Il mondo A, il mondo B

Il mondo A e il mondo B orbitano uno intorno all’altro, si osservano reciprocamente coi telescopi ma hanno sviluppato civiltà completamente diverse. Nel mondo A gli abitanti ragionano in anticipo sulle complicazioni che potrebbero generarsi dall’adozione di nuovi comportamenti ed abitudini, modellando le leggi in base ai risultati desiderati. Nel mondo B si lasciano andare le cose un po’ a casaccio, confidando che si assesteranno da sé (come un illuminato filosofo ha teorizzato secoli prima). Il mondo A è regolato, il mondo B è ‘libero’.

Nel mondo A i governanti hanno seguito attentamente l’avvento dell’automobile privata. L’analisi del trend di occupazione di spazi pubblici da parte dei nuovi veicoli ha mostrato una progressione preoccupante. Uno studio dell’Università Mondiale ha dimostrato che, ai tassi attuali di crescita, tutto lo spazio pubblico nelle città sarebbe stato occupato nel volgere di pochi decenni, al punto che nessuno più sarebbe stato in grado di muoversi per pura e semplice mancanza di spazi sulle strade.

Nel mondo B l’automobile viene accolta con spontaneo entusiasmo. Le pubblicità delle case automobilistiche promettono libertà illimitata agli acquirenti dei veicoli, status sociale, eleganza e successo. L’idea di porre dei limiti al possesso ed all’utilizzo di tali mezzi viene strangolata nella culla dall’opportunismo delle classi politiche e dal timore di perdere consensi. L’intera organizzazione urbana viene piegata alla volontà popolare, manipolata dal bombardamento pubblicitario, ed orientata ad offrire ogni spazio possibile alla movimentazione ed alla sosta dei veicoli privati.

Il mondo A attiva pertanto politiche di regolazione e limitazione sull’uso delle strade. Il numero di spazi destinati alla sosta viene contingentato in base alla popolazione residente, la sosta a tempo indefinito in strada viene vietata e come condizione obbligata per l’acquisto di una nuova autovettura viene imposto il possesso di un’area privata (box o parcheggio condominiale) dove posteggiarla quando non è in uso. Il numero complessivo delle autovetture vendute si stabilizza su cifre estremamente basse.

vienna-kaerntnerstrasse

Nel mondo B la sosta in strada è consentita senza limitazioni, al punto che gli abitati finiscono col considerarla un diritto inalienabile. Col progressivo aumentare della ricchezza, un numero sempre maggiore di autovetture viene lasciato in sosta sulle strade, restringendo le carreggiate ed eliminando ogni possibilità di sosta temporanea. Col passare degli anni si inizia progressivamente a tollerare la sosta temporanea in doppia fila, sugli attraversamenti, sui marciapiedi, e considerata dai più non evitabile, il risultato è una ulteriore congestione delle sedi stradali, un rallentamento complessivo dei flussi di traffico e l’estrema frequenza di ingorghi. Questo induce negli abitanti un senso di frustrazione, sfogata sotto forma di stili di guida aggressivi.

Nel mondo A, grazie alle sedi stradali non congestionate, i mezzi pubblici scorrono alla velocità commerciale ottimale, trasportano in poco spazio molti passeggeri, sono veloci, efficienti e puntuali. Un’efficienza tale da far sì che molte famiglie non abbiano necessità di possedere un’automobile.

Nel mondo B i mezzi pubblici sono fortemente penalizzati dall’esiguità delle sedi stradali, dalla sosta d’intralcio in doppia fila, dalla pura e semplice congestione delle strade. Le dimensioni di tali veicoli li rendono svantaggiati nei confronti delle più veloci e scattanti auto private, penalizzati nella competizione per lo spazio stradale che si fa di giorno in giorno più aggressiva. Di pari passo con la perdita di efficienza del trasporto pubblico si ha la migrazione degli abitanti in direzione del trasporto privato, che viene percepito come l’unica maniera efficiente di muoversi da un punto all’altro della città. L’abitudine ad utilizzare sempre e soltanto l’auto privata fa sì che si perda una precisa cognizione delle potenzialità dell’offerta pubblica, con un progressivo calo dell’utenza e l’impossibilità di giustificare i costi di gestione a causa dello scarso utilizzo. Nel corso degli anni vengono quindi smantellate le forme di trasporto ad alta efficienza in sede propria (tram, treni) per fare ulteriore spazio alla movimentazione delle auto private.

Nel mondo A, non essendo garantita a priori la possibilità di spostarsi ovunque con mezzi privati, le nuove edificazioni devono rispondere a standard urbanistici estremamente rigidi. Le infrastrutture di mobilità vengono progettate contestualmente agli edifici, in modo che a breve distanza da ogni abitazione sia presente un efficiente nodo di scambio col trasporto pubblico, e che le esigenze di mobilità dei futuri abitanti non motorizzati non siano penalizzate.

Nel mondo B si costruiscono case, palazzi, complessi residenziali, intere urbanizzazioni senza la minima progettualità su come i futuri abitanti dovranno poi muoversi. Spesso le nuove urbanizzazioni finiscono a ricasco della rete viaria, già satura, di altri quartieri, prolungando i tempi di accesso alla viabilità principale e paralizzando completamente il già sofferente trasporto pubblico. L’assenza di pianificazione delle modalità di spostamento produce quartieri dormitorio, privi dei servizi sociali e culturali essenziali, che obbligano i residenti ad un continuo viavai in automobile, da un quartiere all’altro, da un ingorgo al successivo.

Nel mondo A le attività produttive devono ragionare la propria collocazione in base alle esigenze di mobilità dei propri dipendenti. Sono obbligate a rendere disponibile uno spazio di sosta per ogni singolo dipendente che pervenga con l’auto privata perché, come già detto, la sosta sulle sedi stradali è vietata, ma devono anche tener conto che molti potenziali dipendenti non possiedono un’auto, e se vogliono accedere alle migliori eccellenze del settore non possono collocarsi troppo lontano dai nodi del trasporto pubblico. Questo fa sì che le attività produttive siano in genere collocate in zone facilmente raggiungibili anche senza bisogno di automobili.

Nel mondo B, la modalità con la quale i dipendenti raggiungono il posto di lavoro non è un problema degli imprenditori. Dato per scontato che tutti si possano muovere in macchina, le attività produttive orientano la scelta della propria collocazione in base ad altre priorità, come i bassi costi dei terreni e/o degli uffici o gli incentivi pubblici per le aree depresse. In questo modo vengono privilegiate aree lontane dagli abitati. Il risultato è che costi e tempi di percorrenza (traducibili in ore di vita) vengono scaricati con la massima tranquillità sulle spalle dei dipendenti, che sono obbligati a provvedere da sé al raggiungimento di luoghi di lavoro spesso lontanissimi dalle abitazioni, con costi familiari poco percepiti e contribuendo all’ulteriore intasamento della rete stradale.

Nel mondo A l’aria è scarsamente inquinata, la maggior parte delle persone si sposta velocemente su mezzi pubblici elettrici (treni, metropolitane, tram), o veicoli privati leggeri (biciclette tradizionali ed a pedalata assistita), risparmia sui costi del possesso di un’automobile privata senza subire penalizzazioni alla propria vita sociale, culturale e relazionale. Le strade relativamente sgombre consentono all’esigua minoranza che si sposta ancora con l’auto privata di avere tempi certi di spostamento, senza lo stress degli ingorghi ed il rischio di non arrivare in orario. Questo produce stili di guida più rilassati, velocità più basse e maggior attenzione alla sede stradale, col corollario di una minor incidentalità, che a sua volta si traduce in minori costi collettivi per la spesa sanitaria.

Nel mondo B le strade sono un luogo di perenne conflitto: tra automobilisti, tra automobilisti e pedoni, tra automobilisti e ciclisti. Lo spazio delle sedi stradali è conteso tra i veicoli che lo usano per muoversi e quelli che vi devono sostare temporaneamente per svolgere le proprie commissioni. Si registra un’elevata incidentalità, malattie da stress, da sedentarietà, aggressività diffusa e disagio sociale. Il tutto è aggravato dall’enorme drenaggio di risorse economiche prodotto dal possesso di auto private, pari ad un quarto di quanto mediamente guadagnato da ogni lavoratore dipendente, dalla perdita di ore di vita e lavorative quotidianamente spese ad annaspare nel traffico, dalla frustrazione, dai costi collettivi e sociali di tale modello.

Ora il mondo B osserva coi telescopi il mondo A. Gli abitanti del mondo B vedono che sul mondo A tutto funziona, ma non riescono a comprendere come tutto ciò si sia prodotto, nel tempo. Colgono l’esteriorità di uno stile di vita più funzionale, più felice, meglio organizzato, ma non sono in grado di guardare con distacco ai propri errori, alle proprie contraddizioni, che anzi in molti continuano a giustificare nel meccanismo psicologico noto come ‘negazione’. Nessuno vuole ammettere di essere compartecipe del disastro collettivo, ed ognuno cerca un capro espiatorio cui accollare tutte le colpe. In ultima istanza, nel mondo B ogni abitante pretende che il cambiamento inizi da qualcun altro che non sia sé stesso, additando di volta in volta soluzioni inefficaci pur di continuare a mantenere le proprie abitudini, inevitabilmente sbagliate.

Nel mondo B, anno dopo anno, decennio dopo decennio, non si registra alcun cambiamento.

(l’idea per questo post deve un enorme un tributo al romanzo “The Dispossessed”, della scrittrice americana Ursula K. Le Guin)

La grande onda e piccoli uomini

hokusai surfing the big wave

Un’altra onda dipinta da Hokusai

Di recente Ugo, ha fatto un passo al di la del suo ormai celeberrimo dirupo di Seneca. E l’ha esemplificato con la grande onda di Hokusai. Credo abbia ragione.

E’ facile, dopo la tragedia dell’Hotel di Rigopiano, gridare all’evento straordinario, oppure, al contrario alla speculazione edilizia. La verità secondo me è che quella di Rigopiano non è stata una tragedia annunciata. Ne è un canarino nella miniera, che segnala che qualcosa sta succedendo al clima. E’ piuttosto il simbolo, l’ennesimo, della nostra incapacità di piccoli uomini di avere la piena consapevolezza di quel che facciamo, delle conseguenze delle nostre scelte, vicine e lontane. In pratica, stiamo esponendo l’intero pianeta ad un esperimento climatico mai visto INSIEME ad un esperimento ecologico mai visto. L’asservimento dell’intera biosfera ai bisogni di una singola specie. E la devastazione del sottile equilibrio che aveva garantito, fin qui, il clamoroso successo evolutivo di quella specie.

O credete che sia un caso, il fatto che ci siano voluti quasi centomila anni, ad uomini indistinguibili da noi, dal punto di vista fisiologico, per uscire dal paleolitico?

Ora, è decisamente tardi, troppo troppo tardi per stupirsi e, d’altronde è anche troppo tardi per prendere provvedimenti che non siano quelli di prepararsi a molti, forse troppi, avvenimenti del genere. Abbiamo scatenato una belva. Tre metri di neve. o tre giorni di pioggia. o tre mesi di siccità. o tre ore di uragano. Non importa. E gli albergatori di Rigopiano, con il loro albergo realizzato su un’area non sicura al cento per cento sono in clamorosa compagnia di buona parte degli insediamenti montani moderni e non solo.

Motivo semplice: eventi rarissimi, plurisecolari, di cui pure si conserva debole traccia geologica, diventano sempre più frequenti tanto da essere probabili nel corso della vita di un insediamento.

Se i nostri nonni erano sufficientemente prudenti e sufficientemente pochi, in queste zone di montagna, da scegliere solo i luoghi più sicuri e più riparati per gli insediamenti, ormai i villaggi  di montagna sono cresciuti a dismisura, trasformandosi in alcuni casi in vere cittadine e saturando lo spazio di fondovalle disponibile. spesso questi fondovalle nascondono le tracce di eventi catastrofici antichi, remoti o addirittura recenti. Un caso per tutti: Alleghe.

alleghe

Attualmente un ridente borgo di montagna, adagiato intorno ad un bellissimo laghetto. questo laghetto fino al 1771 non esisteva. Una enorme frana, staccatasi dal Monte Piz, sbarrò una valle, uccise 49 persone, distrusse un paio di paesi e portò alla formazione del lago.

SE fosse successa oggi, e potrebbe succedere, in uno delle centinaia di borghi montani sviluppatisi nel frattempo, in tutte le Alpi,  i morti si sarebbero contati a migliaia. La frana non era caduta per un caso, ovviamente ma per ben precisi motivi geologici. Questi motivi permangono ed eventi climatici estremi potrebbero riattivare la zona di frana o altre zone limitrofe con simili configurazioni geologiche. Allo stesso modo, il numero crescente di eventi meteoclimatici estremi non è un caso ma la conseguenze, prevedibile e prevista, del riscaldamento globale che solo un diversamente biondo, inopinatamente presidente degli Stati Uniti, può ritenere non nostra responsabilità.  Il combinato disposto di elevata antropizzazione delle nostre montagne e crescente esposizione ad eventi estremi rende certi altri eventi disastrosi. frane, inondazioni, slavine catastrofiche. Prepariamoci a tanti Rigopiano. Ce li siamo cercati. La grande onda che abbiamo generato non possiamo fermarla. Possiamo solo provare a surfarla.

L’errore evolutivo

Charles-Robert-Darwin

Torno dopo molto tempo e, purtroppo per i lettori, stavolta il post è su un argomento strettamente filosofico, di quelli che raccolgono pochissime letture e condivisioni. Nondimeno la sensazione che ho è quella di aver toccato uno dei ‘grandi temi’: il ruolo dell’intelligenza umana nello schema generale delle cose.

Fino a non molto tempo addietro mi è capitato di sollevare il dubbio che l’intelligenza umana non fosse altro che un errore del processo evolutivo. Era poco più che un’intuizione, che ora proverò a sostanziare. Inevitabilmente dovrò partire da una descrizione generale dei processi vitali.

Quella che chiamiamo ‘vita’ è, in estrema sintesi, un processo in cui molecole autoreplicanti, a diversi gradi di complessità, competono per le risorse disponibili. Le forme viventi, fin dalle più semplici, si nutrono di altre molecole, organiche ed inorganiche. Questo processo, in larga misura cannibalistico, comporta un progressivo aumento della complessità.

Se osserviamo la biosfera nel suo complesso quello che vediamo sono forme di vita che si nutrono di altre forme di vita, un processo che si nutre principalmente di se stesso, alimentato dall’energia radiante gentilmente fornitaci dal nostro Sole. All’interno di questo meccanismo di creature che si nutrono di altre creature si produce nel tempo quella che Darwin definì ‘selezione naturale’, gli individui più efficienti hanno maggior probabilità di sopravvivere e riprodursi: ciò innesca il processo evolutivo.

Ora, il punto è questo: finché il processo non coinvolge l’intelligenza, quello che osserviamo è un progressivo incremento della quantità di biomassa e della biodiversità. Finché gli esseri viventi si limitano a competere fra loro per le risorse, il processo produce spontaneamente un aumento della biomassa complessiva ed il progressivo sequestro delle sostanze (atomi, molecole, prodotti chimici complessi) nocive per la vita stessa.

Questo perché i processi biologici comportano di per sé, spontaneamente, una trasformazione degli habitat in luoghi favorevoli alla vita. Le sostanze tossiche o inquinanti vengono o metabolizzate e scomposte, o allontanate dai luoghi dove i processi vitali si svolgono, seppellite, precipitate come sali neutri, rese innocue. E ciò semplicemente procedendo in via egoistica, semplicemente lasciando che ogni singolo individuo, animale o vegetale, persegua il suo personale benessere metabolizzando quello che ha intorno a sé.

Cosa avviene, dunque, con l’avvento dell’intelligenza? Questo ciclo virtuoso si interrompe, dal momento che le esigenze di benessere individuale (e collettivo) coincidono col rimettere in circolo veleni e sostanze tossiche da lungo tempo sepolte e sequestrate. L’intelligenza, per mezzo dello sviluppo della tecnologia, scava dal terreno gli idrocarburi sepolti per rilasciare, a seguito della combustione, CO2 nell’atmosfera, scava dal terreno metalli radioattivi a bassa intensità e con essi, per mezzo della fissione nucleare, produce ulteriore radioattività.

L’incapacità dell’intelligenza umana di riconoscere la propria appartenenza ai processi biologici, anzi, molto spesso il rifiuto categorico di questa elementare verità, immobilizzato e trasmesso attraverso i libri sacri, fa sì che la fase terminale del processo di industrializzazione coincida con una devastazione senza precedenti della biodiversità a livello globale.

In questo contesto, i processi innescati dall’intelligenza umana differiscono profondamente da quanto prodotto dall’evoluzione lungo l’intero arco temporale dallo sviluppo della vita sulla Terra. Credo perciò che questo possa dimostrare la tesi iniziale, ovvero che lo sviluppo dell’intelligenza rappresenti un cambio di paradigma che dirotta drasticamente i processi biologici dalla linea seguita con continuità nelle ere geologiche precedenti.

Se questo possa essere considerato un errore di percorso cui rimediare, a pena di un’estinzione massiva di specie viventi, ivi inclusa quella portatrice di intelligenza, o semplicemente un necessario incidente di percorso cui farà seguito un assestamento che non comporterà la scomparsa dell’intelligenza dal pianeta, ad oggi è cosa impossibile da stabilire.

Deboli di Costituzione.

pistola-flagE’ passato oltre un mese da un post che avevo deciso di NON pubblicare, perché si parlava di Costituzione, certo ma anche e sopratutto di cittadini. Salvata, per così dire la Costituzione, ora resta da fare i cittadini. Avrete pur visto che , dopotutto non è successo nessuno sconquasso. come, purtroppo, non è cambiato molto scambiando Arlecchino e Pulcinella sul palco.

In ogni caso il post ORA ha un senso maggiore che nell’immediatezza del referendum.

A mio sindacabilissimo giudizio, vi tocca sciropparvelo.

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22 Novembre 2016, Lettera ai lettori

Ormai, vada come vada, avrete già deciso come votare nel babbo di tutti i NON-eventi.

Ovvero nel NOIOSISSIMO ed INUTILISSIMO referendum Costituzionale.

Lasciatemi dire la mia, in libertà. A partire da un fatto evidente: Nessuna riforma costituzionale potrà  cancellare l’evidenza dei fatti: che siamo deboli, debolissimi di Costituzione. Di quella che conta, ovvero di una identità sociale, culturale e nazionale che ci permetta di ritrovare energie ed obbiettivi, l’unica cosa che potrebbe, diversamente biondi permettendo, salvarci dalla madre di tutte le Crisi, reloaded.

Questo referendum, in primo luogo, è un non evento perché, in un paese di buon senso, non si sarebbe mai tenuto. Perché le riforme in oggetto non sarebbero mai state proposte.

Non perché siano particolarmente nefaste ( ed in effetti, a mio giudizio, lo sono) ma perché sono, appunto, inutili, ininfluenti.

Inutili perché la nostra Costituzione, anzi: QUALUNQUE Costituzione è inutile senza Cittadini. Senza persone determinate a difendere e rafforzare il patto sociale che li lega sotto il tetto di regole condivise ed uguali ( si spera) per tutti e che si spera democratico.

E cittadini, in Italia, ne sono rimasti pochi, ammesso che ce ne siano stati mai molti in un paese individualista e settario come il nostro. In effetti è il patto Sociale, il progetto di Società concepito ormai 70 anni fa, la promessa di un futuro migliore e condiviso, a partire DAI LAVORATORI, ovvero da coloro che si costruivano il proprio benessere con le proprie mani, che vacilla, che cede. La nostra Società vaga, senza una direzione precisa, anzi nel tradimento dell’articolo 1 della Costituzione stessa . Mi pare infatti chiaro che la Repubblica attuale NON è fondata sul Lavoro (ammesso che esista ancora, come Repubblica e non sia ormai diventata una oligarchia di fatto).

Come è facilmente verificabile, l’articolo avrebbe dovuto terminare con “fondata sui lavoratori”, per rimarcare il primo soggetto destinatario e beneficiario del patto sociale ma, data la situazione internazionale, l’incipit sembrava troppo proiettato verso il socialismo reale per poter essere accettato da tutti i Padri Costituenti. Si trovo un compromesso che soddisfacesse i tre principali partiti popolari di allora.

Senza stare a ripercorrere la Storia di questi ultimi 70 anni è evidente che le modifiche proposte e del resto tutta la legislazione recente NON sono partite da quel famoso articolo 1 ma vadano, piuttosto, verso una fantomatica “governabilità” in grado di per se di garantire nuovi e radiosi giorni al nostro paese. In pratica, riconsegnerebbero il paese in mano ad una ristretta oligarchia, non eletta ( come è noto) ma, al massimo, indicata dagli elettori.

Del resto i lavoratori, al di la delle chiacchiere, hanno visto erose quando non cancellate buona parte della conquiste sociali ottenute nei primi 30 anni di Repubblica, in nome della demenziale “competitività.” Demenziale perché il costo del lavoro, in un paese come l’Italia, vale mediamente pochi percento del costo del prodotto finito e quindi, anche facendo lavorare le persone gratis, non potrebbe, da solo, risollevare l’economia, senza contare che, ovviamente, i poveri non comprano e non consumano. 

Detto questo, quella della necessità di una maggiore governabilità che non andrebbe a discapito della democrazia è una balla ed anche grossa. Perché, intanto le democrazie, per definizioni sono MENO governabili e meno stabili delle oligarchie e, sopratutto delle dittature. Ogni aumento di governabilità implica automaticamente, in qualche misura, una riduzione nella democrazia.  Siccome questa è stata mooolto erosa dal combinato disposto di leggi elettorali, diktat della trimurti internazionale a Presidenti compromessi con ogni potere altro da quello dal quale dovrebbe derivare il suo potere e tutte le altre varie cosuccie successe in questi anni, di democrazia in questo paese ne era comunque rimasta piuttosto poca.

La balla più grossa, comunque, è quella che la nostra struttura di governo con due camere paritetiche non permetterebbe lo svolgimento di una rapida funzione legislativa.

Ricordo solo una cosa: siamo il paese con più leggi, decreti ministeriali, decreti legislativi, decreti legge, decreti attuativi di tutta l’Europa e probabilmente di tutto il mondo cosiddetto civile.

Se la produttività di un parlamento si misurasse dal numero delle leggi, beh non avremmo certo bisogno di cambiare nulla.

Eppure, direi, queste centinaia di migliaia ( pare) di leggi e leggine NON hanno prodotto uno Stato perfetto, equanime, giusto, corretto, efficiente.

Sono MOLTO spesso,imperfette, farraginose, autoreferenziali, contraddittorie, illeggibili. E questo nonostante due o più passaggi dall’una all’altra camera.

Credo che sia difficile negare che un cospicuo numero delle nostre leggi siano scritte con i piedi ed attuate/applicate con ….altre parti del corpo. Per quale motivo, quindi, se i nostri legislatori sono così poco preparati, così eterodiretti, così incerti, da non riuscire a produrre leggi decenti dopo passaggi multipli, le cose dovrebbero migliorare quando questi passaggi fossero ridotti?

Ma, si dice, c’e’ bisogno di decisioni rapide in un mondo dinamico e mutevole come quello odierno. Si insiste che i tempi della costituzione erano altri: remoti, bucolici, rallentati, in una parola, placidi. Eh?! Ehhh?!! EEEHH??!!! No, dico: noi, a 25 anni da Mani Pulite, non siamo ancora riusciti a ricostruire una seconda repubblica decente. I nostri Padri Costituenti in 25 anni si  sciropparono due guerre mondiali, un ventennio fascista e la Ricostruzione, che portarono a termine in meno di dieci anni.

Le leggi sulla tutela del lavoro, dell’ambiente, della sanità e previdenza pubblica. Oltre metà delle nostre città, buona parte della rete autostradale e ferroviaria, interi reparti industriali ( automobilistico, elettrico, chimico) sono stati ricostruiti o costruiti di sana pianta nei primi dieci, quindici anni della Repubblica ed osiamo dire che erano dei placidoni che si erano costruiti una struttura parlamentare faraginosa, adatta ai loro tempi lunghi?

Solo una Nazione, fragile, esile, malaticcia e stordita, debole, debolissima di Costituzione, senza memoria e, direi, senza pudore ne vergogna, si lascia raccontare frottole di questa portata da mezze calzetta di questa fatta, incapaci di riscrivere gli articoli della Costituzione senza trasformarli in un guazzabuglio illeggibile. Solo chi si è sempre disinteressato del significato e del valore della Costituzione, perché probabilmente non ha mai dovuto combattere per avere il diritto di averne una che non fosse calata dall’alto e fatta su misura per le oligarchie dominanti. Solo, infine, chi è già pronto per consegnare quel che poco che resta della struttura democratica dello Stato, pur di tornare alla crescita. sola salvatrice del futuro. Niente crescita, nessun futuro, è il mantra che continuano a raccontarci.

Siccome la crescita infinita in un pianeta finito è impossibile, consegnare il proprio futuro a chi continua ad illuderci di qualcosa che è impossibile, equivale a credere nei miracoli. Quelli di serie B, fatti da un santo falso che cammina sull’acqua perché ha i trampoli, che moltiplica i pani ed i pesci perché li frega a quelli più poveri di voi, che il discorso della montagna lo fa per convincervi che essere poveri, disperati e fessi è un bene perché grande sarà la vostra ricompensa.

Nell’altro mondo.

La prima Costituzione, è dentro di noi.