Perché non andremo su Marte

marsGrazie a Jacopo abbiamo avuto modo di ragionare sul vettore Space-X e sulle opportunità di continuare la corsa allo spazio. Recentemente proprio Elon Musk ha rilasciato dichiarazioni sulla possibilità di raggiungere Marte nel 2024 grazie ai propri sistemi aerospaziali. Cercherò quindi di elencare una serie di ragioni che mi portano a ritenere questa eventualità tutt’altro che verosimile.

Dov’è Marte
Da appassionato di astronomia, nelle notti in cui il pianeta è visibile e mi trovo in compagnia di amici (in questo periodo, incidentalmente, il pianeta è prossimo all’opposizione) lo indico nel cielo. La reazione più frequente è : “ma allora è visibile!” Potrà stupire, ma competenze che fino ad un secolo fa possedevano perfino i pastori, sono state nel tempo sostituite da una varietà di mirabolanti fantasie che ci hanno fatto perdere il contatto con la realtà.

Marte è il quarto pianeta del Sistema Solare e percorre un’orbita più esterna rispetto a quella della Terra. La distanza media della Terra dal Sole è di circa 150 milioni di km, quella di Marte 228 milioni di km (varia tra 206 e 250 circa). Ciò significa che nella migliore delle ipotesi i due pianeti si trovano ad una distanza che varia tra 55 e 100 milioni di km, quando si trovano dallo stesso lato del Sole. Queste occasioni si chiamano opposizioni, ed a causa dei moti orbitali relativi avvengono in media ogni due anni (780 giorni, per l’esattezza). La gravità superficiale di Marte è circa un terzo di quella terrestre. Queste cifre, se non le contestualizziamo, non significano molto.

Quanto spazio abbiamo “conquistato”
Quando si parla di spazio l’uomo della strada ne ha una cognizione estremamente vaga. Semplificando molto lo ‘spazio’ inizia dove termina l’atmosfera terrestre. Quest’ultima si estende in maniera percettibile fino a circa 100km. Al di sopra di questa quota i gas sono talmente rarefatti da consentire il moto orbitale (Mesosfera), quindi la possibilità di collocare satelliti in orbita. La Stazione Spaziale Internazionale (quella dove ha operato per diversi mesi l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti) orbita a circa 400km dalla superficie terrestre. Questo è il ‘target’ che dovranno servire le navette di Musk, una volta divenute pienamente operative.

In realtà, molti decenni fa siamo arrivati parecchio oltre, poggiando il piede (diverse decine di piedi) sulla Luna. La Luna è il ‘satellite naturale’ della Terra, anche se la sua presenza è a dir poco accidentale. Le teorie più calzanti sulla sua formazione chiamano in causa una collisione planetaria avvenuta nel corso delle fasi di formazione del Sistema Solare. In sostanza un corpo delle dimensioni del pianeta Marte, uscito da un’orbita stabile a causa di risonanze gravitazionali distruttive prodotte dai pianeti esterni, avrebbe impattato la proto-Terra fondendovisi e scaraventando in orbita parte della crosta rocciosa più leggera. Questa teoria spiega la bassa densità lunare e la relativa assenza di metalli.

La Luna orbita intorno alla Terra ad una distanza di c.a 385.000 km, quindi circa 1000 volte più lontana della ISS. Tale distanza richiede, per essere coperta, vettori di potenza molto maggiore rispetto a quelli che portano gli astronauti sulla Stazione Orbitale, e tempi di viaggio più lunghi. Una tipica missione lunare del Programma Apollo richiedeva circa cinque giorni di viaggio per raggiungere l’orbita lunare e far scendere un piccolo modulo sul nostro satellite, dopodiché in altri tre giorni la capsula di rientro (una microscopica frazione del veicolo di partenza) tornava sulla Terra.

Marte, come abbiamo visto, è fra 150 e 300 volte più lontano (nella condizione migliore, che si verifica una volta ogni due anni). Tale distanza comporta un tempo operativo della missione nell’ordine di diversi mesi per singolo viaggio, con le tecnologie attuali. L’astronave dovrà quindi trasportare con sé riserve di cibo, ossigeno, acqua, più il carburante necessario al rallentamento per l’ingresso in orbita, più quello richiesto per riportare gli astronauti sulla Terra (in tempi umani). Se prendiamo a modello il programma Apollo si tratterebbe di costi insostenibili per qualsiasi economia attuale.

Problemi e complicazioni biologiche
Gli esseri viventi sono creature estremamente fragili, non sopravvivono all’assenza di aria, di cibo, di acqua e la condizione prolungata di gravità zero tipica dei veicoli spaziali induce processi degenerativi nella calcificazione delle ossa ed una riduzione della massa muscolare (ci sono indizi che anche l’attività riproduttiva venga penalizzata da queste condizioni, come pare dimostrare il fallimento dei tentativi di fecondazione effettuati dagli equipaggi russi nelle stazioni orbitali sovietiche). La permanenza prolungata in assenza di gravità è stata testata su periodi di oltre un anno, ma con la possibilità di effettuare il rientro a Terra nel giro di pochi giorni in caso di problemi, cosa che la missione su Marte non consentirebbe.

Un problema probabilmente ancora più grave è rappresentato dalle radiazioni cosmiche. Sulla Terra la maggior parte dei raggi cosmici e della radiazione prodotta dalle eruzioni solari viene schermata dal campo magnetico terrestre, e la componente ultravioletta della radiazione solare dall’ozono in alta atmosfera. Gli astronauti subirebbero l’esposizione ad una dose massiccia di radiazioni non solo durante il viaggio, ma anche nella permanenza su Marte che, a differenza della Terra, è privo di campo magnetico e dispone di un’atmosfera estremamente tenue composta in prevalenza di anidride carbonica.

Perché andare su Marte
Questa è probabilmente la questione più fondamentale. Il motivo che ha spinto Stati Uniti e Russia a sospendere il programma lunare fu l’assenza di potenziali ritorni economici: sulla Luna non c’era nulla di interessante da andare a prendere. La Luna è un corpo quasi esclusivamente roccioso, con pochissimi metalli, che sulla Terra abbondano negli strati profondi e vengono portati in superficie dai fenomeni vulcanici. La Luna non ha vulcani attivi e, indovinate un po’, neppure Marte.

In assenza di materie prime da andare a prelevare, mancando fenomeni biologici da indagare in situazione di prossimità, finisce col non sussistere un reale motivo per giustificare l’invio di un equipaggio umano. Tutto quello che un astronauta potrebbe scoprire sulla superficie di Marte può essere indagato con analoga efficienza e costi (e rischi) molto più contenuti per mezzo di sonde automatizzate.

Non parliamo di colonizzazione, che come ordini di tempi e costi va molto oltre le fantasie più sfrenate, né di “terraformazione“, che anche ammessa la fattibilità tecnica richiederebbe secoli. Secoli nel corso dei quali i colonizzatori umani (alcune centinaia di persone, per garantire una sufficientemente varietà genetica) dovrebbero vivere in rifugi sotterranei schermati dalle radiazioni, e non si sa neppure se riuscirebbero a riprodursi in condizioni di bassa gravità, né che effetti avrebbe questa condizione sullo sviluppo fetale e sulla crescita degli individui fino all’età adulta.

Conclusioni
Marte è un’icona culturale da più di un secolo. Le osservazioni (erronee) dei famosi Canali da parte dell’astronomo Schiaparelli ed il romanzo “La guerra dei Mondi” di H. G. Wells gli hanno garantito un posto di primo piano nell’immaginario collettivo. Per questa sua rilevanza viene spesso usato dal cinema, o sfruttato per comunicati stampa di facile sensazionalismo. L’ignoranza scientifica diffusa fa il resto. Allo stadio attuale non sembrano sussistere potenzialità di ritorni economici, o anche semplicemente di immagine (come fu per il Programma Apollo) tali da competere con i limiti economici, tecnici, biologici e fisici legati ad una missione umana sul pianeta rosso. Con buona pace di enti spaziali e industrie private in cerca di clamore e visibilità mediatica.

Tuttavia la possibilità di tale missione viene spesso evocata ai fini di una narrazione ‘positivista’ del destino umano, per sfruttare gli ultimi residui del mito della frontiera che tanta importanza ha avuto soprattutto per i colonizzatori del continente nordamericano. In ultima istanza per riaffermare quell’idea di ‘progresso’ che, anziché farci conquistare nuovi mondi, sta rapidamente conducendo alla distruzione dell’unico che potremo mai abitare.

La fine dell’economia: che ne è stato della profezia di Keynes?

La profezia di KeynesLe profezie sono sempre piaciute, sia quelle pessimiste che quelle ottimiste.   Fra queste ultime, una poco nota la dobbiamo ad un personaggio che oggi va di gran moda: nientedimeno che Lord John Maynard Keynes.

Mi riferisco ad una sua conferenza del 1928 (pubblicata nel 1930) dal titolo:”Quali saranno le possibilità economiche dei nostri pronipoti?”   Poiché quei pronipoti siamo noi, penso che sia interessante rileggere quelle pagine.

In sintesi, Keynes sostiene che un vero progresso cominciò solo con la massiccia importazione di oro ed argento saccheggiati nel Nuovo Mondo durante il XVI secolo.   Circa un secolo più tardi, cominciò la grande èra del progresso tecnologico, con un numero incalcolabile di grandi invenzioni e lo sviluppo di ogni tipo di macchine.

Il risultato fu un enorme incremento della popolazione mondiale e, dunque, dei consumi.   Specialmente in Europa ed negli Stati Uniti il tenore di vita quadruplicò ed il capitale centuplicò.
Punto importante, Keynes si aspettava che, a quel punto, la popolazione globale tendesse a stabilizzarsi sui 2 miliardi circa.   Mentre sia il miglioramento tecnologico che l’accumulo di capitale avrebbero continuato a crescere in maniera esponenziale.

Questo straordinario progresso, prevedeva, avrebbe creato un serio problema di disoccupazione, ma si sarebbe trattato di una fase temporanea.   Nel giro di un secolo da allora (dunque all’incirca adesso), il tenore di vita nei paesi avanzati sarebbe stato tale che l’economia avrebbe definitivamente cessato di interessare alla gente, ma attenzione!   Solo a condizione che nel frattempo non si fossero verificate né grosse guerre, né grossi incrementi di popolazione.

Quello che mi ha colpito del discorso è che non vi si fa neppure un minimo cenno alla disponibilità di risorse (energetiche e non).   E neppure alla possibilità che l’alterazione degli ecosistemi possa portare a controindicazioni gravi, finanche catastrofiche.
In sintesi, colpisce la totale assenza di ogni riferimento alla legge dei “ritorni decrescenti” che, peraltro, il nostro conosceva benissimo.
La seconda parte della conferenza si concentra sulle conseguenze sociali di questo straordinario benessere.
In particolare, Keynes paventa il rischio che il rapido venir meno di preoccupazioni e necessità pratiche possa provocare dei “crolli nervosi” in molte persone.   Analogamente a quanto, secondo lui, stava già allora accadendo alle donne della buona borghesia occidentale.   Infelici perché la ricchezza le aveva private di divertimenti quali pulire, lavare, cucinare, accudire i figli.   (Senza nulla togliere al piacere di accudire una famiglia, mi piacerebbe sapere cosa pensasse di questo Lady Keynes).

Dunque, prosegue l’insigne economista, sarebbe stato necessario ancora per molto tempo mantenere un minimo di orario lavorativo. Suggeriva che, probabilmente, 3 ore al giorno sarebbero state sufficienti.
Ma annunciava anche cambiamenti ben più importanti!   Una volta che l’accumulo di denaro fosse stato tale da perdere la sua importanza sociale, l’umanità avrebbe finalmente potuto sbarazzarsi dell’ipocrisia con cui si esaltano come virtù i vizi peggiori.
“Saremo liberi di tornare ad apprezzare i principi religiosi e le virtù tradizionali.   Di tornare a considerare che l’avarizia è un vizio, che l’usura è un crimine, che l’amore per i soldi è detestabile.   Potremmo tornare a valorizzare gli scopi più dei mezzi e preferire il buono ed il bello all’utile.   Ad apprezzare le deliziose persone che sanno metter gioia nella vita propria ed altri.”
“Ma attenzione.   Tutto questo non ancora.   Per altri cento anni (dunque all’incirca fino ai giorni nostri) dobbiamo pretendere da noi stessi e dagli altri che il giusto sia sbagliato e viceversa perché l’errore è utile e il giusto non lo è.   Bisogna che avarizia ed usura continuino ad essere i nostri dei ancora per un poco, perché solo loro possono condurci fuori dal tunnel  del bisogno, alla luce del benessere.”

Secondo Keynes, la velocità di avvicinamento a questo bengodi sarebbe stata governata da quattro cose:  “La capacità di controllo della popolazione, la determinazione nell’evitare guerre e rivolte, la volontà di dare alla scienza una direzione propriamente scientifica, il margine di accumulo al netto dei consumi.”
A difesa di Keynes, bisogna dire che, a pensarci bene, qualche grossa guerra nel frattempo c’è stata.   E che la popolazione umana sia più che triplicata spiega sicuramente molti dei nostri attuali problemi. Ma chissà cosa direbbe oggi se potesse vedere dove la smodata avidità sta portando i pronipoti di cui vagheggiava?

Bottiglie riciclate ed altri disastri

imageLe bottiglie di vetro riciclato sono ecologiche, giusto?

Sbagliato!

La vituperatissima lattina è MOLTO ma MOLTO più ecologica, almeno considerando l’energia necessaria per realizzarla.

Possibile?

Ma se il vetro NUOVO, ha un “costo energetico” pari a circa 6 kWh/kg e quello riciclato 3-4 kWh, mentre per un kg di alluminio di alluminio ci vogliono ALMENO 14 kWh, senza considerare la devastazione del territorio etc etc etc?

Beh, intanto anche l’alluminio si ricicla. Poiché l’alluminio fonde a temperature molto più basse del vetro ed è più facilmente separabile dalle varie impurità, si risparmia MOLTA più energia, secondo le stime dal 95 al 97%. Quindi un kg di alluminio riciclato ha un costo energetico al massimo di 700 Wh, un quarto o un quinto del vetro riciclato.

Poi, molto semplicemente, il vetro pesa. Una bottiglietta di birra nazionale da 33cc pesa sui 200 grammi ( i due terzi del contenuto) mentre una lattina pesa 14-16 grammi. Anche se( come del resto per il vetro), solo una parte, circa due terzi, dell’alluminio proviene dal riciclo, cfr questo link, siamo comunque a circa 600 Wh vetro contro (forse) 90 Wh. Non c’è storia.

Ancora peggio le bottiglie in PET, per le quali, in apparenza, ci vogliono circa 25 kWh di energia al kg. ( che corrispondono a circa 2kg e mezzo di petrolio). Una bottiglietta da mezzo litro ( un poco più grande dei due concorrenti) pesa circa 33 grammi, per circa 800 Wh. Purtroppo è anche la meno riciclabile, perché finisce mescolata insieme ad altre plastiche, cosa ad onor del vero in via di miglioramento, grazie alla raccolta insieme al vetro.

Bene, direte voi, ma dove vuoi andare a parare, che c’entra questa specie di spot per le lattine vs il vetro con Crisis? C’entra, eccome. Perché dimostra come sia IDIOTA distruggere una bottiglia per farne una identica e come il riciclo, pure necessario, sia del tutto insufficiente Per una transizione decente verso una società sostenibile.

Riciclare una bottiglia, pure necessario, è idiota?

Certo, è idiota, inutile ed un vero disastro, sul piano energetico. Perché è molto ma molto più sensato il riuso. Sia su scala familiare, portarsi la bottiglia da casa. Sia sul piano industriale. Le bottiglie di vetro basta raccoglierle intere e lavarle.

Ovvero quel che si faceva quaranta anni fa, quando la costituzione era giovane ed il sottoscritto leggeva del futuro sul Corriere dei Ragazzi….

È bello avere un corpo

Appiantica

(tra ponte ed elezioni, per non appesantire i lettori, ripropongo una riflessione ‘leggera’ datata dicembre 2007 sul recupero della fisicità)

Non cesserò mai di stupirmi di come l’andare in bicicletta riesca a stimolare pensieri, idee e riflessioni. Proprio ieri, in una splendida mattina d’inverno che sembrava piuttosto rubata ad un mite autunno, mentre percorrevo insieme a mia moglie un’Appia Antica praticamente deserta l’ennesima ‘lampadina’ mi si è accesa in testa, regalandomi un’altra briciola di comprensione.

Pedalavo e sentivo il mio corpo: le mani, le braccia, il movimento ritmico delle gambe. Percepivo il mio corpo muoversi, lavorare, agire. Dopo un po’ mi sono reso conto del perché questa sensazione mi paresse così piacevole. Ho realizzato che, normalmente, del mio corpo non me ne accorgo proprio.

A spiegarlo sembra strano, ma è esattamente così: siamo esseri dotati di mente e corpo, ma se il lavoro che dobbiamo fare è puramente intellettuale (cosa che, in una società in cui quasi tutte le operazioni sono delegate a macchine più o meno sofisticate, avviene ormai nel 90% dei casi), finiamo col concentrarci solo sulla sfera cognitiva, dimenticandoci perfino che ce lo abbiamo, un corpo.

Tempo addietro scrissi: la bicicletta altro non è che una sorta di ‘protesi’, utile a renderci capaci di azioni che normalmente non saremmo in grado di compiere. Come un bastone o una stampella rendono una persona claudicante in grado di camminare, così una coppia di ruote consente ad un normale corpo umano di percorrere lunghe distanze, a velocità impensabili per mezzo delle sole gambe, con relativamente poco sforzo.

Oggi mi sono reso conto che nel mio lavoro di tutti i giorni, svolto davanti al monitor di un computer, finisco col trattare il mio corpo come una semplice appendice del cervello. Ed in realtà è così per tutti, per quanto folle ciò possa sembrare. Abbiamo questa sorta di ‘grappolo di organi’ appeso sotto la testa, e lo trattiamo come un ingombro: lo usiamo il meno possibile (…sennò “si fatica”!), lo nutriamo quando ha fame (più spesso solo per gratificarci), e la sera lo abbandoniamo su un divano mentre il nostro cervello si ‘diverte’ a guardare qualche spettacolo televisivo.

Da questa dissociazione nascono molti dei problemi odierni, dall’eccesso di peso alla depressione da pigrizia, ai problemi cardiovascolari indotti dalla sedentarietà, mentre basta davvero molto poco, basta una passeggiata in bicicletta, a risaldare insieme l’unità mente-corpo che abbiamo perduto. Vado in bici e mi rendo conto che ho gambe, braccia, muscoli. Che sono miei. Che sono “io”.

Daniel Goleman spiega, nel volume Intelligenza Sociale, la funzione dei ‘neuroni specchio’: le zone del cervello che si attivano quando guardiamo un film, o un qualunque spettacolo, sono le stesse che si attivano quando operiamo i gesti che osserviamo. Per questo ci piace guardare i film d’azione: perché in questo modo il cervello sperimenta, in forma simulata, quei movimenti e quelle azioni che nella vita di tutti i giorni non compiamo più, e nel farlo rilascia endorfine. Il movimento dà piacere, ma siccome è un piacere che ci neghiamo compensiamo questa privazione attraverso un’azione simulata, puramente cerebrale, nel guardare muoversi gli altri.

Invece muovendoci davvero, come per esempio andando in bicicletta, torniamo a sperimentare la completezza del nostro organismo, a sentirlo vivere, respirare, esistere. Andare in bici, correre, fare sport, è piacevole di per sé, per il semplice fatto che ci restituisce un corpo, il nostro corpo, la cui esistenza per solito rimuoviamo. E il motivo dei questo piacere è molto semplice: è bello avere un corpo!