C’era vita su Marte e non solo il Sabato sera…

mars gullies mistery resolved
mars gullies mistery resolved

È strano, ma questa storia, mentre scrivo, NON è ancora uscita, pur essendo indubbiamente una storia interessante,anzi, rivoluzionaria.

Non è stata ancora indetta nessuna conferenza stampa dalla Nasa, non è stato ancora pubblicato nessun articolo da un prestigioso e credibile centro di ricerca di rilevanza mondiale.

Eppure, è una storia plausibile. Anzi, se avrete la pazienza di seguirmi in quello che si annuncia un post MOLTO lungo, è forse la storia PIÙ plausibile che si possa attualmente scrivere sul pianeta rosso.

Per mia fortuna, un blogger non ha gli stessi obblighi di un serio ricercatore di un  centro di ricerca internazionale. Il che non lo esime, naturalmente, dallo scrivere storie plausibili, fondate su fatti assodati o almeno su evidenze solide. Prendetela, quindi, come una storia curiosa, che voglio condividere con voi, una storia curiosa quanto affascinante, che resisterà o meno alla prova dei fatti ( ulteriori) che emergeranno nelle settimane,mesi, anni, prossimi.

Cominciamo, come si dice, dall’inizio.

Quando Mariner 9, nel 1971, entrò in orbita intorno a Marte e fotografò oltre l’85% della superficie, fu chiaro che Marte, in un’epoca remota ( lo dimostravano i numerosi crateri sovrapposti) aveva attraversato una o più fasi in cui l’acqua liquida era stata presente. Letti di fiumi disseccati, delta fossili, crateri parzialmente riempiti di sedimenti: le prove erano numerose ed inconfutabili.

una foto di mariner 9

Le missioni dei 40 anni successivi hanno ampiamente dimostrato che non solo l’acqua era stata presente sul pianeta nel passato ma lo era stato per periodi lunghi, centinaia di migliaia di anni per volta, o addirittura milioni.

Restava da capire come era stato possibile che su un piccolo pianeta, molto più lontano dal sole della Terra, in un remoto passato in cui il Sole era più debole di oggi del 20-30%, si fossero verificate le condizioni ambientali perché  vi fosse acqua allo stato liquido per lunghi periodi. La prima e più semplice risposta, per molto tempo, è stata quella di un poderoso effetto serra.

Vediamo la situazione attuale: La pressione media su Marte è circa un cento sessantesimo di quella terrestre ed è alquanto variabile con la stagione ed anche su cicli molto più lunghi ( Marte, non avendo una grande Luna come la Terra, ha moti di precessione sostanzialmente caotici e molto più ampi di quelli terrestri). L’atmosfera di Marte è composta quasi interamente di CO2, con minime percentuali di gas nobili ed azoto.

Da circa dieci anni si è potuto riscontrare anche una presenza saltuaria quanto minima di Metano, in concentrazioni di qualche parte per miliardo. Ancora non siamo in grado di dire se questa presenza attuale sia di origine geologica ( alterazione di rocce basaltiche) o biologica. Solo una analisi isotopica ( la vita predilige gli isotopi “leggeri” per motivi di maggiore efficienza nelle reazioni) ci darà una risposta certa e definitiva.

Anche se sembra poca cosa, in realtà su Marte vi è molta più CO2 che sulla Terra: la pressione parziale di CO2, su Marte, è circa 15 volte quella terrestre e, una volta considerate le diverse dimensioni dei pianeti e la diversa gravità, si può valutare che vi sia circa dieci volte più CO2 che nella nostra atmosfera.

Anche se si tiene conto dell’influenza della CO2 nell’effetto serra terrestre, dal 30 al 60% del totale, a seconda che vi siano o meno nuvole (il vapor acqueo contribuisce all’effetto serra in maniera sensibile), in realtà su Marte è presente comunque un effetto serra più sensibile che sulla Terra.

Tutto questo premesso, la temperatura media attuale su Marte è stimata intorno a 45 gradi sotto zero, con una T massima registrata al suolo di +35 gradi e minime di oltre 170 gradi sotto zero . Anche qualora si raggiungano temperature sopra zero, l’acqua liquida non può esistere, se non per brevissimi periodi, perché, data la bassa pressione, tenderebbe a bollire ed evaporare rapidamente.

Le uniche fasi stabili dell’acqua su Marte, sono quindi quella gassosa e quella solida, il ghiaccio, che è presente sia ai poli, per spessori di alcuni km, che in molte altre aree del pianeta, spesso coperto da uno strato di polvere e sedimenti. Come detto, infatti, l’asse di rotazione di Marte, a causa delle perturbazioni di Giove ( assai più vicino rispetto alla Terra) subisce nel tempo oscillazioni imponenti, decine di volte maggiori di quelle terrestri e quindi i poli hanno occupato, nel tempo, anche aree attualmente poste alle medie latitudini.

E le tracce, certe, di acqua liquida, per periodi non brevi, allora?

Evidentemente, deve essere stato presente un effetto serra imponente, sufficiente a portare la temperatura media, per lunghi periodi, sopra quella di congelamento dell’acqua.

Per decenni questo effetto serra è stato attribuito ad una atmosfera di CO2 molto più spessa di quella attuale.

In tempi recenti, anche a causa della scoperta, come abbiamo visto, di metano, sia pure in tracce infinitesime, questa convinzione ha cominciato a scontrarsi prima con verifiche e simulazioni realizzate con modelli numerici e, in ultimo, con i dati sperimentali delle sonde che orbitano il pianeta e, più recentemente, dei robot sulla superficie.

In primo luogo, numerosi studi e simulazioni, fra i quali citerò questo, hanno dimostrato che, qualora si cerchi di raggiungere condizioni climatiche sufficienti al mantenimento di acqua liquida al suolo, anche pressioni elevatissime di CO2, fino a 5-10 bar ( corrispondenti ad una atmosfera circa trenta volte più densa di quella terrestre attuale) non sarebbero in grado di aumentare a sufficienza la temperatura, perché la CO2 condenserebbe come ghiaccio secco prima che il pianeta si riscaldi abbastanza.

Del resto, non si capisce dove sia finita tutta questa CO2.

La CO2 presente attualmente su Marte, sotto forma di ghiaccio secco, anche se potesse essere fatta tutta sublimare, come viene proposto negli scenari di “terraforming”porterebbe la pressione a 0.4-0.6 Bar, insufficiente per garantire la presenza dell’acqua allo stato liquido, data l’insolazione attuale.

Le cose, miliardi di anni fa, andavano ancora peggio.

Il giovane Sole di 4 miliardi di anni fa, era circa il 30% più debole, tanto che anche la Terra, nonostante una atmosfera MOLTO più ricca di CO2 di quella attuale, ha attraversato diverse fasi glaciali estreme forse fino ad essere ricoperta interamente da ghiacci.

La Terra a palla di neve

Date le prove CERTE della presenza di acqua liquida sulla Terra in quel periodo, si è dovuto, anche per il nostro pianeta, postulare una atmosfera assai diversa da quella attuale, in modo da superare il cd. “paradosso del sole debole”.

A queste osservazioni si è cercato di rispondere, postulando la presenza di carbonati di calcio come “trappole geologiche” per la CO2 mancante, in analogia con quanto successo sulla Terra ( se l’anidride carbonica emessa dai vulcani terrestri non fosse stata “sequestrata” sotto forma di carbonati, poi sepolti, ora avremmo una atmosfera decine di volte più densa dell’attuale, più spessa di quella di Venere e un effetto serra sufficiente a far rimpiangere le brezze primaverili del pianeta gemello).

Il problema è che, grazie alle capacità dell’ultima generazione di sonde, è possibile riconoscere, con affidabilità e risoluzione ottime, la natura delle rocce presenti sulla superficie di Marte, tanto che i siti per l'”ammartaggio” dei robot Opportunity e Spirit sono stati scelti anche per le caratteristiche geologiche dei siti, come risultavano dall’orbita.

Dettaglio di una mappa geologica di marte, USGS

Nonostante queste capacità, di carbonati, sulla superficie di Marte, non ne sono stati rilevati, se non in piccole percentuali e in zone limitate della superficie. Storia simile, analizzando i meteoriti marziani conosciuti.

Dove è finita, allora, tutta la CO2 che avrebbe dovuto essere presente, una volta, per garantire il mantenimento di acqua liquida su Marte? I carbonati che avrebbero dovuto formarsi, per la contemporanea presenza di acqua liquida ed elevate quantità di CO2, dove sono finiti? Sono stati forse sepolti dalle fasi climatiche e geologiche successive, venendo sottratti ad una facile individuazione dall’alto?

Il robot Curiosity, su Marte dal 2012, è stato inviato in un sito molto particolare, il cratere Gale, proprio per cercare di dare una risposta, una volta per tutte a queste ed altre domande pressanti sul passato ed il presente di Marte.

il cratere Gale e la zona di ammartaggio del rover opportunity
il cratere Gale e la zona di ammartaggio del rover curiosity

Il cratere Gale è caratterizzato dal Monte Sharp, una montagna che si eleva di oltre 5,5 km dal suo fondo, una altezza paragonabile a quella delle maggiori montagne terrestri del nostro pianeta ( la più grande montagna singola della Terra è il Mauna Loa, Hawaii, che si eleva di quasi dieci km dai fondali circostanti), ivi compreso il Mt Everest, che, come montagna singola si eleva di circa 4.8 km sulle zone circostanti.

Questa montagna, già dai rilievi fatti dall’orbita, risultava essere formata interamente da sedimenti, che una volta coprivano interamente il cratere e che in seguito alla loro deposizione, in miliardi di anni, sono stati pian piano erosi dal vento fino alla situazione attuale.

Un lato del cratere mostrava chiare tracce di un delta fluviale fossile, così rivelando l’origine probabile dei sedimenti stessi. 5 km e mezzo di sedimenti rappresentavano un periodo assai lungo di deposizione, certo non legato a singoli eventi catastrofici di riscaldamento ma piuttosto ad un periodo o più periodi di sedimentazione di una durata minima di milioni di anni.

Un tragitto di studio che partisse dalla parte più bassa del cratere e risalisse, via via le pendici del monte Sharp, sarebbe stato un tragitto a partire dalle prime fasi di vita del pianeta via via verso tempi più recenti.

Dopo quattro anni, 17 km e Terabye di dati raccolti, Curiosity ha confermato lo scenario, mostrando che, almeno fino alla parte del cratere e del Monte Sharp fin qui esplorati, lo scenario era quello di deposizione in acque tranquille, presumibilmente a cielo libero.

PIA17595-16 marte

Formazione di Yellowknife. Questo, una volta era il fondo di un lago, su Marte

Mancavano infatti le tracce e prove di una sempre possibile deposizione sotto una coltre glaciale ( che avrebbe permesso la permanenza di acqua libera anche in presenza di condizioni ambientali sfavorevoli).

il cratere Gale oltre 3,5 miliardi di anni fa
il cratere Gale oltre 3,5 miliardi di anni fa

I minerali rilevati comprendevano argille, sintomo di una deposizione lenta e tranquilla, derivanti dall’alterazione in ambiente ricco d’acqua di rocce primarie. La natura mineralogica delle argille ritrovate ha mostrato che l’ambiente di deposizione era neutro o ALCALINO. Ovvero, l’acqua in cui si sono formate e deposte queste argille poteva mantenere in soluzione solo concentrazioni molto basse di ioni carbonati ( altrimenti avrebbero dovuto essere acide o fortemente acide). D’altronde i carbonati, che avrebbero dovuto depositarsi nei sedimenti, ovvia conseguenza della impossibilità di mantenere in soluzione la suddetta CO2, in un ambiente che ne avrebbe dovuto essere ricchissimo, erano assenti o presenti in piccole quantità. In realtà una atmosfera con le concentrazioni di CO2 richieste sarebbe stata in equilibrio solo con acque acide o molto acide, deposizione o non deposizione e quindi il solo fatto che le acque di deposizione fossero costantemente neutre o alcaline smentiva questa ipotesi.

In sostanza: quando si sono formati i sedimenti, centinaia e centinaia di metri di fanghi accumulatisi lentamente sul fondo di un tranquillo lago, per un tempo MINIMO di milioni di anni, carbonati in soluzione praticamente non c’erano, ne potevano esserci e di conseguenza l’effetto serra che permetteva il mantenimento dell’acqua allo stato liquido, PER MILIONI DI ANNI, non poteva essere stato causato dalla CO2, in accordo con quanto già risultava dai modelli e da quanto appreso dall’orbita.

Se non era causato esclusivamente dalla CO2 ( cosa, come abbiamo visto già quasi impossibile per definizione) l’effetto serra era CERTAMENTE causato da qualche altro gas o mix di gas.

Non pensiate che queste conclusioni, nonostante il tempo all’imperfetto di questo racconto, siano antiche: l’articolo che ha attirato la mia attenzione e che mi ha spinto ad approfondire l’argomento, è di solo un mese e mezzo fa. Qui la pubblicazione originaria.

Qui un articolo precedente che, analizzando le meteoriti marziane, arrivava alle stesse conclusioni: poca CO2, <1 bar, e pochi carbonati.

In realtà, la mancanza di evidenze scientifiche di una densa atmosfera di anidride carbonica nel passato del giovane Marte, è un dato di fatto ormai acquisito in modo diffuso e solido, anche se recente.

Ok. Quali potevano quindi essere questi gas e quanti dovevano essere per ottenere l’effetto serra necessario?

Risposta rapida: escludendo i gas nobili, il freon, l’ammoniaca ed altri esotici, anche perché su Marte le birre restavano e restano fresche da sole ed i Marziani non avevano bisogno di frigoriferi, ci restano il Metano e l’idrogeno.

birre sempre fresche su marte!
birre sempre fresche su Marte!

In effetti sempre molto recentemente, c’e’ chi si è preso la briga di fare le dovute simulazioni ed ha calcolato che, con una atmosfera “mix” di CO2, idrogeno e metano, Marte avrebbe potuto avere condizioni sufficienti a mantenere l’acqua allo stato liquido anche per pressioni molto più basse che nel caso di una atmosfera prevalentemente di CO2. Il Metano, infatti, è un gas serra MOLTO più potente della CO2, circa 25 volte di più.

Il problema è che anche queste simulazioni postulano una atmosfera di CO2 TROPPO densa(un paio di Bar), per evitare di dover avere troppa H2, che sarebbe scappata rapidamente nello spazio e metano, che ha il brutto vizio di essere scomposto rapidamente dagli ultravioletti solari.

Nelle condizioni attuali di Marte si calcola che una molecola di metano duri circa 350 anni. Anche sulla Terra, che pure ha la protezione dell’ozono, che assorbe gli ultravioletti, la durata del metano è comunque nell’ordine di alcune centinaia di anni.

Benché nel passato di Marte la radiazione solare fosse, come visto, più debole, è comunque impossibile ipotizzare una atmosfera ricca di metano ed idrogeno senza prevedere una vigorosa sorgente per questi gas, tale da permetterne il ricambio in poche migliaia di anni.

Poiché, come visto, è assolutamente vitale postulare una atmosfera ricca di questi gas, resta da determinare quale  ne fosse l’origine.

L’ipotesi, temeraria magari, ma meno di quelle alternative, come vedremo,che fa il sottoscritto è che non solo l’origine di questi gas sia biogena ma che è IMPOSSIBILE che non sia tale.

Ovvero: che è molto ma molto ma MOLTO MOLTO improbabile che possa essere di origine non biologica.

Ovvero che, ai tempi in cui il cratere Gale ospitava un lago, era presente una vigorosa attività biologica che permetteva ad una densa atmosfera di metano, idrogeno e CO2 di persistere, per molti milioni di anni.

La perdita progressiva di idrogeno verso lo spazio, in un periodo di centinaia di milioni di anni, ha reso sempre più difficile il mantenimento duraturo di quantità sufficienti di metano ed idrogeno, con le condizioni adatte alla vita che si riducevano, lasciando la sola CO2, insufficiente a garantire un effetto serra abbastanza potente, che è rapidamente condensata, come ghiaccio secco, via via che la temperatura calava ai livelli attuali,

Episodici periodi con clima più caldo, dovuti alle oscillazioni dell’asse di rotazione, fasi vulcaniche più intense ed altre variabili solari hanno permesso il ritorno di condizioni più favorevoli, ma per periodi sempre più brevi e distanziati tra di loro. Fino all’instaurarsi con qualche variazione del clima e delle condizioni attuali.

Ok: sto DAVVERO dicendo che è possibile provare che è esistita la vita su Marte?, Mettetemi pure il bicorno da Napoleone, anzi: fatemelo mettere da solo, ma…si.

Detail_from_a_painting_of_Napoleon

Con una prova “ad escludendum, ma intendo dire proprio questo!

Vediamo come funziona, la cosa.

Questa ipotesi mi è venuta naturale, dal momento in cui ho letto con notevole curiosità del meccanismo proposto per la produzione di metano abiogeno, cioè di origine non biologica.

Quella degli idrocarburi abiogeni, qui sul pianeta Terra, è quasi una setta, che si basa su pochi e contestati dati, per teorizzare che TUTTI gli idrocarburi siano di origine abiogena e quindi esistano in quantità praticamente illimitate, nel profondo delle viscere terrestri.

Il meccanismo proposto per la formazione di metano abiogeno su Marte, però è completamente diverso ed ha a che vedere con la mia ( prima) tesi di laurea in geologia e, per quanto possa sembrare strano, con questo:

Il battistero di firenze
Il Battistero di firenze

Che, come saprete, è il Battistero di Firenze. Questo e decine di altre chiese di Firenze e della Toscana, sono decorate da elegantissimi rivestimenti di marmi verdi e bianchi. In realtà il marmo verde, anche noto come marmo di Prato … non è un marmo!

Un dettaglio della Badia Fiorentina

Si tratta di serpentinite, una roccia metamorfica, prevalentemente formata da un minerale, il serpentino, derivante dall’alterazione da parte di fluidi idrotermali, dei principali minerali costituenti rocce ( solitamente intrusive) di composizione basaltica.

Quando ho letto che il meccanismo proposto per spiegare la presenza di metano su Marte era questo: mi è suonato un campanello: non mi ricordavo niente del genere, nei miei studi sulle ofioliti ( che è il nome aulico, perché derivato dal greco, della famiglia di rocce che comprendono le serpentiniti, una storica specialità della facoltà di geologia di Firenze, che vede tra i suoi docenti e dottorati alcuni tra i massimi esperti mondiali del settore, manco a dirlo).

Il primo motivo era semplice: le serpentiniti si formano, mi ricordavo, intorno a 200-500 gradi ed a quella temperature gli idrocarburi, tutti, non sono stabili e degradano in C( grafite) ed acqua; è la ben nota “finestra del petrolio”, la gamma di temperature del sottosuolo entro le quali ci si può aspettare di trovare petrolio, con varie caratteristiche, gas o…grafite, se va bene.

finestra degli idrocarburi

La reazione di serpentinizzazione “classica”, quella che avevo studiato io, invece, avviene a temperature e pressioni anche più basse, in termini geologici, ma comunque troppo elevate per avere produzione di metano, oltretutto la reazione è fortemente esotermica e scalda la roccia circostante. Ecco di cosa parliamo:

Fayalite3 Fe2SiO4 + water2 H2O → magnetite2 Fe3O4 + aqueous silica3 SiO2 + hydrogen2 H2
(Reaction 1a)
Forsterite3 Mg2SiO4 + aqueous silicaSiO2 + 4 H2O → serpentine2 Mg3Si2O5(OH)4
(Reaction 1b)
Forsterite2 Mg2SiO4 + water3 H2O → serpentineMg3Si2O5(OH)4 + bruciteMg(OH)2
(Reaction 1c)

Fayalite e Forsterite sono i due estremi, tutto Fe o tutto Mg, del minerale Olivina che ha formula (Fe,Mg) SO4. Da notare come la reazione che produce H2, avviene con il termine estremo “tutto Fe”, che sulla Terra è caratteristico di rocce vulcaniche che su Marte sono molto rare .

Qui si fermavano le mie conoscenze e quindi, quando ho letto dei processi di serpentinizzazione come possibile fonte di metano su Marte, sono caduto dalle nuvole. In effetti, negli ultimi venti anni si sono scoperti qua e la, nei pressi delle dorsali oceaniche, dei “camini” idrotermali peculiari, al di sotto dei quali accadono reazioni MOLTO particolari.

Tra le quali, questa:

Olivine(Fe,Mg)2SiO4 + watern·H2O + carbon dioxideCO2 → serpentineMg3Si2O5(OH)4 + magnetiteFe3O4 + methaneCH4

Che, in forma bilanciata può essere scritta così:

18 Mg2SiO4 + 6 Fe2SiO4 + 26 H2O + CO2 → 12 Mg3Si2O5(OH)4 + 4 Fe3O4 + CH4 (Reaction 2a’)
Olivine(Fe,Mg)2SiO4 + watern·H2O + carbon dioxideCO2 → serpentineMg3Si2O5(OH)4 + magnetiteFe3O4 + magnesiteMgCO3 + silicaSiO2 (Reaction 2b)

Vedete? C’é una reazione che produce Metano!!!

Questa reazione o altre simili, sono quelle proposte per permettere la produzione di metano abiogeno su Marte. Se può essere una possibilità per le poche centinaia di tonnellate/anno necessarie a spiegare il metano attuale, resta da capire se sia plausibile per i (molti) miliardi di tonnellate/anno necessari a mantenere una densa atmosfera di CO2, metano ed idrogeno su Marte.

Come vedremo, no.

Il primo problema è che questa reazione ( la 2a, nello schema sopra) avviene, preferibilmente, se la Serpentinite è povera di magnesio. Abbiamo visto che questo corrisponde a rocce tendenzialmente più differenziate rispetto alla composizione prevalentemente basaltica delle rocce vulcaniche marziane e, più in generale, della superficie del pianeta. Ma, SOPRATTUTTO, avviene se vi è una scarsa presenza di CO2. Ma come potremmo avere una scarsa presenza di CO2 e contemporaneamente un IMPONENTE rilascio di CH4, Metano, nelle quantità necessarie? da dove arriverebbe il C necessario?

C’è di peggio. La reazione è stata equiparata qui e qui ad un processo noto come Fischer-Tropsch ( o al processo Sabatier, un analogo) ed avviene con difficoltà se non c’è UN CATALIZZATORE metallico. E’ evidente che ipotizzare condizioni naturali che prevedano la presenza di metalli aventi le caratteristiche adatte a funzionare da catalizzatori naturali, pone immediatamente dei vincoli pesanti, in termini di probabilità che questo si verifichi. A tal proposito e, più in generale, per un autorevole sunto della situazione, si veda questo video, di uno dei massimi esperti mondiali di metano abiogeno, un  italiano, interessante anche per quanto riguarda la mancanza di comunicazione tra i diversi settori di ricerca planetologica.

Benché esistano articoli recenti che evidenziano come, in limitati casi, sia possibile una reazione diretta a partire dall’idratazione dei minerali ( senza la mediazione dell’H2 e senza un “catalizzatore”) da una semplice analisi di quanto sappiamo sul nostro pianeta, risulta abbastanza chiaro che il processo è relativamente raro.

sorgenti metanifere note da serpentiniti continentali https://www.youtube.com/watch?v=UwJxDUZ_TEQ&feature=youtu.be
sorgenti metanifere note da serpentiniti continentali https://www.youtube.com/watch?v=UwJxDUZ_TEQ&feature=youtu.be

Ora:

  • Sulla Terra, le rocce basaltiche sono presenti in enormi estensioni sotto la grande maggioranza dei bacini oceanici e, in particolare, ci sono decine di migliaia di km di dorsali oceaniche che costituiscono siti di vulcanismo attivo e di emissioni ed alterazioni idrotermali vigorose, tanto da permettere l’esistenza di interi ecosistemi, completamente scollegati dall’energia solare. Nonostante questo, la scoperta di metano abiogeno è relativamente recente e comunque, ad oggi sono un paio di dozzine i siti identificati in tutto il pianeta.
  • SE così non fosse, avremmo concentrazioni di metano in mare e nell’atmosfera di gran lunga superiori a quelle riscontrate.
  • Il vulcanismo marziano ha caratteristiche diverse da quello terrestre, prevalentemente per la caratteristica di avere centri eruttivi migliaia di volte più longevi ( miliardi di anni contro milioni) con singole eruzioni più vigorose e più distanziate nel tempo ( milioni di anni contro migliaia o meno). In ogni caso, l volumi complessivi messi in posto nel corso della storia del pianeta e le relative emissioni, non sono nemmeno lontanamente confrontabili con quelli terrestri. Per creare e, SOPRATTUTTO, mantenere una atmosfera densa a sufficienza, si sarebbero dovuti produrre, come detto, centinaia di miliardi di tonnellate di metano ed idrogeno ogni anno, con processi che avvengono lentamente e non frequentemente ( di nuovo: se fossero processi comuni, in un pianeta, il nostro, in cui i tre quarti del vulcanismo è subacqueo e il quarto rimanente vede la presenza diffusa di acqua negli ultimi km vicino alla superficie, li avremmo scoperti MOLTO prima). Questo si traduce nella messa in posto di migliaia di km cubi di magma all’anno, volumi enormi che anche sul nostro pianeta, assai più attivo vulcanicamente, hanno pochi riscontri (i trappi indiani, alcune eruzioni particolarmente catastrofiche, l’Islanda, in alcuni momenti particolarmente vivaci) Soprattutto, al contrario di quanto sappiamo del vulcanismo marziano, si sarebbe dovuto trattare di emissioni tanto imponenti quanto relativamente costanti, per mantenere le condizione adatte al mantenimento di acqua liquida, per milioni di anni per volta, causa rapido degrado del metano e fuga dell’idrogeno.

Fino a qui, come vedete, ho fatto considerazioni qualitative, basate su dati generali.

Recentemente, qualcuno ha provato a fare i conti e ha mostrato che la produzione di metano abiogeno con i meccanismi conosciuti e mostrati, avverrebbe, su pianeti di tipo “terrestre” e “marziano”, molto lentamente, non permettendo così di raggiungere le necessarie concentrazioni in atmosfera.

In questo articolo si è calcolato quanto metano ed idrogeno potessero essere prodotti da pianeti di tipo terrestre, con una attività geologica simile a quelle conosciute e  quali concentrazioni si  potessero raggiungere in atmosfera.

In breve: i risultati sono in accordo con la mia tesi: Produzioni basse: 10 alla nona, (ovvero miliardi di) molecole al secondo, ovvero decine di milioni di miliardi di molecole/anno. Per centimetro quadro. Sembra tanto ma si tratta di  infinitesime frazioni di milligrammo all’anno. Una produzione totale massima nell’ordine di un milione di tonnellate/ anno per pianeti di tipo terrestre. Concentrazioni MASSIME di poche parti per milione in atmosfera.

Non ci siamo e non ci siamo per forse quattro o cinque ordini di grandezza!!!!

Facciamo tutta la tara che vogliamo a questo articolo ed altri simili, ma la sostanza non cambia: un processo interessante ma limitato e poco produttivo, che non può in alcun modo produrre le quantità necessarie di gas serra.

La cosa, in qualche modo, deve essere filtrata anche tra i vari gruppi di ricerca che lavorano sui dati in arrivo dai robot e dalle sonde marziane.

Infatti, per risolvere il problema di una produzione troppo modesta e sporadica, è stato proposto un meccanismo di rilascio improvviso di metano “fossile”dovuto alla dissociazione di clatrati, formatisi pian piano, in tempi geologici, riscaldati da eruzioni vulcaniche, emissioni idrotermali o addirittura da impatti meteorici.

Poco, ma poco ma MOLTO poco poco probabile!

Il problema di base è sempre lo stesso: le prove dal terreno sono per una presenza continuata di acqua allo stato liquido sulla superficie di Marte, per periodi lunghi. Un rilascio “cataclismatico” di metano dovuto a qualche imponente eruzione remota avrebbe si prodotto un effetto serra, forse anche un effetto serra a valanga, per il feedback positivo prodotto dal riscaldamento iniziale, ma si sarebbe trattato di un episodio, della durata massima di qualche migliaia di anni.

A parte questo c’e’ il trascurabile problema che i clatrati su Marte, non sono ancora stati trovati, benché siano, di nuovo, postulati, per spiegare la presenza ATTUALE di metano.

Da notare che, se l’articolo citato poc’anzi è corretto, questa è l’unica possibilità per continuare a postulare una origine abiogena per il metano ATTUALE.

Infatti le quantità di metano che sarebbero emesse attualmente ( la distribuzione di metano in atmosfera è molto irregolare e sembra dipendere da emissioni localizzate) nell’ordine di qualche centinaio di tonnellate all’anno, sembrano compatibili con i risultati dell’articolo. Solo che quei risultati sono calcolati a partire da un pianeta di tipo “terrestre”, ovvero con una vigorosa attività’ geologica, una tettonica a zolle con decine di migliaia di km di dorsali e zone di rift attive, etc etc. Su Marte non c’è traccia di niente del genere, in tempi recenti. Quindi, causa ridottissima attività vulcanica attuale ( esiste qualche indizio di attività recenti ma si tratta comunque di episodi sporadici) le emissioni attuali non possono essere di origine abiogena, a meno di postulare, appunto, il rilascio a partire da depositi “fossili” di clatrati, instabilizzati da qualche sorgente idrotermale.

Questa è, da tempo, la spiegazione prevalente.

Come abbiamo visto però, non è la più plausibile, sia per il metano attuale, sia, in misura clamorosamente maggiore, per quello passato.

Ne esistono di alternative, come ad esempio il metano “incistato” nel salgemma, ma, senza stare tanto ad approfondire, si tratta comunque di ipotesi stiracchiate.

Non so se avrete avuto la pazienza di seguirmi in questo escursus, complesso, arizigogolato eppure, giocoforza, ancora limitato. Non so se condividerete con me l’idea che si sia vicini alla prova che la vita, dopotutto non è(stato) un evento limitato al pianeta Terra.

Lasciatemi chiudere con una citazione:

“Once you eliminate the impossible, whatever remains, no matter how improbable, must be the truth.”

Una volta che si elimina l’impossibile, quel che resta, non importa quanto improbabile, deve essere vero.

Arthur Conan Doyle

Per finire una ciliegina: una proposta operativa.

alcuni esperimenti avevano proposto un metodo per riconoscere e discriminare tra metano di origine biogena ed abiogena: il rapporto tra idrogeno e metano vicino alle sorgenti. Rapporti superiori a 40 avrebbero denotato una probabile origine abiogena ( processi di serpentinizzazione e simili).

Rapporti inferiori avrebbero puntato ad una origine biologica.

Uno studio recente ha rimesso tutto in discussione, dimostrando come sia DAVVERO necessario compiere una serie di sperimentazioni per comprendere l’intero range delle temperature e condizioni possibili, in modo da verificare quali possano essere i valori discriminanti.

Non si tratta di discussione accademiche:

Questi rapporti potrebbero essere misurati dall’orbita, a patto di rimuovere il disturbo costituito dal “fondo”, ovvero dalla presenza di idrogeno di altre origini, senza attendere una missione dedicata, che misuri i rapporti isotopici del carbonio del metano marziano ( come abbiamo visto la vita predilige, per motivi termodinamici, che prescindono dall’evoluzione, il carbonio “”leggero”).

Si potrebbe approfondire sperimentalmente QUESTO aspetto e fornire un’ulteriore prova a favore, o meno dell’origine biologica del metano e quindi dell’effetto serra primordiale che ha permesso il mantenimento di acqua liquida su Marte, per milioni di anni.

UPDATE Agosto 2018

E’ uscito un interessante articolo ad opera di ricercatori italiani, già citati in questo post. L’articolo propone, di nuovo, un metodo per discriminare tra Metano abiogeno e biogeno basato sull’abbondanza relativa di metano arricchito in C13.

Interessante? Direi MOLTO interessante! Perché passibile di approfondimenti e verifiche.

Da notare che, anche in caso di metano ( ed idrogeno) di origine organica, se ne sarebbe dovuto produrre tanto.

Insomma: non solo ci sarebbe stata vita su Marte ma, addirittura sarebbe stato BRULICANTE di vita e non solo il Sabato sera.

here only for the beer
Dopotutto, può darsi che su Marte il clima fosse tiepido e le birre non fossero poi un granché…

Metano su marte oggi articolo del 2009

Metano su marte oggi, articolo del 2015

 

 

 

18 commenti su “C’era vita su Marte e non solo il Sabato sera…”

  1. Grazie Piero per l’ottimo articolo.

    Sarei interessato a capire la chiosa finale sulle osservazioni che si possono fare dall’orbita per i processi di serpentinizzazione e quindi disceiminare tra origini abiogene e biologiche.

    1. Grazie! In sostanza, si tratta di studi di laboratorio, che si basano sul rapporto tra h2 e ch4 per discriminare l’origine abiogena del metano. Solo che, a quanto pare, c’è da lavorarci ancora. Se vuoi complicarti la vita un poco, prova a seguire i due links…

  2. Il post é interessantissimissimo. Io, però, lo giudico da ignorante in materia: il 90% delle cose che ho letto sono per me nuove e quindi devo fidarmi della coerenza interna o leggermi tutti gli articoli linkati (ammesso io abbia la capacità di capirli). Le conclusioni sono enormemente rilevanti per l’impatto anche antropologico che avrebbero (su due pianeti su due, la vita!), però, proprio per l’eccezionalità, un ragionamento per esclusione non mi basta, anche se ci spero.
    Vorrei poi chiedere qual’é l’attuale livello di dialettica in ambito scientifico tra origine biotica e abiotica degli idrocarburi; per capirci siamo su cose tipo LENR (che se la cantano e se la suonano da 25 anni esternamente al corpus scientifico) o ci sono ancora margini (legati a mancanza di verifiche) per ipotizzare, almeno in parte, processi abiotici? Grazie e saluti

    1. non c’è dibattito sull’origine biologica e abiologia degli idrocarburi, se si parla di quelli contenuti nei giacimenti sfruttati commercialmente….

    2. In sostanza oltre il 99% degli idrocarburi noti è di origine biologica. Esistono prove convincenti che in una PICCOLA percentuale dei casi si possa formare metano da processi abiotici di degradazione di serpentiniti, come spiegato in questo post. Su un pianeta dove abbiamo decine di migliaia di dorsali oceaniche attive e migliaia di km quadrati di serpentiniti esposte in superficie, si conoscono alcune decine di spots. Marte ha un vulcanesimo estremamente meno attivo e, apparentemente con differenze mineralogiche che parrebbero sfavorire quel tipo di reazioni, senza contare che sono richieste condizioni al contorno particolari, perchè avvengano. Conclusione: mancano le porve che reazini di quel genere possano essere avvenute alla scala necessaria per garantire la sufficiente quantità di gas serra nell’atmosfera di Marte e vi sono, anzi, evidenze che puntano ad una scarsissima probabilità che ciò sia stato possibile.
      Attualmente, quindi, l’ipotesi più probabile è che i gas serra ( ovvero il metano) fossero di origine biologica. Se dovessimo dare delle percentuali, andremmo ben oltre il 99% di probabilità a SFAVORE di una origine abiotica del metano su Marte, ai tempi in cui esisteva, per milioni di anni, acqua libera in superficie.

  3. ……a seconda che vi siano o meno nuvole (il vapor acqueo contribuisce all’effetto serra in maniera sensibile), …..
    le nuvole sono fatte di gocce d’acqua non vapor acqueo, il cui contributo al riscaldamento globale ha il segno opposto a quello delle nuvole. Almeno queste cose elementari devono essere giuste se no come si fa ad andare avanti a leggere.

    1. Certo che le nuvole sono fatte di gocce d’acqua. Se per quello possono essere fatte anche di ghiaccio e di molti altri aerosol vari. Non c’è bisogno di laurearsi in ingegneria ambientale ( come il sottoscritto, con tesi in idrologia) Solo che, quando è nuvolo, l’atmosfera è, per definizione, satura. Il vapore acqueo raggiunge la propria massima concentrazione. Ovviamente le nuvole riflettono i raggi solari, ma, nel contempo, trattengono il calore irradiato da terra, come sappiamo tutti. All’opposto, invece, quando l’atmosfera è serena, si hanno minori quantità di vapore acqueo. Ecco spiegato l’arcano, secondo principi che, parafrasando il gentile commentatore, sono elementari. In ogni caso è fornito un link, basta seguirlo, anche su questo punto.

  4. Ho un dubbio (sono molto ignorante in chimica e biologia)
    Se la vita è necessaria per generare il metano necessario a creare l’effetto serra necessario alla vita….

    Come è potuto partire il tutto?
    Deve essere stata necessaria almeno una fase iniziale con una fonte di calore alternativa!?

    1. Si. È questo innesco potrebbe essere davvero stato geologico, nelle fasi iniziali e molto molto vigorose, della storia del pianeta. Solo che, un miliardo di anni dopo, ai tempi del lago del cratere Gale, così non era né poteva essere.

  5. Non mi sembra tanto strano che su due pianeti attigui del sistema solare ci fosse la vita.
    A mio parere, la vita e’ endemica nell’universo, e se riteniamo che sia rara e’ solo perche’ siamo ignoranti delle leggi di natura che ne avvallano l’avvento sui vari pianeti.

    Tanto per dire, la vita potrebbe benissimo essere nata su marte, e poi si e’ propagata sulla terra tramite meteoriti marziani, che sono stati trovati in gran numero sulla nostra superficie.

    Oppure potrebbe essere accaduto l’inverso, oppure addirittura la vita si e’ accesa indipendentemente sui due pianeti.

    Una ipotesi ulteriore, e’ che la vita sia stata portata su entrambe i pianeti da qualche razza aliena, in grado di attraversare gli spazi siderali ( si lo so che c’e’ il limite di velocita’ della luce, ma a mio parere quello e’ solo un limite delle nostre attuali conoscenze sulla natura, ovvero un limite alla restrizione della natura da noi accessibile per la misurazione).

    In ogni caso, scommetterei che la prova definitiva della vita su marte potrebbe benissimo essere quella di trovare infine un bel fossile di pianticella incastrato nei fanghi di un laghetto marziano.

    1. Mi sembra meno probabile una panspermia “forte”, perché trovo più difficile ipotizzare che una qualsiasi forma di vita possa sopravvivere ad un impatto così forte da lanciare frammenti nello spazio e successivo incontro con una densa atmosfera e altro impatto, poi i pianeti sono puntiformi…
      Però i mattoncini li hanno trovati ovunque ho letto (comete, spazio interstellare), quindi una forma debole mi sembra più probabile. La genesi aliena, per ora mi parrebbe poco parsimoniosa ma se la vita ci fosse stata anche su Marte significherebbe che, avendo tempo sufficiente (e condizioni adatte), il passaggio chimica abiotica-vita diviene probabile, e sarebbe la notizia del secolo anche per le implicazioni extra-sistema solare. Sarebbe un salto filosofico immenso. Speriamo in Marte, Europa, Encelado. Ciao

    2. Giustissimo!
      Nel frattempo ho cercato di mettere insieme le ultime scoperte per disegnare un quadro plausibile di cosa potesse tenere il pianeta in condizioni in grado di mantenere acqua libera in superficie. La risposta provvisoria è: non eventi catastrofici e non origini geologiche. Il passo successivo è automatico, eppure questo blog è il primo che lo propone, sulla base dei dati di curiosity…

  6. E’ passato un anno e la NASA ha trovato altri indizi, residui organici. Ci arriveranno, ma non troppo in fretta, altrimenti chi le finanzia le prossime costosissime missioni? Senza contare che, ovviamente, hanno altri obblighi rispetto ad un umile blogger. Che peraltro ha quasi certamente ragione, in questo caso! (Si parva licet)

  7. Molte grazie Pietro per questo articolo.
    Da antico divoratore di Urania mi ha quasi commosso il rendering di quel lago con al centro un pinnacolo, e il fiumicello che vi entra (o ne esce?) … gli Ultimi Marziani asserragliati lì, vedendo anno per anno il livello del lago e la temperatura calare

    mentre si chiedono se respingere i ritardatari e tirare avanti qualche anno in più, o se accoglierli e condividere le ultime risorse

    snif

    come mai mi dispiace così tanto, che magari erano solo batteri o poco più

    e cosa respiravano, se respiravano, e quali i prodotti del loro metabolismo

    magari si sono riprodotti troppo e hanno finito il metano, meglio che erano solo batteri, perché se erano intelligenti e capivano di essere stati loro a distruggersi l’atmosfera chissà come gli giravano i co’

    ehm

    chissà come ci stavano male.
    Ma questo (cosa si prova nel rendersi conto di aversi distrutto l’atmosfera) ho paura che lo scopriremo presto.

    Saluti.

    R
    ————-

  8. Here is an equation that ‘fixes’ Hubble’s Constant from geometry alone. 2 X a megaparsec X C, divided by Pi to the power of 21 = 70.98047 K / S / Mpc. For this equation a parsec is the standard unit of 3.26 light years. This comes from ‘The Principle of Astrogeometry’ (Kindle). This equation has not been disproven by Professors at Imperial College (London), Adam Reiss (NASA) or Astronomer Royal, Martin Rees. David Hine

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