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La grande onda e piccoli uomini

hokusai surfing the big wave

Un’altra onda dipinta da Hokusai

Di recente Ugo, ha fatto un passo al di la del suo ormai celeberrimo dirupo di Seneca. E l’ha esemplificato con la grande onda di Hokusai. Credo abbia ragione.

E’ facile, dopo la tragedia dell’Hotel di Rigopiano, gridare all’evento straordinario, oppure, al contrario alla speculazione edilizia. La verità secondo me è che quella di Rigopiano non è stata una tragedia annunciata. Ne è un canarino nella miniera, che segnala che qualcosa sta succedendo al clima. E’ piuttosto il simbolo, l’ennesimo, della nostra incapacità di piccoli uomini di avere la piena consapevolezza di quel che facciamo, delle conseguenze delle nostre scelte, vicine e lontane. In pratica, stiamo esponendo l’intero pianeta ad un esperimento climatico mai visto INSIEME ad un esperimento ecologico mai visto. L’asservimento dell’intera biosfera ai bisogni di una singola specie. E la devastazione del sottile equilibrio che aveva garantito, fin qui, il clamoroso successo evolutivo di quella specie.

O credete che sia un caso, il fatto che ci siano voluti quasi centomila anni, ad uomini indistinguibili da noi, dal punto di vista fisiologico, per uscire dal paleolitico?

Ora, è decisamente tardi, troppo troppo tardi per stupirsi e, d’altronde è anche troppo tardi per prendere provvedimenti che non siano quelli di prepararsi a molti, forse troppi, avvenimenti del genere. Abbiamo scatenato una belva. Tre metri di neve. o tre giorni di pioggia. o tre mesi di siccità. o tre ore di uragano. Non importa. E gli albergatori di Rigopiano, con il loro albergo realizzato su un’area non sicura al cento per cento sono in clamorosa compagnia di buona parte degli insediamenti montani moderni e non solo.

Motivo semplice: eventi rarissimi, plurisecolari, di cui pure si conserva debole traccia geologica, diventano sempre più frequenti tanto da essere probabili nel corso della vita di un insediamento.

Se i nostri nonni erano sufficientemente prudenti e sufficientemente pochi, in queste zone di montagna, da scegliere solo i luoghi più sicuri e più riparati per gli insediamenti, ormai i villaggi  di montagna sono cresciuti a dismisura, trasformandosi in alcuni casi in vere cittadine e saturando lo spazio di fondovalle disponibile. spesso questi fondovalle nascondono le tracce di eventi catastrofici antichi, remoti o addirittura recenti. Un caso per tutti: Alleghe.

alleghe

Attualmente un ridente borgo di montagna, adagiato intorno ad un bellissimo laghetto. questo laghetto fino al 1771 non esisteva. Una enorme frana, staccatasi dal Monte Piz, sbarrò una valle, uccise 49 persone, distrusse un paio di paesi e portò alla formazione del lago.

SE fosse successa oggi, e potrebbe succedere, in uno delle centinaia di borghi montani sviluppatisi nel frattempo, in tutte le Alpi,  i morti si sarebbero contati a migliaia. La frana non era caduta per un caso, ovviamente ma per ben precisi motivi geologici. Questi motivi permangono ed eventi climatici estremi potrebbero riattivare la zona di frana o altre zone limitrofe con simili configurazioni geologiche. Allo stesso modo, il numero crescente di eventi meteoclimatici estremi non è un caso ma la conseguenze, prevedibile e prevista, del riscaldamento globale che solo un diversamente biondo, inopinatamente presidente degli Stati Uniti, può ritenere non nostra responsabilità.  Il combinato disposto di elevata antropizzazione delle nostre montagne e crescente esposizione ad eventi estremi rende certi altri eventi disastrosi. frane, inondazioni, slavine catastrofiche. Prepariamoci a tanti Rigopiano. Ce li siamo cercati. La grande onda che abbiamo generato non possiamo fermarla. Possiamo solo provare a surfarla.

Possiamo imparare qualcosa dal referendum?

In un precedente post avevo preso una posizione del tipo “voto no, ma senza entusiasmo” in quanto convengo che la costituzione attuale non sia più adeguata ai tempi, ma la riforma mi pareva peggiorativa.   Il referendum è stato votato e ora tutti si ingegnano ad analizzarne il risultato.   Su di un blog come questo non possiamo esimerci dal fare la nostra piccola parte in questa discussione cercando, come al solito, di dare un punto di vista un tantino diverso da quelli più di moda.  Non migliore, semplicemente un pochino diverso.

Perciò qui non vorrei discutere nel merito della riforma che,  giusta o sbagliata che fosse, non si farà.   Vorrei invece dare un’occhiata agli errori che Renzi ha commesso nella campagna elettorale “peggiore di sempre” e quali lezioni politiche se ne possono eventualmente ricavare.

Sbaglio 1.   La sua riforma era tecnicamente pasticciata.   Al di la del merito, gli articoli erano scritti in modo da lasciare ampio margine di manovra ai giuristi ed ai costituzionalisti che la avversavano.  Era ovvio che la grande maggioranza dei magistrati e dei costituzionalisti avrebbero preso una posizione conservatrice, è il loro ruolo, e Renzi avrebbe fatto meglio a mandare in giro gente meglio preparata.   Al di là di questo, qui la lezione è che manipolare un sistema estremamente complesso come un moderno sistema normativo ed istituzionale è un compito pazzescamente difficile che può essere tentato solo sulla scorta di una competenza tecnica estrema di ogni dettaglio.   Altrimenti il rischio di fare danni imprevisti ed imprevedibili è molto alto, per quanto buone possano essere le intenzioni.

Sbaglio 2. Farsi dare sostegno ufficiale dalle istituzioni finanziarie, dalla confindustria, perfino dalla Merkel e da Schäuble, due dei soggetti meno popolari del momento (a buon diritto, peraltro).  Mica male per uno che nel frattempo si proponeva come paladino “contro il sistema”.   Stesso identico errore fatto dalla Clinton: ad ogni “endorsment” da parte di pezzi grossi dell’economia e della finanza ha perso voti.   Lo stesso ha fatto Cameron, mentre il contrario lo ha fatto Trump che, malgrado sia lui stesso un “big” ben piazzato nel cuore del sistema, ha vinto anche grazie al voto di protesta.
porte pericoloseA parte l’errore tattico, cosa ci dice questo? Una cosa estremamente allarmante: che le istituzioni ed i personaggi illustri hanno perso la fiducia e la credibilità.   Questo è estremamente pericoloso perché, letteralmente, spalanca porte da cui è molto più facile che passino diavoli piuttosto che angeli.

Sbaglio 3. Personalizzare il voto.   Come capo dell’esecutivo, Renzi avrebbe avuto il dovere istituzionale di essere (o perlomeno di fingersi) neutrale.   Cinicamente, avrebbe così evitato che, di fatto, si formasse una coalizione di tutti contro di lui, ma soprattutto avrebbe messo il governo al riparo dai risultati incerti della consultazione.  In altre parole, mentre tuonava contro l’instabilità, era lui il primo a destabilizzare.  Non predisporre una scappatoia in caso di sconfitta è un errore di una banalità disarmante.   Comunque, anche qui c’è una lezione da imparare: la popolarità si perde con estrema rapidità.   Renzi ha fatto una parabola per alcuni aspetti simile a quella di Berlusconi, ma che si è conclusa dopo 3 anni invece che in 20.   Molti sono gli elementi di diversità fra i due casi, ma comunque chi si pone come “leader carismatico” può oramai contare su pochi anni di autonomia, se non pochi mesi.   Parlare di stabilità in queste condizioni è possibile solamente se, anziché sulla faccia del leader, ci si basa sulle istituzioni.  Cioè proprio quella cosa che tutti gli aspiranti “capi” si affannano a picconare.   Aprendo altre porte molto pericolose.

Sbaglio 4.  Presentare gli avversari come imbecilli, retrogradi, ecc.   Non funziona, semmai motiva chi già propende per l’altro campo a diventare un attivista.   Ancora più grave, per avallare questa tesi la propaganda renziana ha dato risalto ai più fanfaroni dei suoi avversari, anziché a quelli più seri e competenti.   Col risultato di avere, ancora una volta, creato un sacco di polverone laddove ci sarebbe voluta lucida critica e puntuale analisi.
Altra lezioncina: nel dibattito politico meglio concentrarsi sugli avversari più credibili ed affidabili (in questo caso buona parte della magistratura).   Non per dar loro ragione, ma per alzare il livello del dibattito e marginalizzare quelli che sanno solo sbraitare.  Sempre che si sia in grado di competere su di un terreno di questo tipo.

Sbaglio 5.  Scimmiottare gli slogan antieuropeisti di Salvini e Grillo, oltre che infarcire la legge finanziaria di marchette che sai non essere fattibili.  Lo scopo era quello di blandire vari settori di elettorato, in particolare con gli  eurofobici.  Geniale per uno che avrebbe potuto essere il leader del secondo partito europeo se solo ci avesse fatto caso!   Ancora più geniale sparare su Junker (che per una volta è stato furbo), mentre chiedeva appoggio alla Merkel!  Comunque,  l’elettorato eurofobico ha già i suoi punti di riferimento consolidati nella Lega e nei 5stelle, cioè nei due principali avversari del PD.   Non poteva funzionare.
Ancora una volta, la lezione dovrebbe essere quella che conviene sempre cercare di tenere il dibattito il più in alto possibile, spiegando le cose nel merito e nel dettaglio, distinguendo e precisando in modo da lasciare un’utile eredità anche in caso di sconfitta.

Sbaglio 6.   Agitare la paura del caos che dovrebbe seguire la tua eventuale sconfitta.  Si sa, la paura del nemico aggrega e rende i cittadini consenzienti a molte cose altrimenti inaccettabili.   Una ricetta che, chi più chi meno, stanno usando un po’ tutti i governi del mondo.   Ma se in Russia la paura degli americani può funzionare, in Italia la paura di Grillo non basta.   Sono troppo diversi i contesti e la percentuale di realtà sottostante l’esagerazione propagandistica.   Inoltre, si da il caso che una grossa percentuale di elettorato abbia raggiunto un limite di esasperazione tale da desiderare il caos più della stabilità che pretendi di rappresentare (e che invece picconi per primo).   Questa è, secondo me, la lezione principale: soffiare sul fuoco per cavalcare le fiamme è un gioco che finisce molto più facilmente male che bene.   E fa perdere l’appoggio di quanti hanno invece l’abitudine di riflettere; cioè proprio della porzione di opinione pubblica su cui si può appoggiare un’azione politica costruttiva.

In sintesi, se mi potessi permettere di dare un consiglio non richiesto ai politici, direi questo:   Piantatela di sfruttare l’onda del malcontento per la vostra personale carriera.   Certo, l’onda vi può portare in alto, ma per gli stessi motivi per cui  vi favorisce finché siete all’opposizione, vi travolge quando siete al governo.
Se davvero volete stabilità, la prima cosa da fare è smettere di spararle grosse e concentrarsi sui fatti.   Pensare che calmare gli animi e spiegare le cose è più importante che vincere la prossima consultazione e che perdere bene può essere meglio che vincere male.
Chi vincerà cavalcando le onde della rabbia e della paura durerà comunque poco.   A meno che non sia in grado di cogliere un’occasione fugace per insediare un governo più o meno totalitario: un pericolo gravissimo e molto presente per tutti noi.   L’aver avuto 70 anni di sostanziale libertà personale non ci mette al riparo da niente, anzi ci rende particolarmente vulnerabili perché abbiamo dimenticato quanto facilmente certi fenomeni avvengono.  E quanto la rabbia, la paura e l’esasperazione facilitino la scalata al potere di personaggi pericolosi.

Il mio consiglio agli elettori è quindi questo: diffidate sempre di chi fomenta sentimenti forti e contagiosi come la rabbia e la paura.   I pericoli ci sono e sono molto più grandi di quel che molti di noi non sospettino, ma farsi prendere dalla furia o dal panico è il modo più sicuro per esserne travolti nel peggiore dei modi possibili.

REFERENDUM! Occhio che stavolta è diverso.

A proposito del referendum, vorrei profittare di questa pagina per ricordare alcuni punti ed esprimere un’opinione.

Il primo punto da ricordare bene è: qui non si tratta di abrogare o modificare una norma specifica, bensì di modificare in maniera sostanziale la Costituzione.   Ovvero la base stessa della legalità.   Si può essere a favore o contro, ma non si può pensare che sia poco importante.

Il secondo punto è che questo non è un referendum abrogativo, bensì propositivo.
Siamo abituati a delle consultazioni che intendono abrogare una norma già in vigore.   Dunque chi non vuole quella norma vota si e chi la vuole vota no.  Stavolta è il contrario!  Le modifiche proposte da Renzi non sono in vigore.   Chi le vuole deve votare SI e chi non le vuole deve votare NO.   Sembra banale, ma è meglio dirlo una volta di troppo.

Il terzo punto è che stavolta NON c’è quorum.   Facciano attenzione, tutti coloro che pensano che per boicottare un referendum basti non andare a votare.    Stavolta, se voterà una sola persona, tutti dovranno poi fare quello che a deciso quel tale.   Quindi, comunque la pensiate, dovete andare a votare.   O, in alternativa, rinunciate a qualunque lamentela circa il risultato.

Il quarto punto è che la Costituzione dovrebbe essere il testo di base cui tutte le altre leggi si riferiscono.   Il testo proposto da Renzi, al contrario, contiene paginate di riferimenti a leggi ordinarie, molte delle quali ancora da farsi.   Il che significa che, se passasse, sarebbe poi possibile ulteriormente modificare il funzionamento della costituzione manipolando leggi ordinarie con procedure ordinarie.

Un quinto punto richiede un po’ più di parole.    La campagna per il si di Renzi è fuffa.   Puro marketing che non ha niente a che vedere con i suoi piani per dopo.    Lo sappiamo perché ha assunto per la modica cifra di 400.000 euro ad un tal Jim Messina che non è un esperto di politica, bensì un esperto di marketing e di campagne pubblicitarie.   Quello che diresse la seconda campagna elettorale di Obama, per capirsi.   Dunque uno che  non sa niente della politica italiana ed europea e neanche gliene frega niente.   Fa solo pubblicità e per farla ha visto nei sondaggi che l’Europa è poco popolare (senza peraltro preoccuparsi di sapere cosa sia, né come funzioni).   Ed ecco che Matteo spara a zero sulle istituzioni comunitarie a casaccio, senza preoccuparsi delle conseguenze.
Un esempio per capirsi.   La legge di bilancio che sarebbe stata bocciata dalla Commissione perché contiene dei fondi in più per le scuole e la ricostruzione.    Tanto che, per rappresaglia, il nostro sta rallentando e minaccia di bloccare l’approvazione del bilancio comunitario.     Si da però il caso che i soldi per le emergenze (ad es. terremoto e migranti) siano fuori dai parametri di Maastricht per trattato.   Anzi, nel bilancio che Matteo minaccia di bloccare ci sono anche i fondi speciali della Commissione Europea per ricostruire la cattedrale di Norcia.   Oltre a buona parte dei soldi che sta promettendo in giro “contro tutto e contro tutti” e che, invece, sono fondi europei già stanziati.
A Renzi ed a Mr. Messina tutto ciò non interessa.   L’importante per loro è che il 4 dicembre la riforma passi.   Poi cambieranno i toni, cambieranno le leggi di bilancio, cambierà tutto.  E se nel frattempo l’Italia avrà perso una buona parte delle residue possibilità che aveva per discutere una modifica dei trattati europei, “chissenefrega”!

Questi alcuni fatti.   Ora la mia opinione personale di individuo che non è né un giurista, né un costituzionalista.    Chi volesse studiarsi i dettagli, può andare a leggersi questo:  Raffronto Proposta Costituzione.pdf .

Tirando le somme, ciò che credo di aver capito è che si intende girare di 180° l’impostazione della costituzione vigente.
Nel 1946, i Costituenti si erano posti un doppio problema.  Uno, come impedire che il partito che avesse vinto le elezioni potesse avere il 100% del potere, mettendo alle corde tutti gli altri. Due, come impedire che un capo carismatico potesse prendere il controllo dello Stato grazie al suo fascino personale.
Già con l’ordinamento vigente questo tipo di impostazione fu radicalmente modificato, nei fatti, da Berlusconi che, grazie appunto al suo carisma personale ed ai suoi mezzi economici, per 20 anni tenne la politica italiana ostaggio della sua persona, anche quando era all’opposizione.    Adesso Renzi vuole sancire e rafforzare questa tendenza.   Se ho capito bene, il nocciolo della sua riforma è che chi vince fa cappotto e per 5 anni fa e disfa senza che nessuno possa ostacolarlo.
Questo qualcuno potrebbe essere Renzi o chiunque altro.    E non è nemmeno certo che, dopo 5 anni, questo tizio abbia tanta voglia di rifarle le elezioni.   Oppure potrebbe farle con una legge elettorale su misura per se.   Chi glielo impedirebbe?

Quando andrete a votare, pensateci bene per favore.

La rabbia, la paura e la speranza

 

La maggioranza di noi si sente defraudata di un benessere e di una fiducia nel futuro che eravamo abituati a dare per acquisiti una volta per sempre.   Dimenticando che “per sempre” nella realtà riguarda eventualmente le perdite, mai le acquisizioni.
La reazione la vediamo quotidianamente sul web e sulla stampa: rabbia, rabbia e ancora rabbia.   Ed uno spasmodico desiderio di cambiamento: di un evento drammatico o di leader carismatico che rimetta il mondo sul giusto binario, dov’era prima che “loro” rovinassero tutto.

A livello cosciente, i ragionamenti che si fanno sono tanti e diversissimi, ma sotto sotto la trama mitica che li struttura è antica e narra di come il mondo corrotto sarà distrutto e dalle sue ceneri sorgerà un mondo finalmente giusto, dove gli ultimi saranno i primi.   La forza del mito nasce proprio dal fatto che rende sinergiche le tre passioni più forti: l’ira, la paura e la speranza.   Anzi, fa scaturire la terza dalle prime due.
Nella storia non si contano le sette religiose, i movimenti politici e le rivolte animate da questo tipo di mitologia, tuttora vivissima.

A ben vedere, un motivo per essere adirati effettivamente c’è, solo che non è quello che fa presa sulle folle.
La stravagante sovrabbondanza di risorse cui siamo abituati sta finendo, lasciandoci in eredità un livello di distruzione proporzionale alla quantità di risorse usate.   Non è un fatto banale da capire, ma è risaputo da almeno 50 anni e persone particolarmente intuitive lo avevano capito anche prima.
Dunque nessuno ci ha defraudati del nostro benessere e delle nostre aspettative.  Semplicemente è arrivato l’oste e sta facendo il conto di quel che abbiamo mangiato.   Arrabbiarsi servirà solo a farsi buttare fuori a calci, dopo aver comunque pagato.

Tuttavia, un paio di categorie di persone che meritano la nostra ira ci sono.   Innanzitutto coloro che speculano vantaggi politici e/o economici sfruttando la crisi.   Ma non perché non ci ridanno dei giocattoli che sono rotti per sempre, bensì perché continuano a prometterceli.   Mentre i loro predecessori nei decenni scorsi ci hanno aiutati a restare ben fissi nel sogno, invece di cercare di svegliarci.   Ma bisogna dire che riescono così bene solo perché noi ci ostiniamo a voler credere che ci sia un mezzo per riavvolgere il Tempo e far tornare la pacchia.  Oppure che questa sia l’occasione buona per far finalmente sbocciare “la primavera dei popoli”.

Diciamocelo chiaramente: quanti voterebbero un candidato che dicesse “Se votate me e facciamo un sacco di sacrifici subito forse, fra 10 anni, andrà un po’ meno peggio di come altrimenti andrebbe”?    Nessuno, nemmeno la sua mamma lo voterebbe.

E questo ci porta alla seconda categoria di persone contro cui ha senso arrabbiarsi: tutti coloro che preferiscono continuare a sognare panfili invece di darsi da fare per tenere a galla la scialuppa bucata in cui ci troviamo.   Oppure che pensano che finire di affondarla sia il modo migliore per provocare la generale catarsi da cui sorgerà il panfilo del futuro.
Amici miei, il mito dell’Apocalisse ha un forte e profondo fascino, ma per far risorgere una civiltà dalle ceneri della precedente di solito sono necessari alcuni secoli.   E non sempre succede.
Qualcuno mi accuserà di voler sostenere la classe dirigente attuale.   Niente di più sbagliato.   Anzi, l’unico modo per sbarazzarsene sarebbe proprio smettere di inseguire i sogni da cui dipende il perverso potere che hanno su di noi.   Se la piantassimo di farci delle illusioni, diventerebbe molto più difficile manipolarci.
La barca su cui troviamo fa schifo e fa acqua, ma è anche l’unica che c’è e intorno nuotano parecchi pescecani.   E’ meglio cercare di tappare qualcuno dei buchi o rovesciarla sognando panfili?

Guerra fredda, calda, tiepida? – Seconda puntata

Nella precedente puntata ho tentato di fare una sintesi estrema dei principali presupposti ad un’ipotetica futura guerra di vasta portata.   Ma nel frattempo l’attacco a Mossul è cominciato, senza fretta.   la grossa incognita è: cosa succederà quando i curdi e gli sciiti si incontreranno in centro?

Intanto vediamo molto sommariamente alcuni elementi importanti che la stampa trascura completamente quando tratta di questi argomenti.

 

Cosa si dimentica

crisi USA - CinaDunque Aleppo (e dal  17-10-2016 anche Mossul) non sono che minimi tasselli di un mosaico globale in cui si fronteggiano due potenze vicine al loro zenith, USA e Cina.   Una terza, decaduta ma tuttora importante, cerca di recuperare terreno verso la prima, ma per farlo ne perde con la seconda.   La guerra fredda (o peggio) che si sta addensando non è quindi un revival di schemi cari ai nostalgici dell’Unione Sovietica, bensì un quadro completamente nuovo in cui Cina (ascendente) ed USA (calante) si contendono la carcassa del mondo.   Tutti gli altri sono pedine di questo gioco.

Ancor più importante, a mio avviso, è il fatto che il movente principale dell’ostilità  non è più imporre un dato sistema politico-economico al mondo, bensì puntellare le proprie società in disintegrazione.  Il che rende la situazione molto più pericolosa, anche se non nell’immediato.

Ma perché mai le società di quasi tutti i paesi del mondo, comprese le super-potenze,  sono in così grave crisi da dover rischiare una guerra, pur di tenerle insieme?    Ovviamente la concause sono molte.   Alcune sono specifiche dei vari paesi, altre riguardano invece tutti, sia pure in modi diversi.

limiti-dello-sviluppoIl principale punto volentieri dimenticato è che la crisi globale attuale è l’avvisaglia dell’impatto della civiltà industriale contro i limiti invalicabili delle leggi fisiche.  E il “bello” deve ancora arrivare.   Dietro il tuonare dei cannoni e lo sferragliare dei cingoli si cela lo stringersi ineluttabile della triplice morsa costituita dal decadimento delle risorse, una complessità non più sostenibile e l’aumento dell’entropia planetaria.
In queste condizioni, le guerre non sono altro che un modo per accelerare la decandenza.   Lo abbiamo già visto con le piccole guerre  in corso o recenti: anche chi vince non ha poi i mezzi per controllare il territorio conquistato.   Tantomeno per ricostruire ciò che la guerra ha distrutto.   In pratica, anche i vincitori perdono.

Ma una nuova “grande guerra” non penso sia dietro l’angolo, neppure fredda.    La globalizzazione ha fatto enormi danni nel mondo, ma ha un indubbio vantaggio.    50 anni fa i sistemi economici dei due blocchi erano largamente indipendenti, mentre oggi sono inestricabilmente interdipendenti.   Né USA, né EU, Russia, Cina e nessun’altro attore grande o piccolo di questa tragica farsa può sopravvivere senza i propri nemici.   Nessuno può ormai tirarsi fuori dall’economia globalizzata senza collassare all’istante ed il collasso di uno qualunque dei grossi provocherebbe (provocherà) il collasso di tutti gli altri.   Lo sanno molto bene i pezzi grossi, ma lo ignorano le basi nazionaliste od integraliste che li sostengono.   Una situazione che diverrà sempre più pericolosa, man mano che le condizioni economiche e sociali peggioreranno per tutti i paesi (ma non per tutte le classi sociali), inducendo i governi ad agitare sempre di più le spade.

Una win-win situation?

E’ d’uopo terminare gli articoli con una parola di speranza.    In questo caso è uno poco perversa, ma c’è.
E’ infatti molto possibile che i governi principali riescano a mantenere il controllo della situazione e non prendano misure eccessivamente dannose per le proprie poplazioni.   Guerre regionali anche più grosse di quelle in corso ci saranno di sicuro.   Ad esempio, penso sia molto elevato il rischio di una guerra regionale che coinvolga direttamente Arabia Saudita, Turchia ed Iran (con quali protettori internazionali sarebbe probabilmente una sorpresa per molti).    Tuttavia, il generalizzato macello che qualcuno paventa potrebbe benissimo non avvenire.   In questo caso, il declino della civiltà industriale proseguirà a sdrucciolare lungo la china termodinamica attuale.
Se, viceversa, si giungerà alla formazione di due blocchi isolati, il danno economico sarà terribile per tutti.   La miseria dilagherà molto rapidamente, portando ad una drastica riduzione di consumi ed emissioni.   A ruota seguirà l’indispensabile calo della popolazione mondiale.   Insomma, una nuova guerra fredda accelererebbe i tempi per il collasso dell’economia industriale in gran parte del mondo, a vantaggio di quel che resta della Biosfera.    Uno scenario molto peggiore per noi, ma probabilmente migliore per i nostri discendenti.
Infine, che accadrebbe se i pesi massimi si scontrassero sul serio?     L’immenso volume di fuoco che potrebbero mettere in campo sarebbe concentrato sulle grandi città, le infrastrutture di trasporto ed i centri industriali.   Certamente ci sarebbero impatti disastrosi anche dal punto di vista ambientale, ma la civiltà industriale troverebbe la sua fine nel giro di anni (forse di mesi) anziché di decenni.
Ad oggi pare una possibilità molto remota, ma se dovesse succedere sarebbe probabilmente la migliore notizia possibile per la Biosfera.

Cosa vogliamo sperare che accada?   Ognuno di noi può scegliere cosa sperare, ricordandosi però che è contemporaneamente parte integrante del sistema economico globale, di uno dei blocchi politici contrapposti e della Biosfera.    La nostra vita dipende contemporaneamente da questi tre sistemi incompatibili.    Possiamo scegliere per chi fare il tifo.

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Guerra fredda, calda o tiepida? – prima puntata.

Prima di tutto vorrei ricordare che il sottoscritto, come tutti voi, dispone esclusivamente di notizie di stampa quanto meno partigiane.   Non penso dunque di sapere come effettivamente stiano le cose, ma semplicemente di suggerire una serie di riflessioni che cercano di trascendere l’animosità e la partigianeria insiti nel nostro modo di rapportarci alla politica.

Aleppo

guerra aleppoMentre prosegue la “varsavizzazione” dei quartieri ribelli di Aleppo, i rapporti fra USA e Russia si sono ulteriormente deteriorati.   Tanto che da molte parti, anche autorevoli, si parla ormai apertamente di un ritorno alla guerra fredda.   O peggio.

Apparentemente, la causa di tanto disastro sarebbe lo scontro fra le truppe di Assad (sostenute da Mosca) e varie milizie ribelli, fra cui l’Esercito Siriano Libero ed i curdi dell’YPG (entrambi sostenuti dagli Stati Uniti, ma nemici fra loro; l’ESIL è appoggiato anche dalla Turchia che è invece contro l’YPG).    Certo non è una sorpresa per nessuno che l’accordo ufficioso anti-ISIL fra USA e Russia sia saltato appena il “califfato” ha cessato di essere pericoloso per i rispettivi interessi (l’ISIL ad Aleppo non c’è più dal gennaio 2014).   E neppure è sorprendente che sia saltata l’alleanza fra YPG e Assad, nonappena i due si sono incontrati sul terreno.   E non sappiamo neppure quanto sia effettivo il controllo dei “pezzi grossi” sui rispettivi “clienti”.

Ma, mi domando, è mai possibile che due dei paesi più importanti del mondo arrivino ai ferri corti per una fetta in più o in meno di quello che era uno stato fallito già prima che 5 anni di guerra lo riducessero in pezzi?   Vista così, sembra davvero poco credibile.    Tanto più che sia gli americani che i russi dovrebbero aver imparato la differenza che c’è fra conquistare un territorio e controllare il medesimo.
Proviamo allora ad allargare lo sguardo.

Il Medio Oriente

Accanto alla Siria c’è l’Iraq, dove l’ultima città importante in mano all’ISIL è Mossul, da mesi sotto un lasco assedio.   Da sud premono i governativi, sostenuti da fanterie iraniane ed aviazione USA; a nord ci sono i curdi sostenuti dai turchi.   Se Turchia e USA continuano (per ora) ad essere alleati, i loro protetti (rispettivamente curdi  e governativi iraqueni) sono invece nemici da sempre.

Allarghiamo ancora un poco l’orizzonte e troviamo Turchia, Iran, Arabia Saudita ed Egitto; tutti in piena ebollizione.

La Turchia è stata per 70 anni l’alleato di ferro dell’Occidente, ma dai tempi dell’invasione USA dell’Iraq, nel 2003, l’alleanza si è incrinata ed oggi appare fatiscente.   La progressiva islamizzazione del regime ormai quasi dittatoriale di Erdogan e la repressione seguita al fallito colpo di stato del 15 luglio scorso, hanno precipitato la situazione.
Intanto l’esercito turco ha occupato fette di Siria per impedire che fossero occupate dall’YPG e dagli americani.

L’Iran, dopo essere stato l’inventore dell’integralismo islamico post-moderno e l’arcinemico dell’occidente per decenni, sta rapidamente riallacciando rapporti di collaborazione anche militare con USA ed EU.   Ma l’Iran mantiene anche buoni rapporti con la Russia e sostiene Assad, sia pure in modo sempre più tiepido, man mano che i dittatore riacquista potere.

L’Arabia Saudita sembra sul’orlo di un’implosione, sia sul piano interno che su quello internazionale.  Dopo aver demolito mezzo Yemen senza riuscire a vincere la guerra, si è vista tagliare gli aiuti militari proprio dagli USA che la hanno sempre sostenuta ad oltranza.   E mentre il governo saudita espelle o incarcera buona parte degli esponenti yemeniti che fino a ieri erano suoi alleati, qualcuno spara contro le navi USA che incrociano a largo dello Yemen (padellando).

L’egitto, ex campione dell’Unione Sovietica ai tempi di Nasser e poi fedelissimo degli USA, è sicuramente sull’orlo di un’implosione.   Probabilmente il regime militare rimane in sella solo grazie alla terroristica repressione di ogni forma di dissenso.   D’altronde, l’alternativa sarebbe un altrettanto feroce regime islamista.   Al Sisi lo sa e, pur restando alleato degli USA, lancia strizzatine d’occhio a Mosca in cerca di conforto.   Nel frattempo la popolazione egiziana cresce al ritomo di quasi due milioni di persone all’anno.   Le conseguenze sono inevitabili e ci saranno 100 milioni di persone disperate ai nostri confini.   Sarebbe bene cominciare a pensarci.

Dunque il quadro medio-orientale appare in una fase caotica (in senso sistemico).   Vale a dire una fase in cui tutti gli elementi principali fluttuano senza una regola identificabile e possono quindi essere attratti in una delle molte direzioni possibili anche da spostamenti minimi di fattori interni od esterni.

Le grandi potenze

USA - RussiaAllargando ancora il campo, troviamo che lo scontro fra Russia e NATO non è limitato al Medio Oriente.   Indipendentemente dalla complessa genesi della crisi ucraina, non c’è dubbio che la linea di demarcazione fra la parte di questo paese che gravita verso est e quella che gravita verso ovest è tutt’altro che pacificata.  Sparatorie e scambi di cannonate sono quotidiani e, se la situazione rimane praticamente immutata, è solo perché nessuno dei contendenti ha il fiato di tentare un’offensiva.   Per Putin, l’intervento in Siria ha probabilmente anche la funzione di attirare l’attenzione dei nazionalisti russi su di un fronte più remoto, ma la questione del Donbass rimane una ferita aperta che può suppurare in qualunque momento.   Anche in considerazione dello scarso controllo che igoverni esercitano su parte delle milizie impiegate in entrambi i campi.

E veniamo dunque a dare un’occhiata ai due contendenti principali (o apparentemente tali): USA e Russia.

I primi sono stati paragonati ad un “guscio di acciaio vuoto dentro”.    In effetti, se la potenza militare statunitense attuale non teme confronti, la società che questa forza protegge si sta disintegrando e credo che il livello della campagna presidenziale in corso sia un buon indicatore in questo senso    Di qui la necessità per il governo di compattare il paese mantenendo uno stato di allerta crescente, anche a rischio di aumentare il pericolo reale.   Specialmente a ridosso di elezioni in cui entrambi i candidati hanno deciso di giocare il ruolo dei “duri”.

Se Atene piange Sparta non ride (o viceversa) si diceva un tempo.   La Russia post sovietica ha rimesso insieme una variante di economia capitalista basata essenzialmente sull’esportazione di materie prime in Europa.   Ma dal 2008 la situazione ha ricominciato a peggiorare e dal 2014 è precipitata.   Non tanto per le sanzioni occidentali, quanto per la crisi economica dei loro principali clienti (noi) e del mondo intero, che si è portata dietro il crollo del prezzo del petrolio.   Non dimentichiamoci inoltre che, malgrado la Russia sia oggi il principale esportatore mondiale di energia, la maggior parte dei suoi giacimenti di petrolio sono post-picco.   Questo significa costi crescenti ed EROEI calanti.
I giacimenti di gas sono invece irreversibilmente collegati all’UE.   Mosca sta cercando di sviluppare i giacimenti di gas siberiani collegandoli alla Cina, ma la nuova rete di metanodotti dovrebbe essere costruita in tempi di migragna e di ritorni rapidamente decrescenti, oltre che su terreni in parte resi instabili dal riscaldamento climatico.   Non sarà una cosa semplice, né veloce.
Anche in questo caso, solleticare il proverbiale patriottismo russo è un modo semplice e sicuro di compattare il paese, specie se alla guida c’è un personaggio particolarmente popolare come Vladimir Putin.   Ma se Putin è molto popolare, il suo partito non lo è affatto e questo pone il capo nella delicata posizione di dover costantemente rinfrescare la sua vernice di uomo duro e vincente.   Un gioco che diventa sempre più pericoloso, man  mano che i margini di manovra si assottigliano.

Guerra, contenimento CinaMentre tutti gli occhi guardano la Russia europea, cosa succede dalla parte opposta del pianteta?   Succede che la Cina si trova anch’essa nelle peste di una crisi economica che si va cronicizzando.   Anche se formalmente il PIL continua a crescere, la gente si va rendendo conto che la festa è finita e diventa nervosa.   Pronta anche qui un’altra iniezione di nazionalismo e di paura, con una serie di azioni per rivendicare alcuni scogli.   Ma dietro queste sceneggiate, Pechino sta mettendo in atto una serie di operazioni molto più consistenti.   Nel Mar Cinese e nell’Oceano Indiano sta infatti stabilendo una serie di basi logistiche e militari che (giustamente) spaventano i suoi vicini.
Se ne è accorto Obama che, da qualche anno, ha avviato una complessa politica di contenimento, saldando un’alleanza fra molti degli stati più o meno direttamente minacciati.   Da Giappone, Korea del Sud e Taiwan, fino al Vietnam ed alle Filippine (con una minaccia di Duterte di cambiare campo se non gli lasciano ammazzare i 3 milioni di filippini che vuole eliminare).   Ma ultimamente anche Indonesia ed India sembrano aver deciso che la Cina è più pericolosa degli USA.
Dunque, mentre l’espansione cinese verso il mare sta incontrando resistenza, verso il continente le porte le si spalancano.   Le difficoltà in cui annaspa la Russia favoriscono infatti la Cina che si sta letteralmente comprando d’occasione le risorse siberiane, tanto quelle russe che quelle dei suoi satelliti asiatici.   Per ora fa eccezione il Kazakistan che tiene fuori i cinesi, ma non i russi.
Dunque, abbiamo una potenza in declino, erede una notevole forza militare, ma senza più un sistema industriale in grado di sostenerla.   Questa, per difendere i suoi confini occidentali (o comunque quelli che considera tali), sta svendendo i suoi confini orientali dove una potenza prossima al suo picco sta cercando disperatamente spazio.

Il seguito alla prossima puntata.

PS. Aggiornamento dell’ultim’ora: pare sia iniziato l’attacco dei governativi iraqueni a Mossul.   Il rischio che vada come ad Aleppo è molto alto.    Così come è molto alto il rischio di uno scontro diretto fra Turchia e Iraq per il controllo di parti della città.

 

Dio non è morto, Marx neppure e siamo solo noi a non sentirci tanto bene

dio non è mortoLe cose cambiano, a volte più lentamente di quanto immaginavamo, ma cambiano.
Alla fine del XX secolo ci deliziavamo con la battuta di Woody Allen sulla morte di Dio e di Marx, ma oggi mi sento di dire che Dio non è mai morto, Marx è in ottima salute e siamo solo noi che non ci sentiamo tanto bene.
In effetti Dio appare ovunque e le religioni dilagano con il loro carico di valori, ideologia e, spesso, violenza.  Perfino gli atei, con i loro dogmi scientisti, rischiano di apparire solo un’altra religione con il suo carico di intolleranza.  Basta leggere Dawkins per rendersene conto.  Con le sue vere e proprie scomuniche nei confronti di chi, essendo uno scienziato, non si dichiara apertamente ateo oppure, pur dichiarandosi ateo, non aderisce alla sua crociata (ha parlato, a questo proposito, di alto tradimento nella sua polemica con Gould). Ma non è solo in negativo che si osserva una rinascita, se non della religione, della spiritualità.  L’osservazione del fatto che sappiamo veramente ben poco di quello che ci circonda e che, in sostanza, due secoli e mezzo di progresso scientifico sono serviti per lo più ad evidenziare l’immensità della nostra ignoranza, non può non condurre ad una considerazione semplice: non possiamo disprezzare né la sfera spirituale ne quella divina.
Anche solo sospendere il giudizio è, in questa fase, desiderabile e benefico.  Fatto salvo, ovviamente, il rifiuto di quelle posizioni ideologiche che vorrebbero imporre il peccato come reato, la conclusione cui si giunge (lo fa ad esempio Bernardo Kastrup) è che il materialismo filosofico è una sciocchezza come le altre.  Rivalutare la propria dimensione spirituale non vuole dire abbassare la guardia rispetto alla violenza della sharia o al clericalismo; è semplicemente un atto di onestà intellettuale.

marx non è mortoIl marxismo ha ripreso ossigeno dalla crisi senza fine del capitalismo globalizzato e non senza buone ragioni.  Karl Marx aveva capito molte cose e ci sono buone ragioni per rivalutare la sua analisi del capitalismo e del suo inevitabile collasso sotto il peso della sua stessa imponente ed inarrestabile crescita.
In particolare la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto sembra collegarsi più profondamente alla legge dei ritorni marginali decrescenti e, in ultima analisi, al secondo principio della termodinamica.
Raramente rivalutato con spirito innovativo, Marx viene generalmente rimasticato dagli orfani di Lenin (o perfino di Stalin per quanto vedo io), di tutte le rivoluzioni fallite e sfociate in qualche tirannia burocratica e folle.  Il mondo è pieno di predicatori, anche molti marxisti lo sono.
D’altra parte anche l’idea abbastanza idiota che la Storia fosse finita, che il capitalismo, sostenuto dalla liberal-democrazia, trionfasse ormai ovunque senza avversari credibili si è scontrata con la realtà degli ultimi 15 anni afflosciandosi sotto il peso, in primis, del rapido raggiungimento dei limiti della crescita.

Ed è qui che arriviamo noi. Noi intesi come cittadini del mondo, noi che abbiamo poca o nessuna possibilità di influire sugli eventi.   Noi che pensiamo a come sistemare la nostra famiglia ed i nostri cari domani; che andiamo a votare con quel fardello di risentimenti e insoddisfazioni derivati dalle mancate promesse del passato la cui falsità riconosciamo facilmente ormai, in quelle del presente.   Noi stanchi di retorica vuota (perché anche la retorica, forse, aveva una sua nobiltà, come arte del convincere, quando non era stata svuotata dalla massificazione televisiva).   Noi che soffriamo le conseguenze di una crisi che non avevamo previsto e una denaturalizzazione dell’ambiente che avevamo trascurato.
Pensavamo che il problema sarebbe stato l’abbondanza.   Possiamo stare tranquilli: questo problema dell’abbondanza sparirà in fretta. L’abbondanza era un fenomeno passeggero, un transiente storico prevalentemente determinato dal flusso di energia a buon mercato garantito dai combustibili fossili.
L’inizio di questo secolo ha visto il primo momento critico nella storia della produzione petrolifera con una aumento generalizzato dei costi di produzione ed l’avvicinamento dell’EROEI (Ritorno Energetico sull’Investimento Energetico) al valore di 10, considerato critico per il supporto di una civiltà industrializzata.
Nello stesso periodo si è andato delineando lo scenario di overshoot ecologico della specie umana, attraverso praticamente tutti gli indicatori di impatto ambientale.
Il problema, come ha detto qualcuno, non è che alcune notizie sono cattive e che i nichilisti ecologisti vedono solo quelle; il problema è che le notizie sono tutte cattive.   Quelle che non lo sono, o sono positive solo per chi non si cura dei danni ambientali, come la ripresa della crescita economica in questa o quell’area geografica; o irrilevanti, come la riduzione della mortalità per qualche malattia più o meno diffusa e importante.
La più cattiva delle notizie, che solo qualche pazzo può continuare a negare (il problema è terrificante quando quel pazzo diventa un candidato credibile alla presidenza degli Stati Uniti d’America) è quella che il cambiamento climatico sembra aver preso una traiettoria sulla quale è ormai difficile che si possa fare qualcosa se non, tornando all’inizio di questo post, raccomandarsi l’anima a Dio. Ognuno al suo, se ce l’ha.

Ancora più deprimente è l’incapacità di cogliere il nesso causale fra situazione ambientale globale ed esplosione demografica.
I vari ideologi si arrampicano sui pochi specchi disponibili: potremmo essere tanti e rispettare la natura dicono i comunisti ed i francescani. Possiamo essere sempre di più, purché riparta la crescita e la ricchezza torni a ‘sgocciolare’ verso gli strati più bassi della società, dicono gli idolatri del mercato.   Anzi, addirittura siamo troppo pochi, la natalità deve riprendere a crescere, si rischia una crisi demografica senza precedenti.
Esiste anche un catastrofismo economicista che accusa il catastrofismo ecologista di essere catastrofista.

Mi sono venuto a noia da solo a ripetere che il problema non è assicurare un trattamento pensionistico alla mia generazione, ma garantire delle condizioni di vita non disastrose alle generazioni successive, inclusa quella dei miei figli.  E invece il Main Stream politico – informativo continua martellante: ci vuole lo sviluppo sostenibile. Dipingiamo di verde tutte le porcate ecologiche che facciamo in giro per il mondo, finiamo di antropizzare il poco che resta della biosfera (ma ne resta?) e il gioco è fatto.
Portiamo tutti i popoli del mondo al livello di consumi europei, almeno, ed il gioco è fatto. Non vedete come sono ecologicamente impeccabili gli scandinavi? Sogni.
Le presunte virtù ecologiche dei paesi del nord sono sostenute quasi sempre dalla devastazione ecologica del sud. Nessuno in questo mondo è autarchico e basta dare un’occhiata alle mappe di impronta ecologica per capire che la sostenibilità è un’illusione.

Per come la vedo io siamo in una situazione disperata. Ma, c’è sempre un ma. Possiamo fare ancora molte cose: diffondere quello che sappiamo (alla fine ciò che è scientificamente vero si afferma).   Smettere di essere arrabbiati con quelli che non ci ascoltano e non ci capiscono, ma anche con quelli che ci ostacolano e ci combattono, la rabbia è inutile. Dimostrare che è possibile vivere in modo meno distruttivo o non distruttivo. Che si può contribuire a creare un’infrastruttura energetica non basata sulle fonti fossili. Che si può combattere il consumismo opponendosi all’uso indiscriminato della plastica, alla rottamazione del vetro, battendosi per il riuso degli oggetti, imparando ad aggiustare le cose usando il molto che sappiamo sul loro funzionamento, ripensando il modo in cui si progettano e si costruiscono.
Possiamo soprattutto parlare con i nostri vicini, raggiungerli e impressionarli con le parole e l’esempio, sperando che parole ed esempio percolino oltre il nostro numero di Dumbar. Possiamo crescere i nostri figli nella consapevolezza di quello che ci attende. Possiamo iniziare a pensare al dopo collasso, perché il collasso ci sarà, statene sicuri.
Non sappiamo dove comincerà né esattamente come (anche se un nuovo collasso finanziario sarà probabilmente il primo evento scatenante), né esattamente quando (ma non ci illudiamo, questa società ha i lustri contati. Io scommetto per un massimo di 15 anni). Ma quando sentite parlare di proiezioni economico-sociali al 2050 non ci credete. Nel 2050 la società umana funzionerà con leggi diverse da quelle attuali.

Ognuno può immaginare quello che preferisce. Io mi astengo dall’immaginare troppo perché non ci sono gli strumenti per prevedere gli esiti di un collasso di queste proporzioni.

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La bomba demografica, che fine ha fatto?

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“Beh, a quanto pare è arrivata” “Si, ma non scoppia”

La Bomba Demografica, prima di essere un modo di dire, fu il titolo di un best-seller dell’ambientalismo prima maniera.    Uscito nel 1968, cominciava con questa frase: “La battaglia per nutrire l’intera umanità è persa.   Durante gli anni ’70 centinaia di milioni di persone moriranno di fame, qualunque drastico programma venga messo in atto adesso”.    E continuava sullo stesso tono.
Fra l’altro, ispirò un famosissimo film di fantascienza: “Soylent Green”, uscito in Italia col titolo “2022: i sopravvissuti”

Il film era bello, ma il pronostico sbagliato.   Gli anni ‘70 segnarono anzi la fine delle grandi carestie post-belliche che avevano ucciso non centinaia, ma decine di milioni di persone.    Di carestie ce ne furono anche dopo, beninteso, ma assai meno gravi e dovute assai più a questioni politiche ed economiche che ad un’insufficiente produzione agricola mondiale.
Ma Paul Ehrlich, autore del libro, continuò a gufare e nel 1980 si scontrò con Julian L. Simon.   Un economista che diceva cose tipo: “Le condizioni di vita umane miglioreranno sempre in tutti campi materiali.   Qualunque sia il tasso di crescita della popolazione,

Paul Ehrlich
Paul Ehrlich

storicamente, la disponibilità di cibo è cresciuta alla stessa velocità, se non di più”.

Ehrlich scommise che fra il 1980 ed il 1990 il prezzo di cromo, rame, nickel, stagno e tungsteno sarebbe aumentato in conseguenza della crescita demografica e, quindi, dei consumi.
Perse.    Malgrado l’aumento di quasi 1 miliardo di persone in un solo decennio,  il tasso di crescita produttiva fu ancora superiore ed il prezzo delle materie prime (e del cibo) diminuì.    Simon vinse la scommessa.

Grande festa e definitiva archiviazione della questione “sovrappopolazione” che, nel frattempo, era diventata molto “politicamente scorretta”.   Gli ambientalisti ripiegarono sulla trincea “Il problema sono i consumi e non le persone” e lo spettro del reverendo Malthus fu per l’ennesima volta esorcizzato.

Ma ci sono spettri che hanno la capacità di risaltare fuori ogni volta che si pensa di essersene sbarazzati.

Del resto, nel 1798 il reverendo aveva osservato alcuni semplici dati di fatto.
Il primo era che i poveri avevano l’abitudine di fare più figli di quelli che potevano mantenere.  Ne dedusse che, se non si riusciva ad insegnare alla gente a controllare la propria riproduzione, non sarebbe stato possibile sconfiggere la povertà.
Il secondo era che la disponibilità di cibo cresceva più lentamente della popolazione.   Ciò creava una situazione da cui si poteva uscire in solo due modi: o una carestia, o un’emigrazione di massa che avrebbe spazzato via i “selvaggi delle Americhe”.
Entrambe le cose accaddero puntualmente e di più ancora.   Infatti, la strabordante popolazione europea sommerse non solo gli amerindi, ma travolse anche gli australiani e parecchi popoli dell’Asia centrale, come i Circassi.

Fra un bagno di sangue ed uno di folla, comunque la crisi globale su superata.   Nel senso che dopo ci furono un sacco di carestie gravissime, ma nessuna tale da avere conseguenze globali.
Del resto, da sempre la carestie locali hanno rappresentato uno dei metodi più efficaci per superare le crisi di sovrappopolazione.    A ben vedere, il fatto che gli europei, invece di crepare a casa propria, abbiano invaso il modo è una parziale anomalia, legata al fatto che hanno avuto i mezzi tecnici per farlo (navi a vapore e armi da fuoco moderne).    Prima di noi lo avevano già fatto altri, ad esempio gli Unni, a più riprese.   Del resto, anche le migrazioni da massa attuali si verificano perché i paesi-obbiettivo o lo consentono (almeno in parte), o non hanno i mezzi per impedirlo.

Comunque sia, negli anni ’60 il problema si ripropose e stavolta non c’erano continenti vuoti o vuotabili in cui sfogare il surplus di gente.   Ehrlich e molti altri ne conclusero che una morìa generale era inevitabile.
Dove hanno sbagliato?   Semplice: avevano sottovalutato le potenzialità del petrolio.   La “Rivoluzione Verde” consistette infatti nella capillare diffusione di una serie di tecnologie che, in termini energetici, misero gli umani in grado di mangiare petrolio e secondariamente metano.   Brutto?   Si, ma certamente meno che morire di fame.

bomba demografica e rivoluzione verde
Incremento del tasso di crescita demografica a seguito della Rivoluzione Verde.

Il guaio fu che, non solo accadde esattamente il contrario di quello che aveva detto Ehrlich.   Accadde anche esattamente quello che aveva previsto Norman Borlaug  che era stato esplicito.

La rivoluzione verde, aveva detto, regalava all’umanità il tempo di una generazione.   Se questo tempo non fosse stato impiegato per stabilizzare la popolazione, sarebbe stato un disastro senza precedenti.    Ed il tasso di crescita demografica aumentò vertiginosamente, per arrivare probabilmente al picco proprio in questi anni.

Dunque eccoci di nuovo a fare i conti con il fastidioso fantasma del reverendo.
Per ora non sta mancando cibo a livello globale.   Anche se il numero di persone denutrite sta aumentando rapidamente, è vero che se ci fossero meno sprechi ed un più efficiente sistema di distribuzione, oltre che meno guerre e disparità, da mangiare per tutti ce ne sarebbe.   Ed è anche vero che il tasso di natalità sta declinando dappertutto, lasciando intravedere la possibilità di una stabilizzazione spontanea fra i 9 e i 10 miliardi di persone, verso la metà di questo secolo.
Ma allora perché preoccuparsi?
Per una semplicissima ragione:   la popolazione attuale supera già la capacità di carico del pianeta PERLOMENO del 50%, probabilmente molto di più.
Ne è una prova definitiva il fatto che stiamo assistendo ad un’accelerazione vertiginosa di tutti i processi di degrado dell’ecosistema globale.  Che vuole anche dire: processi di riduzione della capacità di carico.
Per essere chiari, per vivere stiamo distruggendo molto rapidamente non solo i fondamentali di qualunque possibile economia, ma anche i presupposti per l’esistenza di una vita biologica sulla Terra.    Chiaro il concetto?

Per di più, il nostro alimento principale, il petrolio, comincia ad avere dei costi energetici rapidamente crescenti.   Cioè ci vuole sempre più petrolio per estrarre e raffinare il petrolio.   Il rischio che cominci a scarseggiare di qui a poco è quindi concreto.

Allora la bomba demografica scoppia?

Dipende.   Molto, molto indicativamente direi che sono possibili tre scenari-base.

Scenario 1 – Le tendenze attuali in termini di crescita della produttività, crescita demografica e distruzione della Biosfera rimangono sostanzialmente inalterate.    I 4 cavalieri non ce li toglie di dosso nessuno.   Non sappiamo quando e come, ma arrivano di sicuro.

Scenario 2 – Si trova il sistema di aumentare vertiginosamente la produttività agricola e industriale, pur riducendo drasticamente tutte le forme di inquinamento e, contemporaneamente, si stabilizza la popolazione umana.   Insomma quello che avremmo dovuto fare 50 anni fa.   Molti dicono che è possibile, ma io sono scettico.   Nessuna delle tante tecnologie attualmente in concorso per il salvifico ruolo ha le potenzialità produttive che aveva a suo tempo il petrolio.   Non in tempi così brevi, perlomeno.   Inoltre rimarrebbero aperte le questioni demografiche e della distruzione della Biosfera che nessuno ci sta spiegando come si pensa di sistemare.

Scenario 3 – Tutte le risorse disponibili vengono investite nella conservazione/recupero delle tre “conditio sine qua non” per l’esistenza di una qualunque civiltà: Fertilità, Acqua e Biodiversità.   Si lascia che il tasso di mortalità aumenti in modo non drammatico e, nel frattempo, si spinge il rallentamento della natalità in quelle zone dove è ancora molto alta.   Con molta fortuna, prima della metà del secolo la popolazione mondiale potrebbe cominciare a declinare in maniera abbastanza rapida, ma quieta.   Senza catastrofi apocalittiche.    Se nel frattempo fossimo riusciti a conservare una quota sufficiente di biosfera, gli ecosistemi potrebbero lentamente recuperare, almeno in parte, tendendo ad un qualche tipo di parziale equilibrio.    Questo significherebbe la possibilità per i nostri discendenti di costruire nuove civiltà.    Senza petrolio è possibile, senza acqua, terra e biodiversità invece no.

Si tratta di una possibilità piuttosto remota, ma a mio giudizio già molto più probabile dello scenario 2, anche se molto meno seducente.

Comunque, secondo voi, a quale di questi tre scenari stanno lavorando i governi e quasi tutte le istituzioni del mondo?

Quelli del NO a tutto

NO a tutto - NIMBY this is my back yard“Voi siete quelli del NO a tutto !” Quante volte lo sentiamo dire? In effetti, di qualcosa bisogna pur campare e se non si fa una cosa, bisognerà farne un’altra.   Almeno a buon senso.
C’è anche una definizione in inglese: “sindrome NIMBY” (significa Not In My Backyard – Non nel mio giardino).   Indica l’atteggiamento sterile ed egoista di chi si oppone a qualunque cosa nei suoi paraggi, infischiandosene dell’interesse collettivo.    OK, siamo sicuri che sia sempre così?

Sindrome NIMBY.   Sempre?

Nella mia quarantennale esperienza sono cascato più volte su casi del genere.   Per esempio, si vuole costruire una nuova strada camionabile e vi sono due tracciati possibili.   Prontamente nascono due comitati dei residenti, ognuno dei quali sostiene che il tracciato giusto è quello che passa davanti alla casa degli altri.   Oppure si mettono d’accordo per individuare in terzo tracciato che, evitando le case, finisce di massacrare l’ultimo bosco o gli ultimi campi dalla zona.   “Tanto li non c’è niente.”
Naturalmente il tutto condito con altisonanti dichiarazioni sui diritti umani, la conservazione della natura e chi più ne ha, più ne metta.

Ma non è che le controparti (di solito industriali e/o enti locali) abbiano un atteggiamento molto diverso.   Per capirsi, farò un caso emblematico, pescato dal mio schedario.
Una grossa industria, insediata in una stretta valle montana, vuole costruire un inceneritore a piè di fabbrica per bruciare parte dei propri scarti recuperando energia da riutilizzare nel processo.   Sostiene che ciò ridurrà il numero di camion che portano via i rifiuti, inoltre consentirà risparmi e dunque lo sviluppo dell’azienda.   N.B. solo col cavatappi si riesce ad estrarre l’informazione che per alimentare la macchina si dovranno portare rifiuti analoghi da altri impianti della medesima impresa situati altrove.   Più un numero considerevole di tonnellate di legname per mantenere la temperatura di esercizio al livello desiderato.

Pronto il comitato contrario il quale, stavolta sindaci in testa,  sostiene che l’inceneritore avrebbe effetti mortali sulla qualità dell’aria, già molto scadente a causa del traffico.   NB. Si dimenticano di dire che proprio i residenti e le amministrazioni locali hanno recentemente ottenuto il raddoppio della strada di fondovalle, anziché  quello della ferrovia che serviva paesi ed industrie, insediate peraltro da decenni.

Apre la riunione generale il rappresentante della Provincia (storia di qualche anno fa) che sostiene che prima di tutto si debba controllare la qualità dell’aria mediante l’installazione di apposite centraline.   No del comitato perché le centraline potrebbero essere poste ad arte per far figurare una qualità superiore al reale.
Offerta della Provincia di posizionare le centraline secondo le indicazioni del comitato.
No perché i risultati potrebbero dar ragione agli industriali e il comitato l’inceneritore non lo vuole comunque.   Punto.
Parlano gli industriali offrendo la massima disponibilità a discutere e modificare ogni aspetto del progetto.
Parlo io e chiedo se non sia possibile trasportare il materiale almeno in parte per ferrovia che è vecchia, ma ancora funziona.
No perché il progetto è perfetto così.    Allora chiedo se si può sapere quanto legname dovrebbero bruciare e da dove pensano di procurarselo.   Forse hanno saputo che ci sono seri problemi di siccità cronica e che i boschi della valle sono in crisi?
No.   Quanto legname servirà non mi riguarda, tanto quel che serve si compra.   E non ci sono problemi coi boschi, parola di industriale!

E via di questo passo.   Come si dice, bisognava prenderne uno per picchiare l’altro.
Non sempre però è questo il caso.

Quando NO a tutto è l’unica risposta possibile.

Una discussione, per essere almeno teoricamente costruttiva, deve avvenire prima che sia presa una decisione.   Sembra logico, ma non nel modo di pensare delle amministrazioni che procedono esattamente al contrario.   Per abitudine, prima decidono, poi pubblicano gli atti relativi.   E’ legale, naturalmente, ma poi non si stupiscano se, puntualmente,  un manipolo più o meno consistente ed agguerrito di cittadini si mette a piantare tutte le grane possibili.   A torto od a ragione, a quel punto poco importa.

Certo, compito di chi si oppone a qualcosa dovrebbe essere l’avanzare una proposta alternativa.   Ma ha senso dopo che tutto è già stato deciso, magari gli appalti già banditi?    Quando si tratta di opere in una certa importanza, l’iter per la preparazione e l’approvazione dei progetti è logorroico, ci vogliono di solito anni.   Tutto tempo che potrebbe essere utile per discutere le cose, ma di solito no.    Oppure si discute si, ma fra sordi come nell’esempio citato.
Comunque, una volta che un’idea è partita, di solito la si porta avanti, qualunque cosa succeda.   E se si arriva a realizzarla quando oramai non serve più a niente, o magari è addirittura nociva, poco importa; non si può mica ricominciare tutto daccapo!

Dunque quel che bisognerebbe discutere è il modello di sviluppo.   Vale a dire il modello mentale in base al quale vengono elaborate idee e progetti.   A dire il vero, fin dai primi anni ’70 in parecchi hanno tentato di proporre un approccio diverso da quello che aveva funzionato fino ad allora (strade, industrie, case, ecc.).    Ma al di là dei discorsi di circostanza e di qualche solenne dichiarazione pubblica, non è cambiato assolutamente niente.
Nella mia esperienza, talvolta le proposte alternative vengono avanzate ed altre no, talvolta sono sensate ed altre no, ma fa davvero poca differenza perché è eccezionale che vengano anche solo prese in esame.

Ed a questo punto la guerra di trincea diventa l’unica alternativa possibile.

Un altro esempio con un’altra strada, che da 12 anni il mio comune vuole costruire per costruire nell’ultimo frammento di bosco esistente sul suo territorio, fra l’altro lungo un fiume, in area a rischio idraulico.    Non c’è mai stata discussione o proposta possibile, malgrado nel frattempo siano cambiate tre amministrazioni di tre colori diversi.   Semplicemente vuole così un associazione locale che conta per parecchi voti e tanto basta.    A questo punto, sobillare i pochi cittadini contrari per fare del boicottaggio è l’unica strategia possibile.   Non risolve nulla e non è costruttivo, ma fa guadagnare tempo, nella speranza che, crisi avanzando, non trovino mai i soldi necessari.

Ma c’è un altro fattore ancora, molto più profondo.   Nell’evoluzione di un sistema ci sono sempre dei momenti di instabilità in cui è possibile far cambiare rotta al sistema stesso.  Ma gli effetti cambiano moltissimo a seconda di quando avviene il cambiamento.   Cambiare rotta prima o dopo aver sbattuto sugli scogli non porta ai medesimi risultati.
Fuor di metafora, quando eravamo 3 miliardi con ampie riserve di risorse ed una consistente parte degli ecosistemi ancora funzionanti, aveva molto senso parlare di sostenibilità, di stabilizzazione delle economie e della popolazione, di modelli alternativi di sviluppo ecc.   Oggi che di miliardi siamo quasi 8 ed il “redde rationem” è cominciato, le opzioni possibili sono certamente meno e nessuna molto allettante. Per tornare alla metafora navale, ha senso discutere della rotta da prendere finché la nave galleggia.   Quando imbarca acqua e comincia a sbandare diventa prioritario cercare di impedire all’equipaggio di fare a pezzi le scialuppe per continuare ad alimentare la caldaia.   E se qualcuno lo fa dicendo fesserie, pazienza, talvolta anche le fesserie posso servire a qualcosa.

Pistolotto finale.

Vorrei concludere rivolgendomi direttamente ai coloro che prendono le decisioni ed a coloro che li demandano a ciò:

Signori, per 40 anni sono state avanzate proposte di ogni genere per cambiare la rotta del nostro sistema.  I casi in cui sono state sperimentate od anche solo discusse sono stati trascurabili.   Non vi meravigliate quindi se ora un numero crescente di persone semplicemente dice “ NO a tutto “.    Talvolta a ragione e talaltra a torto, ma è un effetto della frustrazione.   E forse è anche l’unica cosa che rimane de fare, nella speranza che qualcosa sopravviva alla macchina tritatutto che chiamate “Progresso”.

Attrattori strani e clima terreste

http://ugobardi.blogspot.it/2016/05/male-molto-male-niente-affatto-bene.html

Probabilmente avrete già visto qualche volta, le strane evoluzioni di un sistema proposto da Lorenz: i famosi “attrattori strani“.

in sostanza, pur  se, nella sua caoticità, il sistema non ritorna MAI esattamente nello stesso stato, si può comunque fare qualche previsione: il sistema si evolverà all’interno di un campo abbastanza definito, con oscillazioni casuali. Qui sotto un esempio dinamico.

Quel che pochi sanno è che questo sistema fu concepito da Lorenz proprio per indagare l’evoluzione dei sistemi meteorologici, in forma più maneggevole. In sostanza fu un tentativo di ridurre la complessità del clima ad un modellino MOLTO semplificato, che pure desse qualche indizio sul comportamento del mondo reale su cui detto sistema si fondava.

La faccenda diventa immediatamente complessa (anche se affascinante) quindi restiamone fuori. A me QUI interessa solo far presente una cosa: la temperatura media mensile mondiale sembra, per oltre cento anni, aver oscillato in modo apparentemente casuale all’interno di una banda abbastanza definita poi, prima timidamente e negli ultimi anni in modo esplosivo, ne è uscita, a quanto pare senza fare più ritorno. La traiettoria degli ultimi due anni è da brividi.

Come potrete vedere, il sistema giocattolo ha DUE attrattori e, oltre un certo punto il sistema trova un nuovo equilibrio intorno a una situazione COMPLETAMENTE diversa da quella precedente. Ovviamente un sistema complesso ha un comportamento complesso con molteplici punti di equilibrio.

Quanti? Quali? Dove? Nessuno, ad oggi, ha una risposta precisa.

Conclusione:

Forse siamo appena riusciti a scappare al controllo di un qualche attrattore strano. temo, però che non sia una buona notizia. Per niente.

Ringrazio Ugo per l’immagine di apertura.