da fonti rinnovabili. I regolamenti comunali qualora non adeguati (nel termine di 180 giorni!) e in conflitto con questa norma sono superati.

Ecco il testo, VIGENTE, articolo 11 del suddetto decreto legislativo 28 2011

I progetti di edifici di nuova costruzione ed i progetti di ristrutturazioni rilevanti degli edifici esistenti prevedono l’utilizzo di fonti rinnovabili per la copertura dei consumi di calore, di elettricità e per il raffrescamento secondo i principi minimi di integrazione e le decorrenze di cui all’allegato 3. Nelle zone A del decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, le soglie percentuali di cui all’Allegato 3 sono ridotte del 50 per cento. Le leggi regionali possono stabilire incrementi dei valori di cui all’allegato 3. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano agli edifici di cui alla Parte seconda e all’articolo 136, comma 1, lettere b) e c), del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, e a quelli specificamente individuati come tali negli strumenti urbanistici, qualora il progettista evidenzi che il rispetto delle prescrizioni implica un’alterazione incompatibile con il loro carattere o aspetto, con particolare riferimento ai caratteri storici e artistici. L’inosservanza dell’obbligo di cui al comma 1 comporta il diniego del rilascio del titolo edilizio.

Art. 11. Obbligo di integrazione delle fonti rinnovabili negli edifici di nuova costruzione e negli edifici esistenti sottoposti a ristrutturazioni rilevanti

Come si vede nel sottolineato in neretto, perfino nel caso di ristrutturazioni rilevanti su edifici STORICI e notificati, l’obbligo persiste, l’onere della prova di non realizzabilità ricadendo sul progettista. Non solo, l’ultima riga evidenzia una cosa CLAMOROSA: “L’inosservanza dell’obbligo di cui all’articolo 1 COMPORTA IL DINIEGO DEL RILASCIO DEL TITOLO EDILIZIO”

Sappiamo bene che decine di migliaia di edifici sono stati edificati in questi anni, MOLTE decine di migliaia sono stati integralmente ristrutturati. Ma sappiamo che di questi, per i regolamenti comunali citati, solo una percentuale non particolarmente rilevante ha adempiuto all’obbligo. PURE i titoli edilizi sono stati rilasciati. Titoli, a tutti gli effetti, senza possibilità’ di equivoco, NULLI. Rilasciati ma non rilasciabili.

Questo assume ancora più rilevanza, veniamo al quotidiano, OGGI, in periodo di Superbonus. Infatti molti interventi, eventualmente unenti sismabonus ed ecobonus, ricadenti nelle aree dove non è consentito il fotovoltaico, oppure è consentito con vincoli tali da renderlo non realizzabile (ad esempio distanze dal colmo del tetto , dalla linea di gronda, dai limiti dell’edificio superiori a quelli disponibili per il montaggio dei pannelli) rientrano nella categoria delle “ristrutturazioni rilevanti”.

La tentazione, all’analisi dei regolamenti, di progettista e proprietario sarà come è finora stata, quella di non intentare una guerra solitaria con le normative comunali ma di accettare di adempiere, non installando. Il risultato, come enunciato, è che tutti gli edifici così realizzati o ristrutturati NON sono conformi alla legge ed i titoli rilasciati hanno valore nullo. Questo, di per sé grave, è addirittura esiziale nel caso degli interventi realizzati secondo le regole del superecobonus o sismabonus. In caso di controllo infatti, non essendovi le conformità’ richieste dalla legge al momento della richiesta ed eventuale cessione del credito, il credito viene cancellato, salvo maggiori e più gravi conseguenze legali e penali.

INSOMMA: tra le norme di adeguamento in studio dovrebbe essere inserito un paragrafo che ricorda la rigorosa applicabilità dell’articolo 11 del dlgs 28 2011, a prescindere ed al di sopra delle norme locali, sia per consentire una più rapida ed agevole installazione di impianti fotovoltaici, sia per evitare letali moli di contenzioso ex post, tra un paio di anni quando, ragionevolmente scatteranno i controlli di conformità.

Sembra strano che in un decreto ministeriale o legislativo si debba ricordare l’applicabilità di una legge vigente. Nei fatti, non solo è necessario, ma vitale.

Mi scuso per la lungaggine e, eventualmente, per gli addetti ai lavori, per aver evidenziato qualcosa di ovvio.

Pietro Cambi

Pane di Pasta madre, a modo nostro

In un precedente post vi avevo raccontato di come si puo’ fare il pane in casa, a partire da farina e lievito di birra. La ricetta, ho scoperto poi, ha un nome preciso: il cosidetto pane comodo. Chiamato cosi’ perche’ la lievitazione lenta, in frigo, lascia margine per imprecisioni, errori e ritardi.

Ora voglio raccontarvi di un passo successivo, fare a meno dei prodotti industriali, fare lievitare il pane a partire dai coabitanti di casa, senza altro che farina, possibilmente farina nostrana, magari macinata a pietra, magari comprata direttamente dal produttore, magari non troppo raffinata, ad esempio tipo 1 o tipo 2.

Cosa significa? QUI una spiegazione, in fondo molto semplice.

Ma veniamo ai coabitanti, che ci daranno una mano a far lievitare l’impasto. La prima domanda e’ sempre la stessa: ma a casa mia ci saranno? in linea di massima, si. Le spore del lievito sono ubique e in cucina, nella vostra dispensa, dove tenete di solito il pane, facilmente ci saranno i lieviti giusti. Come al solito si deve fare qualche tentativo, per realizzare un piccolo ecosistema funzionante.

L’idea e’ quella di aiutarvi a farne pochi e di successo.

ecco qui: Lievito di pasta madre di Giok

Licoli, ovvero lievito francese

A partire dalla farina oo ( grana piccola da una mano ai lieviti, sara’ l’unica che userete) 100 grammi di acqua e 100 grammi di farina.

Amalgamarli per bene, metterli in un barattolo coperto da una pezzola uno straccio o un pezzo di carta forno, chiuso con un elastico. Mettterli in un luogo “tranquillo” lontano dalla luce.

Lo scopo, ripeto, e’ partire dai lieviti naturalmente presenti nell’aria di casa vostra e non da qualche intruglio preordinato. Aiuta se avete una dispensa, con farine o altre granaglie,  meglio se rustiche, integrali, bio, naturalmente, vicino al quale metterete il vostro barattolo. Al calduccio, non deve essere una cantina.

Dopo 24 ore si prende metà dell’impasto, rimuovendo comunque ed escludendo l’eventuale patina che si è formata in superficie e si mescola con altri 100 grammi di farina e 100 grammi di acqua. 

Ogni 24 ore si ripete il procedimento.

Spostiamoci in avanti di quattro giorni.

Dopo i primi giorni in cui a malapena si intravedono delle bollicine, la popolazione dei lieviti comincia a crescere, ogni volta di più.

Purtroppo ogni giorno si butta via una certa quantità di farina, la parte secca o muffita dell’impasto. Comunque sia, insistete, rispettando le proporzioni indicate.

Giorno dopo giorno il lievito e’ più reattivo, sempre più bolle. Quando una bella mattina vedrete un impasto vischioso o addirittura schiumoso ( la farina zero zero ha un rapporto tra superficie utile e volume altissimo, la popolazione dei lievito aumenta esponenzialmente in modo rapido) potete fare la prova fatidica: fare una pallina di impasto, senza premere, e provate a farla galleggiare. Se galleggia il lievito e’ pronto.

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Come vedremo circa metà del lievito viene usato per fare il pane. L’altra metà va messa in frigorifero dove può mantenersi una settimana senza grandi problemi. Il giorno prima di quello in cui volete fare il pane, dovrete rinfrescarla, dopo aver eliminato la parte secca o ossidata superiore con i soliti 100 grammi di farina e 100 grammi di acqua e la lascerete una notte o comunque almeno cinque ore a risvegliarsi. Il giorno dopo avrete il lievito pronto e ne sarete sicuri al solito modo: bolloso, schiumoso, galleggiante.

Ma tutto questo baloccarsi da piccolo bio chimico ha un senso se serve al suo scopo: fare il pane!

Ecco qui quindi UNA delle nostre ricette, con qualche consiglio utile per fare gonfiare bene il pane fatto in casa a partire da pasta madre sempre casalinga.

Pane ad alta idratazione quindi con una percentuale più alta di acqua rispetto alla farina.

I dosaggi sono:360 ml di acqua tiepida circa 25 gradi, 110 grammi di lievito liquido (licoli o lievito francese)

Si aggiunge all’acqua il lievito che deve galleggiare, quando è pronto ( significa che i lieviti stanno facendo il loro metabolico mestiere)

Si mescola facendo sciogliere il lievito nell’acqua

Si aggiungono pian piano, girando per evitare grumi, 500 grammi di farina.

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Non si deve arrivare alla stessa massa elastica a cui si arriva solitamente, quando si prepara l’impasto. Questo perché si deve stimolare l’idrolisi, ovvero la ripartenza del lievito, che è favorita da una maggiore superficie di scambio con l’aria ovvero appunto da una certa rugosità dell’impasto.

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Si copre con una pellicola e si lascia riposare. A temperatura ambiente, in casa se d’inverno, o nel posto più fresco della casa, d’estate. Minimo mezz’ora, meglio un’ora. Qualcuno si spinge fino a due ore. Da questa fase e da quella successiva, le pieghe, dipende il successo della lievitazione ed il segreto di un pane ben bucherellato, fragrante, saporito.

Di nuovo: prima dello sterminio finale in forno, i lieviti per qualche generazione, devono vivere una vita serena, felice e nell’abbondanza.

La loro felicità si tradurrà nella nostra quando affetteremo il pane.

Dopo mezz’ora si fanno le pieghe. Usando una paletta o le mani si formano delle onde che si ripiegano sull’impasto, girando la ciotola di una novantina di gradi ogni volta. In questa fase, per i non toscani, si aggiunge il sale.

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Si fanno due o tre giri. Poi si ricopre.Nell’oretta e mezza successiva si ripete l’operazione due o tre volte.Dopodiché si mette in frigo a maturare 24 ore.

Il giorno dopo si toglie dal frigorifero, Si mette l’impasto sulla spianatoia o su un piano su cui avrete sparso un poco di farina per non fare attaccare tutto e si fanno le pieghe di rinforzo o, come si dice, si forma il pane: l’impasto va steso e poi piegato come se fosse un asciugamano, con due pieghe da un lato e due da quell’altro, dopo aver steso di nuovo un poco. Chiarimenti? Qui un video.

Si copre con un panno e si lascia sulla spianatoia, su una carta forno a riprendersi.Per un’ora, un’ora e mezzo.

Trascorso questo tempo dovreste essere pronto per informare.

Lo saprete se superate la prova del dito: una leggera ditata all’impasto deve creare un craterino che rimbalza lentamente all’insù.

L’impasto deve essere elastico. In caso contrario: avete esagerato con la lievitazione dopo le pieghe di rinforzo. Se torna su troppo velocemente, rimbalza all’istante, deve ancora lievitare. Se supera la prova, siamo pronti!Accendete il forno e portate a 250 gradi, facendo scaldare nel forno la teglia che userete per cuocere il pane. Si fanno i tagli che serviranno da guida per la lievitazione in forno, si prende la carta forno con tutto l’impasto e si mette sulla teglia, che avrete per un attimo tolto dal forno.Il forno deve essere impostato senza ventola, statico, con le sue griglie superiore ed inferiore accese. Dopo 7/8 minuti abbassate a 220 gradi e cuocete per altri 40 minuti circa.

Sfornate, togliete il pane dalla teglia, altrimenti si secca e lasciatelo raffreddare almeno un’ora, appoggiato su una griglia o comunque un poco sollevato, per evitare che si accumuli condensa sulla parte di appoggio.

Pronti, coltello, via! GNAM.

La riforma del Mes: come trasformare un incubo in una farsa.

Il MES meccanismo europeo di stabilità è la notizia di apertura di tutti i telegiornali, in questi giorni.

Il famigerato fondo “salvastati”, prevede prestiti a bassissimi interessi a paesi in cirisi finanziaria che non potrebbero accedere ad altri sistemi di finanziamento. Come la Grecia ci ha mostrato anche troppo bene, quando un paese chiede questi aiuti, rinuncia di fatto alla propria sovranità, esponendosi a ristrutturazioni telecomandate di tutto il sistema previdenziale, sanitario, economico.

Quelli che ne sopportano le peggiori conseguenze sono la parte più debole del paese. I disastri sociali che queste politiche draconiane comportano, le sommosse, i suicidi, i milioni di senza lavoro, non possono, per espresso regolamento istitutivo del mes stesso, essere imputati a chi li ha generati.

Il board di controllo del mes infatti non è imputabile per le conseguenze delle sue decisioni. Questo assurdo vulnus, che mette di fatto interi paesi alla mercé di pochi individui, senza alcun possibile controllo e gli evidenti disastri seguiti alla concreta applicazione del meccanismo in Grecia hanno creato in tutta Europa una potente corrente di opinione che ha imposto una riforma. Questa riforma viene ora votata in tutta Europa ed anche l’Italia, con i mal di pancia di cui avete letto, l’ha appena approvata ( non è esattamente così , ma non dilunghiamoci).

Erano motivati quei maldipancia?

Risposta breve: si, assolutamente e non sindacabilmente.

Il MES che esce dalla riforma è infatti infame quanto il precedente: l’impunita’ assoluta resta ed totalmente anticostituzionale per qualunque stato europeo.

Questo livello di impunità non è garantito a nessun altro cittadino dell’Unione, compresi presidenti della repubblica e sovrani, che devono comunque rispondere nei casi di attentato alla costituzione, alto tradimento etc .

Inoltre, il principale motivo della riforma, eliminare le precondizioni che di fatto trasformano un paese i nuna colonia non è stato raggiunto.

Per poter fare richiesta senza precondizioni, un paese deve rispettare questi punti:

  • non essere in procedura d’infrazione; 
  • vantare un deficit inferiore al 3% da almeno due anni;
  • avere un rapporto debito/PIL sotto il 60% o, almeno, aver sperimentato una riduzione di quest’ultimo di almeno 1/20 negli ultimi due anni, insieme ad un’altra serie di paletti non facilmente giudicabili a livello oggettivo.

Capite bene che un paese che ha problemi finanziari ben difficilmente si troverà queste condizioni.

Di fatto, il nuovo MES si applicherà senza condizioni a semplice domanda, a paesi sostanzialmente solidi e finanziariamente “sani” escludendo quasi tutti i paesi europei, eccettuato Germania, Olanda, Danimarca, Polonia, e gli altri paesi ex patto di Varsavia.

O meglio: si sarebbe applicato. Perché, dopo i fiumi di denaro riversati nell’economia da tutti i paesi, attualmente nessuno dei principali Stati europei rispetta questi punti.

Ma allora a che serve?

“Semplice”: a parte una revisione delle procedure di default ( i cosiddetti cac) che consente di ristrutturare più facilmente i debiti dei paesi in difficoltà, comunque in corso e non particolarmente significativa, il nuovo MES servirà a salvare non paesi ma banche in difficoltà, qualora siano abbastanza grandi da poter generare un rischio sistemico per il paese e/o per l’Unione.

E’ il cosiddetto “backstop” per il Fondo di risoluzione unico, un fondo finanziato dalle banche europee che serve ad aiutare istituti finanziari in difficoltà. Con l’introduzione del “backstop” il MES potrà finanziare il Fondo di risoluzione fino a 55 miliardi;

Le banche più esposte a crisi sistemiche sono le seguenti.

Curioso che buona parte degli istituti che hanno queste caratteristiche abbiano sede in Germania ed in Francia, no?

Curioso che il più grande Istituto bancario tedesco, la Deusche Bank. Sia da anni una mina vagante, una bomba finanziaria in attesa di esplodere, che mezzo mondo cerca di disinnescare, no?

Da notare come questi istituti suppostamente “solidi” abbiano investito un multiplo del loro patrimonio in strumenti puramente speculativi, come i futures.

Il rischio segue al fatto che, in buona sostanza, quando il mercato prende una decisione chiara e rapida, i futures, normalmente bilanciati tra scommesse al rialzo ed al ribasso ( questo sono i futures), si trovano improvvisamente sbilanciati e quelli avversi all’evento che si sta verificando devono essere liquidati con perdite che spesso si avvicinano all’intero capitale investito.

Ricapitoliamo: con la riforma la parte più disgustosa del MEs resta invariata. A questa si aggiunge la possibilità di salvare con i soldi di tutti i cittadini europei, grandi sistmei bancari che, per pareggiare i conti con l’acquisto a tassi negativi dei bond nazionali, si espongono a scommesse rischiosissime, con la consolazione che la politica provvederà a costituire un paracadute , in caso di guai.

A questo Mes non si poteva non votare no, se davvero si aveva a cuore l^?Europa, la solidarietà la sussidiarietà etc etc etc.

Lo so, sono in cattiva compagnia, dal punto di vista politico, in questa mia disanima. Ma, come si dice, anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno…

Niente basta, a colui al quale non basta quel che è sufficiente/10 Il pedal coin

Il pedal coin, storia di una idea promettente

Quel che segue è uno zibaldone di lavoro, da cui avevamo sviluppato nel tempo varie ipotesi operative, non riproducibili su un blog. Serve comunque, spero, ad introdurre e mostrare in cosa sarebbe consistito il pedal coin.

Purtroppo se qualcuno l’introdurrà, state pur certi che NON sarà in open source…

Molto semplicemente, dopo un paio di anni di divulgazione nei nostri circoli amicali, magari per convergenze parallele, magari perché vi sono pochi gradi di separazione fra due individui qualunque sul pianeta….è arrivato questo.

Con tanti cari saluti allo spazio per un futuro libero ed indipendente del concetto.

Unica consolazione: le idee, i memi, non ti appartengono davvero. una volta divulgate, vivono nella testa di chi le condivide.

( segue lo zibaldone, per chi ha voglia)

PEDAL COIN: UNA PROPOSTA OPERATIVA

INTRODUZIONE

Dopo la nascita dell’antesignana, Bitcoin, sono state create centinaia di monete virtuali, ciascuna con le proprie specificità ed i propri punti di forza, ciascuna in lotta per la sopravvivenza, alla ricerca di una nicchia di mercato.

Tutte si basano su due concetti fondamentali: il registro distribuito o distributed ledger e la catena di blocchi o blockchain come metodo di archiviazione condiviso.

Esistono due principali protocolli di funzionamento del “distributed ledger” con infinite e continuamente modificate varianti: il cd proof of work e il cd. “proof of stake”.

Questi protocolli, implementati in modo diffuso, costituiscono il segreto del successo di queste monete “virtuali”, perché, sostanzialmente, premiano gli utenti del sistema che forniscono la capacità di calcolo necessaria a svolgere i complessi procedimenti di calcolo che garantiscono transazioni sicure e la loro archiviazione condivisa nella rete ( cd distributed ledger).

Questo processo di calcolo a supporto di una particolare moneta si chiama “mining” e viene attuato secondo un particolare protocollo, che nella maggior parte dei casi e segnatamente nella più nota e diffusa di queste monete, il bitcoin, viene “premiato” con nuova moneta, allo svolgimento di un certo numero ( solitamente esponenzialmente crescente nel tempo) di calcoli connessi alle operazioni di validazione.

A causa della sua crescente complessità, che dipende duplicemente dal tempo, sia per la natura stessa del protocollo utilizzato sia perché il numero di transazioni aumenta all’aumentare della moneta in circolo e della sua diffusione, attualmente il mining è una attività che richiede enormi potenze di calcolo, elevati investimenti in tecnologia dedicata ed energia e costi crescenti anche in termini ambientali, per essere una attività remunerativa.

Proprio per questo, appositi panel costituiti dai fondatori della rete hanno più volte rivisto il protocollo di funzionamento, al fine di renderlo meno energy intensive, mantenendo lo schema di funzionamento, anche al fine di garantire la principale delle caratteristiche di queste monete, ovvero la loro natura di moente a credito ( vengono emesse solo a fronte di una attività e/o un investimento), tendenzialmente deflattive. Infatti il numero di monete totali è predefinito o mediante una unica emissione una volta per tutte o, come nel caso dei bitcoin, dalla crescente difficoltà di ottenere nuova moneta a fronte di un dato lavoro di calcolo eseguito.

Benché non sia lo scopo del presente lavoro fornire una analisi anche solo pallidamente esaustiva del concetto di moneta, si fa solo presente che la “virtualità” di queste monete è sostanzialmente simile a quelle delle monete ordinarie più diffuse, che sono anche esse, strettamente, virtuali

Sono infatti monete cosidette “fiat” ( dal fiat lux, di biblica memoria: sono un atto di imperio di una organizzazione nazionale o sovranazionale ( l’euro) che le fa “esistere”).

Da tempo, quindi, il denaro è un mezzo di scambio non connesso ad una singola e particolare entità fisica, potendo così essere prodotto nella quantità e con le modalità desiderate.

Il suo valore, dipende dal mercato, ovvero dalla utilità percepita dal suo possesso e quindi dall’interscambio con altre entità virtuali ( altre monete fiat) o reali ( beni e servizi, ad esempio il petrolio).

Per la loro natura “speculativa” le monete virtuali sono state prima ignorate e poi fieramente irrise, fino a che, circa tre anni fa si è assistito ad una esplosione del valore , iper esponenziale e speculativa, che ha visto un bitcoin passare da poche decine  a 1200 dollari, crollare a poco più di 100 dollari e rimbalzare poi fino a quasi ventimila dollari di valore, trascinando con se le principali monete.

Attualmente si assiste ad un forte ridimensionamento da quei valori stratosferici ed ad un opportuno ripensamento sia sui protocolli sia sulle potenzialità delle varie monete. Alla fine, come è logico che sia, delle centinaia esistenti, ne resteranno solo poche, ciascuna presumibilmente, andando a coprire una nicchia differente di diffusione e funzionamento.

Il pedal coin è una proposta operativa che intende creare una “” moneta” o, più correttamente un mezzo di scambio che sia basato:

  • Sul distributed edger
  • Su un metodo di funzionamento e consenso affine alla proof of work (POW) o proof of burn ( POB). Nel caso di una proof of Work andrà valutata la possibilità di un protocollo tipo mimble wimble3
  • Su una precisa attività fisica che sia verificabile tramite  una funzione di hash crittografico con HW di bordo
  • firma digitale
  • rete permissionless peer to peer ( p2p)
  • crittografia a chiave pubblica e privata.
  • Che generi benefici diretti ed immediati con la sua stessa esistenza
  • Che possa vedere la sua utilità sociale, economica ed ambientale riconosciuta dalla rete finanziaria tradizionale, ad esempio sotto forma di sgravi fiscali riconosciuti alla presentazione di tokens, in modo da rendere possibile, con vantaggio per ambedue i mondi, un punto di contatto.

L’attività che si intende porre alla base della sua esistenza è tanto semplice quanto intuitiva: il movimento in bicicletta, declinato su qualunque percorso e qualunque finalità. Ovviamente il concetto, una volta implementato, è passibile di essere allargato ad altre attività analogamente “virtuose”.

Rapida analisi dei benefici personali e collettivi attesi dall’uso di un velocipede

Prima di affrontare il tema complesso dei benefici diretti attesi, sembra più opportuno perché ragionevolmente prevalenti, affrontare quello dei benefici indiretti, derivanti, in sostanza, dalla sostituzione di spostamenti attuati con mezzi a motore con spostamenti attuati con velocipedi.

E’ comune consapevolezza che il costo per la collettività degli spostamenti che utilizzano mezzi endotermici o, più genericamente, a motore, è un multiplo di quello percepibile dal singolo cittadino.

Il cittadino infatti è conscio dei costi fissi ( bollo, assicurazione, rate di acquisto e/o deprezzamento) del veicolo che utilizza e di quelli variabili ( riparazioni, manutenzione, incidenti etc) mentre ben difficilmente può rendersi conto di quelli che vengono sostenuti dalla collettività.

Fra questi sono ben visibili quelli legati alla realizzazione ed al mantenimento delle infrastrutture trasportistiche necessarie, strade, viadotti, segnaletica, barriere di protezione; molto meno quelli legati agli aumentati rischi sanitari ( incidenti, malattie croniche legate all’inquinamento, degrado delle condizioni psicofisiche delle persone etc etc). Ancora meno immediatamente visibili sono quelli necessari a mantenere la complessa infrastruttura indispensabile per il rifornimento dei veicoli, il loro smaltimento la loro costruzione, i sussidi( spesso immensi) alle aziende del settore, agli autotrasporti etc etc.

Tali sussidi ai settori interessati sono spesso i maggiori, percentualmente, che lo Stato fornisce al sistema produttivo, ed i costi infrastrutturali accennati sono tra i principali che deve affrontare.

Senza, naturalmente, tener conto delle problematiche connesse  alle guerre, agli sbalzi del mercato petrolifero, etc etc. Senza contare, infine, l’immenso danno ambientale provocato, la devastazione di interi ecosistemi, il rischio sanitario che provoca decine di migliaia di morti all’anno.

Esiste una ampia, quasi infinita, messe di studi che hanno affrontato l’insieme di questi costi, palesi ed occulti, alcuni citati in bibliografia. Qui basterà ricordare uno degli studi più puntuale e recente, europeo, che ha stimato queste esternalità ( i costi che la comunità affronta per ogni km percorso in auto)  in 11 centesimi al km percorso, mentre ha stimato in 18 centesimi i benefici ( esternalità positive) derivanti da 1 km percorso in bicicletta ed in 37centesimi a piedi.

I costi complessivi affrontati in Europa per garantire il trasporto automobilistico sono stimati in 500 miliardi euro all’anno.

Se si tiene conto del basso tasso di riempimento delle auto, mediamente meno di due persone a veicolo, si può ritenere che i benefici costituiti dall’usare la bicicletta al posto dell’auto, immaginando di sostituire un’auto con due passeggeri con due persone in bicicletta, siano pari a circa 11/2+18*2=41,5 centesimi al km.

Tutto questo serve a fornire una possibile base di calcolo per agganciare una moneta che viene generata se e solo se si pedala, spostandosi tra due punti geografici differenti, al mondo economico reale. Il pedal coin, in sostanza, si propone come una specie di “certificato bianco”a minimale ed accessibile a tutti, con un suo mercato ( la piattaforma stessa) un suo metodo di archiviazione, distribuzione, certificazione e generazione ( la blockchain, il distributed ledger e la proof of work) e un suo valore di partenza, determinato dalla utilità ambientale sociale ed economica che la sua stessa esistenza attesta. Tale valore, inizialmente per motivi politici/ambientali, ma ben presto per motivi concretamente economici e sociali, dovrebbe o potrebbe essere riconosciuto dagli Stati in cui viene implementato, ad esempio sotto forma di sgravi fiscali riconosciuti dalla presentazione di pedal coins, secondo un interscambio che sia dell’ordine di grandezza necessario a riconoscere almeno il 50% dei benefici attesi al presentatore di pedal coin. E’ bene chiarire che il presentatore dei pedal coins potrebbe NON essere colui che ha materialmente pedalato per i corrispondenti chilometri ma che tali pedalcoins esistono solo grazie al fatto che si è svolta QUELLA e non altre attività ( proof of work).

Implementazione

L’implementazione prevede un protocollo simile alle versioni più “leggere” del protocollo di funzionamento del distributed ledger e relativadi bitcoin. Tale protocollo leggero è necessario perché il calcolo si svolge sfruttando la potenza di calcolo disponibile sugli smartphones attuali.

Il processo di mining si avvia SE e solo se, il dispositivo è agganciato con procedura di crittazione a doppia chiave, ad un minidispositivo connesso alla bici ( può essere portato anche in tasca) che, dotato di piattaforma inerziale di derivazione dalle schede dei cellulari attuali, dia dati di posizione velocità e caratteristiche di movimento congruenti con quelli risultanti dal cellulare stesso.

In poche e più semplici parole, se il sw di mining non vede un movimento che è assimilabile al pedalare ed analogamente il dispositivo “di bordo” ( può essere un gadget che fornisce una buona luce frontale e contiene l’accellerometro ed il dispositivo di connessione bluetooth) non vede lo stesso movimento, con una tolleranza la più stretta possibile, il mining NON si attiva.

I PEDAL COINS VENGONO GENERATI, TASSATIVAMENTE, SE E SOLO SE SI PEDALA, SU UN PERCORSO DEFINITO E MISURABILE TRAMITE GPS. Ecco perché una modalità tipo la proof of burn, che prevede di “bruciare” una certa quantità, in percentuale, dei token generati, in cambio di tokens premiali potrebbe permettere di collegare questi ai km percorsi, grazie alla variabile tempo, a sua volta connessa alle transazioni eseguite ed alla disponibilità di rinunciare ad un dato numero di token. Una cosa comunque da approfondire e non banale, come appare ovvio.

Proof of work e pedal coin analisi alternative

Un modo compatto e necessariamente semplicistico di definire la complessa serie di calcoli numerici sottostante alla validazione dei blocchi, nota come proof of work, è che la proof of work  consente alla rete di non essere aggredibile da un hacker o un truffatore che voglia creare transazioni fittizie finalizzate o al collasso del sistema per sovraccarico ( DOS attack) o alla generazione di profitto per lui, tramite incameramento illegittimo dei tokens ( delle monete virtuali) circolanti. In pratica, poiché i nodi della rete sono tutti ugualmente qualificati a riconoscere e validare una certa transazione, un attacco che crei una motitudine di noi che validino una operazione truffaldina potrebbe creare un forking, cioè un ramo della rete che, pur fittizio, essendo basato su una operazione scorretta, riceverebbe la maggior parte degli assensi e quindi verrebbe riconosciuto valido. Proprio la potenza di calcolo necessaria a validare un blocco di transazioni, legata alle modalità di formazione e validazione dei blocchi attività che viene remunerata dalla generazione di nuova moneta,  permette di bloccare queste intrusioni malevole, per insufficiente capacità di calcolo. Se quindi il concetto alla base della proof of work, evitare intrusioni malevole volte a far collassare il distributed ledger o modificare a proprio vantaggio lo stesso, ottenendo un reddito illecito, è questo, ecco che il pedalcoin come concepito, appare in grado di ottenere lo stesso risultato sostituendo alla proof of work la proof of pedal. 

Infatti un nodo malevolo, per far validare una transazione scorretta, o tentare un attacco DOS, dovrebbe prima di tutto fornire una proof of pedal ovvero mostrare che sta pedalando e che i suoi dati sono congruenti con quelli del device. Ma, ovviamente, non è possibile generare istanze multiple perché si avrebbe bisogno di device multiple che siano a loro volta congruenti con nodi multipli ed attivi ( stiano pedalando) congruenti con essi.

Proprio perché è basata fisicamente, su una azione difficilmente duplicabile o falsificabile, la proof of pedal non appare forzabile se non con il consenso della maggioranza dei nodi, cosa che non appare possibile ne probabile ( le device hanno chiavi private che le rendono non modificabili o crackabili). Il pedal coin viene generato, quindi, a fronte di una attività, una proof of work, che dipende dai km percorsi secondo un algoritmo da verificare. Ogni nodo attivo, ovvero che sta pedalando contribuisce alla validazione DIRETTA ( senza calcolazioni complesse ulteriori, dato che la rete non è forzabile) dei blocchi e viene direttamente premiato in modo costante, in dipendenza dei km fatti. L’aggancio alla rete avviene dopo assenso da parte del device e si mantiene se e solo se i dati ricavati dal device sono congruenti con quelli dello smartphone o smartwatch del candidato nodo. Esiste un limite superiore di 50 km/gg ( possibile grazie al timestamping)  che potrebbe essere imposto sia per evitare forzature nelle attività sia perché vi sono prove che percorrenze elevate non siamo significativamente positive per la salute dell’atleta e quindi, in ultima analisi, per la collettività.

Poiché è essenziale che si mantenga una democraticità tra i nodi ( ogni partecipante alla rete riceve tokens in proporzione ai km fatti) si propone che i tokens generati dalla chiusura di un dato blocco siano generati in proporzione dei km totali percorsi nel tempo generato dalla creazione del penultimo blocco da tutti i nodi partecipanti alla validazione e siano distribuiti in uno di due possibili modi:

  1. in maniera equa fra tutti. Benché in questo modo chi percorre più km viene premiato meno di chi ne percorre di meno nello stesso tempo, si ritiene che il tempo intercorso sia sufficientemente breve da non creare pesanti distorsioni e comunque potrebbe essere stabilito un limite minimo e massimo alle velocità di validazione di un nodo ( ad esempio 10 e 35 km/h) dato che quel che si vuole incentivare, ricordiamocelo sempre è LO SPOSTAMENTO in bicicletta tra due punti e non l’attività fisica in quanto tale e si ritiene quindi che velocità troppo alte o troppo basse siano indizi di attività diverse da quelle che intendiamo promuovere.
  2. In maniera proporzionale ai km percorsi dal singolo nodo nel tempo intercorso. In questo modo si mantiene un incentivo maggiore per chi, in un dato tempo si muove più velocemente, cosa di per se non obbligatoriamente sempre e comunque positiva. Rimane però il vantaggio sia di una maggiore equità che di un legame stretto con il contributo dato dal singolo al benessere collettivo.

I sensori necessari sono già presenti dentro ogni cellulare ( l’accelerometro dei cellulari è già in grado di riconoscere, grazie a molti sw liberamente scaricabili, il tipo di attività fisica svolta, il nr. di passi o di pedalate etc etc) e sono anche facilmente reperibili in forma estremamente miniaturizzata, ed economica, basterà qui ricordare gli orologi ed i bracciali utilizzati per le attività fisiche da milioni di atleti e semplici praticanti amatori, nel mondo. Si presuppone probabile una implementazione della piattaforma HW di conferma, cd “device” a partire da arduino e sensoristica connessa, per un costo stimabile, a sensore, di circa 5-15 euro e di circa 30-50 euro del device ( verifica necessaria). Da notare che il device ha anche l’utilissima caratteristica di poter costituire un ottimo allarme in caso di furto e che potrebbe essere realizzato in un bundle con altre utilità, ad esempio una luce e diffusore sonoro, una radio fm.. etc etc

La presenza di un doppio sensore, il proprio cellulare e il device di bordo” con collegamento a doppia chiave, rende difficili le truffe.

Si ritiene comunque che il valore tendenzialmente basso e comunque pari al massimo ad una ventina di centesimi, di un km percorso, nella sua interfaccia con il mondo reale tramite i riconoscimento di sgravi fiscali ( il 50% o meno dei benefici collettivi attesi per l’attività) renda scarsamente interessante l’implementazione di sistemi in grado di ingannare sia il sw sia il sensore “di bordo” che andrebbe, in qualche modo, pensato come certificato o certificabile e dotato di una sua univoca identità, per quanto anonima.

Da notare che il device può essere venduto con un riconoscimento parziale di un tot di pedal coin, che in qualche modo costituirebbe sia un modo di finanziare lo sviluppo dell’idea sia un modo per restituire utilità sotto forma di tokens a chi partecipa alla offerta iniziale di pedal coins. Si propone un intercambio credibile, ma comunque non troppo elevato, dato che i pedal coin saranno connessi ai km percorsi con valori in termini di ondo reali, bassi. ( 10 O 20 CENTESIMI A PEDAL COIN). Si vuole inoltre incentivare la creazione di valore mediante attività e non i rentier, che comprano device e non li usano.

Ad esempio 100 pedal coin, per un device da 50 euro.

O 200 per un device da 100 euro.

resta da chiarire:

  • Licenza per difendere l’idea. Propongo creative commons: chi vende sensori certificati e ci guadagna deve pagare le royalties previsti dalla legge. Chi li realizza senza fini di lucro ( ad esempio, un istituzione pubblica) e li distribuisce liberamente, no.
  • Il protocollo proof of work che sia leggero e compatibile con la potenza di calcolo disponibile e, nel contempo sia fisicamente agganciato ( tot al km, in qualche modo e non tot al minuto, per evitare che qualcuno vada in bici a passo di lumaca e faccia mining come un atleta in allenamento)è corretta la visone che vede la proof of pedal sufficiente?
  • Costi e modi di realizzare e certificare il sensore “on board”.
  • Lancio dell’idea, media coverage, endorsment politico e sistemico etc etc.

Bibliografia/riferimenti

I certificati verdi ed il loro fallimento https://www.theguardian.com/environment/2009/mar/10/lovelock-meacher-slam-carbon-trading

Stabilità ed affidabilità del Nakamoto consensus: https://eprint.iacr.org/2019/943.pdf

The Social Cost of Automobility, Cycling and Walking in the European Union

StefanGösslingabcAndyChoidKaelyDekkereDanielMetzlerf

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0921800918308097?via%3Dihub

The True Costs of Automobility: External Costs of Cars Overview on existing estimates in EU-27

TU Dresden Chair of Transport Ecology Prof. Dr. Ing. Udo J. Becker Thilo Becker Julia Gerlach

https://stopclimatechange.net/fileadmin/content/documents/move-green/The_true_costs_of_cars_EN.pdf

3 https://www.binance.vision/it/blockchain/what-is-mimblewimble

Mimblewimble cambia il modello tradizionale delle transazioni blockchain. In una blockchain MW, non ci sono indirizzi identificabili o riutilizzabili, quindi tutte le transazioni appaiono ad un estraneo come dati casuali. I dati della transazione sono visibili soltanto ai rispettivi partecipanti. Quindi, un blocco Mimblewimble appare come una grande transazione invece di una combinazione di tante. Questo significa che i blocchi possono essere verificati e confermati, ma non forniscono alcuna informazione in merito a ciascuna transazione. Non è possibile collegare gli input individuali ai rispettivi output. Mimblewimble utilizza una funzione chiamata cut-through, in grado di ridurre i dati all’interno dei blocchi rimuovendo le informazioni sulle transazioni superflue. Quindi, invece di registrare ogni input e output (dai genitori di Alice a lei, e da Alice a Bob), il blocco registrerà solo una coppia input-output (dai genitori di Alice a Bob). In breve: Permette a una blockchain di avere una cronologia più compatta, più facile e veloce da scaricare, sincronizzare e verificare.

Inquadramento generale sui DL, blockchains e proof of work https://www.blockchain4innovation.it/esperti/blockchain-perche-e-cosi-importante/

Niente basta, a colui a cui non basta quel che è sufficiente/7

AAA
albero fotovoltaico

Torniamo ai progetti in grande: Abbiamo parlato della necessità di stoccaggio di energia elettrica, come supplemento e supporto alla produzione rinnovabile solare ed eolica. La soluzione proposta è solo una fra le tante possibili, sia a piccola che a grande scala. Naturalmente sarebbe e sarà assolutamente necessario incentivare l’accumulo presso gli utenti finali, anche per ridurre i carichi in rete e garantire una maggiore solidità e stabilità della stessa. Gli stoccaggi basati su grandi batterie, di capacità anche superiori al MWh, stanno rapidamente diventando concorrenziali, anche grazie a tecnologie non nuove ma che solo ora stanno arrivando a maturità come le batterie redox.

Esistono varie iniziative legislative per prevedere sgravi fiscali al 50%, la più recente ed approfondita da parte del Presidente di Commissione Industria al Senato, Sen. Girotto, ma per i sistemi di accumulo casalinghi ( prevalentemente batterie, quindi, ma purtroppo la proposta si è arenata, Cfr. questo recente articolo ed anche la relativa petizione su Change.org non ha ottenuto moltissime adesioni. 

Una grande miopia ed una scarsa consapevolezza. Due cose che in futuro cambieranno, sotto la spinta delle opportunità e della necessità.

 Tutte questo soluzioni però hanno affrontato il problema di garantire l’energia su una scala circadiana ( cioè giornaliera) o, al massimo di qualche giorno, per coprire insomma le oscillazioni giornaliere ed i momenti di scarsa produttività. Ma vi sono oscillazioni stagionali, ovviamente, che impongono uno stoccaggio di energia in grande, che permetta, durante i mesi invernali, di non dover ricorrere di nuovo a fonti fossili o al nucleare. Le soluzioni che vengono tipicamente proposte  prevedono di immagazzinare energia producendo idrogeno a partire da celle catalitiche, ovvero utilizzando l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili per poi consumare idrogeno nelle celle a combustibile che consentono di produrre elettricità direttamente, senza passare dalla combustione. 

Questa soluzione sarebbe la più efficiente ( molto meno delle batterie, ma comunque circa un 60-70 % complessivamente) ma ha notevoli problemi pratici ancora non del tutto risolti su questa scala:

  1. stoccaggio dell’idrogeno a lungo termine e sulle taglie necessarie ( miliardi di metri cubi). Lo stoccaggio a lungo termine dell’idrogeno non è semplice, va fatto ad alta pressione e l’idrogeno ad alta pressione ha alcuni peculiarità tra cui quelle di indebolire, nel tempo, il reticolo cristallino dei metalli del serbatoio. Si stanno studiando grandi depositi sotterranei, analoghi a quelli di metano, cfr. questo interessante articolo, ma molte problematiche permangono.
  2. distribuzione. Benché si possono usare almeno una parte della rete attuale del metano restano problemi inerenti la pressione nella rete ed altre problematiche che nel complesso lo rendono complicato. Di solito si pensa che la rete di distribuzione andrebbe interamente rifatta, il che comporta un enorme costo.

Esiste una soluzione alternativa, meno efficiente ma con una sua ragionevolezza, una volta che, come sta succedendo, l’energia prodotta dal fotovoltaico e dall’eolico diventi così economica da poter accettare una perdita di efficienza nei vari passaggi.

E’ una soluzioni con le sue complessità e meno efficiente dell idrogeno. ma ha l’enorme, gigantesco, pregio di poter utilizzare infrastrutture esistenti, centrali esistenti e, in pratica tutta la filiera, immensa già realizzata per l’uso del metano.

Si tratta proprio di questo. Metano prodotto a partire da corrente elettrica. Il cosiddetto Power to gas.

E’ una soluzione poco nota ma già perfettamente realizzabile. Qui ne parliamo perchè, come abbiamo detto, non dobbiamo rinunciare a tratteggiare anche scenari originali o oco battuti, mediaticamente. Tanto più se sono scenari che garantirebbero uno spazio agli attori attuali delle non rinnovabili. uno spazio per la LORO riconversione.

Nelle pagine seguenti presentiamo, in breve questa possibilità, resa tale dal crollo presente ed ancora di più futuro, del costo del MWh solare ed eolico.

La reazione Sabatier.

Consente di produrre Metano a partire da CO2 ed idrogeno:

CO2 + 4H2 → CH4 + 2H2O

La CO2 ce l’abbiamo in atmosfera, in abbondanza. L’idrogeno va prodotto per idrolisi dell’acqua.

La reazione Sabatier è debolmente esotermica ( rilascia energia) mentre l’idrolisi dell’acqua è endotermica, ASSORBE energia. Il bilancio delle due reazioni insieme resta endotermico. Del resto è intuitivo: se serve ad immagazzinare energia, sotto forma di metano, è evidente che DEVE assorbire energia.

 Il metano andrebbe poi consumato in celle a combustibili a metano, attualmente in fase sperimentale.

OVVIAMENTE il metano si può anche utilizzare, in attesa di passare dalla fase sperimentale a quella operativa, nelle centrali a ciclo combinato e nelle turbogas, con la solita, nota efficienza, che oscilla intorno ad un massimo del 50-60% 

Considerando le varie perdite nei vari passaggi, l’efficienza finale può oscillare intorno al 30-35%.

Su 100 unità di energia fotovoltaica ( ad esempio) prodotta, ne potremo stoccare circa 60 sotto forma di metano, per quanto ci riguarda nei grandi depositi sotterranei gestiti dalla Stogit, che sono abbastanza grandi per garantire la produzione di energia elettrica nei mesi invernali, in totale autosufficienza.

Quando questo metano verrà consumato in una centrale a gas a ciclo combinato, otterremo energia elettrica on demand, ovviamente solo per una parte dell’energia del metano stesso. Nel complesso circa il 30-35%. L’immenso vantaggio, naturalmente, è che questo metano può essere prodotto e stoccato per mesi o anni, prima di essere consumato, all’interno di strutture che già esistono, senza la necessità di crearne di nuove e costose. Distribuito con i metanodotti che già esistono, utilizzato come già utilizziamo quello di origine fossile. In poche parole, ci permette di utilizzare le enormi infrastrutture che esistono, dandoci il tempo di passare ad altro. Un tempo che, anche negli scenari più rosei, anche con un paese interamente dedicato alla conversione sostenibile ( vi sembra che stia succedendo?) non potrà essere breve e si misurerà in decenni.

Ricordiamoci che questo metano è carbon neutral: ovvero NON aumenta le emissioni di CO2 in atmosfera, dato che è prodotto a partire dalla CO2 di origine atmosferica. O, in fase sperimentale, per eliminare i costi della distillazione frazionata dell’aria, necessaria ad estrarre la CO2 dalla stessa, dalla CO2 emessa da impianti convenzionali attualmente esistenti, comunque contribuendo, alla fine del ciclo, ad abbattere le emissioni per MWh prodotto di questi impianti. Niente vieta di immaginare un ciclo chiuso per questi impianti, se fossero situati dove sia facile stoccare CO2, (così consentendo una loro gestione economica.

Il pregio di questa soluzione è evidente: abbiamo già tutta l’infrastruttura pronta, e potremmo pensare ad un passaggio graduale dove, via via, ci rendiamo autosufficienti ed indipendenti dagli approvvigionamenti di gas di provenienza estera ( la quasi totalità di quello che consumiamo). 

Non è possibile infatti concepire una transizione troppo rapida, date le penali imponenti spesso presenti come clausole negli attuali contratti di fornitura ( abbiamo ben visto con autostrade) ed è importante considerare l’enorme risparmio conseguente all’utilizzo delle infrastrutture, esistenti, che ci consentirebbe, insieme al biometano di disegnare un percorso credibile al 100% rinnovabile per il nostro paese.

Bisogna anche tenere conto che si stanno sviluppando, come scrivevo, anche celle a combustibile a metano, che potrebbero garantire efficienze molto più alte delle turbogas ed analoghe elasticità di funzionamento.

Ma tutto questo è possibile ? Si, a patto, naturalmente, che il costo del kWh prodotto dal sole sia sufficientemente basso da renderlo remunerativo, una volta tenuto conto del costo al metro cubo del metano.

Quanto costa un metro cubo di metano, all’origine?
Presto detto. In questo articolo recente, si vede che la Gazprom uno dei nostri principali fornitori, vende il gas a circa 16 euro al MWh termico, ovvero 160 euro per 1000 metri cubi. ovvero, tenendo conto dell’efficienza delle centrali, il costo della materia prima gas ai grandi compratori, come l’ENI è di circa 16 centesimi al Metro cubo, 25-35 euro al MWh elettrico, 2.5/3.5 centesimi al kWh di elettricità prodotta. E’ chiaro che questo costo in futuro aumenterà anche sensibilmente. 

Ma il solare può produrre energia a questi costi?

Si, può farlo e lo sta già facendo.

Alcuni grandi impianti nel deserto sono stati recentemente cantierati sulla base di contratti di fornitura che prevedono costi inferiori a 15 euro/MWh, 1.5 centesimi al kWh.

Il costo medio del kWh prodotto, cosiddetto LCOE ( Levelized COst Of Energy) dagli impianti solari di media grande dimensione ( intorno al MWp) è’ sceso, in molti paesi, di circa un 10% all’anno e continua a scendere. Attualmente siamo scesi sotto i 5 centesimi al KWh prodotto

Ma, come abbiamo visto, non basta produrre tanta energia. Bisogna accumularla per usarla quando serve. Anche mesi dopo.

Sarebbe possibile produrre metano a partire dall’energia fotovoltaica a costi uguali o inferiori rispetto a quello in arrivo dalla Russia?

( continua)