Una delle cose su cui sociologi e psicologi concordano è che quando i fatti entrano in conflitto con gli schemi mentali che usiamo per analizzarli, si genera sofferenza. Può essere passeggera, ma se il conflitto fra realtà e mitologia è duraturo e forte, la sofferenza cresce fino a sfociare in sentimenti potenzialmente molto distruttivi, come la rabbia ed il desiderio di vendetta.
Questo è un fenomeno antico quanto l’uomo, ma non per questo meno doloroso quando capita a noi. E quello che sta capitando gradualmente all’intera umanità è proprio questo: abituati da diverse generazioni a pensare che il destino dell’umanità fosse un graduale, faticoso, ma inarrestabile ascendere dalla caverne alle stelle, ci troviamo a gestire un processo ben diverso. Al netto degli appartenenti alle classi più privilegiate, oramai molti avvertono, anche solo a livello inconscio, che è ora di archiviare programmi di crescita e sogni di grandezza per imparare ad accontentarsi del sempre meno che c’è. Per molti nel mondo si tratta anzi di rinunciare alla speranza di uscire da quella miseria che, gli era stato assicurato, sarebbe stata del tutto provvisoria. Una speranza, si noti bene, che era diventata il cuore del nostro sistema di pensiero, sostituendo o marginalizzando tutto il resto. Perciò, oggi, tutto ciò crea uno stato di sorda sofferenza che, in occidente, si manifesta perlopiù in una forte sensazione di essere stati ingannati e defraudati. Un sentimento cui spesso
porta un certo sollievo il dare la colpa a qualcuno.
A livello personale il meccanismo psicologico è abbastanza semplice: se posso individuare il responsabile della mia sgradevole situazione posso pensare di combatterlo e, almeno potenzialmente, posso recuperare i miei diritti o, perlomeno, vendicarmi. Comunque, potrò evitare di accollarmi una quota, sia pur minima, di co-responsabilità.
A livello collettivo la dinamica fondamentale è la stessa, ma con in più il volano moltiplicatore delle retroazioni che si creano all’interno di comunità i cui membri si confermano a vicenda, alzando via via la posta ed i toni. Internet rappresenta un catalizzatore nuovo e formidabile di questi processi.
Molte società antiche conoscevano bene queste dinamiche e le gestivano tramite appositi rituali che avevano appunto lo scopo di offrire uno sfogo controllato all’ira popolare e mantenere la pace sociale. Altre volte, politici assetati di potere hanno usato- e tuttora usano – gli stessi meccanismi al contrario; cioè per alzare la febbre sociale e far del torbido in cui pescare. Orwell ne ha fatto una descrizione letteraria perfetta, ma fu, credo, Anna Arendt che identificò questo tipo di manipolazione come uno degli elementi caratterizzanti i governi totalitari. O aspiranti tali.
In qualità di cittadino europeo post-picco, credo che tutto ciò ci riguardi molto da vicino.
La ricerca di qualcuno a cui assegnare la colpa di qualunque calamità ci colpisca sta diventando frenetica. Se poi il soggetto identificato è anche effettivamente corresponsabile della crisi, tanto meglio. Se non lo è pazienza, l’essenziale è individuare un nemico, sconfitto il quale tutto tornerà come prima, anzi meglio. Il fatto che la storia e la cronaca dimostrino che tutto questo non porta mai niente di buono non può cambiare né i sentimenti delle persone, né le loro reazioni. Specialmente a livello collettivo.
Dunque la caccia al capro continua. Anzi è appena cominciata ed al momento c’è una vera folla di possibili canditati a tale catartico ruolo: le istituzioni comunitarie, i banchieri ed i politici sono fra i più gettonati. Ma non mancano soggetti più tradizionali come varie categorie di stranieri e gli “evergreen” ebrei e zingari; fino a giungere ad un assoluto “loro”, passando per i rettiliani e gli Illuminati.
Veramente ce n’è per tutti i gusti cosicché la rabbia popolare si distribuisce ancora su troppi soggetti per poter essere efficacemente manipolata ed indirizzata dal prossimo “padre della Patria”. Ma l’esperienza storica ci insegna che queste fasi caotiche non durano per sempre. Dapprima impercettibilmente, alcuni dei candidati “capri” cominciano a riscuotere più successo di altri ed il meccanismo della reciproca conferma li fa salire in classifica. Questo li rende più visibili, attivando retroazioni che, superata una soglia imprevedibile, possono creare molto rapidamente dei fenomeni di massa incontrollabili e cruenti.
Un altro aspetto importante da considerare è che alcuni di questi soggetti, ad esempio banchieri e politici, non solo sono in grado di difendersi, ma sono anche in grado di dirigere altrove l’ira che li minaccia. Non tanto dando una migliore immagine di sé, quanto agitando davanti agli occhi del “99%” il drappo rosso di altri soggetti, ben più facili da colpire. Ed è qui che interviene la comunità islamica europea (nei labili limiti in cui ha senso parlare di “comunità islamica”.
A livello europeo i mussulmani sono circa il 3% della popolazione, circa un terzo del flusso migratorio (dati Eurostat). Il paese dove sono più numerosi è la Francia con l’8%; in Italia sono il 4% e di questi una buona parte sono albanesi; dunque europei a tutti gli effetti. Tuttavia la percezione comune è assai diversa. Come si vede dalla cartina, gli italiani pensano che i mussulmani (spesso sommariamente assimilati ai magrebini) siano il 20%, mentre in Francia la gente pensa che oramai quasi un terzo della popolazione sia fedele al Profeta. In Ungheria, dove i mussulmani sono lo 0,1%, la risposta più gettonata è 7%! Come è possibile un simile fenomeno?
Sicuramente c’è una parte di responsabilità nei politici e nella stampa che stanno cavalcando il malcontento. Ma in gran parte ciò è dovuto alla comunità mussulmana stessa. E non mi riferisco tanto agli attentati che certo hanno nuociuto molto ai mussulmani del mondo, ma che da soli non bastano. Negli anni ’70 bombe e sparatorie erano all’ordine del giorno, ma non vi furono crisi isteriche di massa come quelle odierne. Forse ancor più dei criminali e degli stragisti, contano i piccoli idioti che danno fastidio alle ragazze sull’autobus, spacciano sotto casa, vanno in giro vestiti in modo volutamente strano, fanno dei figli che non si possono permettere per poi pretendere che vangano presi in carico dalla comunità, ostacolano il traffico con la scusa di pregare, piantano grane per un crocifisso, ecc. Insomma, tutta quella serie di comportamenti che vanno dalla micro-criminalità, fino alla semplice maleducazione che, complessivamente, rendono gli islamici molto più malvisti degli altri.
Per fare un esempio pratico, prendiamo il caso della Germania. Dopo un’iniziale schermirsi, il governo ha aperto le frontiere ai profughi siriani, fra il plauso di gran parte della popolazione. Come previsto, mescolati ai fuggiaschi sono giunti in Europa anche alcuni miliziani dell’ISIL ed altri soggetti molto pericolosi. Ma ciò che ha fatto virare di colpo l’opinione pubblica tedesca dalla propensione all’accoglienza a quella opposta è stato un altro fatto. Nella notte del capodanno scorso, alcune decine di cialtroni su quasi un milione di profughi complessivi, hanno pensato bene di andare in giro a mettere la mani addosso alle donne che uscivano per festeggiare. Lo shock sui tedeschi è stato tremendo, tanto che il governo ha precipitosamente chiuso i rubinetti, senza per questo recuperare nei consensi.
Questo fatto è molto interessante, non per minimizzare il fatto, ma per capire come l’entità del flusso abbia creato una situazione di estrema instabilità in cui basta pochissimo per scatenare reazioni significative. E l’incapacità delle autorità a prevenire e/o castigare efficacemente questo genere di comportamenti peggiora di molto la situazione. Se il flusso crescerà, le reazioni diverranno necessariamente violente, qualunque cosa ognuno di noi pensi.
Naturalmente, la maggior parte dei mussulmani, sia europei che immigrati, sono gente che aspira semplicemente a campare tranquilla, ma alcune decine di migliaia di idioti strafottenti sono più che sufficienti a bollare un’intera comunità. Se ne rendono conto benissimo parte degli interessati. Personalmente ho più volte udito imam e notabili mussulmani disperarsi di questa situazione, ma senza arrivare ad arginarla. Ma altrettanto numerosi e ben più visibili sono quelli che, al contrario, si ingegnano a fare della provocazione, o peggio.
Il punto cui voglio arrivare è che, in un contesto di crisi economica cronica e crescente tensione sociale, costituire una minoranza identificabile è sempre rischioso. La cosa più savia da fare è tenere il profilo basso e mimetizzarsi, cosa che altri stanno infatti facendo. Una parte minoritaria, ma consistente, della comunità islamica ha invece optato per l’atteggiamento opposto semplicemente perché gli ha funzionato nei decenni in cui un diffuso “buonismo” politicamente corretto ha dominato l’opinione pubblica. Una situazione che sta cambiando e l’effetto moltiplicatore di internet può accelerare il cambiamento in modo sorprendente.
In estrema sintesi, le frange più ostili ed ineducate della popolazione islamica stanno facendo di tutto per offrire la loro gente al ruolo di capro espiatorio, nonappena ce ne sarà davvero bisogno.
“Chi è causa del suo mal pianga sé stesso”