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Come vincere le elezioni ed avere sempre ragione.

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Confessatelo. A noi lo potete dire! La cosa MIGLIORE dopo le elezioni non è tanto (o solo) chi ha vinto o meno. Terminate anche le ultime raffinatissime analisi del post voto, compreso quelle delle urine dei neoletti (potrebbe succedere) rischierate le truppe per la prossima battaglia, sguinzagliati i reporters a ricostruire le biografie delle “facce nuove”, fatto un poco di “toto nomine”, NON CI SONO, per un poco, i DIBATTITI, dove ciascun candidato, come dire, sciorina la sua mercanzia.

Eppure i dibattiti sono fondamentali, per vincere le elezioni e, dopo vinte, per avere sempre ragione. Anzi: RAGIONE.

Siccome potreste essere curiosi e siccome, dopotutto, la vita è un continuo dibattito, colloquio o dialogo, ecco che vado a mostravi alcune semplicissime tecniche  per avere sempre ragione, in ogni dibattito/colloquio/dialogo e, quando e se serve, vincere le elezioni.

Un poco scherzo, sia chiaro. Ma un poco, come si dice oggidì, anchenò. Visto che su queste cose stuoli di spin doctors ci campano, non ho grandi pretese. Mi limiterò a citarvi alcune tecniche classiche ma molto molto molto classiche, in modo da darvi gli strumenti per vedere come queste tecniche retoriche siano DAVVERO utilizzate in ogni santo, dannato e spesso noiosissimo dibattito. Di solito, chi li usa meglio vince il dibattito. Di solito, chi vince sufficienti dibattiti vince anche le elezioni. Gli esempi che porto per esemplificare sono ovviamente inventati da me e seguono la mia personale sensibilità ma sono sicuro che potrete richiamare alla memoria casi REALI a cui avete certamente assistito almeno una volta.

Partiamo dalla più classica delle tecniche: la confutazione di quanto affermato dall’avversario: Può essere ad rem: ovvero quanto affermato è in disaccordo con qualcosa di facilmente verificabile da tutti, oppure ad hominem: è in disaccordo con quanto affermato dall’avversario precedentemente.

Tipico, no?

Ovviamente l’avversario ribatte punto su punto ed ecco che comincia una schermaglia che ha ben definiti metodi ed utilizza stratagemmi ben riconoscibili. ne citerò alcuni, comuni ma non ovvi. Tanto per capirsi:Infamare l’avversario e buttarla in zuffa è un metodo troppo ovvio ( cosiddetto ad personam)per essere citato.

1) Postulare ciò che andrebbe invece dimostrato: ad es: Le Olimpiadi sono una occasione unica per la città….

2) Inferenza arbitraria: Se l’avversario accetta le ragioni in un caso particolare, portarlo immediatamente sul caso generale: es: alcuni immigrati sono estremisti/malati/ladri/ ergo gli immigrati rubano, ci infettano, mettono in pericolo la nostra vita.

3) Ridicolizzazione dell’opposto: Presentare l’opposto della propria tesi, in modo che l’avversario sia costretto a rifiutare lo scenario. Es: Immaginiamoci di accogliere liberamente tutte le persone che chiedono asilo, da qualunque parte vengano e per quanti siano, come pensa di nutrire, alloggiare, far campare queste persone? E’ pronto a prendersele a casa sua?….

4) Ampliamento: generalizzare all’estremo grado una affermazione dell’avversario, restringendo invece il campo della propria tesi contrapposta es: Lei quindi vorrebbe dare l’assegno di cittadinanza a tutti? ed allora perché non anche a tutti gli immigrati regolari, che magari già pagano le tasse? anche agli assassini, ai figli di mamma ricchi, ai miliardari nullatenenti, ai maestri di sci con i conti in svizzera? NOI, invece ci limitiamo a dire che le persone realmente in stato di bisogno non devono essere lasciate sole...

5) Retorsio argumenti: l’argomento che l’avversario porta a sostegno di una sua tesi viene usato meglio contro di lui. Esempio: la nostra amministrazione ha amministrato bene la città, riducendo i rifiuti in strada, avviando numerose opere, portando a termine alcuni eventi. Le vorrebbe dire che l’opera x era davvero utile? Vuol dire che negli ultimi sette anni i poveri sono diminuiti? afferma che le strade sono perfette? Etc etc etc

6) Apagoghe: trarre a forza dalle affermazioni dell’avversario tesi che in realtà non vi sono contenute e/o intenzioni che non sono quelle dell’avversario. Ad esempio: Se lei è contro la nostra riforma allora è per mantenere un sistema ingessato e per l’instabilità di governo… etc etc etc.

7) Tecnica mista/socratica. Frequente, ovviamente. Ad esempio: Lei è d’accordo che il benessere delle famiglie sia la cosa più importante in questo momento…. e che questo benessere dipenda dal lavoro…e che il lavoro dipenda dalla crescita… e che la crescita, in ultima analisi dipenda dalla sicurezza ed affidabilità percepita del paese..converrà quindi con me che, per raggiungere questa affidabilità ed attirare gli investitori bisogna dare seguito ad indispensabili riforme, nel settore del lavoro della previdenza, della sanità, delle privatizzazioni…. QUINDI etc etc. A meno che lei, naturalmente, non sia un esponente della sinistra radicale etc etc etc

Se state perdendo il dibattito o siete comunque in difficoltà o la faccenda sta diventando soporifera per chi ascolta vi sono almeno tre tattiche tipiche.

a) Diversione. E’ il classico: “la questione non è questa” che avrete sentito mille e mille volte. si cerca di portare la discussione fuori strada, possibilmente su un terreno più favorevole o almeno più incerto per l’avversario.

b) “Facite ammuina“: ovvero, come si dice a Roma, buttarla in caciara. Nella gazzarra, dando sulla voce ed impedendo ogni conclusione si impedisce all’avversario ed anche a chi ascolta di farsi una idea sulla cosa e, se per questo, anche sulle posizioni in rapporto alla cosa delle due parti.

c) “Redutio ad Hitlerum”. O ad Stalinum. O ad Mussolinum.

In sostanza, mentre l’avversario cita cose positive a sostegno di una sua tesi, affermare qualcosa tipo “si, i treni in orario sono importanti ma sotto Mussolini i treni arrivano in orario e non per questo voglio vivere in una dittatura”. Oppure: “Si, certo statalizziamo le banche salvate dal governo e poi continuiamo con le aziende. Finiremo in un batter d’occhio ai gulag ed alla dittatura del proletariato”.

…Si potrebbe continuare un bel pezzo. Lo scopo, ribadisco era di rendersi conto, insieme, che quel si dibatte sui media è davvero strutturato come un gioco delle parti con regole precise che portano, se ben comprese e seguite e quasi in automatico, risultati positivi (per chi le applica meglio). Ho la vaga speranza che, lette queste povere righe, siate presi dalla curiosità di approfondire da soli, se non altro per riconoscere all’opera le varie tecniche, specialmente quando sono utilizzate da bravi professionisti (sempre meno in verità). Mi pare ovvio affermare che uno TROPPO bravo in queste manfrine dovrebbe essere valutato attentamente, depurando tutte le fumisterie, in modo di arrivare SE esistono, alle sue reali intenzioni/capacità. Questo ovviamente è tanto più vero quanto più montano argomenti “di pancia” nella Società e nella “politica” (le virgolette sono d’obbligo, se uno torna all’accezione originale di Platone e lo confronta con l’attuale versione).

Il bello è che NON dovrete cercare molto per approfondire: Schopenhauer, filosofo più scherzoso di quanto mi ricordassi, ha scritto, oltre 160 anni fa, un’operetta quasi definitiva in merito, l’arte di ottenere ragione. Operetta in cui troverete gli esempi da me citati e molti, molti, altri. Abbastanza, se ben applicati, per vincere ogni dibattito, avere sempre ragione ed essere eletti alle prossime elezioni. (un poco per scherzo, ma anchenò).

Figli di un Dio Motore

Come vado da tempo spiegando, l’organizzazione della mobilità urbana nelle città italiane risponde a logiche diverse da quelle che regolano le altre grandi capitali del mondo industrializzato. Partendo dall’esempio di recenti fatti romani illustrerò come lo sviluppo di forme di mobilità sostenibile venga non solo ignorato, bensì scientemente ostacolato dalle nostre istituzioni .

I mass media ci raccontano ormai da decenni  di città soffocate dal traffico e dall’inquinamento, con progressivo aumento di patologie: allergie, malattie delle vie respiratorie, tumori, complicazioni cardiovascolari legate alla vita sedentaria, malattie da stress e via elencando. A completare questo quadro drammatico c’è poi l’incidentalità, che sforna un computo di morti, feriti ed invalidi tipico di una guerra a bassa intensità. Ci si potrebbe aspettare che una situazione tanto grave attivi reazioni urgenti da parte delle varie entità di governo del paese, tuttavia questo non avviene. Per l’esattezza non è mai avvenuto.

Continuiamo a vivere in città regolate da un Codice della Strada emanato negli anni ’50 e, a giudicare dagli effetti, direttamente redatto dagli allora dirigenti della FIAT. Un’organizzazione delle strade già in partenza molto discutibile che, proiettata ad oltre mezzo secolo di distanza, ha letteralmente intasato gli spazi urbani di veicoli privati in transito a velocità eccessive.

Ridurre il carico di veicoli che circolano nelle città è ovviamente possibile. Gli interventi da porre in atto ricadono in due grandi tipologie: limitazioni degli accessi veicolari da un lato, facilitazione dell’utilizzo di modalità di trasporto alternative all’automobile dall’altro. L’imposizione di limitazioni agli automobilisti ottiene per solito una levata di scudi da parte della cittadinanza, ed è facilmente strumentalizzabile come ‘liberticida’ dai conservatori dello status quo (anche se quella che si intende limitare è la libertà di far male agli altri). Una strategia meno apertamente conflittuale comporta la messa in sicurezza degli utenti leggeri (ciclisti, pedoni ed utenti del trasporto pubblico) nell’idea di ridurre il carico veicolare sulle strade semplicemente favorendo modalità diverse di spostamento. Nelle principali capitali dei paesi occidentali si va operando ormai da anni un mix delle due opzioni.

L’intervento più semplice di sistemazione ciclabile prende il nome di ‘bike lane’ e consiste nella separazione dei flussi a mezzo di  semplice segnaletica orizzontale: una riga bianca disegnata a terra con pittogrammi di bici intervallati fra loro. Questa sistemazione non modifica l’ampiezza della sede stradale, ma consente di indicare la porzione di suolo utilizzata dai ciclisti ed ottenere che gli automobilisti se ne tengano a debita distanza. Ovviamente la convivenza di veicoli tanto diversi in assenza di una separazione fisica richiede che le velocità relative siano relativamente basse, e non è pertanto applicabile sulle tratte stradali ‘ad alto scorrimento’.
Gli antesignani di questa soluzione sono stati olandesi e danesi, questo è un esempio di ‘bike lane’ a Copenhagen.

Copenhagen
Qui invece siamo a Parigi, dove nel corso degli ultimi dieci anni le corsie ciclabili si sono moltiplicate rapidamente.

Parigi
Ed ecco Londra, dove pure, a partire dall’ingresso nel 21° secolo, le politiche di incentivazione della mobilità ciclistica e pedonale sono state diffuse e radicali.

London
Perfino a New York, capitale morale del continente che ha visto il più alto tasso di motorizzazione globale, le amministrazioni più recenti stanno operando un ridisegno della viabilità cittadina per favorire la scelta, ormai diffusa, di muoversi in bicicletta e a piedi.

New York
Al contrario a Roma, la città in cui vivo, l’amministrazione comunale ha scelto di fare orecchie da mercante, manifestando la più totale sordità alle richieste massicciamente avanzate dai cittadini ciclisti. Le ultime realizzazioni ciclabili, costose e dalla discutibile efficacia, risalgono alle giunte Veltroni. Dalla successiva consiliatura Alemanno alla caduca giunta Marino si è assistito ad un vero e proprio valzer di assessori, nella media totalmente disinteressati alla promozione dell’uso della bici ed alla salute dei cittadini, quando non apertamente contrari.

Gli attivisti romani hanno perciò preso spunto dal lavoro svolto in un’altra grande capitale nordamericana, Seattle. Si sono rimboccati le maniche ed hanno iniziato a tracciare segmenti di bike-lanes in tratti particolarmente a rischio della città. L’individuazione dei punti sui quali intervenire si è avvalsa in parte dell’esperienza diretta, in parte di un’analisi delle criticità urbane sviluppata dal sottoscritto.

La prima infrastruttura di questo tipo, apparsa all’interno del sottopasso di Santa Bibiana, è stata prontamente cancellata e, a breve distanza di tempo, ripristinata dai cicloattivisti. Ne sono seguite altre sotto la Stazione Tuscolana e su via Prenestina che, ignorate dall’amministrazione, sono state utilizzate a lungo dai ciclisti romani. Diverso destino per l’ultima nata, la “5th Avenue” (perché quinta in ordine di tempo e come rimando all’omonima via newyorchese, recentemente dotata di una apposita bike lane), realizzata pochi giorni fa su Ponte Principe Amedeo d’Aosta. Ecco come appariva l’opera appena completata.

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A differenza delle precedenti (se si esclude Santa Bibiana), quest’ultima realizzazione è durata pochissimo. Le ‘truppe cammellate’ della manutenzione stradale, capaci di lasciare buche aperte per mesi e di ridipingere le strisce pedonali solo nella porzione di strada lasciata libera dalle auto in sosta vietata, a distanza di sole quarantott’ore sono corse a cancellarla, con un’urgenza altamente sospetta.

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Questo è l’effetto finale della sistemazione dopo la cancellazione. Notare come il flusso di traffico ‘rispetti’ ugualmente il corridoio nonostante la cancellazione della linea bianca. Segno evidente che la scelta di destinare l’intera ampiezza della carreggiata al transito veicolare non è dettato da alcuna reale necessità, ma solo un portato della volontà di assegnare tutto lo spazio disponibile ad un’unica tipologia di veicoli.

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Seattle, a differenza di Roma, ha mostrato una maggior intelligenza nell’accogliere le istanze dei cicloattivisti cittadini. Le bike lanes realizzate ‘clandestinamente’ sono state lasciate in funzione in via sperimentale, per verificarne la validità, ed in seguito acquisite come sistemazioni definitive della viabilità cittadina. Questo è quanto ci si potrebbe aspettare da un’amministrazione illuminata.

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Il comportamento di quella romana, al contrario, manifesta unicamente la stolida volontà di continuare ad affermare un potere assoluto, esercitato a difesa di sistemazioni stradali ormai palesemente disfunzionali ed antistoriche, baluardo di una modalità di trasporto inefficiente, energivora e per più di un motivo ormai insostenibile e da ridimensionare. Cosa che tutte le altre grandi città del pianeta hanno compreso da tempo.

La sorte dei cicloattivisti romani continua a rimandarmi alla mente la scena della donna ingegnere ebrea nel film Schindler’s List, che corre dal comandante del campo per segnalare un rischio di instabilità strutturale nelle nuove costruzioni, e viene per questo giustiziata sul posto. Una volta avvenuta l’esecuzione, lo stesso comandante ordina che la struttura venga modificata come da lei indicato.

Schindler's list
Che le modalità d’uso delle città siano destinate a cambiare in chiave di riduzione del traffico motorizzato è evidente a chiunque segua da un po’ le trasformazioni urbane in corso nelle grandi metropoli. Quello che le città italiane otterranno con questo ostruzionismo nel preservare utilizzi obsoleti dello spazio pubblico è altrettanto evidente: magri vantaggi per pochi soggetti economicamente forti ed un danno enorme in termini finanziari e di salute per l’intera popolazione. Personalmente avrei tanto desiderato un destino diverso per questo disgraziato paese.

Le conseguenze della corruzione

Quando leggiamo le statistiche della corruzione, che ci vedono ultimi in Europa e al 67° posto assoluto tra i paesi del mondo, la maggior parte di noi pensa semplicemente al politico truffaldino che intasca la fatidica mazzetta, personaggio iconico che la fantasia popolare percepisce ormai circonfuso da un’aura di simpatica ribalderia.

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In realtà le ricadute negative della corruzione sono ben più numerose, estese e gravi di quanto ci si renda normalmente conto. Christopher Groskopf ha recentemente pubblicato un post intitolato: “i cattivi guidatori sono un buon indicatore di un governo corrotto”, che a sua volta rimanda ad un precedente articolo di James O’Malley dal taglio più tecnico: “Le strade di Bucarest: come il comportamento stradale è correlato alla fiducia nel governo”. La tesi esposta in questi due lavori è che l’onda lunga della corruzione dilagante arrivi a produrre effetti nefasti in ambiti molto estesi e solo apparentemente non correlati.

In un sistema a corruzione endemica lo scambio di mazzette è solo la punta dell’iceberg. Una classe politica diffusamente delinquenziale deve attivamente alimentare un contesto sociale disfunzionale se vuole che il fenomeno corruttivo operi in maniera efficace. Il terreno fertile per la corruzione è caratterizzato da istituzioni inefficienti, norme procedurali farraginose ed incoerenti che offrano ampio margine alla discrezionalità, corpi di pubblica sicurezza sotto organico e con risorse limitate, clientelismo diffuso, percorsi processuali lunghi ed incerti (con tempi di prescrizione irragionevolmente brevi) e, quel che è peggio, da un’opinione pubblica ignorante, distratta e politicamente poco reattiva.

Cominciamo dall’inefficienza della macchina pubblica. Drenare risorse da un sistema funzionale non è semplice, dal momento che in un simile contesto le imprese lavorano e vengono pagate, le opere realizzate e la popolazione è soddisfatta. Innescare un meccanismo di favoreggiamento all’interno di un tale processo richiede di farsi parte attiva nell’estorsione e rischiare di incontrare, dall’altra parte, cittadini ligi alle regole e pronti a denunciare. Al contrario, con una macchina pubblica elefantiaca ed immobile si creano le condizioni ottimali perché qualsiasi intervento ‘facilitatore’ diventi indispensabile, e conseguentemente ‘retribuito’. Il punto, se ancora non è chiaro, non è tanto la singola mazzetta o la quantità di denaro sottratto, quanto la distruzione dell’efficienza della macchina pubblica indispensabile per dar vita ad un efficace sistema tangentizio.

Distruzione che ha, essa stessa, molte facce. Sul piano legislativo le leggi devono essere confuse e di difficoltosa applicazione, in modo da lasciare il massimo spazio da un lato all’inefficienza, dall’altro alla discrezionalità. In seconda battuta va coltivata una classe di burocrati e tecnici conniventi, che non pretenda, e men che meno ottenga, di rimettere in discussione i protocolli attuativi disfunzionali rendendoli efficaci. Una classe politica corrotta non promuoverà i funzionari in base al merito o alla competenza, bensì in base alla disponibilità ad assecondarne le scelte.

Una volta messo a regime il sistema estorsivo occorre, parallelamente, depotenziare l’azione delle forze dell’ordine per ostacolare l’individuazione e la persecuzione dei comportamenti illegali. Ciò si realizza da un lato agevolando le carriere di funzionari conniventi col detto sistema, dall’altro riducendo progressivamente le capacità operative ed investigative. Se questo vi fa tornare in mente le polemiche sulle volanti della Polizia ferme perché prive di carburante, o sulla sproporzione tra dipendenti negli uffici e personale realmente operativo, la cosa non può sorprendere.

Il clientelismo, o voto di scambio, è solo un’ennesima testa dell’idra. Politici corrotti presidiano la macchina pubblica assumendo amici e parenti che, riconoscenti, garantiscono ossequio alle direttive ed un serbatoio di voti certi alle successive elezioni. Questo sistema consente di saccheggiare direttamente le imprese pubbliche con false fatturazioni senza nemmeno passare per la rischiosa richiesta di tangenti. Un esempio particolarmente plateale è lo scandalo dell’emissione di biglietti falsi in ATAC, l’azienda di trasporto pubblico romano, venduti ai cittadini a pari prezzo di quelli legali mentre il ricavato finiva, anziché all’azienda in deficit, nelle tasche dei dipendenti e dei politici che avevano messo in piedi la truffa.

Un simile sistema basato su irregolarità, inefficienze ed arbitrio finisce col trasformare l’organizzazione della macchina pubblica nell’equivalente di una guerra tra bande criminali, dove ogni funzionario, dipartimento o gruppo di potere, risponde alle pressioni di realtà analoghe, ivi inclusi i poteri economici esterni all’amministrazione. I dipartimenti, invece di collaborare, si ostacolano l’un l’altro, ognuno cercando di sfruttare al massimo le proprie leve di potere. Essendo infiltrata a qualsiasi livello, al pari della Mafia in Sicilia, la corruzione diventa immenzionabile. O, per meglio dire, la corruzione non esiste.

Questo non richiede che tutti i politici, o tutti i funzionari, siano indiscriminatamente criminali. La politica è l’arte della manipolazione, e i manipolatori più abili occupano generalmente le posizioni apicali. Nei livelli intermedi troviamo spesso persone oneste e capaci, che provano a migliorare le cose, intrappolati come tutti gli altri nella tela del ragno. Queste persone garantiscono al sistema criminale un’immagine di presentabilità nei confronti dell’elettorato, ma al contempo ogni iniziativa che propongono viene sabotata da parte della macchina amministrativa, o direttamente dai vertici del partito, vanificandone gli sforzi.

Analogamente l’attivismo dei cittadini viene sistematicamente ostacolato, in particolar modo quando cerca di promuovere valori positivi, salvo occasionalmente strumentalizzarne l’operato nel momento in cui si è in cerca di consenso elettorale. All’interno della macchina istituzionale, i pochi risultati positivi prodotti da un comparto eventualmente meno corrotto vengono sistematicamente boicottati e demoliti dagli altri, spesso per pura necessità di affermazione di potere.

In questo quadro complessivo emerge una evidente risonanza tra poteri economici speculativi e corruzione politica, entità diverse che operano scientemente ai danni sia dei cittadini che di una macchina pubblica efficiente, perennemente sospesi sul sottile crinale rappresentato dal dover realizzare l’opposto di quanto promesso senza che l’opinione pubblica se ne accorga, e camuffando le volontà speculative nella narrazione di problemi, ritardi ed inefficienze burocratiche.

Ma l’ultimo e probabilmente più disastroso effetto consiste nella lenta e progressiva distruzione dell’intelligenza e della capacità di attenzione dell’opinione pubblica, all’interno di un meccanismo che si autoalimenta. Meno la ‘governance’ funziona, più il cittadino si trova a dimenarsi all’interno di un sistema caotico ed incapace di fornire risposte efficaci alle sue necessità, e più attenzione dovrà dirottare sulle proprie esigenze minime di sopravvivenza. Guidare in un traffico sregolato che divora energie ed ore di vita, rimbalzare da un ufficio all’altro, da una complicazione alla successiva, nell’incertezza di tutto, produce un consumo di risorse intellettive tale da rendere lontana, confusa e sfumata la percezione della devastazione sistemica complessiva.

Completa tale disastroso scenario l’asservimento dei mass media. Giornali e televisioni diffondono un’informazione grossolana e manipolata, priva di memoria storica e lontana anni luce dalla pratica anglosassone del ‘fact-checking’, sovente ridotta al puro ruolo di grancassa delle esternazioni del politico di turno, diffusa in maniera totalmente acritica. Trasferiti al livello nazionale questi meccanismi perversi generano un progressivo smantellamento del sistema scolastico, con peggioramento della qualità dell’istruzione, blocco del cosiddetto ‘ascensore sociale’ e fuga dei cervelli all’estero.

Ben lungi dal rappresentare una serie occasionale di singoli casi in cui il politico di turno ottiene la tradizionale ‘mazzetta’, il fenomeno corruttivo affligge l’intera organizzazione pubblica e statale in forme diverse, e si riflette in una varietà e vastità di ambiti tra loro apparentemente non correlati.  In questo scenario il termine ‘corruzione’ assurge al suo significato originario: la decomposizione di un organismo un tempo vivo (lo stato) le cui carni putrefatte esalano gas dagli odori nauseabondi mentre vengono divorate da vermi famelici.

Ciclo di retroazione della corruzioneP.s.: so già che molti staranno elaborando quest’analisi come una ennesima riproposizione di una qualche ‘teoria del complotto’. Purtroppo l’avvento di un’organizzazione sociale basata sulla corruzione diffusa non ha necessità di alcuna pianificazione (anche se il Piano di Rinascita Nazionale di Licio Gelli ci assomigliava molto), ma solo di una concordanza di intenti da parte di un numero sufficiente di soggetti criminali, oltre ad alcune condizioni di contorno. L’affermarsi della corruzione può essere descritta nei termini di un Comportamento Emergente della società italiana nel suo complesso. Questo concetto mi riservo di illustrarlo meglio in un prossimo post.

(gli argomenti illustrati in questo post sono stati ulteriormente integrati da Jacopo Simonetta)

Euroscettici

euroscetticiGli euroscettici vanno di moda, ma chi sono?    Secondo la vulgata sarebbero un variegato assemblaggio di movimenti sia di destra che di sinistra, nemici su tutto tranne che sul fatto che bisogna ridurre il potere degli organismi comunitari.   Anzi, per parecchi di loro sarebbe meglio abolirli proprio.
Ma sono davvero loro gli euroscettici?

Per discutere l’argomento, conviene cominciare con un ripassino-lampo di storia patria:

 

Un po’ di storia

All’inizio del XX secolo le potenze europee avevano, complessivamente, il mondo in pugno.   Una solida alleanza fra Inghilterra, Francia e Germania avrebbe avuto la forza di tenere incantonati Stati Uniti, Russia e Giappone, nonché di risolvere tutti i problemi interni di povertà continuando a sfruttare spudoratamente il resto del mondo.
Certo, non era etico, ma non fu per uno scrupolo morale, bensì per un desiderio folle di predominio che gli europei decisero di suicidarsi scatenando la più terribile guerra mai vista fino ad allora.

Anche i vincitori ne uscirono molto peggio di come ci erano entrati ed il fiume di sangue fu così impressionante che ne  scaturì il progetto della “Paneuropa”.   Un progetto che ebbe un notevole successo iniziale, ma che fu presto soffocato dall’arrivo in Europa della Grande Depressione degli anni’30, nata in USA.   Il precipitare della situazione economica riportò al governo partiti nazionalisti che tentarono di arginare i danni dei propri paesi a scapito dei vicini.   Particolarmente feroci furono i francesi a danno dei tedeschi, cosa che aiutò non poco la carriera politica di Adolf Hitler.

Fu così che gli europei si gettarono in un secondo ed ancor più devastante suicidio collettivo; il più grandioso dell’intera storia.   Come andò lo sappiamo e, scavalcando forse 50 milioni di morti, giungiamo al 1945, con noi ridotti ad un cumulo di macerie, mentre USA ed URSS si spartivano il mondo e quel che restava di noi.

Fu in questo desolante paesaggio che Robert Schuman ebbe l’idea geniale di sostituire lo sfruttamento dei vinti con la collaborazione economica.   Un processo che nelle sue intenzioni doveva gradualmente sanare le ferite reciproche e creare quel clima di fiducia e fratellanza che era indispensabile per giungere alla creazione di quegli Stati Uniti d’Europa, tante volte vagheggiati e mai realizzati.

Funzionò e così giungemmo al 1989: collasso dell’Impero Sovietico.   Occasione per gli europei per un nuovo suicidio.
Con la Russia a pezzi e l’America troppo ebbra di vittoria per preoccuparsi di noi, abbiamo avuto una finestra di buoni 10 anni per fare due cose:
– Guidare l’economia in uno stato il più possibile stazionario;
– Creare una EU politicamente molto coesa ed integrata da subito, diluendo invece l’integrazione economica nei decenni a venire.
In altre parole, politica e difesa comuni; economie tendenti all’unificazione, ma con i tempi e le protezioni di cui ognuno aveva bisogno.

Ancor più importante: basare l’integrazione dei paesi dell’est sulla necessità di fare fronte comune alle immense difficoltà che non avrebbero tardato ad arrivare, anziché sulla prosopopea dell’arricchito che “educa al benessere” il suo vicino di casa povero.

Esattamente il contrario di quanto fecero i partiti al potere allora (ed ora).

euro-crisisLo stesso progetto della moneta unica, nacque come grimaldello per costringere le oligarchie nazionali a cedere effettiva sovranità ad un livello federale.    L’idea era, infatti, che poiché una moneta unica non potrà mai funzionare senza un governo unico, l’adesione all’Euro avrebbe poi costretto i vari “ras” ad accettare almeno un embrione di federazione.
Sbagliato.    Non ci hanno pensato due volte a mandare ai pesci il più importante esperimento politico del secolo per non rinunciare ad una fetta del loro potere.    Signora Merkel in testa al corteo.

Quel che non capisco è perché proprio lei ora si lamenti del fatto che il corteo cui ha dato l’avvio sta avendo tanto successo.

Comunque, non ci bastò: perseguendo un sogno neocoloniale assolutamente folle, assieme agli USA abbiamo promosso e spinto la globalizzazione economica planetaria.

Il sogno era affascinante: un Europa faro di civiltà che gestisce buona parte dell’economia mondiale (a proprio vantaggio), mentre le fabbriche, l’inquinamento, il proletariato urbano e tutte le altre cose sgradevoli connesse con lo sviluppo se le prendevano gli altri che, per di più, ce ne sarebbero stati grati.
E’ andata un po’ diversamente ed ora che la realtà bussa alle porte dei nostri sogni possiamo scegliere fra molte opzioni, ma ancora una volta riemergono gli spettri di un nazionalismo che, evidentemente, non ci è ancora costato abbastanza.    Sembra che stiamo nuovamente scegliendo di scannarci fra di noi, anche se sul piano economico e commerciale, anziché su quello militare, probabilmente perché non abbiamo più forze armate in grado di combattere se non come supporto a quelle USA.

 

Chi sono gli euroscettici?

Fenomeni complessi come questo hanno sempre cause altrettanto complesse, ma una di queste è facile da identificare: i partiti che controllano i governi nazionali controllano anche il Consiglio Europeo che è il vero organo decisionale comunitario.   E da 30 anni questi partiti sono impegnati in un gioco di prestigio: far funzionare un’economia integrata, ma senza integrare le politiche; anzi, spesso tirando a farsi l’un l’altro le scarpe.
Non funziona e non può funzionare, ma questa semplice constatazione non riesce a scalfire i processi decisionali interni agli stati che poi, tramite il Consiglio, si riverberano a livello comunitario.

Il paradosso sta tutto qui: gli stessi partiti che nel Parlamento europeo spingono per una sempre maggiore integrazione, nelle rispettive capitali locali e nel Consiglio Europeo remano invece contro, chi più chi meno.
Del resto è sempre così: le comunità sono più forti dei singoli e danno quindi dei vantaggi, ma per farle funzionare occorre che ognuno sia disponibile a far passare l’interesse collettivo avanti a quello individuale.   E questo non sembra che nessun governo abbia voglia di farlo.

Dunque, se proprio coloro che da sempre stanno seduti nelle “stanze dei bottoni” hanno estrema cura che certe cose non funzionino, è ovvio che non funzioneranno.    Ed è altrettanto ovvio che questo provocherà problemi, scontento e la precisa sensazione di essere presi in giro.   Sentimenti più che giustificati su cui estrema destra e sinistra hanno facile presa.

Io visualizzo la situazione in questi termini: siamo in mezzo ad un mare in tempesta e l’occhio del ciclone si avvicina.   La nostra barca è apparentemente robusta, ma chi la ha governata finora ha smontato gran parte delle strutture portanti per farci delle sovrastrutture inutili e pesanti che fanno beccheggiare pericolosamente lo scafo, mentre imbarchiamo acqua da diverse falle.   Gli ufficiali si picchiano intorno al timone, mentre i membri dell’equipaggio vagano con grosse canne in bocca e bottiglie di whisky mezze vuote in mano.   A questo punto un certo numero di passeggeri si ribella ed ha un’idea: affondiamo la barca ed andiamocene ognuno per conto suo, vedrete come sarà bello nuotare!

In conclusione, chi sono gli euroscettici?

Quelli che per 30 anni si sono rifiutati di fare davvero l’Europa, o quelli che in questi giorni si stanno costruendo delle carriere politiche sugli errori commessi da altri?

Comunque, almeno una cosa nessun euroscettico potrà negare: tutti i popoli d’Europa sono accomunati da almeno due cose: la smisurata superbia ed una spiccata tendenza al masochismo.

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Trappola 1: buoni e cattivi.

Di Jacopo Simonetta.

lavagna-buoni-e-cattiviAi bambini si insegna che ci sono buoni e cattivi, sarebbe difficile fare diversamente. Ma il problema è che molti mantengono questo modo di pensare anche da grandi e questo è un problema serio, fra i tanti altri.    Il fatto che se “A” è cattivo, “B” nemico di “A” deve essere buono traspare spessissimo nell’atteggiamento di persone anche di ragguardevole cultura.   Quel che è peggio, in quello di persone di ragguardevole potere.
Forse l’esempio più macroscopico e drammatico è stato il parziale collasso dell’impero sovietico.   Dopo 50 anni di Guerra Fredda, il fallimento del comunismo è stato letto dai più come la dimostrazione della validità del capitalismo.   Che potessero essere sbagliati entrambi ha sfiorato ben poche e del tutto marginali meningi.   Oggi si cominciano a pagare le conseguenze di questo catastrofico errore.
Un esempio meno drammatico, ma istruttivo, ci viene dal discorso tenuto da Sergei Lavrov alla 31 sessione del Consiglio sui Diritti dell’Uomo tenutosi a Ginevra il 29 febbraio 2016.  Un discorso che è stato accolto con rabbia od entusiasmo dalle opposte fazioni.   A mio avviso un discorso interessante proprio per verificare come si può agevolmente mentire dicendo il vero.
Vediamo, in sintesi che ha detto:
1 – Le “primavere arabe” hanno portato disastri umanitari, anziché libertà e benessere. Vero (con la parziale eccezione della Tunisia e solo per il momento), ma lo si sapeva da subito.   Le rivolte sono nate per l’esasperazione di situazioni maturate nei decenni ed afferenti perlopiù alla sovrappopolazione.   Rovesciare  regimi corrotti e più meno feroci non poteva certo risolvere la situazione.
I francesi e gli inglesi (con il supporto USA) hanno sostenuto la rivolta in Libia ed i russi hanno sostenuto il governo in Siria.   Non mi sembra che i risultati siano esaltanti in nessuno dei due casi.
2 – I Diritti dell’uomo vengono regolarmente strumentalizzati per fini politici. Vero anche questo. Gli occidentali non hanno infatti lesinato aiuti a personaggi del calibro di Saddam Hussein e Gheddafi, quando gli facevano comodo, per poi farli fuori quando lo hanno ritenuto opportuno. Quando la Russia ha semi-distrutto la Cecenia abbiamo lasciato fare perché ci faceva comodo, mentre ci siamo precipitati in Kosovo, sempre perché ci serviva.  Del resto, non penso proprio che Putin e Lavrov abbiano grande stima di Assad, ma per ora gli è utile. Lo stesso hanno sempre fatto e fanno i governi “imperialisti” in senso molto lato.
Ci sono alternative?   Non lo so, ma non è rinfacciandoci l’un l’altro di fare le stesse cose che troveremo una soluzione. E, d’altronde, in Kosovo come in Cecenia e altrove, è vero che una potenza imperialista si è imposta con la violenza, ma le truppe sconfitte non erano certamente delle dame di carità.
3 – In Europa orientale ed in particolare in Ucraina e Polonia stanno risorgendo partiti neonazisti fanaticamente anti-russi che le autorità europee tollerano. Vero anche questo, come è vero che la Russia intrattiene rapporti di stretta collaborazione con Forza Nuova, Fronte Nazionale, Jobbik ed altri partiti apertamente filo-russi.  Svoboda ha mandato miliziani anti-russi nel Donbass, mentre Forza Nuova ne ha mandati a sostegno dei filo-russi.    Chi sostiene l’estrema destra fascistoide in Europa?
4 – La Turchia arma i miliziani dell’ISIS. Di questo sono personalmente convinto, ma non può darsi per certo.   Diciamo che è probabile, perlomeno fino ad un certo punto.   E certamente la Turchia sta giocando su molti tavoli contemporaneamente con il duplice scopo di far fuori sia i curdi che Assad. Ma l’aereo russo abbattuto dai turchi non stava bombardando posizioni dell’ISIL, bensì i ribelli turcomanni. Una delle tante milizie etniche afferenti al cosiddetto “Esercito Siriano Libero”. Definiti in occidente “ribelli moderati”, ma sulla cui moderazione mi permetto di avere dei dubbi. Certo, dai dati disponibili risulta che circa l’80% dei civili li ha ammazzati il governo, ma forse solo perché è l’unico a disporre di aviazione ed artiglieria.
Alla fin fine, la “moderazione” dipende prevalentemente da due fattori. Uno militare: quale è il volume di fuoco di cui disponi? Il secondo è politico: a chi e quanto fai comodo?
Basti pensare che fino poco tempo fa ci sentivamo dire che l’Arabia Saudita è un paese moderato! Mentre da qualche mese comincia a diventare moderato l’Iran.   Staranno cambiando le alleanze, oppure i governi in questione?
5 – Gli occidentali sono degli ipocriti che dicono di voler accogliere i profughi per poi maltrattarli in modo che smettano di venire. Verissimo anche questo, ma come mai il flusso di profughi aumenta con l’avanzare delle truppe di Assad?   E come mai i profughi siriani che arrivano in Russia poi cercano di arrivare in Scandinavia?  Certo bombardamenti e combattimenti non sono l’unico fattore in gioco. Molto del flusso è infatti prodotto dai turchi per fare pressione sull’UE.   Ma è anche vero che molti siriani temono il ritorno dell’ordine quanto e più del disordine. Non dimentichiamoci che tutti i fattori scatenanti la rivolta del 2011 sono uguali o molto peggiori di allora e che l’unico modo realistico per imporre l’ordine pubblico in una simile situazione è il terrorismo.
Con ciò i russi sono cattivi e noi buoni?   Oppure viceversa?   Magari nessuno dei due.   Allora, siccome sono tutti cattivi sono tutti uguali? Neppure.
Intanto se i buoni scarseggiano alquanto, esistono comunque i cattivi ed i pessimi, ma soprattutto esistono gli intelligenti ed i fessi. Ancor più, le stesse persone e gli stessi governi fanno a volte cose intelligenti ed altre cose stupide.   Infine, ci sono cose che giovano il mio Paese e cose che lo danneggiano e non sta ai governanti esteri provvedere alle nostre necessità, bensì ai nostri.

Il populismo è di moda, ma sappiamo cos’è?

 

George OrwellOggi  “pupulista” è un insulto e lo era spesso anche in passato.   Eppure proprio questa eterogenea matrice ha prodotto l’unica seria opposizione a quegli ideali di “progresso” perseguendo i quali siamo giunti esattamente dove siamo oggi.

Con questo non intendo certo idealizzare i populisti del passato.   Chi ha vissuto in un paese ancora 40 o 50 anni fa, ha un’idea di quando schiacciante può essere quella “common decency” tanto cara ad Orwell.   Ma tengo a far presente è che il populismo odierno ha ben poco in comune con quello del passato.   In particolare per la tendenza che i movimenti populisti odierni hanno per i capi autoritari, le fantasie nazionaliste e l’ assistenzialismo di stato.   Tutti elementi che i populisti del passato disprezzavano profondamente.

Una differenza che probabilmente dipende in parte del fatto che i movimenti del passato sorsero ed insorsero a difesa di una tradizione antica e, all’epoca, ben viva.   Una tradizione che la trasformazione dei lavoratori in proletari o consumatori, a seconda dei casi, ha completamente distrutto, lasciando un sentimento di rivalsa che non riesce ad avere costrutto.

Il populismo ieri.

A scuola, sembra che il storia del pensiero politico moderno si riassuma nello scontro fra due grandi scuole: quella liberal-capitalista e quella socialista che né è uscita sconfitta.   La realtà è, come sempre, parecchio più complicata.

Tanto per cominciare, le due citate scuole di pensiero non erano poi così antitetiche.   Condividevano infatti una comune ideologia di fondo: il progresso inteso come inarrestabile processo di miglioramento della condizione umana.   Del resto, entrambe si rivendicavano legittime eredi dell’Illuminismo, visto come la grande rottura fra un “prima” fatto di miseria morale e materiale, oscurantismo, persecuzione e quant’altro; ed un “dopo” proiettato in un futuro radioso.

Dunque lo scontro fra le due scuole, non di rado sanguinoso, fu sostanzialmente su quali fossero i mezzi più efficaci per raggiungere lo scopo comune.   Se mediante un’accumulazione di capitale privato oppure di capitale statale, se tramite una liberalizzazione delle attività economiche, oppure una pianificazione delle medesime, eccetera.   Ma per entrambe contrastare il progresso era affare di aristocratici parassiti, nostalgici, romantici perdigiorno, retrogradi, corporazioni oscurantiste, borghesi bigotti, masse abbrutite dall’ignoranza o nemici del popolo, secondo il caso.

In una serie di post pubblicati su “Effetto Risorse” (qui, e qui) ho cercato di tracciare l’origine di questa singolare visione del mondo.   Qui vorrei accennare invece a quelle “forze oscure della reazione in agguato” che le si opposero.

Secondo la vulgata, in prima fila ci sarebbe stata l’aristocrazia molle e parassita dell’”Ancien régime”, retaggio di un mondo feudale sinonimo di ogni orrore.   Solo che, sorpresa, l’Ancien Régime era quanto mai moderno.   Ed era nato proprio dallo sforzo di molti stati di chiudere definitivamente i conti con gli ultimi strascichi di una tradizione feudale oramai decotta.   La modernità, teorizzata e caldeggiata dai progressisti, nella seconda metà del XVIII secolo erano gli stati nazionali retti da autocrati “illuminati”.   Vale a dire promotori a tempo pieno di quella rivoluzione industriale che cominciava a delinearsi.   Del resto, le grandi famiglie dell’epoca erano composte perlopiù da banchieri, industriali ed alti funzionari.   Le proprietà terriere ed i castelli in qualche caso erano una pittoresca eredità, in altri un acquisto recente destinato a dare lustro a nomi e cognomi privi di storia.

Chi, invece, si oppose fieramente, da subito e per oltre un secolo alla visione progressista del mondo fu un’eterogenea accozzaglia di movimenti in cui confluirono e defluirono personaggi molto diversi.   Anche un certo numero di latifondisti ed intellettuali certo, ma principalmente artigiani, operai e contadini proprietari della terra.   Ivi compresa parte della piccola aristocrazia di campagna, marginalizzata ed impoverita dallo sviluppo dell’industria e della finanza.

rivolte luddisteUno dei primi e più famosi di questi movimenti fu quello dei “Luddisti” che sfociò in vere e proprie sommosse represse nel sangue.   Lo scopo che animava questi ribelli era soprattutto la salvaguardia della dignità del lavoro artigianale e manuale.   La meccanizzazione e la specializzazione dei ruoli in fabbrica erano visti infatti come degradanti per i lavoratori.   Ma ancor più era avversata l’istituzione del lavoro dipendente salariato.

Oggi che sempre più gente anela ad un salario che non può avere sembra incredibile.   Ma fin’oltre la metà del XIX secolo l’imposizione del regime salariale era visto da molti dei diretti interessati come una vera e propria forma di schiavitù.

Solo in alcuni casi da questi movimenti nacquero dei veri partiti, come il People’s Party in USA ed il Narodničestvo in Russia, spesso confusi con partiti socialisti.   Ma al contrario di questi, i populisti vedevano nella grande industria, nella meccanizzazione ed elettrificazione nient’altro che potenti mezzi per meglio proletarizzare e sfruttare i lavoratori.

Come fondamento dell’edificio sociale proponevano non già la dittatura del proletariato od il benessere, bensì quell’insieme di valori e comportamenti radicati nella tradizione popolare che davano identità, struttura sociale e resilienza alle classi lavoratrici.   Difendevano quindi la proprietà privata e gli antichi diritti d’uso civico;  avversavano invece i monopoli ed il latifondo, come pure la statalizzazione dei mezzi di produzione.   In alternativa, tentarono di costituire cooperative che quasi sempre fallirono perché avversate sia dai liberali che dai socialisti, sia pure per opposte ragioni.   Rifiutavano l’ingerenza dello stato, come anche dei sindacati di partito, nelle loro faccende, preferendo organizzarsi autonomamente in strutture di remota tradizione e spesso divenute illegali come le ghilde, le confraternite e le società di mutuo soccorso.

StalinSicuramente il più tragico evento legato a questa tradizione fu l’Holomodor (dai 3 ai 9 milioni di morti secondo le stime) con cui tra il 1932 ed 1933 Stalin chiuse definitivamente la partita con la pretesa di contadini ucraini di rimanere economicamente autonomi.

 

Il populismo domani?

Nei due secoli che hanno preceduto la totale egemonia dell’ideologia progressista ci furono anche altri ed importanti movimenti politici, basti citare gli anarchici ed i monarchici, su barricate opposte.   Qui ho voluto rievocare fugacemente il populismo delle origini perché tutti noi stiamo scivolando giù per la china del “dirupo di Seneca” senza reagire.   Le ragioni sono molte e una fra queste penso sia che siamo terribilmente a corto di idee politiche; forse conoscere meglio il passato potrebbe stimolare la nostra creatività.

Purtroppo, il fallimento dei sistemi socialisti è stato erroneamente interpretato come la dimostrazione della giustezza del sistema capitalista.

Perfino il movimento ambientalista, che avrebbe potuto rappresentare la vera novità politica del XX secolo, si è dissolto nella matrice progressista, disgregato in un ala filo socialista (maggioritaria in Europa occidentale) ed una filo-liberale (maggioritaria in Europa orientale).

E man mano che diventa evidente che anche il capitalismo ha fallito e con lui il progressismo tutto, ci troviamo nel vuoto completo.

E dal vuoto, come diceva Gramsci, nascono i mostri.

neonazisti