Ciao ciao BRICS ?

BRICS

“ BRICS ” : parola magica capace di far sognare ad un tempo sia i più fanatici sostenitori del turbo-capitalismo, sia molti che lo odiano.   Mistero dell’opinione pubblica.

Nascita dei BRICS

L’acronimo è nato nel 2001 nel cuore del capitalismo d’alto bordo:  nientedimeno che in casa Goldman Sachs, ad opera di Jim O’Neill, uno dei suoi uomini più brillanti.   In effetti, in origine era solo BRIC, cioè Brasile, Russia, India e Cina che, garantiva mr. O’Neill, erano i “mattoni” su cui sarebbe stata fondata l’incredibile prosperità economica del XXI secolo.   In seguito fu aggiunto il Sudafrica.  Tutti avevano gli ingredienti per vincere: grandi territori Ed una rapida crescita del PIL, oltre che della popolazione (Russia esclusa).

Ancora nel 2014 i “magnifici 5 BRICS ” avevano fatto frullare le prime pagine dei giornali economici annunciando che erano stufi dell’obsoleto e razzista Fondo Monetario Internazionale (all’interno del quale sono comunque ben  presenti).   Avrebbero quindi fondato una banca mondiale alternativa che avrebbe davvero finanziato la crescita dei paesi emergenti: la New Development Bank.   Nuova ondata di entusiasmo bi-partisan sia dei fautori che dei detrattori del BAU (Business As Usual = globalizzazione), sia pure per motivi opposti.

Qualche scettico cronico, tipo il sottoscritto, sostenne che dietro lo smalto si vedevano già delle belle crepe in tutti e cinque i BRICS, ma nessun commentatore di rilievo, che io sappia, fece osservazioni analoghe.   In fondo siamo comunque umani e ci piace sognare.

I BRICS oggi.

A solo 15 anni dal loro battesimo in casa (o chiesa?) Goldman Sachs, che ne è dei cinque “enfant prodige” della crescita economica?   Diamogli un’occhiata.

Brasile.

crisi BRICS
Il PIL del Brasile

Nel medesimo fatidico 2014 in cui i BRICS annunciavano la loro nuova super-banca, si giocavano i mondiali di calcio in Brasile.    Mondiali destinati a passare alla storia per le spese iperboliche mai recuperate, la realizzazione di mega-stadi, alcuni dei quali subito abbandonati, e per le sommosse popolari contro tutto questo.    N.B.:  Sommosse contro il campionato di pallone in Brasile!
E per colmo di sventura, vinse la Germania.
Di per sé tutto ciò sarebbe trascurabile, ma qui ci interessa perché era un sintomo evidente di quello che stava per accadere: la peggiore recessione della storia brasiliana, il caos politico con il Presidente sotto processo, le alte sfere travolte dagli scandali ed in arrivo le olimpiadi più disastrate e disastrose della storia.   Per non farsi mancare nulla, siccità ed incendi stanno mettendo in ginocchio la rete elettrica nazionale e, di conseguenza, buona parte dell’industria.   Mentre San Paolo (la città più grande del l’emisfero australe) sta restando a corto di acqua.  Davvero Zika è l’ultimo dei loro problemi.

Russia.

Crisi BRICS - svalutazione rublo
Svalutazione del Rublo

Già di partenza era una presenza anomala.   Gli altri erano infatti “Paesi emergenti” e ruggenti (nel 2001), mentre la Russia era una super potenza sconfitta che aveva faticosamente recuperato un equilibrio e rimesso in piedi un’economia.   Soprattutto basandosi sull’esportazione di energia: petrolio sul mercato globale e gas su quello europeo.   In pratica quindi, un fornitore di materia prima per l’eventuale sviluppo altrui.    Non era un gran che, ma era il meglio che si  potesse fare e Putin lo aveva fatto, fermando il completo collasso del paese scatenato dalla sconfitta, ma soprattutto dalla disastrosa gestione del governo Eltsin.
Il problema è che non appena sono entrate in crisi le economie clienti, la Russia si è trovata di colpo con le spalle al muro.   Né la prospettiva di uno sviluppo delle forniture verso la Cina pare avere molte prospettive, sia per i tempi e gli investimenti necessari, sia per la crisi che nel frattempo ha raggiunto la Cina.   Anche in questo caso, il disastro ambientale contribuisce.   Molti tratti dei previsti metanodotti e delle strade di servizio dovrebbero infatti appoggiare sul permafrost che si sta sciogliendo.
Certo la Russia rimane la seconda forza armata a livello planetario e, di conseguenza, un attore politico di primo piano.   Ma le prospettive economiche rimangono quanto mai fosche.

India

siccità in india
Siccità in India

Per l’India, i dati ufficiali parlano di una crescita economica intorno al 7% ma intanto calore estremo e siccità stanno letteralmente distruggendo buona parte del paese.   La gente fugge in città per sopravvivere e per rifornire d’acqua le città si finiscono di prosciugare le campagne, i fiumi e le falde freatiche.  I tassi di inquinamento sono fra i più alti del mondo, con i conseguenti costi sanitari e sociali.
Più di tutto, l’India ha una popolazione di quasi 1,3 miliardi in rapida crescita (1,38%) ed un terzo della popolazione ha meno di 30 anni.   Sono impressionanti i livelli di violenza di tutti i tipi: da quella domestica e sulle donne a quella religiosa, passando per quella politica e dalla criminalità comune.   L’affermarsi di partiti nazionalisti e oltranzisti non è che un ulteriore indice di crisi strutturale e non potrà che aggravare la situazione.

Cina

Importazioni cinesi
Importazioni cinesi

E’ il pezzo forte della collezione.   Il paese più popoloso e più inquinante del mondo è adesso anche la seconda economia e la terza forza armata a livello mondiale.    Sul piano economico, i dati ufficiali proclamano una crescita fra il 6 ed il 7% negli anni peggiori, ma analizzando l’import/export (verificabile dai dati di tutti gli altri paesi) risulta evidente che non è vero.   La Cina è in recessione o, perlomeno, in stagnazione.  E si sta tirando dietro tutte le economie dell’est asiatico: dalla Corea del sud a Singapore.   Del resto, la crescente aggressività internazionale, ad esempio con le ricorrenti crisi militar-diplomatiche per il possesso di scogli inabitabili sparsi in giro, sono un indizio pesante di crisi grave.

Esportazioni cinesi
Esportazioni cinesi

Sul piano politico, il Partito Comunista continua ad avere un saldo controllo e l’opposizione pare limitata a pochi intellettuali, ambientalisti e minoranze etniche marginalizzate.  Ma i licenziamenti di massa in programma e la fine (o perlomeno il drastico rallentamento) della crescita economica potrebbero cambiare il quadro.   Così come il debito, esploso al 300% del PIL in pochi anni.    Anche i folli livelli di inquinamento, la desertificazione di vasti territori e la cronica mancanza d’acqua non mancheranno di avere effetti sul futuro del paese.

Sudafrica.

Andamento della crescita del PIL e della disoccupazione.
Andamento della crescita del PIL e della disoccupazione.

Passata la sbornia del dopo-apartheid, si cominciano a fare i conti con l’oste.   Al di la dei tecnicismi e dei trucchi contabili, la crisi cinese ha trascinato anche il Sudafrica in una crisi economica senza precedenti, assieme a tutti gli altri paesi esportatori di materie prime.  I titoli governativi e di molte imprese sono classificati “Junk” o quasi, l’inflazione galoppa ed il debito esplode.
La delinquenza aumenta, in particolare il bracconaggio che sta spazzando via buona parte della mega-fauna in questo, come in tutti gli altri paesi africani.    Ed intanto il presidente Zuma (quello dello storico accodo del 2014) è coinvolto in una serie di scandali per corruzione e simili.
A far le spese di tutto ciò, innanzitutto gli immigrati dai paesi circostanti che sono fuggiti in massa dopo una serie di attacchi xenofobi che hanno fatto diversi morti e molti feriti.

E’ la fine dei BRICS ?

Prima di sparare pronostici, è sempre bene dare un’occhiata al contesto.   E il contesto è di impatto globale contro i limiti dello sviluppo.    Una cosa di cui si parla da 40 anni, ma cui ancora molti non vogliono credere.

Se davvero la crisi attuale non è un incidente, ma l’inizio della fine del BAU, è ben difficile che 5  paesi fra i “più BAU” del mondo possano uscire dal pantano in cui si sono cacciati.   Tuttavia non si può far d’ogni erba un fascio.   Se come blocco politico-economico i BRICS sono probabilmente finiti per sempre (ammesso che siano mai esistiti!), non è affatto detto che lo siano singolarmente.   Soprattutto non in un contesto in cui l’Europa sta facendo di tutto per suicidarsi e gli USA sembrano precipitare in una voragine di stupidità.

A mio  modesto avviso, quelli messi peggio sono il Sudafrica e l’India, sia per la pressione demografica che per la rapida evoluzione del clima.  Segue il Brasile che, pur avendo una popolazione relativamente modesta rispetto al territorio, ha fatto della sistematica distruzione di questo il suo settore trainante.   Inoltre, sia il Brasile che il Sudafrica sono, fondamentalmente, fornitori della Cina.   Se questa sprofonderà li trascinerà con sé, mentre se la Cina riprenderà fiato ricomincerà a comprare, ma ciò non farà che accelerare il tasso di distruzione delle risorse ed il degrado del territorio dei suoi fornitori.

La Russia è un caso a parte.   Se sul piano strettamente economico non può far molto altro che sperare che il prezzo dell’energia torni a salire, sul piano politico ha parecchie frecce al suo arco.  Finora ne ha scoccata qualcuna giusta e qualcuna sbagliata.   Se saprà giocare bene le sue carte, potrebbe cavarsela meno peggio degli altri, anche grazie alla bassa densità di popolazione (tendente alla diminuzione) ed al vasto territorio.   Anche il fatto che la maggior parte della gente sia abituata cavarsela con poco potrebbe aiutare questo paese ad essere fra quelli che cadranno in cima e non in fondo al cumulo di macerie della civiltà industriale.   Se, invece, opterà per diventare una periferia cinese, farà la fine di tutte le periferie di tutti gli imperi in declino.

In ultimo l’Impero Cinese.     Direi che è sicuramente troppo presto per darlo per spacciato.   Anche se la tendenza globale è verso la fine dell’economia industriale, la Cina ha ancora molti margini di manovra sul piano politico e militare.  Ed ha una popolazione relativamente stabile, anche se malsana.    Il rischio che una potenza in crisi cerchi la scappatoia attraverso l’avventura militare è sempre presente.  Del resto USA e, su scala minore, Russia stanno facendo esattamente questo.   Lo farà anche la Cina?   Non possiamo saperlo, ma diciamo che è abbastanza probabile.   Il contesto ed i mezzi sono però molto diversi e non è prevedibile come possa finire.
In sintesi, credo che finché il sistema partito-esercito rimarrà saldo e coeso, la Cina potrà attraversare crisi terribili al suo interno e scatenarne di ancor peggiori fuori, ma non si disintegrerà.

Un’ultima osservazione.   Il destino di questi paesi è in gran parte nelle nostre mani.   Più stupidaggini faremo noi, più si apriranno spazi di manovra per loro.   Personalmente, credo che la strategia migliore sarebbe cercare (se possibile) un accordo strategico con la Russia per tenere sotto controllo la Cina.   Non che l’Europa abbia molto da fidarsi della Russia, né la Russia dell’Europa, ma credo che una sospettosa alleanza gioverebbe ad entrambi.   Noi abbiamo urgente bisogno di prendere pacificamente le distanze dagli USA e loro stanno rischiando di diventare una colonia cinese.
Forse, potremmo darci una mano l’un l’altro per farsi il meno male possibile rotolando giù per la parte discendente del “Picco di tutto“.

Bellezza, ricchezza, benessere

Qualche giorno fa, tornando a casa in bici dall’ufficio, ho deciso di allungare un po’ e farmi un giro al parco degli Acquedotti. Complice un sole al tramonto, basso ed aranciato, le nubi grigie di pioggia sopra la testa, la luce aveva una qualità rara ed affascinate come di rado accade.

Sembra incredibile, ma dopo quasi trent’anni riesco ancora stupirmi di quanto sia bello questo posto, e di quanto poco i miei concittadini lo apprezzino: inutile dire che a godere di una tale meraviglia ero in pressoché “beata solitudo”. E nello stupirmi di tanta bellezza, e dell’effetto gratificante che mi stava regalando, non ho potuto fare a meno di inanellare un po’ di ragionamenti.

“Stare in un luogo bello mi fa star bene”, è stata la prima considerazione. A seguire il lessico stesso mi ha guidato, perché la definizione di una persona che “sta bene”, in italiano, è “benestante”. Un benestante senza un euro in tasca… strana definizione, eppure incontestabilmente esatta.

Ho quindi iniziato a ragionare sulla deriva del significato delle parole quando per troppo tempo se ne fa un uso improprio. La parola “benestante” è ormai associata al concetto di una persona ricca di denaro, come se il denaro comportasse ipso-facto lo star bene. Paradossalmente un ricco rimane, nel pensiero comune e nel lessico, “benestante” anche se vecchio e malato.

Un povero, invece, può stare benissimo, avere una salute di ferro, una vista perfetta, eppure nessuno/a gli riconoscerà questo suo “benessere”. In qualche caso si insegue a tal punto il possesso di denaro da finire col fare una vita orribile ed ammalarcisi: le parole che usiamo condizionano grandemente il nostro modo di pensare.

Alla bellezza, che pure ci fa star bene, non siamo in grado di assegnare alcun valore. Lo sono invece, forse un po’ più di noi, quei turisti che attraversano mezzo mondo per venire a vedere cose alle quali noi neppure facciamo più caso. Strano e perverso meccanismo!

Perfino i parametri che utilizziamo per definire il nostro benessere sono parametri unicamente monetari. Il P.I.L. (prodotto interno lordo) ci racconta soltanto quale massa di denaro si muova all’interno di uno stato, ed una delle voci che lo compongono è quella relativa alle spese mediche: più un popolo sta male, più sale il P.I.L., più lo stesso popolo si convince di stare bene!

Uscire da logiche collettive deliranti ed autodistruttive è la nostra sola speranza di salvezza, l’unica opportunità che abbiamo di vivere vite emozionanti e degne di essere vissute. Evitare di lasciarsi ingabbiare in circoli viziosi mentali diventa essenziale.

La scorsa settimana mi “avanzava” una mezz’ora di vita ed ho deciso di spenderla a pedalare al parco degli Acquedotti. E’ stata una scelta saggia, perché alla fine mi ha insegnato cose importanti: che sto bene, e sono quindi un benestante… che la bellezza è a mia disposizione, a due passi da casa… che sono ricco di cose che il denaro non può comprare…

O che, se non mi lascio troppo distrarre, posso perfino accorgermi di essere felice.

La fine dell’auto a petrolio nel 2025?

Iran-refuses-to-deliver-500k-barrel-oil-shipment-to-GreeceE’ una notizia storica: Ci si avvia a vietare la vendita di auto a motore endotermico ( insomma a scoppio) entro il 2025.

Certo : in Norvegia ed Olanda, per ora.

Ecco il link per l’Olanda :

Only electric cars should be sold in Netherlands from 2025

Altri paesi europei ci stanno seriamente pensando.

Non in Italia, dove, come abbiamo visto, Marchionne non è esattamente favorevole alle auto elettriche. Per non parlare del mio sindaco, Nardella, che in una recente intervista ancora pensa alle auto ad idrogeno. Una tecnologia mai decollata, estremamente complessa ed inefficiente, ormai completamente superata dagli eventi. «Ne ho parlato con i tecnici di Bruxelles impegnati in analoghe iniziative in Germania e Belgio: avremo stazioni per l’erogazione dell’idrogeno. In questi mesi lavoreremo con la Commissione europea e cercheremo partnership con le case automobilistiche che hanno queste auto in vendita».

Peccato che esista solo la Toyota Mirai e costi 75.000 dollari.

E peccato che l’efficienza di un’auto ad idrogeno, tenendo conto delle perdite per la produzione e lo stoccaggio di idrogeno ( perdite non emendabili, almeno in questo universo, causa leggi fisiche e chimiche) siano tali da renderla meno ecologica di una auto a metano…

E’ incredibile che si ignorino gli oltre 400.000 ordini già raccolti per la Tesla 3. E’ incredibile che si ignori il fatto che attualmente vengano prodotte, per dire, oltre 100 Tesla al giorno contro 2-3 ( se va bene) Toyota Mirai….o meglio: NON è incredibile. Semplicemente i nostri decisori non hanno alcuna minima idea su questi argomenti e si arrangiano per sentito dire, confidando che anche il loro intervistatore sia altrettanto ignorante ( il che purtroppo succede quasi sempre)

Se vi chiedete come mai continui a citare Tesla, è per un motivo molto semplice: è la prima casa automobilistica ben strutturata che realizza SOLO auto elettriche ed è la prima che ha raggiunto questi numeri. SE come e QUANDO le altre case decideranno di rinunciare alle loro stufe a petrolio, avremo modo di vedere se, dopotutto, fosse così difficile cambiare paradigma di trazione.

Non di mobilità, notate bene.

La mobilità è una cosa diversa dai mezzi con cui ci si muove. L’attuale paradigma è demenziale e dannoso per la salute. E’ indubbio ed anche qui ci va una rivoluzione copernicana. Ma per questo qui su Crisis, Ha scritto già  Marco, molto meglio di come avrei potuto fare io.

Riscaldamento globale: il punto, in tre grafici.

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10154176536012173&set=p.10154176536012173&type=3&theater
da un post di Marco su Fb

Per il 99,83% degli articoli peer reviewed ( ovvero che hanno subito un processo di verifica e controllo preliminare da parte di esperti qualificati nda) sul clima il riscaldamento globale è una realtà.

Lo 0.17% per cento lo nega.

Non esiste praticamente nessuna teoria o affermazione o fatto acclarato, in alcun settore scientifico, che riceva una percentuale di consensi così elevata.

Ricordatevelo, la prossima volta che vedrete, in un dibattito televisivo, un climatologo o altro sedicente esperto negazionista.

Estensione dei ghiacci artici, 18 Maggio 2016
Estensione dei ghiacci artici, 18 Maggio 2016

I ghiacci marini artici si stanno sciogliendo ad un ritmo mai visto. Siamo abbondantemente sotto i minimi di sempre e il 2016 si avvia a stracciare il record ( negativo) del 2012. Visto il post recente, non vi ripeterò che potremmo essere usciti definitivamente dalla fascia di oscillazione “naturale”, con il risultato che le previsioni, già negative dei climatologici potrebbero rivelarsi clamorosamente errate per difetto.

Credo basti questa immagine, tratta da quel post.

 

 

L’agnello di Dio che toglie i cannibali dal mondo

A furia di citare Jared Diamond mi è stato suggerita la lettura di “Cannibali e Re”, saggio dell’antropologo Marvin Harris pubblicato nel 1977. Ben vent’anni prima di Diamond, Harris provò a leggere le trasformazioni delle civiltà preistoriche e precolombiane attraverso la chiave di lettura delle dinamiche economiche e della disponibilità di risorse.

Cannibali
Le pagine che mi hanno più colpito restano tuttavia quelle dedicate alle civiltà mesoamericane ed alla cultura dei sacrifici umani e del cannibalismo. Diverse fonti dell’epoca, supportate da pitture e raffigurazioni scultorie, narrano che al termine delle cerimonie quasi quotidiane nelle quali il cuore delle vittime umane veniva strappato ancora palpitante e bruciato in onore delle divinità, i corpi finissero meticolosamente cucinati e serviti a tavola.

“Il cannibalismo azteco non consisteva in una degustazione casuale di leccornie cerimoniali. Tutte le parti commestibili venivano utilizzate in un modo strettamente paragonabile al consumo della carne di animali domestici. I sacerdoti aztechi si possono definire, a buon diritto, come macellatori rituali di un sistema statalistico dedito alla produzione e re-distribuzione di sostanziose quantità di proteine animali nella forma di carne umana.”

Il libro elenca quindi una serie di evidenze che dimostrano come le pratiche cannibalistiche, in epoche preistoriche, fossero diffuse in molte parti del mondo, Europa compresa. Fu proprio la nascita dei primi stati a porvi fine, e tutti i culti religiosi del Vecchio Mondo bandirono espressamente il cannibalismo. In cosa differì la situazione dell’America Centrale?

“Diversamente dagli dei aztechi, per le grandi divinità del Vecchio Mondo il consumo di carne umana era tabù. Perché solo nell’America centrale gli dei incoraggiavano il cannibalismo? Come suggerisce Harner, la risposta va trovata sia nelle specifiche forme di esaurimento dell’ecosistema mesoamericano, sotto l’impatto di secoli di produzione intensiva e di crescita demografica, sia nel rapporto costi-benefici dell’uso di carne umana come fonte di proteine animali laddove opzioni meno costose non erano disponibili. Come abbiamo visto più sopra, l’America centrale si trovò, alla fine dell’epoca glaciale, di fronte a un esaurimento delle risorse di carne animale più grave che in qualsiasi altra regione.”

Ecco il punto: Nei circa 20.000 anni trascorsi dall’attraversamento dello stretto di Bering, le bande di cacciatori/raccoglitori avevano portato all’estinzione la maggior parte della macrofauna dei due continenti, prima ancora che a qualcuno/a venisse in mente di praticarne la domesticazione e l’allevamento. Gli unici due animali allevati in mesoamerica erano il cane e il tacchino, e poco altro arrivava dalle battute di caccia nel fitto delle foreste. Il grosso della popolazione di basso rango si nutriva di mais e fagioli, il cui contributo proteico, già al limite, subiva periodici crolli negativi in occasione di carestie.

Popolazioni umane cresciute a dismisura grazie alle neonate pratiche agricole, ed in perenne debito proteico, diedero vita ad una religione i cui dei si nutrivano di vittime umane, semplicemente per alimentarsi essi stessi di quelle vittime. Un totale rovesciamento rispetto alla religione cristiana, nella quale sono i fedeli a nutrirsi del ‘corpo e sangue’ della divinità. Quest’ultimo cerimoniale (l’eucarestia), deriva in linea diretta da pratiche sacrificali ebraiche riservate agli animali, in particolare l’olocausto degli agnelli nel periodo pasquale. Va osservato che la religione ebraica si originò presso popolazioni dedite alla pastorizia, che non avevano alcun debito proteico e probabilmente individuavano nel cannibalismo la forma di ‘peccato’ più orribile.

“Se quest’analisi è corretta, allora dobbiamo considerare le sue implicazioni inverse. E precisamente che la disponibilità di specie animali domestiche svolse un ruolo importante nella proibizione del cannibalismo e nello sviluppo di religioni dell’amore e della misericordia negli Stati e negli imperi del Vecchio Mondo. Potrebbe allora darsi che il cristianesimo sia stato più il dono dell’agnello che non del bambino nato nella stalla.”

Credo che d’ora in poi non riuscirò più a sentir pronunciare la frase cerimoniale: “ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo” senza che mi scorra un brivido gelato lungo la schiena.

Gli anni ’70 videro un picco della fascinazione nei confronti del cannibalismo. “Soylent Green”, film del 1973, metteva in scena una forma tecnologica di cannibalismo, sotto forma di tavolette proteiche ricavate dal riprocessamento su scala industriale dei cadaveri umani. Ma fu anche l’epoca di film horror come “Cannibal Holocaust” (1980) e tutta una serie di produzioni di serie B analoghe. E probabilmente non è un caso, dal momento che il “Rapporto sui Limiti dello Sviluppo” dei coniugi Meadows fu pubblicato nel 1972, seguito a breve dalla crisi petrolifera (1973). Antichi fantasmi si affacciarono nuovamente all’immaginario collettivo, riportando a galla terrori sepolti dalla notte dei tempi.

Più recentemente il cannibalismo riappare nel romanzo distopico “The Road”, di Cormac McCarthy (2006), ambientato in un futuro prossimo flagellato da una catastrofe ambientale globale, con un’umanità decimata e ridotta alla totale disperazione. In altre forme, ancora più metaforiche, si può leggere un riemergere della paura diffusa del cannibalismo nel successo globale delle fiction a base di zombi.

Fuor di metafora, invece, l’ascesa del capitalismo globalizzato e dei suoi modelli di saccheggio ai danni di intere nazioni rimanda fortemente ad una forma contemporanea di cannibalismo, nella quale non già i corpi delle persone vengono consumati, ma le vite e le aspirazioni alla dignità ed alla felicità, con retribuzioni al limite della sussistenza e pratiche umilianti inconcepibili solo pochi anni addietro (i.e. l’obbligo al pannolone a causa dell’abolizione della possibilità di andare in bagno… e parliamo degli U.S.A.!)

Nell’arco dell’ultimo secolo abbiamo prodotto un mondo sovrappopolato supportato da una filiera alimentare sbilanciata ed estremamente fragile. Un modello da rimettere in discussione al più presto se non vorremo ritrovarci, a breve, nelle stesse condizioni dei popoli mesoamericani all’epoca della scoperta da parte dei navigatori europei: obbligati a guerre fratricide incessanti solo per poter accedere alla riserva proteica rappresentata dai cadaveri dei nemici fatti prigionieri.

Aztechi

Equità e sostenibilità sono sinergiche?

Equità e sostenibilitàUna maggiore equità nella distribuzione dei redditi viene sempre più spesso invocata dai piani basali ed intermedi della piramide sociale.   Con ottime ragioni.   Un simile livello di disparità non si era mai visto nella storia, probabilmente neppure all’epoca dell’impero Han o di quello romano.   Certamente Carlo Magno era un poveraccio rispetto ai fratelli Koch.
Fin qui credo che ci sia poco da aggiungere e, a scanso di equivoci, preciso subito che sono d’accordissimo che sia uno schifo che deve finire.   Il punto che vorrei discutere è però un altro: alcuni (fra cui nientemeno che il papa) sostengono che migliorare l’ equità sociale migliorerebbe anche la situazione ambientale.   Siamo sicuri che sia così?

Redditi e consumi

Il punto principale di chi sostiene la sinergia fra aumento dell’equità e riduzione degli impatti è il fatto (verissimo) che i ricchi consumano molto di più dei poveri.

Dunque, tanto per farsi un’idea di come potrebbe funzionare, immaginiamo di distribuire la metà dei patrimoni dei 50 uomini (e donne) più ricchi del mondo  (1.250 miliardi secondo Forbes) fra il miliardo di persone più povere della Terra.   Farebbero circa 600 dollari a testa, cioè circa il doppio di quello che attualmente guadagnano in un anno intero.   Cosa farebbero?   Ovviamente li spenderebbero per togliersi la fame, curare i malati, vestirsi decentemente, riparare la baracca dove vivono, magari mandare i bambini a scuola.
Tutte cose sacrosante che raddoppierebbero secco il loro impatto ambientale ed imprimerebbero una brusca accelerazione alla crescita demografica.
Viceversa, quando Carlos Slim, che già aveva 69 miliardi, nel 2012 ne ha intascati 4 netti non ha aumentato i suoi consumi e le sue emissioni, semplicemente perché aveva già tutto ciò che è possibile avere e consumava già tutto ciò che si può umanamente consumare.

Per dirla in termini scientifici, la correlazione fra aumento del reddito ed aumento dei consumi non è lineare.   E l’aumento dei consumi è tanto maggiore, quanto più basso è il reddito di partenza.
Ne consegue che aumentare la quota di PIL nei piani bassi favorisce la crescita economica e demografica assai più che non la crescita nei piani alti.    Anzi, si potrebbe addirittura considerare il meccanismo perverso di concentrazione in corso una sorta di reazione immunitaria del sistema “Umanità” alla propria ipertrofia: più la ricchezza si concentra nei piani alti, più l’economia reale affanna e con essa rallentano sia la crescita dei consumi, sia quella demografica.

Equità e sostenibilità nei modelli

limiti dello sviluppo scenario 8Molti non troveranno convincente  il ragionamento, quindi vediamo cosa ci dicono i modelli disponibili che, in qualche misura, prendono in considerazione l’ipotesi di una ridistribuzione dei redditi.
Ad oggi, il più affidabile continua ad essere l’autorevolissimo Word3 che, nell’edizione del 2004 (Limits to Growth: The 30-Year Update) propone, fra gli altri, un scenario in cui si ipotizza che dal 2002 la natalità globale si si stabilizzi sulla media di due figli per coppia e che venga praticata una distribuzione dei prodotti industriali uguale per tutti ad un livello del 10% superiore rispetto alla media globale del 2.000.   Vale a dire molto meno per i ricchi e molto di più per i poveri.
Sorvolando sui dettagli,  è interessante che queste condizioni allungano la fase di picco delle curve di produzione e della popolazione, prolungando il periodo di benessere per una ventina d’anni rispetto a scenari meno egualitari (e più realistici).   Dopodiché avviene comunque un collasso sistemico analogo a quello dello scenario BAU.
Si badi bene che la maggior parte di coloro che reclamano una maggiore equità si guardano bene dal parlare di limitare la popolazione.   Nel libro non viene illustrato lo scenario con ridistribuzione dei beni senza controllo della natalità, ma non ci vuole molto a capire che la popolazione crescerebbe molto rapidamente, mandando in collasso il sistema in quattro e quattr’otto.

Il secondo modello che in qualche modo prende in conto il livello di equità sociale è il popolarissimo HANDY,  il cui successo di pubblico dipende largamente dal fatto che dice cose che fa piacere sentire.
Purtroppo però, sotto il profilo scientifico il modello ha parecchi e vertiginosi buchi.   A cominciare dal fatto che è eccessivamente semplificato, così da delineare scenari del tutto impossibili, come quello in cui i predatori (l’élite) crescono anche dopo che hanno fatto estinguere le prede (la gente comune).   Oppure, ancora più grave, considera la capacità di carico una costante, indipendente dalle altre variabili.  O ancora non considera le fondamentali retroazioni fra sviluppo delle élite, la specializzazione del lavoro, l’aumento della complessità dei sistemi economici, la capacità dei sistemi di dissipare energia, eccetera.
Tuttavia, a parte queste ed altre gravi lacune, il modello ha l’indubbio pregio di inserire l’elemento sociale in questo tipo di modelli.   In attesa di meglio, possiamo penso prendere per buona l’indicazione di larga massima secondo cui livelli moderati di disuguaglianza tendono a rendere più stabili e resilienti le società.   A braccio, direi che un’occhiata alla storia conferma l’ipotesi, a condizione di prendere il termine “moderata disuguaglianza” in senso molto relativo.

Conclusioni.

In sintesi, una parziale ridistribuzione dei redditi avvantaggerebbe primi fra tutti i ricchi, consolidandone il potere.   Le élite del passato che sono rimaste in sella a lungo lo sapevano bene, come lo sapevano Karl Marx e gli anarchici dell’800.
In secondo luogo, favorirebbe i poveri la cui vita migliorerebbe non solo sul piano materiale, ma anche per il ridursi della snervante sensazione di essere quotidianamente defraudati ed ingannati.
Tuttavia sarebbe un miglioramento molto temporaneo.   La crescita dei consumi globali e la crescita demografica che ne deriverebbe si rimangerebbero il vantaggio nel giro al massimo di un paio di decenni, per poi precipitare tutti in un baratro ancora peggiore.  Amen.

A dire il vero una scappatoia ci sarebbe.   Si ridurrebbero sia l’iniquità che gli impatti se si abbassassero i redditi dei ricchi, senza incrementare quelli dei poveri e, contemporaneamente, adottando drastici sistemi di controllo demografico.    Ma questa è l’unica opzione su cui tutti sono d’accordo per essere contro.

Attrattori strani e clima terreste

http://ugobardi.blogspot.it/2016/05/male-molto-male-niente-affatto-bene.html

Probabilmente avrete già visto qualche volta, le strane evoluzioni di un sistema proposto da Lorenz: i famosi “attrattori strani“.

in sostanza, pur  se, nella sua caoticità, il sistema non ritorna MAI esattamente nello stesso stato, si può comunque fare qualche previsione: il sistema si evolverà all’interno di un campo abbastanza definito, con oscillazioni casuali. Qui sotto un esempio dinamico.

Quel che pochi sanno è che questo sistema fu concepito da Lorenz proprio per indagare l’evoluzione dei sistemi meteorologici, in forma più maneggevole. In sostanza fu un tentativo di ridurre la complessità del clima ad un modellino MOLTO semplificato, che pure desse qualche indizio sul comportamento del mondo reale su cui detto sistema si fondava.

La faccenda diventa immediatamente complessa (anche se affascinante) quindi restiamone fuori. A me QUI interessa solo far presente una cosa: la temperatura media mensile mondiale sembra, per oltre cento anni, aver oscillato in modo apparentemente casuale all’interno di una banda abbastanza definita poi, prima timidamente e negli ultimi anni in modo esplosivo, ne è uscita, a quanto pare senza fare più ritorno. La traiettoria degli ultimi due anni è da brividi.

Come potrete vedere, il sistema giocattolo ha DUE attrattori e, oltre un certo punto il sistema trova un nuovo equilibrio intorno a una situazione COMPLETAMENTE diversa da quella precedente. Ovviamente un sistema complesso ha un comportamento complesso con molteplici punti di equilibrio.

Quanti? Quali? Dove? Nessuno, ad oggi, ha una risposta precisa.

Conclusione:

Forse siamo appena riusciti a scappare al controllo di un qualche attrattore strano. temo, però che non sia una buona notizia. Per niente.

Ringrazio Ugo per l’immagine di apertura.

Darwin, i ciclisti e la pressione selettiva

Perché i ciclisti non rispettano il codice della strada? Perché si spostano in gruppo sulle arterie extraurbane intralciando i veicoli più veloci? Chi glielo fa fare di andare in bicicletta in città in mezzo alla puzza degli scappamenti e a rischio di essere investiti? Queste domande vengono spesso formulate da chi non va in bicicletta, ma altrettanto spesso i ciclisti non sanno rispondere propriamente. Ognuno elabora per la propria esperienza diretta, facendo riferimento al sapere accumulato negli anni, eppure difficilmente si esce dalla prospettiva individuale, dal “faccio così perché mi sembra meglio”, spesso accompagnata da “provaci tu, se sei tanto convinto”.

In realtà esistono ottime argomentazioni per ogni singolo punto, ma per comprendere meglio il quadro generale bisogna armarsi degli strumenti interpretativi dell’evoluzionismo darwiniano e ragionare i ciclisti come una specie in competizione per la sopravvivenza all’interno di un ecosistema in rapida trasformazione.

Evolve
Cominciamo dallo stabilire quando la varietà “ciclista” si distacca dal tronco principale della specie ‘homo’. questo avviene grossomodo nella seconda metà del 19° secolo, quando la bicicletta raggiunge un livello di efficienza tale da diventare competitiva con le altre modalità di spostamento dell’epoca. Più veloce degli omnibus, meno costosa delle carrozze, meno energivora di un cavallo, la bicicletta si ritaglia uno spazio via via crescente sia nella mobilità cittadina, sia extraurbana. Asseconda la nascente moda del turismo (dall’inglese ‘tour’) consentendo di effettuare viaggi anche lunghi, come ben documenta il volume umoristico Tre uomini a zonzo di Jerome Klapka Jerome pubblicato nel 1900.

Questa neonata popolazione arriva a diffondersi su un areale assai vasto ed a subire una prima diversificazione tra ciclisti quotidiani (quelli che utilizzano la bici per raggiungere il posto di lavoro o per piccole commesse) e ciclisti sportivi (che la utilizzano nel tempo libero con finalità ginnico/agonistiche), prima che l’avvento di una specie molto più recente ed aggressiva (gli automobilisti) non entri in competizione per gli spazi e le risorse viarie. L’avvento dell’era dell’automobile non era facilmente prevedibile, dati gli alti costi dei primi modelli (sostanzialmente un’evoluzione delle carrozze a cavalli consentita dal motore a scoppio), tuttavia lo sfruttamento dei primi campi petroliferi sembrò promettere una ricchezza sconfinata, in grado di mettere in moto un’industria di massa.

Il rovesciamento del paradigma economico operato nel ventesimo secolo finisce col penalizzare i mezzi economici a tutto vantaggio di quelli più dispendiosi ed energivori. La ricchezza sepolta del petrolio fossile diventa in breve tempo ricchezza diffusa, e per facilitare i consumi si operano politiche premianti nei confronti dei veicoli più famelici di risorse. Saltando la parentesi delle due guerre mondiali, l’attività principale del ventesimo secolo consiste nel convincere le popolazioni a possedere ed utilizzare automobili, marginalizzando tutte le altre modalità di spostamento sia attraverso l’industria culturale che (grazie a massicce azioni di lobbying) in chiave legislativa.

Gli stessi Codici della Strada, adottati nelle diverse nazioni per gestire l’improvvisa crescita del traffico veicolare (col relativo portato di morti e feriti), riflettono quest’impostazione autocentrica, non tenendo conto delle esigenze dei ciclisti con disposizioni adeguate a preservarne l’incolumità. Un esempio tra tutti di questo accanimento è l’assenza, nella legislazione italiana, di una distanza minima di sorpasso, cosa che di fatto autorizza gli automobilisti a ‘sfiorare’ chi va in bicicletta con manovre oggettivamente pericolose.

L’avvento delle automobili sulle strade può essere descritto come la presa di possesso di un ecosistema da parte di un predatore inarrestabile. In tutta la seconda metà del ventesimo secolo il numero delle automobili cresce in maniera esponenziale fino a portare alla totale saturazione degli spazi urbani. Le strade diventano, più che arterie dedicate allo scorrimento, spazio pubblico sacrificato ai desiderata dell’industria dell’auto e dei suoi clienti. Le auto in sosta occupano ogni luogo loro concesso fino a strabordare.

Nel corso di questo processo la popolazione ciclistica subisce una drammatica decimazione: i ciclisti quotidiani praticamente scompaiono dalle strade, soverchiati da un traffico veicolare crescente, pericoloso ed aggressivo, man mano che gli spazi viari urbani vanno riducendosi. Pesa, in questo senso, anche l’espansione delle città, la nascita di periferie dormitorio lontane dai luoghi di lavoro e tutta una serie di fattori concorrenti. I ciclisti sportivi subiscono la pressione competitiva del traffico stradale, iniziano a mettere in atto strategie sociali (spostarsi in gruppi sempre più numerosi) e muovono alla conquista di territori prima preclusi.

L’affermazione della mountain bike, sul finire del ventesimo secolo, rientra pienamente in questo processo: i ciclisti superstiti, scacciati dalle strade dalla pressione di predatori voraci e letali, tornano ad occupare spazi marginali e semi-abbandonati: sentieri, sterrate, carrarecce. Questo produce un’evoluzione della specie, che a pochi anni di distanza può tornare a popolare il territorio cittadino sfruttando spazi prima preclusi grazie alle innovazioni tecnologiche che equipaggiano le nuove biciclette: i marciapiedi diventano un terreno di competizione con la popolazione dei pedoni, i parchi urbani garantiscono corridoi veloci e protetti su un limitato ventaglio di direttrici.

Parallelamente a ciò, l’eccessivo successo delle automobili nella conquista delle città produce una crisi di rigetto nelle nuove generazioni, desiderose di autoaffermazione e meno plagiate dalla propaganda dell’industria. L’automobile viene percepita come un parassita (di fenomenale successo) degli spazi urbani, veicolatrice di inquinamento, rumore e sedentarietà, generando pulsioni antagoniste sia sotto il profilo dei comportamenti individuali, sia sul piano culturale. La bicicletta diventa, in questo processo, arma di conflitto intergenerazionale.

Riletta in chiave antropologica la rinascita dell’utilizzo urbano della bicicletta ha lo stesso significato delle esibizioni di forza ed agilità che un tempo le tribù umane utilizzavano ai fini dell’affermazione individuale ed in chiave di attrazione sessuale. La sfida dell’individuo disarmato ad una realtà meccanizzata ed opprimente diventa l’equivalente di una battuta di caccia a prede pericolose, o uno scontro bellico contro una tribù rivale. L’uso di biciclette ridotte all’essenziale, prive di marce e spesso del meccanismo della ruota libera (fixe) alimenta questa mitologia dell’eroe in bici che si muove impavido attraverso la città, contrapposto agli automobilisti inscatolati e disumanizzati per propria scelta.

In quest’ottica di conflitto permanente ogni comportamento ‘anomalo’ o in contravvenzione ai codici è interpretabile in chiave di necessità più che di sfida. Attraversare col rosso semaforico tende a massimizzare il vantaggio di percorrere un tratto di strada temporaneamente libero dalle automobili, percorrere i marciapiedi riduce il rischio di investimento, imboccare contromano i sensi unici accorcia le percorrenze e spesso consente di evitare tratte ad alto rischio. Perfino occupare il centro carreggiata ha unicamente lo scopo di impedire sorpassi quando le condizioni del fondo stradale, o gli spazi, non consentirebbero di farlo in sicurezza (checché ne pensi il conducente dell’automobile che segue, molto meno riluttante a rischiare l’incolumità altrui di quanto farebbe con la propria).

La popolazione dei ciclisti nelle aree urbane (Roma, nella mia esperienza diretta), è minoritaria ma estremamente combattiva. Si nutre del vigore fisico prodotto dall’esercizio sui pedali e produce continuamente nuove idee grazie alla miglior ossigenazione dei cervelli. Diffonde ‘il verbo’ grazie al contatto diretto ed all’uso sapiente dei media digitali. Lentamente cresce, nell’attesa del momento del riscatto.

Narra la profezia che un bel giorno gli ‘autosauri’ si estingueranno, i giacimenti di petrolio esauriti, i serbatoi vuoti, le materie prime ormai rare e costose. Quel giorno i mammiferi erediteranno la Terra.

Charles Darwin resting against pillar covered with vines.

Disco Inferno: gatti distratti ed il Canada arrosto

Si, si, si. Lo so. Che cavolo c’entra una hit disco degli anni’70, a parte il titolo suggestivo, con lo spaventoso incendio in atto in Canada, che ha già carbonizzato oltre 2000 km quadrati di territorio intorno a Fort MC Murray, Alberta, un’area grande come una intera provincia italiana, con danni ad infrastrutture e città che potrebbero essere i peggiori della storia?

Più di quanto sembri.

Partiamo,a sorpresa dal gatto.

Che, poveretto, NON è il responsabile della conflagrazione ma piuttosto il soggetto di una metafora.

Poniamo che un gatto, quando finalmente il suo padrone, tardo epigono dei mitici Trammps, alla ricerca di una birra, cessa di produrre orribili suoni, si avvicini al microfono, appoggiato ad una delle casse. Supponiamo che detto gatto, sia oscuramente consapevole che detto microfono sia la fonte di tutti i suoi mal di testa. Sapete come fanno i gatti, no? Seduti accanto all’oggetto a loro antipatico, cominciano a prenderlo a schiaffetti fino a farlo cadere. Il microfono, schiaffeggiato con particolare dedizione dal micio, cade ai piedi della cassa su cui era posato. il rumore della caduta, debitamente amplificato, viene restituito dalla cassa stessa, che ora è a circa 5 centimetri di distanza. Il frastuono prodotto dalla cassa viene anche esso debitamente trasformato in un segnale elettrico che, debitamente amplificato, viene restituito come un fragore di tuono insieme ad un fischio che scala in un urlo lancinante, che viene ancora colto ed amplificato… sapete come va a finire: o il padrone del microfono nonché coabitante del gatto interviene prontamente o il sistema risolve il problema da solo, friggendo una componente elettronica o distruggendo una delle casse, insieme alle orecchie di tutto il vicinato. Non del gatto, che è già ad almeno 50 metri di distanza. Questo fenomeno di “riverbero” che conosciamo tutti, è un esempio di una categoria molto ampia di risposte con retroazione: si chiamano “feedback positivi”.

Ecco: questo è quello che potrebbe succedere, se non sta già succedendo, in Canada. Una versione decisamente più catastrofica e macroscopica del famoso battito d’ali della farfalla.

Cantare e suonare hit anni ’70 in presenza di orecchie MOLTO sensibili ha conseguenze inaspettate e, alle volte catastrofiche.

Accendere un fuoco, gettare un tizzone, semplicemente provocare un corto circuito su una linea elettrica interrata, oppure un semplice fulmine, possono avere conseguenze fuoriscala, quando il suolo è molto ma molto più secco del normale, in questi umidi luoghi e la temperatura è  VENTIDUE GRADI oltre la media stagionale ( che sarebbe come se da noi, oggi, ci fossero 45 gradi). Il calore degli incendi, la fuliggine depositata, il metano rilasciato dal permafrost che si scioglie, sono tutti feedback positivi: aumentano l’assorbimento di calore, surriscaldando ancora di più il territorio.

anomalia termica alberta

Ovviamente questo a sua volta aumenta il rilascio di metano da parte del permafrost, che a sua volta… insomma: avrete capito: SE non interviene qualche fattore limitante esterno, si può destabilizzare l’intero equilibrio del nord del Canada con conseguenze epocali non in venti anni ma nel giro di una sola stagione. Oltretutto, l’abbiamo accennato, la copertura nevosa e l’estensione dei ghiacci marini è ai minimi assoluti e, anche senza eventi macroscopici di queste dimensioni, siamo avviati a battere i record ( negativi) del 2011. Anche qui abbiamo effetti di feedback positivo: l’acqua marina ha una albedo bassa, intorno al 10%, da confrontare con il 90% ed oltre del ghiaccio. Il mare artico privo di ghiacci si scalda, quindi, rapidamente e questo, al solito, porterà al rilascio di maggiori quantità di metano che a sua volta…Brutto vero?

Se vi chiedete dove si potrebbe arrivare vi posso dare un numero: nel cosiddetto massimo termico Paleocene/eocene ( che qualche negazionista climatico usa come dimostrazione che la Terra è stata più calda di oggi e tutto è andato bene) al polo nord la temperatura media era di circa 13 gradi. Più o meno come a Milano, oggi.

Nota bene: i poli stavano ( piu’ o meno) dove stanno oggi. Insomma parliamo di territori che ANCHE A QUEI TEMPI erano all’estremo Nord. Domanda: che temperatura media c’era, alle nostre latitudini?

Non lo sappiamo di preciso ma siamo certi che fossero torride. Probabilmente le zone intorno all’equatore diventarono troppo calde per le specie animali più evolute.

La cosa interessante è che ora sappiamo che tale spaventoso aumento ( da 10 a 6 gradi!!) delle temperature medie è associato con un picco di rilascio di carbonio nell’atmosfera, sulla scala di circa 20.000 anni. Le ragioni di questo picco sono discusse ma una delle ipotesi deriva proprio da effetti di catastrofico feedback positivo Dovuti ad incendi estesi e ripetuti nelle foreste boreali ( ed australi, anche in Antartide si stava abbastanza bene) del periodo. Conseguente rilascio a catena di metano dal permafrost e dal mare etc etc.

Tutto questo è teoria.

Ma, ad esempio, cosa sta succedendo alla concentrazione di metano in queste zone?

Ecco la situazione il 3 Maggio, un paio di giorni dopo l’inizio degli incendi.

metano3maggio2016

Il puntino blu  a sinistra della macchiolina purpurea, dalle parti del canada occidentale ( aguzzate gli occhi) è Fort Murray. E’ evidente che i livelli di metano nei dintorni dell’incendio sono elevatissimi ( il magenta indica il fondoscala). Si tratterà di un incendio provocato dalle fughe di metano dal permafrost, come l’anno scorso in Siberia? Si tratterà, come più probabile, di un rilascio dovuto all’incendio stesso?

in ogni caso si tratta di un fenomeno di feedback positivo. Srà un’estate calda. MOLTO MOLTO calda, nelle zone artiche.

Ci consoleremo cantando a squarciagola (alla larga dal gatto):

Satisfaction came in a chain reaction – Do you hear?
I couldn’t get enough, so I had to self destruct,
The heat was on, rising to the top
Everybody’s goin’ strong
That is when my spark got hot

………….

ps: dedico la canzone a Marco, amico fraterno, che, giusto 38 anni fa, mi fece conoscere i trammps: oggi compie gli anni!!

SpaceX e la nuova frontiera

SpaceX atterraggioSpaceX è una società aerospaziale privata che sta mettendo a punto una serie di vettori economici per la messa in orbita di satelliti.   Al di la di qualche inevitabile fiasco, il programma sta riscuotendo un notevole successo.    L’ultimo: un atterraggio riuscito su di una piattaforma telecomandata in mezzo all’oceano, a conclusione di una missione reale di messa in orbita di un satellite.

L’idea di base è la riutilizzabilità dei vettori, cioè è la stessa che fu alla base del programma “Space Shuttle” che, invece, si è dimostrato rovinosamente costoso.   Il segreto è nell’altissimo grado di automazione, nella riduzione all’osso del personale e, soprattutto, nell’assenza di equipaggi.

Lo spazio come nuova Frontiera

Come sempre a seguito di qualche impresa spaziale di successo, rinascono le speranze per una colonizzazione almeno parziale del cosmo da parte della nostra specie.   Il sogno della “frontiera” è evidentemente uno degli archetipi fondanti della nostra civiltà e, forse, della nostra specie.

Questa sarà la volta buona?

Poco probabile, considerato il rapido peggioramento della situazione economica e ambientale a livello planetario, ma nessuno può dire con certezza cosa succederà.   Dunque facciamo l’ipotesi che il programma vada avanti abbastanza rapidamente da consentire l’avvio di uno sfruttamento commerciale delle spazio.   Per esempio per il reperimento di minerali rari, necessari per le tecnologie d’avanguardia, come quelle largamente usate da SpaceX.
Dunque, se un simile programma avesse successo, potrebbe forse una diffusione di tecnologie avanzate molto superiore a quella attualmente fattibile, forse frenando in extremis il “Picco di Seneca” sul quale stiamo sdrucciolando.
OK, ammettiamolo, ma con quali conseguenze?

Tanto per cambiare, la traccia più consistente ce la può dare ancora una volta LtG che, quasi 50 anni dopo la sua elaborazione, continua a dimostrarsi un potente strumento di analisi.
In questi ultimi anni, di tutto lo studio è stato da più parti riesumato e verificato lo scenario BaU (business as usual) perché descrive in modo sorprendentemente preciso l’effettiva evoluzione del’nostro mondo.   Ma non era questo lo scopo del lavoro ed i ricercatori del MIT avevano delineato anche altri scenari possibili, perfino più interessanti.
Ad esempio, come evolverebbe il sistema se le risorse disponibili risultassero essere il doppie di quelle allora stimate? Oppure il quadruplo?
Sulla Terra queste risorse extra pare proprio che non ci siano, ma se fossimo in grado di reperirle nello spazio il risultato sarebbe alla fine analogo.   E dunque?

E dunque sarebbe enormemente peggio!    Una conclusione tipicamente contro intuitiva e dura da digerire, ma assolutamente affidabile.
Ipotizzando di poter attivare un apporto consistente di risorse extra ad un costo energetico appena decente, molto probabilmente potremmo avere qualche decennio di relativa crescita economica in più.   Ma questo comporterebbe un ancor maggiore incremento demografico, un molto maggiore inquinamento ed un’ulteriore distruzione di biodiversità.   Dunque il collasso verrebbe si rimandato, ma sarebbe ancora peggiore, con un numero molto minore di sopravvissuti su di un pianeta in condizioni ancora peggiori.

limits.standard
In sintesi, lo scenario BaU prevede un collasso economico ed ambientale fra il 2020 ed il 2030, seguito a ruota dal collasso della popolazione umana.
LtG, scenario risorse abbondanti
Ipotizzando una disponibilità di risorse doppia a quella attualmente stimata, il collasso avverrebbe intorno al 2050, ma in compenso sarebbe molto più grave.

 

Certo, si può facilmente obbiettare che, mentre si sfruttano le risorse minerarie del cosmo, l’umanità potrebbe decidere di adottare un sistema economico basato su retroazioni negative, anziché positive come avviene adesso, così da impedire ogni ulteriore crescita economica.   Contemporaneamente, la politica del figlio unico (testé abolita in Cina) potrebbe essere di buon grado adottata da tutti ed avviasi così ad un lieto fine: un’umanità stabile e ragionevolmente prospera, finalmente cosciente dei limiti che non deve superare.

Ma un simile scenario mi pare manchi di coerenza interna.   Da una parte, infatti, si fa appello a tutte le forze del mercato e del progresso tecnologico per poter sfruttare il cosmo, dopo aver svuotato la Terra.   SpaceX è un’impresa commerciale tipicamente BaU.   Ed il progresso tecnologico può avvenire solamente a fronte di una massiccia dissipazione di energia, con tutte le conseguenze del caso.
Dall’altra e contemporaneamente, si fa appello a tutte le forze sociali e culturali per spazzare via l’economia di mercato e sostituirla con qualcosa che, forse, potrebbe somigliare alla “steady state economy” teorizzata da Herman Daly.

Ma se la prima ipotesi mi pare molto improbabile, ritengo la seconda impossibile.   Da almeno 50.000 anni a questa parte l’uomo non ha fatto che cercare nuove frontiere dove espandersi ed ogni volta che le ha trovate il risultato è stato sempre esattamente lo stesso: crescita demografica – impoverimento delle risorse e degrado degli ecosistemi – collasso della popolazione umana.
Collasso talvolta totale, assai più spesso parziale seguito, eventualmente, da un nuovo ciclo.   Dopo qualche secolo necessario per un parziale recupero delle risorse e per lo smaltimento delle scorie.
Nella storia ci sono stati alcuni tentativi di contrastare questa dinamica, ma anche questi hanno sortito risultati parziali e temporanei.

Dunque, personalmente, non credo che uno sfruttamento minerario del cosmo sia possibile.   Ma soprattutto non me lo auguro.