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La mattanza delle alberature

di Jacopo Simonetta

Nell’agosto del 2017, nel bel mezzo dell’estate più torrida e secca mai registrata, il sindaco di Firenze, Dario Nardella, ha ordinato di abbattere parecchie centinaia di grandi alberi.   Senza entrare qui nei dettagli della polemica che ne è seguita, vorrei far osservare che si è trattato solo di uno fra gli infiniti esempi del genere.   Dopo un paio di secoli trascorsi a piantare alberi lungo strade e viali, in mezzo alle piazze e nei giardini, da almeno un paio di decenni si è diffusa e radicata la moda esattamente contraria.  Le amministrazioni pubbliche di ogni ordine e grado, oltre che la netta maggioranza dei proprietari di parchi e giardini, si dedicano ad eliminare gli alberi con uno zelo proporzionale alle dimensioni delle piante: più sono grandi, più volentieri si abbattono.  Perfino il codice stradale prevede l’eliminazione delle alberature che, fino a qualche decennio fa, costituivano il vanto di molte strade.
Il risultato è che il patrimonio arboreo urbano è tracollato e continua ad essere falcidiato giorno per giorno con uno zelo difficile da capire.  Vediamo quindi brevemente i principali motivi addotti per giustificare tutto ciò.

1 – Gli alberi sono pericolosi perché provocano incidenti.   Questa è semplicemente demenziale, non si è infatti mai visto un albero pararsi davanti ad un’auto in corsa, mentre spesso sono gli automobilisti che vanno a sbattere contro gli alberi, soprattutto dopo aver bevuto assai.

2- Gli alberi sono pericolosi perché cadono.  Questo è vero, ma qualunque cosa sia posta in alto può cadere: pali della luce e del telefono, tetti e cornicioni, persiane e molto altro ancora; eliminiamo tutto ciò? A questo proposito, un punto importante è che ciò che conferisce stabilità ad un albero è prima di tutto la buona salute che è difficile da diagnosticare con certezza, mentre è molto facile da danneggiare.  In questo campo amministrazioni pubbliche e privati cittadini sono maestri.  Il metodo più diffuso ed efficace per minare irreversibilmente la salute di una grande pianta è capitozzarne i rami principali.   Anche lo scavo di trincee attraverso gli apparati radicali è un metodo in voga e molto efficace, mentre asfaltare e/o cementare a ridosso della pianta porta a risultati più incerti e differiti nel tempo.   Per buona misura comunque, spesso si usano tutti e tre i sistemi ed i risultati infatti non mancano.   Spesso ciò deriva da grossolana ignoranza, ma talvolta viene fatto scientemente perché quando una pianta è gravemente malata è davvero pericolosa e nessuno può ragionevolmente opporsi al suo abbattimento.
In estrema sintesi: non esiste un modo per essere certi che un albero non cada mai, ma esistono molti modi per accertarsi che cada e tutti fanno parte delle ordinarie “cure colturali” cui sono sottoposte le alberature urbane,

3 – Gli alberi occupano spazio.  Vero, infatti spesso si eliminano per ampliare carreggiate e parcheggi.   Oggi lo spazio fisico è spesso una risorsa limitata, specie in città, e nella competizione fra alberi e automobili vincono le seconde a mani basse.   Alla fine, è solo una questione di priorità.

4 – Gli alberi sporcano.   Con il termine “sporco” di solito ci si riferisce alle foglie secche, ma anche agli esudati che talvolta stillano durante l’estate e perfino al guano degli uccelli.   Parlando di parchi e giardini, le foglie sono semplicemente quella cosa che è necessaria per mantenere la fertilità del terreno e, dunque, la buona salute del giardino stesso.   Certo è necessario toglierle da certe zone ed ammucchiarle in altre, ricordandosi che un parco od un giardino non sono la stessa cosa di un salotto e che il suolo è un sistema dinamico assai più complesso di un pavimento.  E noi, membri della società più complessa mai esistita, amiamo prima di tutto le cose lisce e prive di vita: il lastrone di cemento corrisponde al meglio al nostro concetto di “pulito”.    Anche se magari è coperto di polveri cancerogene.
Parlando invece di strade e piazze, la faccenda effettivamente si complica perché è necessario spazzare le foglie prima che intasino le fognature.   Un fatto che ci rimanda al punto seguente.

5 – Gli alberi costano.    A seconda di dove e come sono, può effettivamente essere necessario potarli e, comunque, è necessario raccogliere le foglie cadute.   Dunque che costano è vero, ma se si scelgono le piante giuste per i posti giusti, sono assai poco dispendiosi, mentre danno un contributo insostituibile per rendere vivibili anche i quartieri più degradati. Sono molti gli studi che hanno cercato di quantificare i vantaggi delle alberature urbane ed i risultati sono tanto impressionanti quanto inutili.  Infatti, per quanto i vantaggi possano essere numerosi, sui bilanci pubblici e privati figurano in modo molto indiretto e complicato, mentre le spese per spazzare le strade, pulire gli scoli eccetera sono dirette e ben evidenti. Come nel caso delle esternalità negative, che pure stanno falcidiando intere economie, anche le esternalità positive non riescono a penetrare le meningi di amministratori ed amministrati.

6 – Gli alberi danneggiano le strade ed i marciapiedi. Questo a volte accade per difetto di chi ha costruito strade e marciapiedi troppo a ridosso delle piante, ma talaltra deriva da una scelta sbagliata degli alberi da usare.  Per esempio, si sa benissimo che il pino domestico solleva l’asfalto anche a parecchi metri di distanza dal tronco.   Ci sono casi in cui può quindi essere necessario sostituire le piante.  Cosa che effettivamente talvolta viene fatta, solitamente piantando qualcosa che resterà certamente piccolo e poco frondoso.  E se poi non sopravvive al trapianto, tanto di guadagnato (v. punti precedenti).

E dunque? Come per molti altri aspetti connessi con l’insostenibilità e con la corsa collettiva verso il futuro peggiore possibile, l’unica cosa che è possibile fare è proteggere gli alberi propri, anche se questo significa assai spesso avere grane coi vicini.  E se le grane approdano in sede legale, sappiate da subito che sempre e comunque l’albero perde.

Per quanto riguarda le alberature pubbliche, le poche e spuntate armi a disposizione sono i consueti comitati di piantagrane e la ricerca spasmodica di un cavillo legale cui appigliarsi.  Niente di risolutivo, s’intende, ma serve a guadagnare tempo, sperando che nel frattempo qualcosa cambi. Talvolta succede e quindi vale la pena provarci.

 

 

Un uomo “sola” al comando

renziefonzieChe quella italiana, negli ultimi venti anni, fosse diventata una democrazia molto, ma molto, ma molto molto, sui generis, mi era venuto il dubbio, più di una volta, specialmente negli ultimi dieci anni. Diciamo che il dubbio mi era venuto MILIONI di volte. Una democrazia prigioniera di un inciucio permanente effettivo tra i poteri che dovrebbero essere indipendenti e vicendevolmente regolanti. Il potere esecutivo, il potere legislativo, il potere giudiziario, il potere militare… Se abbiamo capito qualcosa, abbiamo capito che nel nostro paese tutti questi poteri si fondono e confondono l’un l’altro, sempre comunque in qualche modo genuflessi ad un potere confuso, totalizzante, liquido, che resta appena sotto traccia e si manifesta di volta in volta, come questo o quel comitato affaristico, come questa o quella lobby, come questo o quel faccendiere. In realtà quel che si è disegnato è una sostanziale sempre crescente ed ormai acquisita sudditanza di tutti gli apparati dello stato ( s minuscola d’obbligo) ad un apparato sempre meno imprenditoriale e sempre più affaristico e, in ultimo, “prenditoriale”, ormai dedito non tanto al fare affari ma allo smantellamento parassitario, fagocitamento e digestione di parti crescenti della struttura economica del paese.  Smantellato il settore petrolchimico, annientato quello delle telecomunicazioni, svenduto quello alimentare, privatizzato il settore bancario, investito immense quantità di denaro, migliaia di euro per contribuente, per autostrade e tav sempre meno alla portata dei cittadini ( provate a vedere quanto può costare una gita fuori porta in treno, per esempio a venezia, per una famiglia di 4 persone)e sempre più opere fini a se stesse, necessarie sopratutto per tenere su i grandi conglomerati dei costruttori/cementatori, con il motto “bei lavori belli soldi”. Dopo 20 anni resta poco, ormai, da spolpare, mancano i “bei lavori” e sempre di più mancano i “belli soldi” che dovrebbero finanziarli. Per il motivo, invero semplice, che quei soldi provenivano dai risparmi degli italiani, di tutti noi, dei nostri padri e nonni, accumulati da milioni di formichine, di buoni padri di famiglia e sperperati in pochi anni per finanziare l’ultimo giro d’affari degli amici di parrocchia, di loggia, di tessera, di merenda. Salvo poi, naturalmente, salvare le banche disastrate. Sempre con i nostri/vostri soldi. In un mondo globalizzato, il puzzo di carogna ha attirato mosche, cornacchie, condor ed infine sciacalli da tutte le parti. Essendo il problema di una crescente autofagia del sistema non solo italiana, essendo l’Italia praticamente il giullare, la macchietta del consesso internazionale, è stato inesorabile che venissimo visti come una opportunità di apparecchiarsi un bel banchetto, con riffa finale e villa sulle colline toscane a prezzo di realizzo, come premio finale. In questo contesto crepuscolare, il cittadino sempre più suddito, di fronte ad istituzioni che per prime non credono in se stesse, come SEMPRE succede e come ben insegna la Storia degli ultimi migliaia di anni, strangolato dal pessimismo della ragione, si è aggrappato ad un ottimismo del cuore, alla speranza di un homo ex machina, raddrizzatore delle sorti del bel paese ed inveratore del sempre verde mito dello Stellone italico.

La sorte ci ha mandato non un uomo coraggioso onesto, spregiudicato quanto basta e capace quanto ve n’era bisogno ma una sua dozzinale riproduzione sedicente….tutto.

Sedicente innovatore, sedicente giovane, sedicente uomo della strada contrapposto alle lobbies, sedicente paladino della capacità&sagacità contro il poltronismo e nepotismo. Un vero maestro, da Masterchef, nell’antica arte del rigirare la frittata, una volta fatta. E di smentire oggi, quel che aveva detto o fatto ieri, fare domani il contrario di quanto enunciato oggi e, con un contorsionismo degno del circo Togni, denunciare sdegnato ed impegnarsi a correggere nefandezze di cui era stato il primo e più convinto realizzatore.

Gli italiani hanno tanti difetti, di cui il principale è quello di essere perennemente alla ricerca di un vincitore sul cui carro saltare, meglio se alla ricerca di un eldorado dall’erba verdissima e dai frutti rigogliosi, sempre e solo se annaffiati con l’acqua e coltivati con le regole dei nostri virtuosissimi vicini. Insomma abbiamo la sindrome del cugino di campagna, il che, è davvero un paradosso, dando una occhiata smagata in casa die nostri supposti virtuosissimi e capaci vicini. Hanno tanti difetti, dicevo, ma non quello di non riconoscere, quando lo vedono un “sola”. Credo che, alla fine l’atto coraggioso quanto politicamente insensato del referendum sia spiegabile solo come saldo dell’enorme cambiale contratta dal “sola” nei confronti del blob che a parola diceva ( e dice!) di voler combattere.

Hanno tanti difetti, dicevo ma in fatto di “sole” la sanno lunga e l’hanno smagato presto. Al netto di tutto, il voto contrario dei cittadini significa proprio che non l’hanno bevuta. Ma il “sola” resiste persiste e contrattacca, almeno per recuperare la leadership dentro il suo partito, il fu PD, futuro PdR(enzi). Purtroppo, duole dirlo, avrà successo. Perché il bisogno che va a soddisfare è irrazionale quanto profondo ed ai “sola”, gli italiani sono abituati. Lui ha il pregio di raccontarla meglio degli altri, specialmente dei gufacci&professoroni che hanno il tremendissimo torto di raccontarla giusta(cioè grama). Ed è innegabilmente coraggioso quanto spregiudicato, quanto sfacciato.

Alla fine delle pulizie di primavera il pd, o quel che ne resta, sarà roba sua. E finalmente potrà coronare, finché dura ed inchieste permettendo (ma vedrete che all’improvviso scoprirà l’emergenza carceraria ed arriverà un bell’indulto) il suo sogno: un uomo sola al comando. Certo: di una nave che affonda. Ma non vi preoccupate, ha già individuato il ponte scialuppe, non si farà trovare impreparato, questa volta. Il comando, appena prima dell’iceberg, o subito dopo, passerà al prossimo “Sola”, ne abbiamo un certo numero, che copre l’intero arco parlamentare.

Perché in fondo, ci siamo rassegnati, al nostro destino da peracottari d’Europa. Il che è ridicolo, perché i sola più grandi sono quelli che con fiero cipiglio non cessano di darci lezioni.

Deboli di Costituzione.

pistola-flagE’ passato oltre un mese da un post che avevo deciso di NON pubblicare, perché si parlava di Costituzione, certo ma anche e sopratutto di cittadini. Salvata, per così dire la Costituzione, ora resta da fare i cittadini. Avrete pur visto che , dopotutto non è successo nessuno sconquasso. come, purtroppo, non è cambiato molto scambiando Arlecchino e Pulcinella sul palco.

In ogni caso il post ORA ha un senso maggiore che nell’immediatezza del referendum.

A mio sindacabilissimo giudizio, vi tocca sciropparvelo.

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22 Novembre 2016, Lettera ai lettori

Ormai, vada come vada, avrete già deciso come votare nel babbo di tutti i NON-eventi.

Ovvero nel NOIOSISSIMO ed INUTILISSIMO referendum Costituzionale.

Lasciatemi dire la mia, in libertà. A partire da un fatto evidente: Nessuna riforma costituzionale potrà  cancellare l’evidenza dei fatti: che siamo deboli, debolissimi di Costituzione. Di quella che conta, ovvero di una identità sociale, culturale e nazionale che ci permetta di ritrovare energie ed obbiettivi, l’unica cosa che potrebbe, diversamente biondi permettendo, salvarci dalla madre di tutte le Crisi, reloaded.

Questo referendum, in primo luogo, è un non evento perché, in un paese di buon senso, non si sarebbe mai tenuto. Perché le riforme in oggetto non sarebbero mai state proposte.

Non perché siano particolarmente nefaste ( ed in effetti, a mio giudizio, lo sono) ma perché sono, appunto, inutili, ininfluenti.

Inutili perché la nostra Costituzione, anzi: QUALUNQUE Costituzione è inutile senza Cittadini. Senza persone determinate a difendere e rafforzare il patto sociale che li lega sotto il tetto di regole condivise ed uguali ( si spera) per tutti e che si spera democratico.

E cittadini, in Italia, ne sono rimasti pochi, ammesso che ce ne siano stati mai molti in un paese individualista e settario come il nostro. In effetti è il patto Sociale, il progetto di Società concepito ormai 70 anni fa, la promessa di un futuro migliore e condiviso, a partire DAI LAVORATORI, ovvero da coloro che si costruivano il proprio benessere con le proprie mani, che vacilla, che cede. La nostra Società vaga, senza una direzione precisa, anzi nel tradimento dell’articolo 1 della Costituzione stessa . Mi pare infatti chiaro che la Repubblica attuale NON è fondata sul Lavoro (ammesso che esista ancora, come Repubblica e non sia ormai diventata una oligarchia di fatto).

Come è facilmente verificabile, l’articolo avrebbe dovuto terminare con “fondata sui lavoratori”, per rimarcare il primo soggetto destinatario e beneficiario del patto sociale ma, data la situazione internazionale, l’incipit sembrava troppo proiettato verso il socialismo reale per poter essere accettato da tutti i Padri Costituenti. Si trovo un compromesso che soddisfacesse i tre principali partiti popolari di allora.

Senza stare a ripercorrere la Storia di questi ultimi 70 anni è evidente che le modifiche proposte e del resto tutta la legislazione recente NON sono partite da quel famoso articolo 1 ma vadano, piuttosto, verso una fantomatica “governabilità” in grado di per se di garantire nuovi e radiosi giorni al nostro paese. In pratica, riconsegnerebbero il paese in mano ad una ristretta oligarchia, non eletta ( come è noto) ma, al massimo, indicata dagli elettori.

Del resto i lavoratori, al di la delle chiacchiere, hanno visto erose quando non cancellate buona parte della conquiste sociali ottenute nei primi 30 anni di Repubblica, in nome della demenziale “competitività.” Demenziale perché il costo del lavoro, in un paese come l’Italia, vale mediamente pochi percento del costo del prodotto finito e quindi, anche facendo lavorare le persone gratis, non potrebbe, da solo, risollevare l’economia, senza contare che, ovviamente, i poveri non comprano e non consumano. 

Detto questo, quella della necessità di una maggiore governabilità che non andrebbe a discapito della democrazia è una balla ed anche grossa. Perché, intanto le democrazie, per definizioni sono MENO governabili e meno stabili delle oligarchie e, sopratutto delle dittature. Ogni aumento di governabilità implica automaticamente, in qualche misura, una riduzione nella democrazia.  Siccome questa è stata mooolto erosa dal combinato disposto di leggi elettorali, diktat della trimurti internazionale a Presidenti compromessi con ogni potere altro da quello dal quale dovrebbe derivare il suo potere e tutte le altre varie cosuccie successe in questi anni, di democrazia in questo paese ne era comunque rimasta piuttosto poca.

La balla più grossa, comunque, è quella che la nostra struttura di governo con due camere paritetiche non permetterebbe lo svolgimento di una rapida funzione legislativa.

Ricordo solo una cosa: siamo il paese con più leggi, decreti ministeriali, decreti legislativi, decreti legge, decreti attuativi di tutta l’Europa e probabilmente di tutto il mondo cosiddetto civile.

Se la produttività di un parlamento si misurasse dal numero delle leggi, beh non avremmo certo bisogno di cambiare nulla.

Eppure, direi, queste centinaia di migliaia ( pare) di leggi e leggine NON hanno prodotto uno Stato perfetto, equanime, giusto, corretto, efficiente.

Sono MOLTO spesso,imperfette, farraginose, autoreferenziali, contraddittorie, illeggibili. E questo nonostante due o più passaggi dall’una all’altra camera.

Credo che sia difficile negare che un cospicuo numero delle nostre leggi siano scritte con i piedi ed attuate/applicate con ….altre parti del corpo. Per quale motivo, quindi, se i nostri legislatori sono così poco preparati, così eterodiretti, così incerti, da non riuscire a produrre leggi decenti dopo passaggi multipli, le cose dovrebbero migliorare quando questi passaggi fossero ridotti?

Ma, si dice, c’e’ bisogno di decisioni rapide in un mondo dinamico e mutevole come quello odierno. Si insiste che i tempi della costituzione erano altri: remoti, bucolici, rallentati, in una parola, placidi. Eh?! Ehhh?!! EEEHH??!!! No, dico: noi, a 25 anni da Mani Pulite, non siamo ancora riusciti a ricostruire una seconda repubblica decente. I nostri Padri Costituenti in 25 anni si  sciropparono due guerre mondiali, un ventennio fascista e la Ricostruzione, che portarono a termine in meno di dieci anni.

Le leggi sulla tutela del lavoro, dell’ambiente, della sanità e previdenza pubblica. Oltre metà delle nostre città, buona parte della rete autostradale e ferroviaria, interi reparti industriali ( automobilistico, elettrico, chimico) sono stati ricostruiti o costruiti di sana pianta nei primi dieci, quindici anni della Repubblica ed osiamo dire che erano dei placidoni che si erano costruiti una struttura parlamentare faraginosa, adatta ai loro tempi lunghi?

Solo una Nazione, fragile, esile, malaticcia e stordita, debole, debolissima di Costituzione, senza memoria e, direi, senza pudore ne vergogna, si lascia raccontare frottole di questa portata da mezze calzetta di questa fatta, incapaci di riscrivere gli articoli della Costituzione senza trasformarli in un guazzabuglio illeggibile. Solo chi si è sempre disinteressato del significato e del valore della Costituzione, perché probabilmente non ha mai dovuto combattere per avere il diritto di averne una che non fosse calata dall’alto e fatta su misura per le oligarchie dominanti. Solo, infine, chi è già pronto per consegnare quel che poco che resta della struttura democratica dello Stato, pur di tornare alla crescita. sola salvatrice del futuro. Niente crescita, nessun futuro, è il mantra che continuano a raccontarci.

Siccome la crescita infinita in un pianeta finito è impossibile, consegnare il proprio futuro a chi continua ad illuderci di qualcosa che è impossibile, equivale a credere nei miracoli. Quelli di serie B, fatti da un santo falso che cammina sull’acqua perché ha i trampoli, che moltiplica i pani ed i pesci perché li frega a quelli più poveri di voi, che il discorso della montagna lo fa per convincervi che essere poveri, disperati e fessi è un bene perché grande sarà la vostra ricompensa.

Nell’altro mondo.

La prima Costituzione, è dentro di noi.

 

A.A.AFFARONE: capro espiatorio offresi

capro espiatorioUna delle cose su cui sociologi e psicologi concordano è che quando i fatti entrano in conflitto con gli schemi mentali che usiamo per analizzarli, si genera sofferenza.    Può essere passeggera, ma se il conflitto fra realtà e mitologia è duraturo e forte, la sofferenza cresce fino a sfociare in sentimenti potenzialmente molto distruttivi, come la rabbia ed il desiderio di vendetta.

Questo è un fenomeno antico quanto l’uomo, ma non per questo meno doloroso quando capita a noi.   E quello che sta capitando gradualmente all’intera umanità è proprio questo: abituati da diverse generazioni a pensare  che il destino dell’umanità fosse un graduale, faticoso, ma inarrestabile ascendere dalla caverne alle stelle, ci troviamo a gestire un processo ben diverso.   Al netto degli appartenenti alle classi più privilegiate, oramai molti avvertono, anche solo a livello inconscio, che è ora di archiviare programmi di crescita e sogni di grandezza per imparare ad accontentarsi del sempre meno che c’è.   Per molti nel mondo si tratta anzi di rinunciare alla speranza di uscire da quella miseria che, gli era stato assicurato, sarebbe stata del tutto provvisoria.   Una speranza, si noti bene, che era diventata il cuore del nostro sistema di pensiero, sostituendo o marginalizzando tutto il resto.    Perciò, oggi, tutto ciò crea uno stato di sorda sofferenza che, in occidente, si manifesta perlopiù in una forte sensazione di essere stati ingannati e defraudati.   Un sentimento cui spesso
porta un certo sollievo il dare la colpa a qualcuno.

A livello personale il meccanismo psicologico è abbastanza semplice: se posso capro espiatorioindividuare il responsabile della mia sgradevole situazione posso pensare di combatterlo e, almeno potenzialmente, posso recuperare i miei diritti o, perlomeno, vendicarmi.   Comunque, potrò evitare di accollarmi una quota, sia pur minima, di co-responsabilità.
A livello collettivo la dinamica fondamentale è la stessa, ma con in più il volano moltiplicatore delle retroazioni che si creano all’interno di comunità i cui membri si confermano a vicenda, alzando via via la posta ed i toni.   Internet rappresenta un catalizzatore nuovo e formidabile di questi processi.

Molte società antiche conoscevano bene queste dinamiche e le gestivano tramite appositi rituali che avevano appunto lo scopo di offrire uno sfogo controllato all’ira popolare e mantenere la pace sociale.   Altre volte, politici assetati di potere hanno usato- e tuttora usano – gli stessi meccanismi al contrario; cioè per alzare la febbre sociale e far del torbido in cui pescare.   Orwell ne ha fatto una descrizione letteraria perfetta, ma fu, credo, Anna Arendt che identificò questo tipo di manipolazione come uno degli elementi caratterizzanti i governi totalitari.  O aspiranti tali.

In qualità di cittadino europeo post-picco, credo che tutto ciò ci riguardi molto da vicino.

La ricerca di qualcuno a cui assegnare la colpa di qualunque calamità ci colpisca sta diventando frenetica.  Se poi il soggetto identificato è anche effettivamente corresponsabile della crisi, tanto meglio.   Se non lo è pazienza, l’essenziale è individuare un nemico, sconfitto il quale tutto tornerà come prima, anzi meglio.   Il fatto che la storia e la cronaca dimostrino che tutto questo non porta mai niente di buono non può cambiare né i sentimenti delle persone, né le loro reazioni.   Specialmente a livello collettivo.

Dunque la caccia al capro continua.  Anzi è appena cominciata ed al momento c’è una vera folla di possibili canditati a tale catartico ruolo: le istituzioni comunitarie, i banchieri ed i politici sono fra i più gettonati.   Ma non mancano soggetti più tradizionali come varie categorie di stranieri e gli “evergreen” ebrei e zingari; fino a giungere ad un assoluto “loro”, passando per i rettiliani e gli Illuminati.
Veramente ce n’è per tutti i gusti cosicché la rabbia popolare si distribuisce ancora su troppi soggetti per poter essere efficacemente manipolata ed indirizzata dal prossimo “padre della Patria”.   Ma l’esperienza storica ci insegna che queste fasi caotiche non durano per sempre.   Dapprima impercettibilmente, alcuni dei candidati “capri” cominciano a riscuotere più successo di altri ed il meccanismo della reciproca conferma li fa salire in classifica.   Questo li rende più visibili, attivando retroazioni che, superata una soglia imprevedibile, possono creare molto rapidamente dei fenomeni di massa incontrollabili e cruenti.

islam in EUUn altro aspetto importante da considerare è che alcuni di questi soggetti, ad esempio banchieri e politici, non solo sono in grado di difendersi, ma sono anche in grado di dirigere altrove l’ira che li minaccia.   Non tanto dando una migliore immagine di sé, quanto agitando davanti agli occhi del “99%” il drappo rosso di altri soggetti, ben più facili da colpire.   Ed è qui che interviene la comunità islamica europea (nei labili limiti in cui ha senso parlare di “comunità islamica”.

A livello europeo i mussulmani sono circa il 3% della popolazione, circa un terzo del flusso migratorio (dati Eurostat).   Il paese dove sono più numerosi è la Francia con l’8%; in Italia sono il 4% e di questi una buona parte sono albanesi; dunque europei a tutti gli effetti.   Tuttavia la percezione comune è assai diversa.   Come si vede dalla cartina, gli italiani pensano che i mussulmani (spesso sommariamente assimilati ai magrebini) siano il 20%, mentre in Francia la gente pensa che oramai quasi un terzo della popolazione sia fedele al Profeta.   In Ungheria, dove i mussulmani sono lo 0,1%, la risposta più gettonata è 7%!   Come è possibile un simile fenomeno?

Sicuramente c’è una parte di responsabilità nei politici e nella stampa che stanno cavalcando il malcontento.   Ma in gran parte ciò è dovuto alla comunità mussulmana stessa.   E non mi riferisco tanto agli attentati che certo hanno nuociuto molto ai mussulmani del mondo, ma che da soli non bastano.   Negli anni ’70 bombe e sparatorie erano all’ordine del giorno, ma non vi furono crisi isteriche di massa come quelle odierne.   Forse ancor più dei criminali e degli stragisti, contano i piccoli idioti che danno fastidio alle ragazze sull’autobus, spacciano sotto casa, vanno in giro vestiti in modo volutamente strano, fanno dei figli che non si possono permettere per poi pretendere che vangano presi in carico dalla comunità, ostacolano il traffico con la scusa di pregare, piantano grane per un crocifisso, ecc.    Insomma, tutta quella serie di comportamenti che vanno dalla micro-criminalità, fino alla semplice maleducazione che, complessivamente, rendono gli islamici molto più malvisti degli altri.

Per fare un esempio pratico, prendiamo il caso della Germania.   Dopo un’iniziale schermirsi, il governo ha aperto le frontiere ai profughi siriani, fra il plauso di gran parte della popolazione.   Come previsto, mescolati ai fuggiaschi sono giunti in Europa anche alcuni miliziani dell’ISIL ed altri soggetti molto pericolosi.   Ma ciò che ha fatto virare di colpo l’opinione pubblica tedesca dalla propensione all’accoglienza a quella opposta è stato un altro fatto.   Nella notte del capodanno scorso, alcune decine di cialtroni  su quasi un milione di profughi complessivi, hanno pensato bene di andare in giro a mettere la mani addosso alle donne che uscivano per festeggiare.   Lo shock sui tedeschi è stato tremendo, tanto che il governo ha precipitosamente chiuso i rubinetti, senza per questo recuperare nei consensi.

Questo fatto è molto interessante, non per minimizzare il fatto, ma per capire come l’entità del flusso abbia creato una situazione di estrema instabilità in cui basta pochissimo per scatenare reazioni significative.   E l’incapacità delle autorità a prevenire e/o castigare efficacemente questo genere di comportamenti peggiora di molto la situazione.    Se il flusso crescerà, le reazioni diverranno necessariamente violente, qualunque cosa ognuno di noi pensi.

Naturalmente, la maggior parte dei mussulmani, sia europei che immigrati, sono gente che aspira semplicemente a campare tranquilla, ma alcune decine di migliaia di idioti strafottenti sono più che sufficienti a bollare un’intera comunità.   Se ne rendono conto benissimo parte degli interessati.  Personalmente ho più volte udito imam e notabili mussulmani disperarsi di questa situazione, ma senza arrivare ad arginarla.   Ma altrettanto numerosi e ben più visibili sono quelli che, al contrario, si ingegnano a fare della provocazione, o peggio.

Il punto cui voglio arrivare è che, in un contesto di crisi economica cronica e crescente tensione sociale, costituire una minoranza identificabile è sempre rischioso.   La cosa più savia da fare è tenere il profilo basso e mimetizzarsi, cosa che altri stanno infatti facendo.   Una parte minoritaria, ma consistente, della comunità islamica ha invece optato per l’atteggiamento opposto semplicemente perché gli ha funzionato nei decenni in cui un diffuso “buonismo” politicamente corretto ha dominato l’opinione pubblica.   Una situazione che sta cambiando e l’effetto moltiplicatore di internet può accelerare il cambiamento in modo sorprendente.
In estrema sintesi, le frange più ostili ed ineducate della popolazione islamica stanno facendo di tutto per offrire la loro gente al ruolo di capro espiatorio, nonappena ce ne sarà davvero bisogno.

“Chi è causa del suo mal pianga sé stesso”

 

A che punto è la Brexit?

 

Un pochino prima del punto di partenza.

Ma vediamo di fare un tantino di chiarezza.    Innanzitutto, da un punto di vista legale, ancora non è successo assolutamente niente e non è neanche sicuro che succeda in futuro.     Il fatto che alle dogane europee gli inglesi facciano spesso la coda insieme agli africani ed agli arabi è  un solo dispetto e niente di più.
Certo, le migliaia di britannici che lavorano sul continente (moltissimi per l’eurocrazia) e le migliaia di continentali che lavorano in Inghilterra hanno ottime ragioni per dormire male e maledire chi a montato tutto questo circo contando di perdere.   Ma ad oggi tutti i trattati sono ancora pienamente operativi ed il governo britannico ancora non ha neppure formalizzato la richiesta di avviare i negoziati in vista di una possibile uscita (art. 50 del trattato dell’Unione Europea- versione consolidata).   Inoltre, il referendum era classificato come consultivo.   Questo significa che, se la trattativa andasse male, il governo potrebbe anche non farne più di niente.   Oppure tirare in lungo fino a mandare tutto in cavalleria.   Potrebbe, ma non è detto che lo faccia.

In effetti, l’impressione è che, passati i primi due mesi di panico, i promotori del “leave” abbiano cominciato a trattare di sottobanco, per decidere se avviare o meno la trattativa ufficiale.   Forse hanno trovato una finestra, visto che hanno annunciato l’avvio formale della trattativa fra 5-6 mesi (si vede che hanno fretta).   Cosa puntano?   A quanto pare, mirano ad uno statuto simile a quello della Norvegia; vale a dire stretta coesione economica, ma totale autonomia politica.   C’è da vedere se gli altri saranno d’accordo e, per ora, pare di no; vedremo se per davvero o se è un gioco delle parti.

Comunque, come al solito, l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica è tutta concentrata sugli indicatori economici, con grida di gioia alternati dei “filo-brexit” e degli “anti-brexit” ad ogni accenno di miglioramento o di peggioramento in questo o quel settore.   A mio avviso si tratta di purissima fuffa da entrambe le parti.   E’ chiaro che un sistema così complesso come l’economia britannica, sottoposto ad uno stress così articolato come la potenziale riscrittura di parte dei trattati che legano il Regno Unito al resto d’Europa, non può dare risposte lineari.   E neanche è così importante, secondo me, per la semplice ragione che, brexit o mica brexit, il complesso di fattori che maggiormente influenza le economie attuali è l’impatto contro i limiti globali della crescita.   Tutto il resto è secondario.

Viceversa, sempre come al solito, nessuno si interessa degli aspetti politici della faccenda.   Ed è un peccato perché qui, invece, le novità ci sono già, e parecchie altre ne arriveranno.   Certo, l’andamento delle trattative potrà cambiare di parecchio il risultato finale, ma non penso che potrà mai annullare il brusco calo di potere che l’Inghilterra ha subito nei confronti degli alleati.   Non penso che il Regno unito imploda (non converrebbe a nessuno), ma il suo peso politico all’interno dell’Unione è si è drasticamente ridimensionato, lasciando anche qualche orfanello in giro per l’Europa orientale.   Ora, si da il caso che il peso politico sovradimensionato di cui, fino a qualche mese fa, godeva l’Inghilterra dipendeva in gran parte da un perverso gioco di equilibrio che i vari governi inglesi hanno sempre praticato.   Vale a dire che, essendo uno dei pezzi grossi all’interno dell’UE, gli inglesi avevano buon gioco a boicottare tutte le iniziative che dispiacevano agli americani (ad esempio l’esercito europeo).   Questo dava loro un peso più che proporzionale presso la segreteria di stato di Washington, che ricambiava il favore.   Ecco perché fra i più delusi dall’esito del referendum ci sono stati proprio i nostri ingombranti cugini d’oltreoceano.

In pratica, contavano molto in Europa perché avevano dietro gli USA, e contavano molto in USA perché avevano dietro l’Europa.

Il giochino è finito del tutto?   Per ora no, ma è ridimensionato.   Vedremo come si svilupperà.

22/09/2016: Fertility day

Il 22 settembre 2016 si celebra in Italia il primo Fertility Day, su iniziativa del Ministero della Salute, in attuazione di un “Piano Nazionale per la Fertilità” (leggere per credere).
Un po’ in sordina, visto il coro di sberleffi che l’iniziativa ha suscitato, ma comunque si farà.

Al di la di tutto, una domanda sorge per me spontanea: perché?

Se fosse un fenomeno solo italiano, si potrebbe facilmente immaginare che si tratti dell’ennesimo marchettone alla Chiesa.   Probabilmente c’è anche un po’ di questo, ma non solo.   Analoghe, demenziali, iniziative sono infatti state prese anche da numerosi altri paesi con religioni dominanti diverse e perfino alcuni stati decisamente laici.   Fra gli altri, USA nel 2011, Gran Bretagna nel 2013, Danimarca nel 2014 e Singapore nel 2013 e nel 2016.   Consola che ovunque l’accoglienza del pubblico ha spaziato fra il freddo e l’adirato, passando per molta derisione.   Ma la questione rimane aperta: quali interessi muovono iniziative così anacronistiche in un mondo in cui l’esplosione demografica sta letteralmente divorando la Biosfera, devastando economie e società, mandando in frantumi gli equilibri geopolitici globali?

Senza voler qui “tirare la croce addosso” a nessuno, vediamo brevemente alcuni soggetti che probabilmente hanno a che fare con questo genere di iniziative.

Il clero.   Una delle cose che accomunano le principali fra le attuali religioni è il difficile rapporto con la sessualità, vista molto spesso come qualcosa di intrinsecamente peccaminoso.   Eppure inevitabile, dunque giustificabile in quanto passaggio necessario alla procreazione.   Il peso politico del clero (di tutte le confessioni) varia moltissimo da paese a paese, così come l’atteggiamento del clero stesso verso la sessualità e la riproduzione, ma in molti casi un’ingerenza c’è.  O perlomeno un retaggio culturale in tal senso.

fertility-day

Gli economisti.   Oggi costituiscono una specie di clero laico cui la politica si rivolge in cerca di guida e conforto.   Ovviamente, non tutti gli economisti credono nella crescita infinita, ma molti si.   Rifiutando per articolo di fede che dei limiti invalicabili alla crescita esistano e siano quella cosa contro cui ci stiamo sfracellando, passano il tempo a cercare di pensare come “rilanciare la crescita”: universale panacea.   Una delle trovate di moda è che la crescita demografica possa rilanciare l’economia.   In soldoni è semplice: più gente = più consumi = più PIL et voila, il gioco è fatto.    Solo che se per qualsiasi ragione non puoi aumentare i consumi globali in misura sufficiente, più gente significa invece più miseria.   Che è esattamente ciò che sta portando milioni di persone allo sbando, in giro per il mondo.   Ed esattamente quello che sta aumentando ogni tipo di inquinamento e distruzione del Pianeta.

Gli industriali.   Da molto tempo oramai le ricerche di mercato hanno dimostrato che la categoria di persone maggiormente inclini a spendere, anche a vanvera, sono le coppie con bambini piccoli.   Tombola!   Più bambini = più vendite = più crescita ecc.   Per fortuna, moltissime persone (specialmente donne) hanno capito che è una trappola ed altre se ne sta accorgendo.   Non per nulla i tassi di natalità stanno calando più o meno ovunque, ma c’è chi non si rassegna.

I banchieri.   Si fidano degli economisti ed hanno prestato soldi agli industriali.   Se le teorie non funzionano ed i consumi non crescono? Ahiahiahi…

I governi.   Ai tempi di “quando c’era Lui, caro Lei…”, i “figli alla patria” servivano per produrre carne da cannone per improbabili sogni di gloria.   Oggi, uno degli spettri che perseguitano i responsabili di governo è l’evidente impossibilità a continuare a pagare le pensioni.   Il sistema è infatti stato costruito sulla base del presupposto che le generazioni successive sarebbero sempre state mediamente più numerose e più ricche di quelle precedenti.   Circa 40 anni fa si sapeva benissimo che le cose sarebbero gradualmente cambiate, ma tutti hanno preferito ignorare il fatto ed oggi la gente paga per mantenere le pensioni di persone che, nell’insieme, hanno lavorato meno e guadagnato più di loro.   Chi pagherà per gli attuali contribuenti?   Oggi quello che i governi vogliono è carne da tassare, anziché carne da cannoneggiare.   Una bella differenza, certo, ma che col tempo rischia di sfumare.fertility day-fascista

I primatisti di qualunque genere.   In giro ci sono persone che si immaginano di stare combattendo una “guerra del ventre” contro qualcun altro.   Qualcuno lo dice anche chiaro e tondo.   Orbene, questa è una guerra molto particolare perché può solo essere perduta da tutti i contendenti ed anche da chi non la fa.   Dal momento che, indipendentemente dal colore dei capelli e dalla lingua che si parla, abbiamo sostanzialmente le stesse necessità, gli stessi desideri e le stesse paure, aggiungere bocche ad una tavola dove le vivande diminuiscono ed i rifiuti aumentano non è foriero di niente di buono per nessuno.   Un tragico esperimento a macro-scala è del resto in corso da decenni fra Israeliani e Palestinesi.    Ovviamente non tutti partecipano personalmente, ma nel complesso c’è effettivamente una corsa all’incremento demografico da entrambe le parti.   Il risultato è sotto gli occhi di tutti e non dovrebbe richiedere commenti.

E dunque?

E dunque personalmente penso che per una volta la maggior parte della popolazione abbia avuto esattamente la reazione che ci voleva: pernacchie.   Sperando che al ministero non insistano.   Il dramma è che in queste fesserie spendono dei soldi che potrebbero servire da un’altra parte (qualunque altra a questo punto).

3-fertilityday

Il picco del tempo. E del denaro.

quadro ad olio di Carl Banks, 1974

Quante volte l’abbiamo sentito? A partire da Paperon De Paperoni, ogni “bravo” dirigente/ottimizzatore/supervisore controlla che i tempi di produzione siano rispettati, che questa preziosa risorsa sia utilizzata al meglio (dal punto di vista aziendale) etc etc.

In effetti il tempo è una risorsa cronicamente scarsa, che cominciamo a consumare nel momento in cui nasciamo.

Cosi stando le cose, è interessante notare come il tempo-uomo globale, la somma di tutto il tempo lavorativo utile dell’umanità, sia andato via via aumentando. La cosa è ovvia: le aspettative di vita mondiale finora sono regolarmente cresciute e contemporaneamente è cresciuto, in modo esponenziale, il numero di umani sul pianeta. Maggior tempo a disposizione del singolo X un numero esponenzialmente crescente di individui: crescita esponenziale del tempo utile.

Questo tempo lavorativo utile è stato ridotto in qualche misura, dal maggior tempo dedicato all’educazione dei giovani ma, in compenso, la sua produttività è stata e viene costantemente aumentata.  A parità di ore lavorate, si produce progressivamente di più, almeno in termini di PIL.

Tuttavia le cose potrebbero cambiare. In effetti potrebbe darsi che, per quanto riguarda questo tempo, si sia piuttosto vicini ad un massimo. Per i paesi occidentali, con tutta evidenza, è così: La vita umana media, in quasi tutti i paesi occidentali tende a stabilizzarsi, per raggiunti limiti biologici, o addirittura, a regredire. Di conseguenza anche il numero di occupati, a prescindere (per modo di dire) dalla mamma di tutte le Crisi, tende a rimanere più o meno stabile, immigrazione a parte (comunque si tratta di prendere a prestito il tempo-lavoro da altre parti del mondo).

Nei paesi in via di Sviluppo, invece, tale tempo cresce tumultuosamente insieme alla popolazione (molti paesi che fanno parte di questo gruppo hanno una età media della popolazione intorno ai 15 anni) ma siamo sicuri che sarà possibile, con la crescente scarsità di risorse, dare da lavorare a tutti?

Siamo sicuri che la crescita economica e quindi dei consumi, necessaria a garantire sempre più posti di lavoro, o, semplicemente a garantire l’occupazione attuale ( la maggiore efficienza significa che, quando l’economia non cresce, i posti di lavoro tendono a diminuire) sia possibile ancora a lungo?

Non è ovvio, non è PER NIENTE ovvio, visto il barcollare dell’economia mondiale e il progressivo esaurimento delle risorse del pianeta. Si potrebbe anzi pensare che si avvicini il momento di una DIMINUZIONE di PIL per ore lavorate ( gli stipendi sono statici o in diminuzione ed il PIL dipende anche dai consumi interni) . Non è affatto ovvio che il monte ore lavorative utili mondiali tenderà ad aumentare ancora e che, se lo farà, questo corrisponderà ad un aumento più che proporzionale del PIL.

Potrebbe sembrare, direte voi, una discussione sul sesso degli angeli.

Può essere, potrebbe essere, se non fosse che la frase “il tempo è denaro”, per molti economisti, va presa in senso letterale.

Cosa è il denaro, in effetti?

Potrà sembrare strano ma non esiste una risposta univoca, certa semplice ed assoluta. In effetti, un articolo davvero interessante, in merito al denaro (ed al tempo) mi ha spinto a scrivere questo post.

E’ un mezzo di scambio, certo. Una forma di “pagherò”, almeno nelle prime emissioni di banconote, che portavano la scritta “pagabili a vista al portatore”. Ma anche una scommessa sul futuro, vista l’emissione A DEBITO, nella sua forma più moderna di moneta FIAT ( da FIAT LUX: una moneta creata con un atto di volontà, nda).

Non è questo il momento di spaccare il capello in 4: Diciamo che in Europa ( ed anche in molti altri sistemi economici) il denaro viene creato sotto forma di crediti al sistema bancario europeo, in cambio di garanzie REALI, depositate presso la banca centrale stessa, che sono quelle che danno realtà e valore, in ultima analisi, al denaro prestato, creandolo dal nulla. Gli Stati non possono prendere a prestito DIRETTAMENTE dalla BCE e, ovviamente, non possono più stampare moneta per onorare i propri debiti con imprese e cittadini.

Siccome buona parte di queste garanzie sono buoni ed obbligazioni varie statali ( ma non solo), La BCE sta diventando, potenzialmente, la principale creditrice di tutti gli Stati europei. Dato che, comunque, un certo numero di banche è destinato a fallire e quindi i beni posti a garanzia finiranno incamerati dalla BCE stessa e la cosa è ovviamente cumulativa, lo diventerà comunque. A questo punto il valore del denaro dipenderà dal valore che le economie europee e quindi gli Stati, riusciranno a creare, ogni anno, per onorare i detti debiti.

In pratica: il denaro ha valore nella misura in cui si conta di poter creare il suo valore IN FUTURO, nella misura in cui ci si attende che ci siano le risorse, pubbliche o private, per onorare i prestiti. Semplicistico? Forse, ma in sostanza, visto che stiamo consumando il tempo nostro e quello, più importante del pianeta, tutto si riduce ad attribuire un valore sufficiente al tempo, in calo, che ci resta per onorare le garanzie.

Via via che il futuro diventa più oscuro e le speranze di una crescita esponenziale infinita o almeno sufficiente a pagare i debiti attuali evaporano, il sistema si arena per il crollo di fiducia incrociato. La minore fiducia implica maggiori garanzie, che rendono il costo del denaro più alto, rendendo, di fatto impossibile procurarsene. Niente denaro, niente investimenti, niente investimenti niente crescita. Niente crescita, aumento delle sofferenze. Aumento delle sofferenze, aumento del rischio di fallimento per le banche. Che, d’altronde non hanno più beni reali da mettere sul piatto per farsi finanziare ancora dalla BCE.

La cosa è più seria di quanto sembra: se le banche non possono più chiedere denaro a prestito, il denaro CESSA DI ESISTERE, ogni volta che una banca riesce ad onorare un prestito ( il denaro prestato, tornando alla BCE viene “cancellato”; una volta il denaro che tornava allo stato veniva, fisicamente, bruciato) ma non è in grado di richiederne un altro per mancanza di garanzie reali. Quel denaro NON viene rimesso in circolo. DI conseguenza il valore del circolante tende ad aumentare, piuttosto che diminuire, visto che la “merce” denaro diventa più rara. Si chiama deflazione. E’ un grosso guaio, la deflazione, perché frena i consumi ( perché comprare oggi qualcosa che costerà meno domani?) e perché aumenta il valore REALE dei debiti. Pubblici e privati. La BCE ha quindi portato i tassi a zero, per consentire alle banche di investirlo in buoni del tesoro, che hanno un rendimento modesto ma superiore a zero, da porre a garanzia del prestito e poter quindi giocare lucrare sulla piccola differenza a loro favore. Resta il fatto che lo “spirito dei tempi” è tale che lo spazio di manovra disponibile è ormai bassissimo. D’altronde Stati con bilanci risanati hanno meno bisogno di ricorrere a nuovi finanziamenti da parte del mercato e quindi, di converso anche le banche hanno poco spazio di manovra per aumentare il loro giro di affari ( o mantenerlo).

Potremmo quindi alla fine trovarci davanti ad un picco del denaro o almeno del suo valore complessivo ( cambiando le politiche di emissione si può aumentare il circolante ma non è detto che il valore complessivo aumenti più rapidamente dell’inflazione così innescata).

I tentativi farneticanti di questi anni di “ricostruire la fiducia degli investitori” mediante la distruzione delle economie dei paesi europei e la compressione di stipendi e salari è stato un tentativo, insieme all’ovvio conseguente crollo dei consumi, per inseguire  l’illusione di riequilibrare la bilancia dei pagamenti, ovvero l’illusione di comprarsi il tempo-lavoro che manca al di fuori dal continente. Non poteva che fallire, come infatti sta fallendo. Cpme abbiamo visto il PIL dipende anche dai consumi interni che, se vengono danneggiati, provocano effetti sistemici importanti, aumento dei disavanzi statali, aumento delle sofferenze bancarie etc etc. In ultima analisi: se distruggi il futuro delle persone, distruggi il valore delle scommesse su quel futuro. Prima di tutte il denaro.

Poiché con il denaro si fanno le cose, quelle inutili ma anche quelle utilissime per il pianeta, la cosa NON è positiva. Sarà anche lo sterco del diavolo, il denaro, ma serve per concimare. Senza concime non si raccoglie frutti, buoni o cattivi che siano.

Ovviamente esiste una categoria di denaro ancora più “esoterica”: il denaro “speculativo”, quello creato dal rapporto tra le riserve obbligatorie e il totale dei risparmi mondiali. E’ questo denaro che alimenta i giochi più perversi, derivati, CDS etc etc etc, mescolandosi in modo non sgarbugliabile con quello “FIAT”, portando un colosso bancario, la Deutsche Bank, ad essere considerato talmente esposto ai rischi connessi a questi strumenti, da costituire una minaccia per l’economia MONDIALE: da 54 a 72.000 MILIARDI DI DOLLARI, in confronto ad un valore complessivo dei suoi attivi di 60 miliardi.

E’ vero: queste “scommesse” immense, normalmente si annullano l’un l’altra, come particelle virtuali al confine degli eventi di un buco nero. Ma, quando il tempo comincerà a scarseggiare, aumenteranno le probabilità di un collasso improvviso. Allora una parte delle scommesse si troveranno a NON essere coperte dalle scommesse di segno opposto (saranno pochi a voler correre il rischio) e comprenderemo ancora meglio quanto la risorsa più importante di cui dovremmo preoccuparci, ancora una volta, è il TEMPO. E non il denaro. che, tutto sommato, senza tempo, senza futuro, non esiste.

Il tempo è denaro ma il denaro non è, né può creare, il tempo.

Il Capitano Kirk, lo scientismo e l’idiozia al potere

 

La Zumwalt in tutta la sua futuristica bruttezza
La Zumwalt in tutta la sua futuribile bruttezza

Vi ricordate il mitico slogan “l’immaginazione al potere” derivato dagli scritti di Marcuse, nel 1968?

Beh, chi aveva vent’anni allora è in effetti al potere OGGI. Disgraziatamente, di immaginazione ne ha coltivata ben poca, anche perché con quella difficilmente si risalgono i gradini della scala gerarchica.

Tanto più tra i militari.

Purtuttavia, forse per il “lavoro” che fanno, i militari tendono, come molti di coloro che esercitano il comando, ad avere una fiducia di tipo fideistico nella capacità della scienza di tirare fuori dal cappello nuovi marchingegni e ritrovati che gli permettano di fare al meglio il LORO lavoro. Questa fiducia talmente cieca nel progresso da diventare paradossale e cieca viene talvolta annoverata tra le fedi con il nome (diventato spregiativo) di scientismo.

Metti che questi nuovi gingilli sono anche estremamente costosi da realizzarsi e comportano anni ed anni di studi, sperimentazioni, costosi prototipi, interminabili validazioni, etc etc, cose che COSTANO un sacco e quindi piacciono MOLTO sulla base del noto concetto bellilavoribellisoldi ed ecco che alla fine le innovazioni vengono accettate anche quando sono, con tutta evidenza, idiote.

E’ il caso dello Zumwalt, il primo cacciatorpediniere (è storicamente l’equivalente tecnico, in  italiano, del “Destroyer”, distruttore, dei paesi anglosassoni ma chiaramente non veicola la stessa suggestione) STEALTH.

Stealth significa “furtivo” e, in pratica, si tratta di un insieme di accorgimenti e tecnologie che permettono di rendere poco visibile, sui radar un veicolo. Un Caccia F117 Stealth si dice(probabilmente esagerando) che abbia una impronta radar equivalente a quella di un grande rapace.

La cosa, ovviamente, ha una BELLA rilevanza militare per un oggetto che porti un carico letale e si muova velocemente ( un aereo) ma diventa assai meno interessante per veicoli lenti. In effetti veicoli stealth terrestri ne sono stati concepiti pochetti e nessuno è progredito fino ad essere schierato in prima linea ( qualunque fosse la guerra da combattere).

E in mare? Beh in mare qualche tentativo era stato fatto, finora, per mezzi relativamente piccoli e veloci (catamarani) con l’idea di riuscire ad entrare nel circuito difensivo delle grandi unità nemiche senza farsi vedere e lanciare un micidiale attacco missilistico ravvicinato. Poiché in pratica le uniche flotte potenzialmente nemiche con una minima consistenza, quella russa e quella cinese non sembravano comunque particolarmente pericolose, la cosa ha avuto scarso seguito.

Fino all’arrivo dello Zumwalt, che, oltre ad essere “stealth” è anche il più grande cacciatorpediniere di tutti i tempi, 15.000 tonnellate di stazza, oltre 200 metri di lunghezza.

Nonostante le apparenze da astronave, insieme il canto del cigno delle grandi unità di superficie e l’esemplificazione dell’idiozia al comando.

Per il semplice motivo che, se è vero che la sua impronta radar è ridotta, all’incirca quella di un battello da pesca, è sempre di gran lunga maggiore di quella, per dire, di un periscopio di sommergibile, che oltretutto, anche nei casi più sofisticati costa MOLTO meno di 4 miliardi e mezzo di dollari.

Senza contare che un oggetto lungo 200 metri ed alto come un palazzo di 20 piani è visibile da decine di km di distanza ed ovviamente immediatamente rilevabile dai satelliti.

Per finire, come tutte le navi si muove LENTAMENTE, per arrivare alla sua fantasmagorica distanza di tiro, 63 km, ci mette comunque ALMENO un paio di giorni, ovvero tutto il tempo necessario per togliersi di torno o spedirlo in fondo al mare con una bella concentrazione di  missili superficie superficie o aria superficie (senza contare i cruise).

Insomma: una unità così, è INUTILE anche solo come concetto, disegnato su un foglio di carta.

Per sopravvivere dovrà stare all’INTERNO di una flotta comandata da una portaerei e non ALL’ESTERNO a caccia di potenziali nemici.

Dovrà contare su una copertura aerea continua, anzi, per meglio dire, sul predominio aereo.In pratica anche se sarà meno visibile delle altre, dovrà contare sulla protezione di UN SACCO di altre grandi e piccole navi militari, queste si, ben visibili, ad ogni lunghezza dello spettro d’onda.

In effetti da che mondo è mondo, lo scopo delle grandi flotte militari è prettamente quello DI FARSI VEDERE. Sono una proiezione di potenza non un vero strumento militare, come del resto ha ampiamente dimostrato, durante la seconda guerra mondiale, la ingloriosa fine di molte corazzate, quasi tutte affondate da siluri o bombe di aereo. Se lo scopo è quello di FARSI VEDERE, che senso ha fare una unità stealth, dall’aspetto oltretutto ridicolo, più che minaccioso?

E’ la prova, anche per il costo, che continuare a costruire grandi unità navali di superficie, specialmente con intenti aggressivi, non ha senso. I potenziali avversari di peso si guarderebbero bene da un ingaggio diretto e passerebbero la palla ai sottomarini. Gli altri (tutto il resto del mondo) che al massimo possono tentare qualche colpaccio con barchini esplosivi, possono essere tenuti a bada anche da bagnarole con due cannoni a tiro rapido, basta che ci sia la copertura aerea e radar.

QUINDI l’oggetto è IDIOTA, serve solo a vellicare l’ego di qualche povero ammiraglio ed assecondare la sua infantile volontà di avere anche lui il giochino nuovo, come quei palloni gonfiati dell’aeronautica…

Per finire, dimostra sia il livello di sonno della ragione raggiunto dai vertici militari USA che l’asservimento della politica, che deve staccare l’assegno per l’accrocchio pseudo futuribile.

Non ci credete? vi sembra una lettura esagerata?

Ed allora che ne dite del nome del primo comandante dell’Unità?

Si tratta del comandante.. JAMES KIRK.

Omonimo del molto più famoso comandante della celeberrima Enterprise (talmente celeberrima da dare il proprio nome al primo shuttle)

Non ditemi che, tra decine di potenziali candidati, è stato scelto per caso, perché non ci credo.

Per la cronaca, la più lenta ed inutile, nonché  costosa astronave di tutti tempi (più del Saturno 5) ha cominciato il suo servizio con la marina Americana pochi giorni fa.

P.s.: un esempio nostrano di spese militari difficilmente giustificabili lo trovate in questo articolo pubblicato ad aprile 2016.

Quelli del NO a tutto

NO a tutto - NIMBY this is my back yard“Voi siete quelli del NO a tutto !” Quante volte lo sentiamo dire? In effetti, di qualcosa bisogna pur campare e se non si fa una cosa, bisognerà farne un’altra.   Almeno a buon senso.
C’è anche una definizione in inglese: “sindrome NIMBY” (significa Not In My Backyard – Non nel mio giardino).   Indica l’atteggiamento sterile ed egoista di chi si oppone a qualunque cosa nei suoi paraggi, infischiandosene dell’interesse collettivo.    OK, siamo sicuri che sia sempre così?

Sindrome NIMBY.   Sempre?

Nella mia quarantennale esperienza sono cascato più volte su casi del genere.   Per esempio, si vuole costruire una nuova strada camionabile e vi sono due tracciati possibili.   Prontamente nascono due comitati dei residenti, ognuno dei quali sostiene che il tracciato giusto è quello che passa davanti alla casa degli altri.   Oppure si mettono d’accordo per individuare in terzo tracciato che, evitando le case, finisce di massacrare l’ultimo bosco o gli ultimi campi dalla zona.   “Tanto li non c’è niente.”
Naturalmente il tutto condito con altisonanti dichiarazioni sui diritti umani, la conservazione della natura e chi più ne ha, più ne metta.

Ma non è che le controparti (di solito industriali e/o enti locali) abbiano un atteggiamento molto diverso.   Per capirsi, farò un caso emblematico, pescato dal mio schedario.
Una grossa industria, insediata in una stretta valle montana, vuole costruire un inceneritore a piè di fabbrica per bruciare parte dei propri scarti recuperando energia da riutilizzare nel processo.   Sostiene che ciò ridurrà il numero di camion che portano via i rifiuti, inoltre consentirà risparmi e dunque lo sviluppo dell’azienda.   N.B. solo col cavatappi si riesce ad estrarre l’informazione che per alimentare la macchina si dovranno portare rifiuti analoghi da altri impianti della medesima impresa situati altrove.   Più un numero considerevole di tonnellate di legname per mantenere la temperatura di esercizio al livello desiderato.

Pronto il comitato contrario il quale, stavolta sindaci in testa,  sostiene che l’inceneritore avrebbe effetti mortali sulla qualità dell’aria, già molto scadente a causa del traffico.   NB. Si dimenticano di dire che proprio i residenti e le amministrazioni locali hanno recentemente ottenuto il raddoppio della strada di fondovalle, anziché  quello della ferrovia che serviva paesi ed industrie, insediate peraltro da decenni.

Apre la riunione generale il rappresentante della Provincia (storia di qualche anno fa) che sostiene che prima di tutto si debba controllare la qualità dell’aria mediante l’installazione di apposite centraline.   No del comitato perché le centraline potrebbero essere poste ad arte per far figurare una qualità superiore al reale.
Offerta della Provincia di posizionare le centraline secondo le indicazioni del comitato.
No perché i risultati potrebbero dar ragione agli industriali e il comitato l’inceneritore non lo vuole comunque.   Punto.
Parlano gli industriali offrendo la massima disponibilità a discutere e modificare ogni aspetto del progetto.
Parlo io e chiedo se non sia possibile trasportare il materiale almeno in parte per ferrovia che è vecchia, ma ancora funziona.
No perché il progetto è perfetto così.    Allora chiedo se si può sapere quanto legname dovrebbero bruciare e da dove pensano di procurarselo.   Forse hanno saputo che ci sono seri problemi di siccità cronica e che i boschi della valle sono in crisi?
No.   Quanto legname servirà non mi riguarda, tanto quel che serve si compra.   E non ci sono problemi coi boschi, parola di industriale!

E via di questo passo.   Come si dice, bisognava prenderne uno per picchiare l’altro.
Non sempre però è questo il caso.

Quando NO a tutto è l’unica risposta possibile.

Una discussione, per essere almeno teoricamente costruttiva, deve avvenire prima che sia presa una decisione.   Sembra logico, ma non nel modo di pensare delle amministrazioni che procedono esattamente al contrario.   Per abitudine, prima decidono, poi pubblicano gli atti relativi.   E’ legale, naturalmente, ma poi non si stupiscano se, puntualmente,  un manipolo più o meno consistente ed agguerrito di cittadini si mette a piantare tutte le grane possibili.   A torto od a ragione, a quel punto poco importa.

Certo, compito di chi si oppone a qualcosa dovrebbe essere l’avanzare una proposta alternativa.   Ma ha senso dopo che tutto è già stato deciso, magari gli appalti già banditi?    Quando si tratta di opere in una certa importanza, l’iter per la preparazione e l’approvazione dei progetti è logorroico, ci vogliono di solito anni.   Tutto tempo che potrebbe essere utile per discutere le cose, ma di solito no.    Oppure si discute si, ma fra sordi come nell’esempio citato.
Comunque, una volta che un’idea è partita, di solito la si porta avanti, qualunque cosa succeda.   E se si arriva a realizzarla quando oramai non serve più a niente, o magari è addirittura nociva, poco importa; non si può mica ricominciare tutto daccapo!

Dunque quel che bisognerebbe discutere è il modello di sviluppo.   Vale a dire il modello mentale in base al quale vengono elaborate idee e progetti.   A dire il vero, fin dai primi anni ’70 in parecchi hanno tentato di proporre un approccio diverso da quello che aveva funzionato fino ad allora (strade, industrie, case, ecc.).    Ma al di là dei discorsi di circostanza e di qualche solenne dichiarazione pubblica, non è cambiato assolutamente niente.
Nella mia esperienza, talvolta le proposte alternative vengono avanzate ed altre no, talvolta sono sensate ed altre no, ma fa davvero poca differenza perché è eccezionale che vengano anche solo prese in esame.

Ed a questo punto la guerra di trincea diventa l’unica alternativa possibile.

Un altro esempio con un’altra strada, che da 12 anni il mio comune vuole costruire per costruire nell’ultimo frammento di bosco esistente sul suo territorio, fra l’altro lungo un fiume, in area a rischio idraulico.    Non c’è mai stata discussione o proposta possibile, malgrado nel frattempo siano cambiate tre amministrazioni di tre colori diversi.   Semplicemente vuole così un associazione locale che conta per parecchi voti e tanto basta.    A questo punto, sobillare i pochi cittadini contrari per fare del boicottaggio è l’unica strategia possibile.   Non risolve nulla e non è costruttivo, ma fa guadagnare tempo, nella speranza che, crisi avanzando, non trovino mai i soldi necessari.

Ma c’è un altro fattore ancora, molto più profondo.   Nell’evoluzione di un sistema ci sono sempre dei momenti di instabilità in cui è possibile far cambiare rotta al sistema stesso.  Ma gli effetti cambiano moltissimo a seconda di quando avviene il cambiamento.   Cambiare rotta prima o dopo aver sbattuto sugli scogli non porta ai medesimi risultati.
Fuor di metafora, quando eravamo 3 miliardi con ampie riserve di risorse ed una consistente parte degli ecosistemi ancora funzionanti, aveva molto senso parlare di sostenibilità, di stabilizzazione delle economie e della popolazione, di modelli alternativi di sviluppo ecc.   Oggi che di miliardi siamo quasi 8 ed il “redde rationem” è cominciato, le opzioni possibili sono certamente meno e nessuna molto allettante. Per tornare alla metafora navale, ha senso discutere della rotta da prendere finché la nave galleggia.   Quando imbarca acqua e comincia a sbandare diventa prioritario cercare di impedire all’equipaggio di fare a pezzi le scialuppe per continuare ad alimentare la caldaia.   E se qualcuno lo fa dicendo fesserie, pazienza, talvolta anche le fesserie posso servire a qualcosa.

Pistolotto finale.

Vorrei concludere rivolgendomi direttamente ai coloro che prendono le decisioni ed a coloro che li demandano a ciò:

Signori, per 40 anni sono state avanzate proposte di ogni genere per cambiare la rotta del nostro sistema.  I casi in cui sono state sperimentate od anche solo discusse sono stati trascurabili.   Non vi meravigliate quindi se ora un numero crescente di persone semplicemente dice “ NO a tutto “.    Talvolta a ragione e talaltra a torto, ma è un effetto della frustrazione.   E forse è anche l’unica cosa che rimane de fare, nella speranza che qualcosa sopravviva alla macchina tritatutto che chiamate “Progresso”.

Estrema destra ancora vittoriosa! Domande?

MerkelDomenica scorsa il partito austriaco di estrema destra è diventato il primo del Paese.   Socialisti e democristiani, tradizionali partiti di riferimento, sono praticamente scomparsi.   Ci sono domande?    Penso parecchie.
La cavalcata dell’ estrema destra non solo europea, ma anche americana, cominciò in sordina negli anni ’90.   Considerato allora un fenomeno marginale, oggi sta riempiendo le agende delle think tank e degli analisti; turbando i sonni di un sacco di gente.   Non tenterò qui un riassunto di una tale mole di analisi su di un soggetto così complesso.    Semplicemente vorrei proporre qualche considerazione personale che spero possa contribuire, sia pure minimamente, ad arginare il fenomeno.

destra franceseLa prima è questa: di turno elettorale in turno elettorale l’ estrema destra avanza.  Possibile che tanta gente che votava socialista o democristiano (intesi in senso europeo, molto lato) si stia svegliando nazista o fascista?   Personalmente penso che sia poco probabile.   L’ estrema destra ha sempre avuto una sua nicchia, ma marginale era e penso che marginale rimanga.   La massa di voti che raccoglie ha tutta l’aria di essere un voto di protesta e/o di paura.   Niente di particolarmente nuovo, dunque, ma che rischia di generare degli effetti a medio termine perversi.

destra austriacaSospinti dal voto di protesta, i leader dell’ estrema destra andranno probabilmente al potere, dove potrebbero fare dei danni irreparabili.   Specialmente se i governi moderati in carica continueranno a preparare loro in terreno.
Dunque la prima cosa da fare sarebbe capire quali sono i principali argomenti che suscitano nella cittadinanza questo tipo di rischiosa protesta.   Per farsene un’idea, il modo più semplice è osservare quali sono i pochi punti che accomunano la maggior parte dei partiti e dei movimenti di maggior successo, peraltro assai eterogenei.   Direi che i principali sono i seguenti: la recessione con annessi e connessi, la corruzione, l’immigrazione, la sicurezza, il nazionalismo.   Non necessariamente in quest’ordine.

Dunque vediamoli brevemente uno alla volta per vedere se sono possibile delle parate, almeno parziali.

Recessione.

recessioneQuesta è la “madre di tutte le grane”.   Abbiamo costruito il nostro sistema politico basandoci sul presupposto che la crescita economica sarebbe durata per sempre e che, gradualmente, avrebbe coinvolto tutti.   50 anni fa già si sapeva benissimo che si tratta di una favola, ma nessun politico importante ha avuto il coraggio di spiegarlo ai suoi elettori.   E nessun corpo elettorale era ed è disposto a sentirselo dire.   Ne consegue questo sempre più frenetico arrampicarsi sugli specchi che inganna sempre meno gente, offrendo buon gioco a chi propone ricette tanto semplici quanto improbabili (ad es. usciamo dall’Euro).   Paradossalmente, proprio perché semplici ed improbabili, simili proposte fanno presa su chi, giustamente, sente di essere stato pesantemente preso per il culo.   Di qui l’inevitabile altalena di politici che ascendono promettendo di avere la ricetta giusta, per poi immancabilmente deludere.

Qui la parata sarebbe particolarmente difficile perché bisognerebbe spiegare come e perché la crescita non tornerà mai più e che questo, fra tutti i mali possibili, è il minore.   Molto difficile che possa funzionare.   Credo che sia persa, anche se mi piacerebbe vedere qualcuno che ci prova.

Corruzione.

corruzioneUna certa percentuale di parassiti ci sono sempre stati, ma quando diventano tanti e sfrontati scatta la modalità “Sono tutti ladri” che è esattamente quello di cui ha bisogno chi si propone come “quello che farà pulizia”.   Sappiamo già che non è vero ma ci piace illuderci.

Qui la parata sarebbe teoricamente facile: piantarla con gli interessi privati in politica.   Ma visto che in parecchi non lo fanno, forse è meno facile di quel che sembra da fuori.   Forse, una parziale spiegazione è che per salire di molto sulla la scala gerarchica è necessario disporre di un sacco di soldi, propri o di sostenitori.   E per avere i soldi ti devi legare ad un mondo economico in cui il limite fra l’economia “pulita” e quella “canaglia” sfuma di giorno in giorno.   Una volta che sei arrivato in alto, non solo non puoi abbandonare gli “amici degli amici”, ma oramai sei diventato uno di loro.

Immigrazione

immigrazioneQuesto è forse il punto in cui la classe dirigente sta fallendo nel modo più spettacolare.   Un sacco di poteri forti e deboli hanno un sacco di interessi legittimi e non in quest’affare ed ognuno tira il governo dalla sua parte, col risultato che assolutamente niente di quello che è stato fatto dai primi anni ’90 ad oggi ha il benché minimo senso logico.   I risultati non possono che peggiorare man mano che il fenomeno cresce all’interno di sistemi sociali progressivamente fragilizzati dalla crisi economica.

In generale io rifiuto la logica binaria, ma in questo caso credo che potrebbe esserci di aiuto.   Credo che ognuno, nel silenzio della sua cameretta, dovrebbe porsi questa domanda: L’Italia (o l’Europa) è sovrappopolata?   Si o no?   Barrare la casella.   Se si sceglie “Si”, allora è vitale stabilire un efficace controllo delle frontiere esterne e decidere chi facciamo passare e chi no.   Fra “tutti” e ”nessuno” ci sono parecchie opzioni possibili, ma nessuna con tutti sono contenti e nessuno si fa male.   Qualunque scelta facciamo ci saranno dolore e morte.   Se si sceglie “No”, allora l’unica cosa sensata da fare è un servizio regolare di traghetti che prendono la gente e la porti qui.   Ma anche in questo caso ci saranno dolore e morte.
Questo perché, purtroppo, la risposta corretta è “Si, parecchio” e continuare a negare che abbiamo un drammatico problema di quantità di gente serve solo ad aprire la strada chi sostiene che il problema è la qualità.
Il mio parere di ecologo professionista e storico dilettante è che società multietniche e multiculturali sono difficili, ma gestibili (con qualche incidente) ed è vero che la diversità è ricchezza.   Ma e’ anche vero che la nostra economia ed i nostri ecosistemi stanno collassando e che ogni persona in più, anche se rimane nel novero dei poveri, non fa che accrescere un’impronta ecologica già esorbitante.   E non è neanche vero che si potrebbe compensare riducendo lo standard di vita degli autoctoni.   Cosa che, fra l’altro, sta già accadendo (v. recessione) e non sono in molti a rallegrarsene.
Ridurre i propri consumi è infatti esattamente quello che è necessario fare per distruggere il più rapidamente possibile quello che resta della nostra economia industriale.   Una scelta che si può anche fare, ma che andrebbe fatta coscienti delle conseguenze.
Certo, dal momento che gli immigrati sono il 10% della popolazione europea, sono anche il 10% del problema dal punto di vista demografico ed ambientale, ma crescono al ritmo di circa due milioni l’anno e in dinamica dei sistemi le tendenze sono fondamentali.

Sicurezza

terrorismoCi sono due minacce che spaventano: la criminalità ed il terrorismo.

Quanto alla prima, è importante notare che il rapinatore od anche il topo d’appartamento sono assai più temuti del mafioso, autoctono o di importazione che sia.   E la criminalità spicciola è in buona misura una funzione sia della densità di popolazione che della povertà.   Aumentando la quantità di gente e la percentuale di poveri non può che aumentare, quale che sia l’origine dei poveri.

Quanto alla seconda, la probabilità di essere ammazzato da un pazzoide (islamista o meno) è enormemente più bassa di quella di prendersi un cancro, un infarto o di finire sotto una macchina, perfino a Baghdad.   Tuttavia i terroristi sono effettivamente riusciti a terrorizzarci, col risultato che, dal 2001 ad oggi, gli apparati di spionaggio e repressione si sono moltiplicati e raffinati considerevolmente.   Altri passi in questo senso saranno fatti al seguito di ogni futuro attentato, finché saremo completamente prigionieri di noi stessi.   Il confine fra “protezione” e “sopraffazione” tende a sfumare con l’aumento di intensità della protezione.   E cosa di meglio per un partito che aspirasse ad instaurare un governo autoritario che trovarsi l’intera macchina della “psicopolizia” già avviata e rodata?

Qui la parata comporterebbe una strategia di comunicazione complessa, tesa a dare una visione più realistica  dei rischi reali.   Ma questo non consentirebbe facili speculazioni elettorali neanche ai governi in carica.

Nazionalismo.

nazionalismoNella storia del mondo sono state sperimentate migliaia di forme di stato.   La nazione, intesa come sincretismo di un territorio contiguo, una popolazione omogenea ed un governo è un’invenzione del XIX secolo europeo.   Ed è stato il più fallimentare degli esperimenti politici della storia umana.   Due volte i paesi principali europei hanno avuto governi nazionalisti e ne sono scaturite le due guerre più devastanti della storia del mondo.   Alla fine, l’Europa che 50 anni prima dominava incontrastata il mondo, era ridotta ad un pugno di colonie chi della Russia e che degli Stati Uniti.   Evviva!  Riproviamoci!

Qui la parata richiederebbe innazitutto di insegnare la storia nelle scuole.   Poi ci vorrebbe una radicale ristrutturazione delle tremendamente ridondanti istituzioni europee.   L’autorità centrale dovrebbe essere da un lato ristretta a pochi temi vitali (ad es. ambiente, difesa, politica estera, macroeconomia).   Dall’altro, dovrebbe essere svincolata dal controllo dei governi nazionali.   Ma si da il caso che, di tutte le istituzioni europee, la meno soggetta al controllo nazionale è il parlamento, cioè quella che conta di gran lunga meno.   Viceversa, chi davvero decide è il Consiglio dell’Unione Europea che è composto dai rappresentanti dei governi nazionali (ministri o capi di governo, secondo gli argomenti).  Ed al suo interno, l’Eurogruppo, che non è neanche un’istituzione, ma semplicemente il club dei governi che hanno adottato l’Euro.

Conclusioni

Insomma, io credo che fermare la cavalcata dell’ estrema destra si potrebbe, ma non sarebbe facile e, soprattutto, richiederebbe un buon bagno di realtà tanto per i governanti che per gli elettori.   Non mi sembra che ne abbiano molta voglia né gli uni, né gli altri.