22/09/2016: Fertility day

Il 22 settembre 2016 si celebra in Italia il primo Fertility Day, su iniziativa del Ministero della Salute, in attuazione di un “Piano Nazionale per la Fertilità” (leggere per credere).
Un po’ in sordina, visto il coro di sberleffi che l’iniziativa ha suscitato, ma comunque si farà.

Al di la di tutto, una domanda sorge per me spontanea: perché?

Se fosse un fenomeno solo italiano, si potrebbe facilmente immaginare che si tratti dell’ennesimo marchettone alla Chiesa.   Probabilmente c’è anche un po’ di questo, ma non solo.   Analoghe, demenziali, iniziative sono infatti state prese anche da numerosi altri paesi con religioni dominanti diverse e perfino alcuni stati decisamente laici.   Fra gli altri, USA nel 2011, Gran Bretagna nel 2013, Danimarca nel 2014 e Singapore nel 2013 e nel 2016.   Consola che ovunque l’accoglienza del pubblico ha spaziato fra il freddo e l’adirato, passando per molta derisione.   Ma la questione rimane aperta: quali interessi muovono iniziative così anacronistiche in un mondo in cui l’esplosione demografica sta letteralmente divorando la Biosfera, devastando economie e società, mandando in frantumi gli equilibri geopolitici globali?

Senza voler qui “tirare la croce addosso” a nessuno, vediamo brevemente alcuni soggetti che probabilmente hanno a che fare con questo genere di iniziative.

Il clero.   Una delle cose che accomunano le principali fra le attuali religioni è il difficile rapporto con la sessualità, vista molto spesso come qualcosa di intrinsecamente peccaminoso.   Eppure inevitabile, dunque giustificabile in quanto passaggio necessario alla procreazione.   Il peso politico del clero (di tutte le confessioni) varia moltissimo da paese a paese, così come l’atteggiamento del clero stesso verso la sessualità e la riproduzione, ma in molti casi un’ingerenza c’è.  O perlomeno un retaggio culturale in tal senso.

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Gli economisti.   Oggi costituiscono una specie di clero laico cui la politica si rivolge in cerca di guida e conforto.   Ovviamente, non tutti gli economisti credono nella crescita infinita, ma molti si.   Rifiutando per articolo di fede che dei limiti invalicabili alla crescita esistano e siano quella cosa contro cui ci stiamo sfracellando, passano il tempo a cercare di pensare come “rilanciare la crescita”: universale panacea.   Una delle trovate di moda è che la crescita demografica possa rilanciare l’economia.   In soldoni è semplice: più gente = più consumi = più PIL et voila, il gioco è fatto.    Solo che se per qualsiasi ragione non puoi aumentare i consumi globali in misura sufficiente, più gente significa invece più miseria.   Che è esattamente ciò che sta portando milioni di persone allo sbando, in giro per il mondo.   Ed esattamente quello che sta aumentando ogni tipo di inquinamento e distruzione del Pianeta.

Gli industriali.   Da molto tempo oramai le ricerche di mercato hanno dimostrato che la categoria di persone maggiormente inclini a spendere, anche a vanvera, sono le coppie con bambini piccoli.   Tombola!   Più bambini = più vendite = più crescita ecc.   Per fortuna, moltissime persone (specialmente donne) hanno capito che è una trappola ed altre se ne sta accorgendo.   Non per nulla i tassi di natalità stanno calando più o meno ovunque, ma c’è chi non si rassegna.

I banchieri.   Si fidano degli economisti ed hanno prestato soldi agli industriali.   Se le teorie non funzionano ed i consumi non crescono? Ahiahiahi…

I governi.   Ai tempi di “quando c’era Lui, caro Lei…”, i “figli alla patria” servivano per produrre carne da cannone per improbabili sogni di gloria.   Oggi, uno degli spettri che perseguitano i responsabili di governo è l’evidente impossibilità a continuare a pagare le pensioni.   Il sistema è infatti stato costruito sulla base del presupposto che le generazioni successive sarebbero sempre state mediamente più numerose e più ricche di quelle precedenti.   Circa 40 anni fa si sapeva benissimo che le cose sarebbero gradualmente cambiate, ma tutti hanno preferito ignorare il fatto ed oggi la gente paga per mantenere le pensioni di persone che, nell’insieme, hanno lavorato meno e guadagnato più di loro.   Chi pagherà per gli attuali contribuenti?   Oggi quello che i governi vogliono è carne da tassare, anziché carne da cannoneggiare.   Una bella differenza, certo, ma che col tempo rischia di sfumare.fertility day-fascista

I primatisti di qualunque genere.   In giro ci sono persone che si immaginano di stare combattendo una “guerra del ventre” contro qualcun altro.   Qualcuno lo dice anche chiaro e tondo.   Orbene, questa è una guerra molto particolare perché può solo essere perduta da tutti i contendenti ed anche da chi non la fa.   Dal momento che, indipendentemente dal colore dei capelli e dalla lingua che si parla, abbiamo sostanzialmente le stesse necessità, gli stessi desideri e le stesse paure, aggiungere bocche ad una tavola dove le vivande diminuiscono ed i rifiuti aumentano non è foriero di niente di buono per nessuno.   Un tragico esperimento a macro-scala è del resto in corso da decenni fra Israeliani e Palestinesi.    Ovviamente non tutti partecipano personalmente, ma nel complesso c’è effettivamente una corsa all’incremento demografico da entrambe le parti.   Il risultato è sotto gli occhi di tutti e non dovrebbe richiedere commenti.

E dunque?

E dunque personalmente penso che per una volta la maggior parte della popolazione abbia avuto esattamente la reazione che ci voleva: pernacchie.   Sperando che al ministero non insistano.   Il dramma è che in queste fesserie spendono dei soldi che potrebbero servire da un’altra parte (qualunque altra a questo punto).

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Strategie dissipative

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L’enorme debito che ho nei confronti del pensiero di Charles Darwin consiste nell’acquisita consapevolezza che le trasformazioni si verificano sotto la spinta di necessità, non del caso. Le specie viventi, e parimenti le società, non evolvono se non in risposta ad un cambiamento profondo nelle condizioni di contorno. Se tale cambiamento non avviene le specie, le società, restano immobili.

L’umanità ha attraversato senza trasformazioni significative gli ultimi centomila anni, conducendo un’esistenza di cacciatori-raccoglitori, diffondendosi sulla maggior parte delle terre emerse del pianeta e dando vita a forme primitive di organizzazione sociale. Le principali trasformazioni si sono avute negli ultimi diecimila anni, in seguito alla domesticazione di forme animali e vegetali.

L’invenzione di allevamento ed agricoltura ci ha proiettati fuori dall’equilibrio instaurato con l’ambiente naturale, producendo una cascata di trasformazioni ed innovazioni: la regimentazione idrica, l’invenzione dell’aratro e delle prime macchine, la lavorazione di legno e metalli, l’aumentata disponibilità di energia (cibo, quindi lavoro umano ed animale) per comunità organizzate su larga scala.

Questo surplus di risorse ed energia ha prodotto, come conseguenza, i grandi imperi ed i grandi monumenti del passato. Gli imperatori dell’antichità sapevano bene di dover gestire il consumo di queste risorse, altrimenti l’avrebbe fatto qualcun altro al posto loro, e la soluzione al surplus fu l’erezione di monumenti alla propria grandezza, che le popolazioni percepivano come monumenti all’intera civiltà di cui essi stessi facevano parte.

In questa prospettiva è l’aumento di risorse disponibili, la momentanea ricchezza, ad innescare le trasformazioni sociali, a dar vita agli aggregati umani, alle città, ai regni, agli imperi. Ed è la cattiva gestione di questa estemporanea ricchezza, o il suo inevitabile esaurimento spontaneo, a causarne il collasso.

La crisi di una forma di approvvigionamento energetico produce, come diretta conseguenza, la ricerca di una fonte alternativa. Per millenni la forma di lavoro più utilizzata è stata quella muscolare, umana ed animale, che richiedeva come fonte energetica il cibo. A questa forma di forza lavoro si sono via via affiancate altre modalità, meccaniche, in grado di sfruttare disponibilità energetiche diverse da quelle alimentari.

La movimentazione di pesanti macine si è realizzata sfruttando l’energia potenziale dell’acqua in caduta, per mezzo di mulini idraulici. In qualche caso al posto dell’acqua si è usato il vento, già impiegato come propellente per viaggiare sull’acqua per mezzo di vele. Queste applicazioni erano però strettamente legate ai luoghi dove gli impianti risultavano originariamente localizzati.

La progressiva sostituzione nei macchinari delle parti in legno con equivalenti in metallo ha infine condotto alla possibilità di sfruttare una nuova forza lavoro: la pressione del vapore, e condotto all’epoca d’oro di una nuova fonte energetica: il carbone. Le macchine a vapore innescarono la rivoluzione industriale, rendendo disponibili quantità d’energia pro-capite prima di allora impensabili.

Riassumendo: una tribù di cacciatori-raccoglitori ha a disposizione solo la forza lavoro delle singole persone, e questa viene impiegata integralmente per la sopravvivenza e la fabbricazione di semplici utensili. Una città stato agricola ha parte della popolazione occupata nella produzione di cibo, in questo modo producendo un surplus di cibo in grado di alimentare altra popolazione impiegabile in attività accessorie (artigiani, artisti, sacerdoti, scienziati, militari).

Una civiltà industriale in grado di sfruttare fonti energetiche fossili ha una percentuale minima della popolazione impiegata nella produzione di cibo, ed una percentuale ben maggiore impiegata nella produzione di beni. La quantità di beni producibile comporta la necessità di una ulteriore trasformazione culturale e sociale.

Poiché, come già accennato prima, risulta sul breve termine premiato il soggetto in grado di realizzare il massimo consumo di risorse, qualunque civiltà deve sviluppare strategie dissipative in grado di massimizzare i propri consumi. Da un lato per avere un margine di creatività per sviluppare nuove idee e tecnologie, dall’altro per impedire che le stesse risorse siano rese disponibili alle civiltà antagoniste.

Strategie dissipative che hanno prodotto l’opulenza della civiltà egizia prima e romana dopo. Che hanno visto una crisi temporanea nel medioevo dalla quale si è poi usciti con la rivoluzione industriale. L’enorme disponibilità energetica pro-capite resa disponibile dallo sfruttamento petrolifero si è infine tradotta in un modello culturale e sociale improntato al consumo sfrenato.

Come i grandi monumenti del passato, le città imperiali dell’antichità, furono il prodotto di una trasformazione epocale nella disponibilità di risorse, innescata dall’invenzione dell’agricoltura e dalla metallurgia, così l’automobile privata ed il consumismo sono state la risposta ad una disponibilità di energia pro-capite mai verificatasi prima su così larga scala nella storia dell’umanità.

Nella trasformazione culturale che ha accompagnato tale transizione è risultata funzionale l’invenzione di una nuova ‘idea del mondo’ caratterizzata dalla proiezione delle trasformazioni in atto nel vicino e lontano futuro dell’avventura umana. A distanza di diversi decenni potremmo chiederci come stia andando in realtà. La risposta è molto diversa dalle aspettative nel tempo maturate.

Tutta una serie di concause convergono nel produrre una progressiva riduzione della disponibilità energetica pro-capite. In primis la sovrappopolazione, conseguenza inevitabile dell’aumentata disponibilità di risorse, sta aumentando il denominatore dell’equazione più rapidamente di quanto aumenti il numeratore. Detta in maniera più spicciola, se in un arco di tempo la quantità di energia disponibile aumenta del 50% e la popolazione del 100%, alla fine ognuno avrà a disposizione meno energia, anche se il totale prodotto è superiore a prima.

Il secondo problema è che gran parte dell’apparente aumento di produzione energetica è annullato dalla riduzione dell’EROEI. Se anche la produzione mondiale di petrolio aumenta leggermente da un anno all’altro, quello che si riduce è il conto energetico netto, perché man mano che i pozzi si esauriscono l’estrazione di petrolio diventa via via più costosa.

Il terzo problema è che, ad oggi, non sono state individuate fonti energetiche, fossili o rinnovabili, con un bilancio energetico paragonabile a quello del petrolio all’inizio del ventesimo secolo (un valore di EROEI pari ad 1:100, ovvero 100 barili di petrolio estratti al costo di un solo barile). Possiamo mettere in opera centrali solari ed eoliche, ma non arriveremo mai più alla disponibilità energetica pro-capite degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso.

Il quarto problema è che, al pari delle fonti fossili, anche la disponibilità di materie prime si va riducendo, le miniere sovrasfruttate rendono meno, le terre fertili si impoveriscono e degradano, i costi energetici di produzione aumentano. Queste quattro concause, come i quattro cavalieri dell’apocalisse, rendono ineluttabile un ripensamento delle aspettative globali riguardo alla disponibilità di ricchezza individuale.

La crisi attuale è solo l’avvisaglia di un declino generalizzato nella disponibilità di energia, materie prime e cibo che dovremo fronteggiare nei decenni a venire. Pretendere di affrontarla con gli strumenti culturali del positivismo illuminista, o con l’ideologia della ‘crescita indefinita’, che obnubila ogni analisi di natura economica è, a mio avviso, di una scelleratezza criminale.